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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 27-12-2012, 20.21.00   #81
ulysse
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Sono d'accordo.

Riguardo l'interpretazione.
Certo tutto è interpretato ... ma questo non implica certo dover necessariamente negare una realtà fuori di noi anzi per il fatto stesso che si parla di interpretazione è implicito l'aver postulato che qualcosa é fuori di noi, noi compresi.
In effetti mi pare questione di buon senso!
Poichè è ovvio che non tutto sappiamo... (poco o molto non saprei!)...di quell'universo che è là fuori, non possiamo che darne una interpretazione riducendolo a schema o modello...approssimato...per il momento.
Domani ne sapremo di più ed il nostro modello via cia rimpolpato si avvicinerà sempre più al reale.

Resta solo l'incertezza se mai arriveremo, o meno, a sovrapporre compiutamente il nostro modello al vero reale o se la cosa sia destinata a restare una tendenza solo asintotica.

Forse questo dubbio potrebbe essere più costruttivamente discusso dai filosofi piuttosto che indefinitamente attardarsi sulla possibile irrealtà dell'universo e di tutte le cose...che esisterebbero solo in quanto viste o nominate e pensate nella nostra interpretazione o contesto culturale o campo di senso....o che altro!
Ma è, questa mia, solo una opinione di un non filosofo!
Citazione:
Credo che chi "totalitarizza" l'interpretazione fino a negare una qualche realtà assuma posizioni filosofiche insostenibili smentite dalla stessa prassi di chi le assume.
Inutile tentare di smentirle razionalmente: la razionalità è sostituita da contorcimenti dialettici che poco hanno a vedere con l'amore per la sapienza ... si chiamino Vattimo o Severino.

Perché un essere razionale assume tali posizioni?
Ecco...è questo che mi sconcerta e che non riesco a capire...tanto che anche il mio pensiero può farsi debole e...dubitare!...e ..sferrare un calcio all'inesistente sasso!
Citazione:
Anche i filosofi, ovviamente sono essere fragili come tutti gli umani, anche in loro può prevalere il desiderio di successo, la vanità, ecc. ecc.
Vattimo d'altra parte riconosce di avere un pensiero debole ...
Forse hai ragione...la fragilità umana!...la vanità!...ecc...
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Vecchio 27-12-2012, 21.12.57   #82
0xdeadbeef
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

