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12-12-2009, 09.37.19 | #152 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Evidentemente – Noor - il filosofo tedesco intendeva esplorare principalmente (o forse esclusivamente) lo spazio dell’uomo, col rischio però di limitare in tal modo Dio stesso: e io credo che questo rimanere nell’orbita umana ha rappresentato il duro e tradizionale limite della filosofia se non della cultura stessa, tanto che anche chi si pone nell’orbita religiosa non esce da sé - pensa che Dio guardi il mondo come lo guarda lui, quindi fa di Dio niente più che un ego o un superego…..Certo avrai compreso, non senza qualche critica nei miei confronti, la necessità che affermo di uscire dall’orbita umana quando si pensa a Dio – perché Dio non può essere concepito che come assoluto, e allora che valgono "i nostri stati soggettivi ed emotivi"? Non è come se un bambino pretendesse di giudicare il mondo attraverso le sue riottosità e le sue bizze? Lo so che l’uomo cristiano o meglio ebraico-cristiano si è sempre compiaciuto di attribuirsi una parentela stretta con Dio, di essere il figlio prediletto di Dio, e credere che l’intero cosmo sia stato messo a sua disposizione – anche se un’ idea come questa penso sia stata respinta non solo dalla scienza ma dal buon senso dell’uomo comune, che fra una chiacchiera e l’altra ha pur sentore dell'orrore del mondo e di ciò che dovrebbe essere invece di quello che è. Col che non penso che si possa chiudere tutto con la saggezza del nichilista: anzi vorrei riprendere le parole del mio precedente messaggio, e cioè che l’uomo si distingue dalle altre specie animali non solo perché è autocosciente, ma perché ha il pensiero dell’infinito che supera ogni orizzonte, ed è ciò che spinge tutti verso l’assoluto – si chiami o non si chiami Dio. Perché Dio è comunque una parola umana e quindi relativa, checché ne possa pensare un professore di filosofia o un pontefice).
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17-12-2009, 21.58.02 | #153 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Leporello,
il corsivo sarà tuo. Mi dispiace che Orabasta si sia fatto bannare, giacché leggendo il suo unico intervento ho nostalgicamente ripensato a quando molto giovane mi divertivo nella scoperta delle "molteplici" possibilità in cui necessariamente ci si "irretisce" quando "teoreticamente" si affronta la "cosa" che in Occidente viene ancora chiamata "Dio", "Gott","God", "Dieu", "Diòs" e via dicendo. "Ma vorrei insistere sul perchè (quando "si filosofa") non si può partire da una previa definizione di dio (forse per la formazione tomista che mi porto come zavorra sul groppone) e specificarne le motivazioni." Scrivi bene, Leporello. Leggendoti sono dell'idea che tu non sia ancora riuscito a liberarti dalla zavorra del tomismo. Per dimostrarlo affronterò quello che appare come il nucleo del tuo intervento. La dimostrazione dell’esistenza di Dio, però, non è frutto della ricerca di dio (come se, in qualche modo, percepissimo in anticipo l’oggetto della nostra ricerca, e ne volessimo approfondire gli aspetti), quanto piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere (questo dato, comunque, non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza; dunque, bisogna studiare l’essere-in-quanto-essere in profondità per sapere che dio c’è). Tale ragionamento parte in modo interessante, ma finisce male. Mi chiedo quale sarebbe mai questo fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza di ciò che anche tu chiami "Dio". Se il "fatto" cui ti riferisci è quello da te presentato, allora esso stesso non si dà; e non si dà perchè non può darsi, giacché la realtà che vorresti porre come non auto-fondantesi, non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè. Il tuo ragionamento è un autentico sofisma nel quale vorresti giungere ad una dimostrazione a partire da principia a loro volta necessitanti una fondazione che non possono pretendere e di cui non possono godere. L'asserto: " la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere", è una costruzione della tua immaginazione, perchè la realtà di cui abbiamo conoscenza ed esperienza non trova necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso dal proprio. Non pensi alla possibilità che la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza possa trovare limite e fondamento nella realtà di cui non abbiamo più o ancora esperienza e conoscenza? L'ho scritto diverse volte qui in "Riflessioni": non è assolutamente necessario che oltre la sfera