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21-01-2010, 21.24.25 | #222 | |
Ospite di se stesso
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Riferimento: Dio non esiste
Citazione:
Noto qui ,però,un appunto che forse capisco ma non comprendo appieno.. Non ho mai letto nessuna imposizione etica,ad esempio nel dogma cristiano,se si parlava di questo..a meno che non s'intenda un'imposizione etica la Forza dell'Amore.. Beh siamo OT.. e non credo porti a molti sbocchi questo dialogo,considerando anche i miei limiti.. |
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21-01-2010, 22.10.44 | #223 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
chlobbygarl,
il tuo ultimo contributo non può che essere di oggettivo interesse. Eppure vorrei far notare come in quanto da te citato e che vado a ripetere Citazione:
io mi curi di virgolettare il sostantivo Dio. Esso aveva anche un valore di battuta. Lo stesso Emmeci, in modo particolarmente ispirato devo dire, riferendosi a Nikolaj si è affrettato a chiarire come segue Citazione:
Accompagnando tali importanti parole, mi preme sottolineare come il mio rilievo fosse destinato al Dio della tradizione ebraico-cristiana e non a ciò che si potrebbe chiamare inclinazione religiosa. L'esser-Dio, anche nella cultura occidentale, non esaurisce la sfera della divinità, dell'esser-divino. Quando leggo cose come quelle scritte da emmeci penso spesso a ciò che nel celeberrimo scritto "Il disagio della civiltà" Sigmund Freud chiama "sentimento oceanico" . Ecco, quello di sentimento, senso, percezione oceanica è ciò che potrebbe ben conciliarsi con la neuro-logia cui fai riferimento con il contenuto del tuo link. Tanto il sentimento oceanico di Freud quanto il "god module" - e perchè non piuttosto "goddess" module? - cui fai riferimento possono essere espressi "filosoficamente" con l'idea dell' uomo nel suo esser-trascendente, del suo non esaurirsi nella propria presenza e presentabilità, in fin dei conti dell'uomo nel suo essere. Forse che l'essenza umana si esaurisce in un esser-presente e presentabile? Per l'uomo contemporaneo abituato al chiasso del progresso tecnico-sceintifico ben poco senso ha un'espressione come "l'uomo é". Ma l'uomo è, ed in quanto tale è necessariamente aperto alla trascendenza. In questo senso non è azzardato dire che l'uomo è in sè stesso divino. Franco Ultima modifica di Franco : 22-01-2010 alle ore 11.40.47. |
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23-01-2010, 17.15.32 | #224 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Orabasta aveva detto:
non ho + dubbi Elijah risponde: Citazione:
Mi sto rileggendo pian piano i primi interventi (gli ultimi li ho compresi poco probabilmente perché non ho ancora individuato i punti di partenza), e mi è sembrato quello quotato il migliore, in quanto parte dall'inizio. Si vuole passare per illogico qualcosa infatti che effettivamente nasce già illogico. Per quale motivo allora deve esserci una logica che sottende l'esistenza di Dio? Ora però collego quel intervento (datato) alla frase attuale di Franco: Citazione:
Certamente per noi uomini ormai abituati ai criteri che auto ci imponiamo, ha poco senso l'espressione “l'uomo è”. Il problema è che da li (da queste evidenze) che derivano tutti i nostri meccanismi. Quindi noi uomini siamo tali non in quanto facenti parte di meccanismi. Siamo solo evidentemente tali. A questo punto la domanda che possiamo farci è: secondo quale meccanismo Dio non esiste e non c'è motivo di dubitarne? Chiaramente se dio non rientra in alcun meccanismo dio non esiste perché i meccanismi trovati non lo giustificano. Possiamo chiederci però: Esiste un meccanismo che possa giustificare dio? Potrebbe esserci se dio stesso fosse un meccanismo. Il problema sorge quando poi notiamo che noi stessi non siamo “meccanismi”. Quindi perché dio dovrebbe essere un meccanismo da riconoscere? Secondo quale logica? Come dice emmeci, resta il fatto che di dio abbiamo un'idea e ne parliamo, come è