@ Ulysse
Allora, facciamo una premessa fondamentale (sennò non si capisce di cosa stiamo discutendo): quella che chiamiamo
"luna" è un qualcosa che "noi" (che siamo all'interno di un campo di senso, cioè di un contesto, o segno
linguistico - se stiamo, come io credo corretto fare, al significato semiotico) chiamiamo, appunto, "luna".
Allo stesso modo, siamo "noi" a nominare come tali "cose" come i sistemi solari, i campi gravitazionali o le
perturbazioni di campo.
Trovo dunque corretta la definizione di Gabriel, il quale dice appunto che un qualche "oggetto" ex-siste (un
"ex-siste" che, etimologicamente, rivela la sua presenza al di fuori del soggetto interpretante) solo all'interno
di un campo di senso (per semplicità: immagina che all'interno di un campo di senso quell'oggetto venga chiamato
"luna"; mentre all'interno di un'altro campo di senso venga chiamato "moon").
Già mi immagino dirai: ma luna o moon che sia è sempre quell'oggetto lì!
Certo, ma la cosa mica è così semplice. Innanzitutto io ho cambiato quello che tu avevi scritto (avevi scritto
non "oggetto" ma proprio "luna"), e già la cosa cambia parecchio. Immagina un attimo a ciò che era quell'oggetto
che noi chiamiamo "luna" - e che sappiamo essere un satellite del pianeta terra etc.- per i primitivi. Ma direi
di più: immagina cos'è quell'oggetto per un rettile, o per un minerale (mica c'è solo il campo di senso dell'uomo...).
Dunque nessuno (nemmeno Hegel, o Gentile, che parlavano di un soggetto "produttore" dell'oggetto) mette in
discussione che ci sia (ex-sista) un'oggetto, un "qualcosa" al di fuori del soggetto: non è questo il problema.
Il problema è invece, ed è rilevantissimo, nel momento in cui CVC (cui rispondevo) affermando che: "la luna
esiste anche quando non la guardiamo" definisce un'esistenza di fatto che prescinde dall'interpretante.
Ciò è impossibile, perchè già il pronunciare parole come "luna"; "esiste"; "guardare"; è un qualcosa che si
pone all'interno di un campo di senso, cioè all'interno di una "semiosi"; di un "già interpretato" da un soggetto.
Naturalmente la cosa ha un'importanza relativa (ma solo fino a un certo punto...) quando si parla di questioni
scientifiche - che presuppongono una dimostrazione empirica - ma prova a parlare di etica; di politica; di
economia e vedi un pò che ne esce fuori...
Ecco perchè Nietzsche dice: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (è da questa considerazione che "parte"
Vattimo).
Ti lascio con una frase di G.Gentile (citata da Severino all'interno di quel dibattito), che reputo particolarmente
chiara ed esplicita ai fini di una corretta comprensione del problema: "ciò che chiamiamo fatto è pur sempre
pensato, e in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal pensiero".
ciao
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Vecchio 27-12-2012, 22.15.08   #83
sgiombo
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Sgiombo, anche io pensavo come te una volta, ma mi pare che ci sia bisogno sia del determinismo che dell'indeterminismo per spiegare la realtà in modo soddisfacente (sono sicuro che una ontologia del tutto determinista non regga, e su questo si può discutere, come pure una in cui il caso sia affermato oltre il piano gnoseologico).
Poi te dici che è contraddittorio dire di "sì" al determinismo e metterci dentro cose che non lo riguardano, stesso discorso che avevo fatto io e che ho anche scritto in un saggio, ma è anche per questo che ti dico: prova a non pensare un sistema che è in parte deterministico e in parte no, pensane uno in cui le due cose stanno insieme presso un'unica sostanza che per sé non è né in quel modo, né all'opposto, perché il vedere quegli aspetti in modo separato potrebbe essere un abbaglio, magari causato da sovrastrutture linguistiche (alla fine il linguaggio scentifico, ma più in generale il linguaggio che conosce, che indaga, è portato a spezzettere i suoi oggetti).

SGIOMBO: Questo non l’ ho capito. Però credo che non sia utile (né tantomeno simpatico) ripetere le mie convinzioni in proposito. Probabilmente è il caso che ci limitiamo a registrare le reciproche divergenze.



AGGRESSOR: Per tentare di dimostrare questa idea ho già detto che non mi sembra che facciamo esperieza effettiva né del determinismo né dell'indeterminismo, ma che queste realtà convivono sempre nei fenomeni (kantianamente); insomma, non è empiricamente che deduciamo che le cose possono essere assolutamente determinate o assolutamente indeterminate.

SGIOMBO. Che non sia possibile stabilire empiricamente (nè a mio avviso logicamente) se il divenire naturale sia deterministico o meno lo credo anch’ io con David Hume (è lui che me l’ ha insegnato); però credo che sia deterministico (per lo meno in senso debole, comunque ordinato) infondatamente, per fede (se non lo credessi non potrei credere alla verità delle conoscenze scientifiche, né -ne sono convinto- credere alla sensatezza di qualsiasi etica).