dell’ente reale esperito e conosciuto, -sfera che una certa mentalità scientista vuole porre come oggetto di ricerca del cosiddetto scienziato, si apra quella del "teo-logo". Da uno studio e da un'analisi profonde dunque risulta che "Dio" non "c'è." Mi fa sempre un certa effetto l'espressione "c'è" riferita a qualcosa di così essenzialmente "speculativo" come "Dio" nella tradizione occidentale. Più d'una volta ho invitato emmeci alla riflessione sull'uso che se ne fa, ma invano. Meglio sarebbe parlare di "prove" a favore e /o a sfavore di un Dio che esiste o non esiste. "Or bene, chi ha compreso la contingenza della realtà concluderà che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa)." Or male, , Franco ad esempio non comprende per nulla "la contingenza della realtà" anche se questa viene fantasticata da preti di parrocchia, teologi e Papi. E se Franco non la comprende anche in ragione di quanto su-esposto, allora non è necessitato a postulare proprio un bel nulla al fine di sottrarre contraddittorietà a qualcosa che richiede e richiederebbe una dimostrazione di contraddittorietà. "Con questo modo di impostare il problema, l’esistenza di dio non è più ciò che si cerca, quanto piuttosto ciò che si trova!" Questo modo d’impostazione del problema è un bel esercizio dell'immaginazione! Un esercizio di quella che già Kant chiamava Einbildungskraft, vale a dire la capacità, facoltà immaginativa dell’ente uomo di dare forma (bilden) a cose non necessariamente reali ma magari utili ed utilissime nella società umana, tanto sul piano pratico quanto su quello teoretico. "Con questo modo di impostare il problema, l’esistenza di dio non è più ciò che si cerca, quanto piuttosto ciò che si trova! Infatti, uno può anche postulare la necessità dell’esistenza di una entità, senza per questo conoscerla previamente; per esempio, quando si ammette: «deve esistere un poeta che ha scritto la Divina Commedia, anche se non so chi sia... so soltanto che deve esserci». " Bizzarra analogia. "Si può far ciò a partire da determinate osservazioni, riflessioni e studi (cioè a partire dalla propria esperienza e conoscenza), quali -nel caso di dio- la caducità o “contingenza” del mondo e degli enti (l’argomento, schematicamente, potrebbe essere questo: «tutto ciò che conosciamo non ha in sé la ragione del proprio essere; deve, dunque, averla in qualcos’altro" Ripetizione di quanto già scritto e che merita in quanto tale una diversa ripetizione della mia critica. Quando leggo oppure odo cose del genere, rifletto spesso sulle teorie neganti lo sbarco sul satellite lunare da parte della razza umana. Le tue riflessioni, Leporello, mi danno davvero la sensazione di un’esperienza terrestre, troppo terrestre. Cose come la caducità o contingenza del mondo sono solo parzialmente alla portata della ragione speculativa, con la quale a queste condizioni nulla di necessitante può essere dimostrato nel senso dell'esistenza di ciò che va sotto il nome di "Dio" della tradizione ebraico-cristiana; un "Dio" che, e conviene ripeterlo, è concepito come ente essenzialmente distinto dal mondo e creatore del mondo. "Per questa via, dunque, di dio si può conoscere che ci deve essere-esistere (oppure, che è lo stesso, che è l’essere necessario, cioè che è ciò che ha in sé la ragione del proprio essere: è, insomma, “l’essere per essenza”), e, fondandosi su ciò, tentare -finché è possibile- di capire che cos’è, cioè tentare di investigare la sua identità o quiddità; ossia, si riconosce ad una certa entità l’esistenza, senza per questo poter perfettamente affermare di essa la definizione sostanziale o gli attributi. Il concetto di dio, infatti, si forma in qualche modo mentre se ne dimostra l’esistenza." Per questa via è possibile impostare i problemi diversamente, affermando che: il mondo stesso, tanto quello che percepiamo e che indaghiamo attraverso gli strumenti del procedere scientifico, quanto quello che esperiamo e ci sforziamo di pensare attraverso il procedere del sapere speculativo, è l'ente che può sottrarsi in via di principio alla necessità di essere concepito in termini di fondamento e fondazione. Franco Ultima modifica di Franco : 17-12-2009 alle ore 23.07.56. |
21-12-2009, 14.07.56 | #154 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Citazione:
A dire il vero (ma credevo fosse palese) il mio dire era leggermente ironico (cfr., l'immagine del mio avatar ^_^). Infatti, per me, scrollarmi di dosso la "zavorra tomista" sarebbe come se volessi liberarmi di me stesso, della mia storia, della mia "cultura", del mio modo di essere... se è vero che ciascuno è la propria storia, tentare di liberarsi di essa è tentare di annichilirsi... Cmq., mi pare più utile e fruttuoso cercare di replicare alle tue sagge osservazioni. Citazione:
1° - le "vie" (come le chiama Tommaso) o "prove" sono 5 (ma potrebbero anche essercene di più o di meno) perchè tanti sono i "segni di contingenza" che Tommaso scorge nell'essere di cui ha esperienza e conoscenza. Io, infatti, non ho mai parlato (come dici tu) di un solo "fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza" di Dio. In questo senso, le vie/prove dell'esistenza di Dio sono vie/prove per dimostrare la contingenza dell'essere. Dicevo, infatti, nel mio precedente intervento che il fatto della contingenza della realtà non è immediatamente evidente, "non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza". 2° - è per quanto ho appena ribadito che il mio era un argomentare che riguardava il metodo; ossia, la mia intenzione era sottolineare (con il Kant dello "Unico argomento...", e, prima di lui, con l'Anselmo del "Monologio") che ad una definizione di Dio semmai si arriva alla fine della ricerca, cioè quando già si intravede "qualcosa"... ecco, inoltre, perchè il mio può essere anche considerato un argomentare ipotetico: se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio. Dunque, per poter dire filosoficamente qualcosa di Dio si dovrebbe indagare l'essere, ossia bisognerebbe "aprire gli occhi" su quelli che ho chiamato i "segni di contingenza della realtà"; ma, ripeto, coloro che questi segni non li vedono, non faranno mai il passo per ammettere l'esistenza di Dio... sempre nel post precedente dicevo: "chi ha compreso la contingenza della realtà concluderà che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa)" Citazione:
Con tutto il rispetto, ma credo che a questo tuo argomento dovresti dare un fondamento più solido. Mi pare, infatti, che l'asserto che tu poni come punto di partenza non sia adeguatamente fondato. Tu sostieni in modo apodittico (scrivi chiaramente che "non può darsi", ossia escludi ogni possibilità, anche di diritto, e non soltanto di fatto) che "la realtà non-auto-fondantesi non può trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè" "in ragione della propria non-auto-fondatezza", cioè (se ho capito bene le tue parole): una realtà senza fondamento, appunto perchè è tale, non può trovare il proprio limite al di là di sè, che è come dire: le mie idee non sono mie... Infatti, a fondamento di ogni concetto/idea ci sta una persona, ossia una entità assolutamente diversa (e non soltanto distinta) dall'idea stessa: l'uomo concepisce il concetto nell'esercizio del suo pensare, più precisamente lo stesso pensare non si dà senza una persona che si "esercita" in esso (infatti pensare è una facoltà che si comprende tramite i suoi atti: uno capisce di pensare quando pensa qualche cosa); ora, l'idea è una realtà non-sensibile, la persona è una realtà anche sensibile (ossia possiede un corpo, etc). Ma cosa vuol dire che l’idea è la realtà non sensibile, ossia intelligibile? Quest’ultima sembra un’espressione evidente! Infatti, cosa ci è dato conoscere al di là delle nostre idee? L’apparente evidenza dipende dall’ambiguità del termine “idea”, che è preso a volte nel senso di “capacità/facoltà di formarsi un’idea” (ossia nel senso di ideare) e a volte nel senso di “cosa saputa” (ossia di ideato). Locke, infatti, aveva affermato: «tutto ciò che la mente percepisce in se stessa ed è oggetto immediato di percezione io chiamo idea». Ora, tutto ciò che la mente percepisce, tutto ciò che è oggetto, è un’altra cosa rispetto all’atto con cui lo percepisco. Dov’è l’oggetto? Certamente nella mente: “transeat”; ma è nella mente in modo diverso da come in essa vi è l’atto del percepire: - l’atto del percepire fa parte costitutiva della mente, tanto è vero che dire: «io percepisco il rosso» è lo stesso che dire: «io sono percipiente il rosso»; - il percepito non fa parte della mente, o almeno non mi è dato come parte costitutiva della mente, poiché dire: «io percepisco il rosso» non è lo stesso che dire: «io sono rosso». L’affermazione «ciò che è percepito è nella mente» può dunque voler dire soltanto: «ciò che è percepito è una cosa che, pur distinguendosi dall’atto con cui la percepisco, è in qualche modo unita a me» ossia unita alla mia mente. Ora, poiché sembra impossibile che, ad esempio, l’albero del giardino sia unito a me, si distingue l’idea dell’albero (che sarebbe una “cosa in me”) dall’albero che è laggiù (fuori