possibile dire che non esista? Vogliamo giustificare logicamente che non esista li fuori quando poi non sappiamo giustificare (dal di fuori) nemmeno chi siamo noi dal di dentro? Sembra quasi che il primo indizio evidente siamo noi stessi; Dio non può essere rinchiuso dentro dei meccanismi. Probabilmente il nostro può essere un gioco che potrebbe essere intitolato: trova il miglior meccanismo per giustificare dio. Chiaramente quello però non sarà dio sarà il risultato di un gioco, come infatti esiste l'Intelligenza Artificiale che presume di riuscire a creare una persona cosciente utilizzando dei meccanismi. Per quanto concerne, per esempio, la necessità che un ente esista io ho già mostrato, tempo fa, che è un ragionamento possibile. Non l'ho chiamato dio, l'ho chiamato "ente". Infatti i detrattori di dio sostenevano che l'universo è in-causato. Cosa falsa, in quanto non esistendo le leggi che prevedono l'in-causalità dell'universo niente esisterebbe, quindi è impossibile prescindere da una causa prima. Altri giochi comprendono l'attribuzione degli attributi che dio deve avere per essere dio. Qui libertà e coscienza (nel loro significato puro) potrebbero già essere sufficienti per indicare un essere quasi "divino" (come detto più sopra da Franco). Per il resto è possibile continuare a giocare... |
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24-01-2010, 13.21.43 | #225 | |||||||
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Riferimento: Dio non esiste
Perdonatemi il ritardo con cui mi faccio vivo, ma un problema di salute, già risolto, mi ha impedito di alzarmi dal letto!
Per quel che riguarda l'analisi delle critiche kantiane alla prova cosmologica, mi è stato (giustamente) suggerito dalla moderazione di inserirla in un thread a parte... il resto è giusto che stia qui! Andiamo, dunque, a quelle questioni che ho lasciato in sospeso: i rilievi che il signor Franco ha fatto a me. Citazione:
Orabsta, infatti, ha esordito con una definizione di dio che io ho rigettato, perché immotivata (e ripeto, per l'ennesima volta, che in filosofia non si dà nulla per scontato), cioè posta lì: imposta! Il mio primo intervento, dunque, mirava a chiedere qual era stato (e quale dovrebbe essere) il procedimento più adeguato per poter pervenire alla dimostrazione dell'esistenza di dio. Lei, signor Franco, sbagliando, ripete continuamente che "in una discussione come quella inaugurata da Orabasta...", e con ciò stesso dimostra di non aver letto con la dovuta attenzione il mio primo post, nel quale -le rammento ancora una volta- io avevo scritto: Citazione:
La solfa: "in una discussione come... etc." non tiene minimamente conto degli sviluppi che lo stesso topic ha preso. Le ripeto il consiglio che le diedi qualche post fa: quando legge dovrebbe prestare maggiore attenzione a ciò che è scritto, prima di imbarcarsi in una barcarola di repliche, frutto di suoi malintesi (quanto sarebbe più facile ed intellettualmente più onesto riconoscere di aver frainteso!). 2) Andiamo a ciò che ho saltato nei miei precedenti post, e che lei indica essere il rilievo più importante e grave a me rivolto; ossia il fatto che io abbia utilizzato Citazione:
Citazione:
Citazione:
Citazione:
Infatti, a proposito del linguaggio, in qualsiasi genere di dimostrazioni, e particolarmente in quelle geometriche (e ciò si può verificare anche solo sfogliando un qualunque testo di scuola media superiore), quando si formula l'ipotesi che deve essere dimostrata (cfr., i vari problemi alla fine di ogni capitolo) si utilizza il linguaggio che lei ha definito della certezza, ossia l'indicativo. Porto un esempio per tutti: "dimostrare che il segmento che ha per estremi i punti C e D è anche bisettrice dell'angolo esterno del triangolo isoscele BAC, di base BC; il punto D è il punto di intersezione tra la bisettrice dell'angolo ABC e la retta parallela del lato BC passante per il punto A"... Ripeto: in questo ed in tutti gli altri casi, prima della dimostrazione (cioè prima di