AGGRESSOR: C'è una cosa molto importante che mi sono sentito spesso dire qui in questo forum: una realtà (o entità) in cui convivano proprietà opposte è contraddittoria, paradossale, è da escludere (e so bene che questo è anche il pensiero di Severino).
Purtroppo però i criteri di verità non si applicano ai fatti oggettivi, agli enti in sé (sempre che una realtà oggettiva esista), ma agli enunciati, tanto è vero che a seconda dei punti di vista si possono attribuire predicati opposti ai medesimi oggetti, questi predicati portano alla contraddizione solo al'interno dello stesso sistama, di un sistema chiuso. Se io prendo il sistema di rifermimento <<quello che vedo io>> allora quello che vedo è in un modo e non in un'altro e posso costruire frasi che si regolano su questo con tanto di criteri di verità, non contraddizione ecc, ma la verità delle frasi non è assoluta o ontologica è invece ancora relativa tale in quanto riferita ad un certo sistema e a un sitema formale (si possono costruire frasi o storie assolutamente fantastiche e verificare se ci siano o meno contraddizioni all'interno).
Se l'universo fosse un sistema chiuso, allora alcune verità dei suoi elementi interni sarebbero obbiettivamente indecidibi, come dimostrano i teoremi di incomplettezza di Godel, ci sarebbero comunque delle contraddizioni insomma, dei paradossi, paradossi rislovibili solo attraverso un metasistema superiore, e così l'universo dipenderebbe sempre da un altro universo cadendo in un cattivo infinito, su cui ovviamente si può discutere ma che porta molte difficoltà concettuali.

SGIOMBO: Su ciò che è senza essere conosciuto non si può dire fondatamente nulla perché per dirne qualcosa bisognerebbe conoscerlo, almeno in parte.
Ciò che si conosce, poiché conoscere è predicare correttamente e conformemente alla realtà, non può che non essere autocontraddittorio, giacché in caso contrario non si predicherebbe correttamente, sensatamente.
Dunque di nulla di contraddittorio si può sapere alcunché, né parlare a ragion veduta.
E allora credo che si debbo inevitabilmente concludere che si possono avere conoscenze esclusivamente di ciò che non è contraddittorio (dicibile autocontraddittoriamente).
Credo che per i teoremi di Goedel non sia necessario ammettere contraddizioni (in un sistema logico chiuso); potrei sbagliarmi ma ritengo che basti lasciare indecisa almeno una questione (sospendere il giudizio fra due alternative e reciprocamente contraddittorie soluzioni); ma non sono del tutto sicuro di questa affermazione e mi piacerebbe che un logico me la spiegasse per bene.
Per la cronaca: non sono affatto un seguace di Severino (di cui ho letto solo un libro anni fa che non mi ha convinto per niente; non dico ciò che ne penso per delicatezza, onde non offendere la suscettibilità dei "severiniani" del forum)



AGGRESSOR: Per quanto riguarda la libertà e la colpa, bé le ritengo relative al sistema di riferimento anche queste, ma aggiungo una cosa molto importante, che all'interno dello stesso sistema si può giudicare rettamante del bene e del male e che probabilmente gli uomini prima o poi accetteranno lo stesso punto di riferimento, quindi lo stesso bene e lo stesso male.

SGIOMBO: Non condivido questo ottimismo perché non credo possa esistere la perfezione. Però mi sembra un' aspirazione positiva, un' ideale cui tendere, cui cercare asintoticamente di avvicinarsi sempre più.



AGGRESSOR: Quelli che parlano di un bene obbiettivo o di istinti naturali non mi convincono; di solito io faccio una domanda: perché dovrei penalizzarmi per far stare bene anche gli altri? (Ammettendo che io sia in una condizione di poter portare vantaggio a me se non avvantaggio gli altri).
Finché non ci sarà una risposta seria a questa domanda non si troverà il vero motivo per cui ci si dovrebbe comportare tenedo un occhio di riguardo verso la società. Io la risposta me la sono data per ora: non considerando gli altri come "altro da me", posso ben dire che non mi converrebbe di penalizzarli.