di me). Ma se per “idea dell’albero” si intende ciò che percepisco, l’oggetto immediato di percezione, ossia un “quid” esteso, colorato, duro, etc., si concederà che una mente capace di contenere in sé una “cosa” estesa, dura, colorata, etc., deve essere una realtà corporea. Quando si dice, dunque: «l’idea dell’albero è in me» non si può voler altro che dire: «ciò che percepisco è nel mio corpo»; transeat. E allora, il problema della conoscenza, il problema del “come l’idea che è in me può corrispondere alla cosa fuori di me?”, è in realtà il problema del “come i corpi esterni operino sul mio corpo”, oppure -che è lo stesso- “come il mio corpo rifletta l’azione dei corpi esterni”; cioè è un problema riguardante rapporti fra cose (anzi fra corpi), e non il rapporto fra il conoscere e le cose; è un problema di psico-fisiologia, non un problema gnoseologico. continua... |
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21-12-2009, 14.09.01 | #155 | |||||||
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
...continua dal post precedente
Si obietterà: ma per «idea di albero» non va inteso (come si è appena detto) quel “quid esteso, colorato, duro, etc.”, che chiamo albero, ma una immagine, una rappresentazione di esso. Ed io replico: che cosa è una immagine o una rappresentazione? - Se è una cosa che assomiglia in qualche modo all’albero, deve essere anch’essa corporea come l’albero; giustamente Berkeley osserva: «un’idea non può assomigliare che a un’idea; un colore o una figura non può assomigliare che a un altro colore o a un’altra figura». Infatti, se si giudica impossibile che un colore sia l’immagine di un suono, allo stesso modo sarà impossibile che una realtà spirituale sia l’immagine di una realtà materiale (ossia dell’albero che abbiamo preso come esempio). Se l’immagine o rappresentazione è una cosa che assomiglia ad un’altra cosa fuori di me, poiché la cosa fuori di me è -per ipotesi- un corpo, anche la rappresentazione deve essere corporea. Così il problema ricade in quello di prima: come può un corpo esteso agire sul mio corpo, che è anch’esso un esteso (una res extensa, direbbe Cartesio)? - Se invece si risponde che la rappresentazione non è una “cosa” che assomigli ad un’altra, ma è il puro esser manifesto a me della cosa (nello specifico, dell’albero che abbiamo usato come esempio), o il mio puro esser aperto conoscitivamente all’albero, il mio scoprire, rivelare l’albero, allora si torna alla teoria tradizionale, nella quale il problema del “come il conoscere possa riferirsi ad una cosa” si rivela uno pseudo problema, poiché il conoscere è per sua stessa natura un “aver presenti”, un manifestare le cose. Resta -si capisce- da esaminare il problema delle condizioni fisiche e fisiologiche di tale manifestazione; ma -ripeto- questo è un problema riguardante il mondo corporeo (ossia è un problema scientifico e non filosofico), del quale la filosofia può ben aspettare, come ha aspettato la soluzione del problema del moto dei gravi; e se, per un fenomeno così semplice come il moto dei gravi (cioè, il fatto che la caduta degli oggetti è regolata da una legge fisica: il moto uniformemente accelerato), ci sono voluti tanti secoli (ossia si è dovuto aspettare il “genio” di Galileo Galilei per scoprirla), può darsi che, per fenomeni così altamente complessi (come sono quelli delle reazioni dei corpi animali a certi stimoli), occorra ancora parecchio tempo. Cmq., al di là di questa digressione, non credo -per gli argomenti addotti- sia fondata la tua affermazione: la contingenza "non si dà [...] perchè non può darsi, giacché [...] non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè"; io credo invece, che potrebbe trovarlo in un piano dell'essere diverso da sè (d'altronde, se il fondamento non c'è l'ha in sè dove potrebbe o dovrebbe averlo? certamente al di là, ossia fuori, di sè, in quanto, ripeto, ciò che è contraddittorio è anche impossibile... si tratta -ribadisco- di mostrare la contraddittorietà della realtà) Citazione:
Sulla prima parte credo di avere già risposto. Sulla seconda, potrei concordare, ma mi chiedo: 1) quale scienza dobbiamo "inventare" per avere risposta? 2) quanto dobbiamo aspettare ancora? 3) che tipo di risposta aspettiamo? Si intende le domande appena poste sono provocatorie, ossia vogliono suscitare una riflessione. Citazione:
Perchè no? Tutto dipende da cosa si intende per teo-logo... la semantizzazione dei termini è molto utile quando si filosofa. Citazione:
Asserto senza consistenza, o meglio che necessita di più profonde riflessioni... a mio modesto giudizio non immediatamente (nè mediatamente) evidente! Citazione:
La ricerca di vie/prove è sempre stato al centro della speculazione occidentale... Citazione:
Io credo invece che il mio modo di impostare il problema (qualcuno potrebbe anche affibbiarmi la "pro domo sua" di ciceroniana memoria... ma non me ne preoccuperei più di tanto: se non si difendono le proprie idee, quali?) sia, dal punto di vista metodologico almeno, il più corretto... sui contenuti potremo anche discutere ed approfondire in seguito. Citazione:
L'analogia dello sbarco sulla luna mi pare poco felice; mi piacerebbe, invece, che (virgilianamente) "paulo majora canamus". Citazione:
Il discorso sulla fede è tutt'altro... riguarda l'accettazione di un dato come vero... io lo lascerei da parte, per non creare confusione. Inoltre mi chiedo su quale fondamento si poggi l'affermazione che fai: "la caducità o contingenza del mondo sono solo parzialmente alla portata della ragione speculativa". Cmq., è tardi e credo di aver detto troppo... Sono, cmq., sempre disponibile ad eventuali repliche. Gaetano T. |
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21-12-2009, 16.11.11 | #156 |
Moderatore
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Riferimento: Dio non esiste
Per una migliore lettura da parte di tutti i forumisti, invito Franco ad utilizzare la funzione QUOTE per citare gli interventi; mentre invito Laporello a limitare lo spazio tra diversi capoversi.
Grazie |
22-12-2009, 18.08.34 | #157 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Dio non esiste
Ritengo sbagliato iniziare una discussione ammettendo di avere le prove tangibili per poi continuare con un discorso basato su tanti "sè".
Molti partono dal presupposto che Dio, o entità fondante ogni cosa, sia "buono", "onnipotente", "eterno" ecc. Se prenderete in considerazione ogni religione o filosofia incline alla determinazione di tale entità non giungerete mai a un buon fine. Le richerche saranno vane all'infinito poichè ogni passo è un cammino su una gerarchia infinita. Io, per primo, sono nel dubbio, il chè è umano, ma appunto perchè in questa posizione non mi permetto di dire che vi sia un qualche cosa che genera se e altro. Sarebbe da ipocriti affermare la presenza divina o negarla. Qualcuno di voi fa le prove matematiche dell'inesistenza divina e allora io vi chiedo: su quali criteri? vi basate forse su ciò che bocca umana espresse? Errate! Qui, purtroppo o per fortuna, io come voi siamo deboli: chi ha mai detto che si possa parlare di BENE o MALE nella ricerca di un onnipotente?, chi questo che va affermando che il dolore sia una punizione e la gioia sia un dono?, chi, ancora, spalanca la bocca per urlare che Dio o questo essere, che sia, debba essere misericordioso con gli "uomini"?. Non sappiamo alcuna cosa. e anzì, quel che vi dico è che più pensiamo e più ci allontaniamo da ciò che "dovremmo", nonchè vorremmo, essere, poiché costantemente nel dubbio e il dubbio non è verità ma il mezzo attraverso il quale si "dovrebbe" arrivare alla verità. Questa ricercè infinita. |
22-12-2009, 22.44.00 | #158 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Penso che il perno di tutto il discorso di Leporello sia questo:
"Poichè ciò che è contradditorio è anche impossibile" Lascio a Franco la possibilità di una critica sul concetto di "contradditorio", e di come la contingenza del mondo dovrebbe esserlo, e dunque non possibile se non senza un necessario dietro. Invece mi vorrei concentrare sul binomio Dio = necessario. Mi chiedo, mi contraddico se penso che Dio non esista? Sinceramente, non vedo motivo per cui dovrebbe esserci contraddizione. C'è contraddizione se penso ad un quadrato circolare, o ad un triangolo con 4 lati, o ad uno spazio senza estensione. Volendo argomentare kantianamente, l'esistenza non può essere un predicato logico dell'essenza, l'esistenza ed essenza sono su due piani diversi. Infatti mi pare che tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione. Semplicemente perchè l'esistenza non è una caratteristica delle cose, ma è ciò che fonda le caratteristiche e le rende reali. |
23-12-2009, 14.47.52 | #159 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
Leporello,