sapere se effettivamente il segmento CD è bisettrice dell'angolo esterno in C), il linguaggio utilizzato è quello da lei definito "della certezza", ossia l'indicativo. Se, dunque, fosse vero quanto da lei sostenuto, e cioè che prima di aver dimostrato un fatto si deve utilizzare il linguaggio della probabilità/possibilità (che arbitrariamente lei identifica con il condizionale, scartando l'indicativo), dovremmo affermare senza esitazione che il linguaggio della matematica (in cui le dimostrazioni sono il "pane quotidiano") è erroneo... cosa che neanche il più digiuno di "lettere" si sognerebbe di sottoscrivere. Un'altra osservazione, correlata alla precedente. Chi ha detto che il linguaggio della probabilità/possibilità sia il condizionale? Se, a chi mi domanda di mio fratello se è in casa, replico: "forse è rimasto in camera sua... io non l'ho visto né sentito", non sto rispondendo utilizzando il modo indicativo? Ora, come è chiaro, anch'esso -in questo caso almeno-è utilizzato nel "linguaggio della probabilità/possibilità", togliendo l'esclusiva al condizione, ossia a quel modo che lei aveva indicato come il solo utilizzabile nel linguaggio della probabilità/possibilità. La sua argomentazione, dunque, (per utilizzare le sue stesse parole) non è verificata "coi metodi di accertamento collettivo", anzi da essi smentita. Citazione:
continua... |
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24-01-2010, 13.23.27 | #226 | ||||||
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Riferimento: Dio non esiste
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Citazione:
Pongo la domanda per evitare polpettoni! Ora, per facilitare nella lettura, riporto testo e contesto di seguito, e poi mostrerò il polpettone che ha tentato di rifilare a tutti. Citazione:
Collocata nel contesto in cui è nata e da cui è stata tratta, la frase da lei citata mostra con chiarezza il suo primo ed il suo secondo (ossia l'attuale, quello cioè di cui sto trattando) malinteso. Infatti, col mio primo post, ripeto, ho ricusato la definizione di Orabasta e, di più, ogni altra definizione (anche quella del dio della tradizione ebraico-cristiana), perché in filosofia il punto di partenza è l'evidente; ed io ho dato delle motivazioni per cui la definizione di dio data da chicchessia (Orabasta compreso) e, quindi, ogni definizione, prima di essere posta, deve essere motivata, ossia deve avere un fondamento… ragion per cui -ripeto- non c'entra nulla il dio della tradizione ebraico-cristiana. Lei, signor Franco, erroneamente, ha creduto di vedere nelle mie parole (e forse solo perché ho citato Tommaso d'Aquino) un riferimento al dio della tradizione ebraico-cristiana; lei, cioè, ha fatto -e lo ha fatto malamente- un processo alle intenzioni; ha pensato: "questo tizio [scilicet Leporello], che cita Tommaso d'Aquino, vuole rifilarci la dimostrazione del dio cristiano", e così facendo ha preso una cantonata (l'ennesima). |
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24-01-2010, 13.24.56 | #227 | |||
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Riferimento: Dio non esiste
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Procediamo oltre. Citazione:
Io non ho posto alcuna definizione di dio né di alcunché, bensì ho indicato solo un/il modo per poter conoscere dio "sola ratione" (cioè a prescindere dalla fede). Indicata, dunque, questa metodologia (in quanto si è scartata l'altra), si può verificare se essa è adatta oppure no (ma sempre a prescindere dai contenuti, poiché la prima la si è scartata proprio a prescindere dal contenuto [contenuto consistente nella definizione di dio], ossia in quanto metodologia che non funziona; scartata per la sua presunzione della conoscenza di dio. Con l'altro metodo si pretende di dimostrare che il dio che già si conosce esiste; ma qualcuno, giustamente, potrebbe domandare: «come fai a dire che dio è "così e così" se non sai neppure se esiste»)… È, dunque, inutile (e, diciamolo pure, infantile) continuare a