il corsivo sarà tuo. “A dire il vero (ma credevo fosse palese) il mio dire era leggermente ironico (cfr., l'immagine del mio avatar ^_^). Infatti, per me, scrollarmi di dosso la "zavorra tomista" sarebbe come se volessi liberarmi di me stesso, della mia storia, della mia "cultura", del mio modo di essere... se è vero che ciascuno è la propria storia, tentare di liberarsi di essa è tentare di annichilirsi... Cmq., mi pare più utile e fruttuoso cercare di replicare alle tue sagge osservazioni.” Non vedo in che senso questo possa necessariamente togliere sensatezza alle mie parole. Potevo ben capire il senso ironico ma non per questo non scriverti ciò che vado a ripetere spero con maggiore chiarezza: ho inteso esattamente sfruttare quel senso ironico per comunicarti come tu non riesca a liberarti dalla zavorra tomista. Una zavorra che il tuo ultimo intervento conferma in pieno. E’’ un intervento che mi lascia perplesso per più d’una ragione. In risposta la tuo: “La dimostrazione dell’esistenza di Dio, però, non è frutto della ricerca di dio (come se, in qualche modo, percepissimo in anticipo l’oggetto della nostra ricerca, e ne volessimo approfondire gli aspetti), quanto piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere (questo dato, comunque, non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza; dunque, bisogna studiare l’essere-in-quanto-essere in profondità per sapere che dio c’è).” Scrivevo: Mi chiedo quale sarebbe mai questo fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza di ciò che anche tu chiami "Dio". Se il "fatto" cui ti riferisci è quello da te presentato, allora esso stesso non si dà; e non si dà perchè non può darsi, giacché la realtà che vorresti porre come non auto-fondantesi, non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè. Il tuo ragionamento è un autentico sofisma nel quale vorresti giungere ad una dimostrazione a partire da principia a loro volta necessitanti una fondazione che non possono pretendere e di cui non possono godere. A ciò hai replicato con : “1° - le "vie" (come le chiama Tommaso) o "prove" sono 5 (ma potrebbero anche essercene di più o di meno) perchè tanti sono i "segni di contingenza" che Tommaso scorge nell'essere di cui ha esperienza e conoscenza. Io, infatti, non ho mai parlato (come dici tu) di un solo "fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza" di Dio. In questo senso, le vie/prove dell'esistenza di Dio sono vie/prove per dimostrare la contingenza dell'essere. Dicevo, infatti, nel mio precedente intervento che il fatto della contingenza della realtà non è immediatamente evidente, "non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza".” - La comunicazione si fa subito difficile… Non ci intendiamo sulla sintassi della lingua italiana leporello? Pensi ceh io ne faccia un problema aritmetico? Hai forse inteso curarti di evitare che io non ti ritenessi al corrente del fatto che le vie di Tommaso sono cinque? - A meno di non volere tirare in ballo fumose teorie sulla verità, sei stato proprio tu a scrivere ciò che segue : “la dimostrazione dell’esistenza di Dio” piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere” Ecco il fatto a cui mi riferisco. Che esso sia per te da intendere come qualcosa di non-immediato non cambia la sostanza del problema e del mio rilievo: il fatto a cui ti riferisci non si pone, non si dà, e non si dà perché si fonda su presupposti a loro volta necessitanti una fondazione di cui non possono godere. Il peso della zavorra tomista si rivela anche qui nella sua potenza: Ciò che “permise” all’aquinate di parlare di prove dell’esistenza di Dio è il principio a sua volta non dimostrato della creaturalità dell’ente di cui abbiamo esperienza e conoscenza (Mondo, Natura etc.). - Che tu ti muova pienamente nel Tomismo è evidente. Ancor più evidente se si pensa che il metodo dimostrativo da te proposto è sostanzialmente quello di cui Tommaso d’Aquino si avvalse - anche contrapponendosi al celeberrimo argomento di Anselmo di Canterbury - in ciò che può essere considerato il nucleo della sua teologia filosofica, vale a dire la dottrina delle cinque “prove dell’esistenza di Dio”: il metodo del partire dal finito per giungere alla prova dell’infinito, dal creato per pervenire alla dimostrazione della trascendenza, dal mondo per dimostrare l’esistenza di Dio come creatore del mondo. Come Tommaso, Leporello vorrebbe partire dal concetto del mondo di cui si fa esperienza e conoscenza per giungere alla dimostrazione che “Dio” “c’è”. Come Tommaso, Leporello vorrebbe partire dall’essenza del mondo e dell’uomo come enti creati per pervenire alla dimostrazione dell’esistenza dell’essenza divina. Continua....... Ultima modifica di Franco : 23-12-2009 alle ore 17.11.08. |
23-12-2009, 14.49.58 | #160 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio non esiste
........continuando.
“2° - è per quanto ho appena ribadito che il mio era un argomentare che riguardava il metodo; ossia, la mia intenzione era sottolineare (con il Kant dello "Unico argomento...", e, prima di lui, con l'Anselmo del "Monologio") che ad una definizione di Dio semmai si arriva alla fine della ricerca, cioè quando già si intravede "qualcosa"... ecco, inoltre, perchè il mio può essere anche considerato un argomentare ipotetico: se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio. Dunque, per poter dire filosoficamente qualcosa di Dio si dovrebbe indagare l'essere, ossia bisognerebbe "aprire gli occhi" su quelli che ho chiamato i "segni di contingenza della realtà"; ma, ripeto, coloro che questi segni non li vedono, non faranno mai il passo per ammettere l'esistenza di Dio... sempre nel post precedente dicevo: "chi ha compreso la contingenza della realtà concluderà che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa)" Accetto ancor meno la tua posizione teorica. Cosa intendi con argomentare ipotetico? Ipotetico in che senso? Ed infatti affermi: “se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio.” Nel sistema della teologia filosofica di Tommaso, la nozione di contingenza svolge un ruolo decisivo. Data la zavorra di cui sopra, procedendo alla dimostrazione della impossibilità del sostegno della tesi della prova di Dio a partire dal concetto di contingenza del mondo, dimostrerò anche l’infondatezza delle tua argomentazione. Dando a quello di contingenza il senso di ciò che è, esiste, è reale non per sé ma per altro, la prova consisterebbe nell’attribuzione del carattere dell’esser-contingente alla realtà di cui, come dici, abbiamo esperienza e conoscenza. Taglio corto: dimostrazioni d’esistenza non possono dedursi da qualcosa come la contingenza della realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza (mondo, natura, ente creato, nel linguaggio di Tommaso) perché il concetto stesso di contingenza di tale realtà è un concetto speculativo, suscettibile esso stesso di una richiesta di dimostrazione e dimostrabilità. Il fatto, qui sì il fatto che tu affermi la contingenza della realtà e la conseguente esistenza di Dio, non significa che gli enunciati affermativi “la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza è contingente” e “ Dio c’è” siano veri (reali). Non basta cioè semplicemente affermarlo, sicché ai tuoi enunciati è possibile concedere una mera validità formale. Quello di “contingenza del mondo” costituisce un caposaldo della dottrina tomista, dottrina nell’ambito della quale in fin dei conti il sistema della teologia filosofica, ovvero della teoria della dimostrazione dell’esistenza di “Dio” e della definizione della sua essenza (quiddità nel linguaggio di leporello) ha nei confronti della teologia dedotta dalle “sacre scritture” una posizione ancillare. A fondare la teologia filosofica è la teologia della rivelazione e non viceversa. Il dato primo, il principio primo “è” quello della rivelazione di dio stesso nel tempo dell’uomo. Per l’aquinate era la fede a fondare il lumen naturale e non viceversa. Franco non comprende la contingenza della realtà. Se il tuo discorso fosse vero, allora anche Franco farebbe parte della schiera di coloro che non aprono gli occhi o che non hanno ancora aperto gli occhi sul carattere contingente del reale. A ben pensarci, non credo che qualcuno/ qualcuna in questo forum mi abbia ancora dato del dormiente. Folle, presuntuoso, violento, maniaco sessuale sì, ma dormiente proprio non credo! E’ vero, il perno della tua posizione come dice Nikolaj Stavrogin è quello della contingenza del reale. Ma dal momento che esso è un concetto a sua volta necessitante una dimostrazione, ne consegue non solo che a partire da esso non è possibile procedere alla dimostrazione d’esistenza di alcunché, ma neanche qualcosa di necessitante ai fini della definizione di un ente nella sua essenza. Traballante il punto di partenza, impossibile il punto d’arrivo. Ecco dunque il senso del mio: Se il "fatto" cui ti riferisci è quello da te presentato, allora esso stesso non si dà; e non si dà perchè non può darsi, giacché la realtà che vorresti porre come non auto-fondantesi, non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè. Ad esso replichi con : “Con tutto il rispetto, ma credo che a questo tuo argomento dovresti dare un fondamento più solido. Mi pare, infatti, che l'asserto che tu poni come punto di partenza non sia adeguatamente fondato.” Io, Leporello non faccio affermazioni d’esistenza (esser-reale) a partire da un reale di cui ho una conoscenza