dire, come fa lei, signor Franco, che non si può usare il metodo da me indicato perché la realtà di cui abbiamo esperienza non è "così e così" (semmai, questa sua osservazione potrà avanzarla dopo aver valutato, criticato e ponderato, l'analisi della realtà che verrà proposta, ma non prima), in quanto il discorso sulla realtà che è o dovrebbe essere "così e così" si pone in un secondo momento, ossia quando si affronta la questione inerente ai contenuti. Se poi desidera, una volta chiusa la questione del metodo, che io le fornisca la dimostrazione della contingenza della realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza, me lo chieda pure: sarò ben lieto di fornirgliela... ma che sia e resti chiaro: quest'ultima riguarda il contenuto della dimostrazione, ossia inerisce al primo passo della stessa! Citazione:
Citazione:
Una noterella solo di passaggio, comunque, è doveroso che la faccia: se il reale che, come dice lei, "si potrebbe dare e porre" dopo il reale ponibile fosse non contingente, sarebbe necessario; ma come facciamo a dirlo prima di aver analizzato e studiato il reale che si pone sotto la nostra esperienza e conoscenza? continua... |
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24-01-2010, 13.27.37 | #228 | |||||
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Citazione:
Meno male che Galilei è voluto andare proprio "dentro" le stelle, per verificare se le cose stavano effettivamente come aveva detto Aristotele. Fuor di novella, si "dà sostanza" alle tesi non quando si cita questo o quest'altro, perché così facendo si ripete, nei fatti almeno, il motto "ipse dixit" di pitagorica memoria; invece, si dà sostanza alle cose quando si dimostra, cioè, si fa vedere che le cose stanno in un determinato modo... e si realizza ciò quando si affronta di petto una questione; ossia, nel caso specifico di Tommaso d'Aquino, quando si prende un testo filosofico dello stesso (dato che prendere l'autore oggi è impossibile) e lo si scandaglia minuziosamente, facendo emergere da esso (ossia di-mostrando) quali siano i suoi punti deboli. Citare alcuni commentatori, ossia riportare giudizi altrui, è come abdicare alla ragione; cioè, è come vedere con gli occhi degli altri: "ipse dixit", e quindi non ho bisogno di verificare col cannocchiale! Questo il principio generale, adesso entriamo nel merito delle citazioni fatte, ma prima una veloce digressione, suggeritami da ciò che lei ha scritto. Citazione:
Un corollario: dalla lista di coloro che lei era solito chiamare "collezionisti e/o ripetitori della/di filosofia" non sapremo mai se possa essere annoverata la professoressa Vanni Rovighi, per il semplice motivo che non la conosce (non è mica detto, infatti, che tutti gli specialisti siano come quelli da lei conosciuti)! Prima di andare alle citazioni da lei riportate, vorrei chiarire un punto cruciale, onde evitare malintesi (Cartesio, indicandoci il suo metodo, ci aveva visto bene: nella confusione, nelle idee indistinte e non-chiare, si annidano gli errori!). In teologia si distinguono due ambiti: 1) quella naturale, 2) quella rivelata. La prima è studiata "sola ratione", ossia "dalla sola ragione", ed è, per ciò stesso, una branca del più vasto mondo che chiamiamo "filosofia"; è, cioè, quella parte della filosofia che si occupa (come amano definirla alcuni) dell'essere trascendente; e, ripeto, essa fa uso solo ed esclusivamente del lume della ragione. La seconda, in quanto accoglie nella fede il dato rivelato, non si identifica -né può identificarsi- con la prima, in quanto la teologia rivelata (o dogmatica: il dogma, infatti, è la verità che dio stesso fa conoscere) indaga con la ragione (ossia tenta di capire umanamente) ciò che dio ha detto di se stesso, del mondo, etc.; Tommaso afferma che quest'ultima è "scientia sanctorum et beatorum", è cioè la conoscenza che hanno santi e beati (in quanto essi già vedono Dio "faccia a faccia"). Forti di questa distinzione, andiamo a metter mano alle citazioni da lei, signor Franco, gentilmente offerteci. Citazione:
Queste domande sono cruciali al fine di determinare l'effettiva validità delle sue critiche alla filosofia (lei, in verità, signor Franco, ha parlato, molto più elusivamente, dello "impianto dottrinale dell'Aquinate", ma poiché stiamo alludendo alle 5 vie, questo "impianto dottrinale" non può se non essere quello filosofico) di Tommaso d'Aquino, sostanziate -per suo stesso dire- dalle citazioni da lei addotte. Una cosa è, infatti, muovere critiche al filosofo Tommaso, un'altra, invece, è muoverle al teologo Tommaso (non perché egli si sia occupato di entrambe le discipline si può, come nulla fosse, muore una critica dicendo che non è stato un buon filosofo perché si è anche occupato di teologia, o viceversa). Lo stesso Jaspers ha detto (cito ancora il brano da lei gentilmente offertoci): Citazione:
Ora, se Jaspers sta parlando del teologo Tommaso, che cosa c'entra il Tommaso filosofo, di cui, invece, stavo parlando io (citando il testo della Vanni-Rovighi, il quale analizza le vie tomiste, per far emergere [in altri termini: "di-mostrare"] la loro perenne validità filosofica: non dimentichiamo da dove è partita la seguente digressione). Proseguiamo. Mentre, chiaramente, Jaspers critica il Tommaso teologo, Russell critica il Tommaso filosofo (accusandolo di professare la teologia). Le ricopio la citazione russelliana, con le sue stesse sottolineature, le mie evidenziazioni saranno in grassetto per evitare di sovrapporle e/o scambiarle. Citazione:
Il filosofo no; il filosofo, invece, va alla ricerca della verità, non ce l'ha prima (come, invece, è per il teologo)... come ho più volte ribadito in queste pagine: in filosofia non si dà nulla per scontato! Dunque, concludendo, il commento di Russell su Tommaso è fazioso ed ideologico! continua... |
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24-01-2010, 13.29.54 | #229 | |
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Riferimento: Dio non esiste
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Cosa ha combinato, infatti, l'esimio premio nobel? Niente meno che un bel polpettone concettuale: ha messo assieme filosofia e teologia presenti nella riflessione di Tommaso d'Aquino è l'ha presentate come fossero una cosa sola; verità della rivelazione e verità della ragione (che lo stesso Tommaso nella prima quaestio della Summa Theologiae distingue con precisione) vengono da Russell considerate come fossero una cosa sola, vengono cioè mischiate, come si fa con gli ingredienti del ripieno del polpettone (anche se -ripeto- in questo caso il polpettone è concettuale). Concludendo sui due filosofi. L'uno, l'esistenzialista (più onesto), tenta di riconoscere l'effettivo significato della scienza teologica (ma l'intenzione non poteva essere che quella, dato il titolo del libro da cui è tratta la citazione), l'altro, il logico (fazioso ed ideologico), mentre da un lato si riferisce alla teologia come scienza rivelata, dall'altra critica Tommaso il filosofo, accusandolo di essere teologo (ed io mi chiedo: che forse un filosofo [oppure un teologo] non può occuparsi di altro? forse che il mio docente di teoretica non poteva occuparsi, a tempo perso, di storia patria, o magari di teologia, perché insegnava filosofia all'università? o che qualcuno possa mettere in dubbio la sua competenza filosofica solo perché egli scrive anche di altro? Qualcuno risponderà: sciocchezze, l'una cosa non è l'altra... bene! esattamente quello che penso io: l'una cosa non è l'altra! Anche per Tommaso vale lo stesso: la teologia filosofica in lui è un'altra cosa rispetto alla teologia razionale; chi, come Russell e o i suoi eponimi, mischia le due, tentando di denigrarlo come filosofo, fa una vera e propria sciocchezza!). Stesso discorso può farsi per le citazioni di Heidegger (risparmio a tutti l'analisi minuziosa del testo bi-citato). Citazione:
Primo. a) Lei non ha ancora letto mie argomentazioni dimostranti la contingenza della realtà, in quanto su queste pagine web non ho ancora scritto un rigo in merito a tale argomento; b) Lei non ha letto alcuno scritto di Sofia Vanni Rovighi in merito allo stesso argomento di cui sopra, dato che -per sua stessa ammissione- non la conosce (ed io stesso le ho indicato alcuni suoi libri); c) Lei, di Tommaso d'Aquino, ha una conoscenza "recondita", per due motivi: sia perché distante nel tempo (lei stesso ha scritto che il suo primo approccio con il nostro è avvenuto 12 anni or sono, in un corso universitario), sia perché la sua conoscenza è "mediata", indiretta (e ciò si può sostenere alla luce del fatto che lei stesso ha dichiarato di non possedere alcun testo dell'aquinate). In altre parole, lei si è "fidato" di coloro che le hanno parlato di Tommaso d'Aquino; cosa utile, ma solo al fine di una conoscenza superficiale, o per sentito dire... tuttavia, per conoscere veramente un pensatore, è necessario affrontarlo direttamente: cosa che a lei, ohimè, ancora manca! Stante tutto ciò, come può sostenere che egli, Tommaso d'Aquino, non ha dimostrato l'esistenza di dio a partire dal principio di non-contraddizione? Forse perché alcuni (docenti, scrittori, etc.) le hanno detto così? E come fa a dire che le notizie a lei offerte dalle sue fonti siano autentiche, se non le ha confrontate con la fonte originale, ossia non le ha confrontate direttamente con gli scritti di Tommaso d'Aquino? Si è fidato delle sue fonti e si è affidato a loro! "Ipsi dixerunt... dunque non c'è motivo di guardare nel cannocchiale" (povero Galileo!). Secondo. Lei, signor Franco, a proposito della correttezza nell'utilizzo delle forme verbali, predica bene ma razzola male! Come fa, infatti, ad utilizzare l'indicativo presente (che per sua stessa ammissione [l'indicativo] è il modo della certezza), nella parte che ho quotato sopra, senza avere assolutamente nulla (almeno per quel che riguarda me o la professoressa Vanni Rovighi) su cui fondare il suo giudizio; il suo è solo un pregiudizio, o, tutt'al più, una probabilità... ma in questo caso (per coerenza) avrebbe dovuto utilizzare il modo condizionale. Cosa dovrei replicare, che la sua è una osservazione mal-posta? Sulla questione dell'ens creatum non replico, dovrei citare e commentare troppi brani di Tommaso (lascio alla buona volontà di chi vorrà approfondire, la sola indicazione di leggere la quaestio 2 della prima pars della Summa Theologiae, prologo compreso); anche perché mi rendo conto che ho già scritto più di quanto una persona possa sopportare tutto in una volta... sono, comunque, sempre pronto a qualsiasi replica. Gaetano T. |
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24-01-2010, 14.38.51 | #230 |
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Riferimento: Dio non esiste
Schopenhauer ha definito l'essere umano animal metaphysicum perchè esso è spirito e materia, corpo ed anima.
Chi non riesce a cogliere quel piano della realtà rappresentato dalla vita spirituale è nell'impossibilità di vedere, di credere all'esistenza di qualcuno che supera i limiti della vita biologica, di credere a quegli eventi che superano la fisica e la biologia non contraddicendole ma compiendole. La metafisica è stata liberata dal progresso scientifico da una supplenza che l'ha restituita al suo autentico oggetto. Ha detto un conoscitore della storia della filosofia: per l'essere umano la metafisica è una esigenza biologica ovvero è una esigenza connaturale, primaria e fondamentale, come l'esigenza di mangiare, dormire, vestirsi. La negazione della metafisica viene a coincidere con la banalità. Perchè esseri umani vedono lo spirito ed esseri umani non lo vedono? Ho il sospetto che non vogliano vederlo ed ho questo sospetto perchè le loro argomentazioni sono sempre "eccessive", prescindono dal senso comune, sono aride, non sfiorano mai l'estetica, non considerano la storia, e nemmeno i sentimenti. Mi chiedo il perchè e mi chiedo quanta responsabilità hanno di questo coloro che vedono. Ultima modifica di Giorgiosan : 24-01-2010 alle ore 19.47.42. |