solo limitata! Ed è per questo che non mi si può richiedere una determinata fondazione. Questa al contrario è esigibile da persone che come te presumono e pretendono di conoscere essenze e di dimostrare esistenze (esser-reali) a partire da enti in via di principio passibilmente immaginari. Sulla tua lunga digressione sorvolo fatta eccezione per quello che potrebbe essere un altro cosmico pregiudizio: “Resta -si capisce- da esaminare il problema delle condizioni fisiche e fisiologiche di tale manifestazione; ma -ripeto- questo è un problema riguardante il mondo corporeo (ossia è un problema scientifico e non filosofico),” E’ tutto da dimostrare che quello del mondo corporeo sia un problema della scienza e non della filosofia perché è tutto da dimostrare che al di là del mondo corporeo si dia un mondo in-corporeo. Ma questo è un altro discorso…. “Cmq., al di là di questa digressione, non credo -per gli argomenti addotti- sia fondata la tua affermazione: la contingenza "non si dà [...] perchè non può darsi, giacché [...] non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè"; io credo invece, che potrebbe trovarlo in un piano dell'essere diverso da sè (d'altronde, se il fondamento non c'è l'ha in sè dove potrebbe o dovrebbe averlo? certamente al di là, ossia fuori, di sè, in quanto, ripeto, ciò che è contraddittorio è anche impossibile... si tratta -ribadisco- di mostrare la contraddittorietà della realtà)” Ecco un’altra costruzione dell’immaginazione. Non è assolutamente necessario che il reale esperito e conosciuto abbia fuori di sé il proprio fondamento anche perché non è assolutamente necessario applicare il concetto di fondamento a qualcosa come il reale preso come un tutto, tanto di quello di cui abbiamo esperienza e conoscenza quanto di quello di cui non abbiamo ancora ( ancora il tempo…) e non più ( ancora il tempo) esperienza e conoscenza. Da un certo punto in poi la tua replica è una serie di fraintendimenti difficilmente spiegabili. Scrivevo: Non pensi alla possibilità che la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza possa trovare limite e fondamento nella realtà di cui non abbiamo più o ancora esperienza e conoscenza? Replichi con : “ma mi chiedo: 1) quale scienza dobbiamo "inventare" per avere risposta? 2) quanto dobbiamo aspettare ancora? 3) che tipo di risposta aspettiamo? Si intende le domande appena poste sono provocatorie, ossia vogliono suscitare una riflessione.” Il fatto di non avere una scienza per queste domande, nonché la consapevolezza della possibilità che l’uomo possa non giungere mai al possesso di una scienza per le stesse domande, non significa essere giustificati a porre entità ideali, immaginarie, facendole passare per reali. Scrivevo: L'ho scritto diverse volte qui in "Riflessioni": non è assolutamente necessario che oltre la sfera dell’ente reale esperito e conosciuto, -sfera che una certa mentalità scientista vuole porre come oggetto di ricerca del cosiddetto scienziato, si apra quella del "teo-logo". Replichi con: “Perchè no? Tutto dipende da cosa si intende per teo-logo... la semantizzazione dei termini è molto utile quando si filosofa.” Mi stai leggendo, Leporello? Per le ragioni già esposte se è tutto da dimostrare che la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza sia contingente, è tutto da dimostrare che il tuo “Dio” sia effettivamente esistente; e se ciò è vero è tutto da dimostrare che qualcosa come la sfera di competenza della teo-logia sia una sfera reale. La teo-logia come teoria immaginaria….. Scrivevo: Da uno studio e da un'analisi profonde dunque risulta che "Dio" non "c'è" Replichi con: “Asserto senza consistenza, o meglio che necessita di più profonde riflessioni... a mio modesto giudizio non immediatamente (nè mediatamente) evidente!” Non solo non hai tenuto conto del fatto che l’espressione c’è è data tra virgolette, ma sleghi l’asserto da quanto segue: Mi fa sempre un certa effetto l'espressione "c'è" riferita a qualcosa di così essenzialmente "speculativo" come "Dio" nella tradizione occidentale. Più d'una volta ho invitato emmeci alla riflessione sull'uso che se ne fa, ma invano. Meglio sarebbe parlare di "prove" a favore e /o a sfavore di un Dio che esiste o non esiste. A ciò segue il tuo: “La ricerca di vie/prove è sempre stato al centro della speculazione occidentale...” Trattasi di fraintendimento completo. Mi stai leggendo, Leporello? Spero tu mi legga e mi risponda con più attenzione. Non avrebbe senso continuare il nostro dialogo. Franco Ultima modifica di Franco : 23-12-2009 alle ore 16.32.23. |