SGIOMBO: Mi penalizzo per fare stare bene anche gli altri perché conseguentemente alle esperienze (pratiche e teoriche) che ho avuto sono diventato tale che il mio comportamento è altruistico (relativamente a qualcuno e a qualcosa di determinato); se non lo facessi sarebbe perché sono diventato tale che il mio comportamento è egoistico.
Va beh, sembra una tautologia, ma in realtà esprime un fatto che ritengo ben reale, cioè che la selezione naturale (in barba a qualsiasi preteso “egoismo dei geni”) ha fatto sì che in generale esistano comportamenti animali sia più o meno egoistici sia più o meno altruistici (puro egoismo e puro altruismo assoluti sarebbero incompatibili con la sopravvivenza di specie, individui e geni); inoltre ha fatto sì che in particolare il comportamento umano sia estremamente complesso, imprevedibile sulla base del genoma individuale di ciascuno, modulabile in “un’ infinità” di diversi modi alternativi dall’ esperienza, creativo).



AGGRESSOR: Dire che ci si realizza meglio lavorando per la società o che questo è un instinto naturale porta il grande svantaggio di dover fare i conti con chi non sembra realizzarsi facendo questo ma rubbando o uccidendo, in loro l'istinto è magicamente sparito.
Se poi si parla del bene e del male assoluti, allora bisogna dimostrare di esserne in possesso: come convincere gli altri che la tua visione è quella obbiettivamente buona? Sovente mi sento rispondere: lo so e basta, è così, si sa, ecc.., nulla di convincente, poche argomentazioni.

SGIOMBO: Che un individuo gretto e meschino, egoista, antisociale possa realizzarsi e vivere a lungo e felicemente, e anche riprodursi molto lo credo bene (ma anche chi sia altruista, generoso, magnanimo!).
Ma che una popolazione (umana) fondata sull’ egoismo e la reciproca aggressione possa durare più di una generazione non mi sembra minimamente realistico (prima che la decadenza e la rovina storiche, la selezione naturale ne decreterebbe la scomparsa).
Ho già sostenuto e ripeto che gli scopi non si dimostrano, si sentono (in conseguenza dell’ evoluzione biologica). Ciò che si può dimostrare sono i mezzi atti a conseguire determinati scopi (oppure la non possibilità di fatto di conseguirli) in determinate circostanze ("botte piena e moglie ubriaca").
Dunque non: poche argomentazioni, bensì: nessuna argomentazione.
sgiombo is offline  
Vecchio 27-12-2012, 23.18.47   #84
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ CVC
Forse mi sono spiegato male io, ma non mi sembra davvero che il dibattito sul Nuovo Realismo possa essere
riducibile a una scissione fra senso comune e pensiero filosofico (basti solo pensare alla "feroce" diatriba
che, all'interno di quel dibattito, si è sviluppata fra Ferraris - che sostiene l'esistenza del "fatto" - e
Vattimo - che sostiene l'esistenza della sola interpretazione).
Ora, mi sembra che tu, affemando che: "la luna esiste anche quando non la guardiamo", ti ponga in sintonia
con il realista Ferraris, visto che affermi la natura di "fatto" di ciò che enunci.
A tal proposito, Gabriel (della cui opera Ferraris cura la prefazione) sostiene che l'esistenza (evidentemente
riferendosi all'esistenza di fatto) è definibile come "apparizione in un mondo", ove con il termine apparizione
si intenda l'appartenenza di un oggetto ad un campo di senso.
Traslando il ragionamento di Gabriel al tuo enunciato, io trovo che potremmo dire che la luna è un oggetto che
appare in un mondo; ma se seguiamo Gabriel in questo discorso, siamo costretti a concludere che l'oggetto "luna"
è tale solo all'interno di un campo di senso, ovvero all'interno di un contesto culturale (come specificherebbe
Severino).
Ciò però può solo voler dire che l'oggetto "luna" è oggetto solo perchè un certo segno linguistico lo ha
interpretato come tale; ma questo significa che la sua esistenza come oggetto non è una esistenza "di fatto", ma una esistenza interpretata (ecco perchè il problema semiotico assume contorni di assoluta radicalità)
ciao
Ma mettiamo che io veda la luna ed in base alla mia osservazione convenga che essa è un corpo, che ha una massa, che ha una forza di gravità che interagisce con gli altri corpi, che compia un orbita intorno alla terra, ecc. Una volta assodato che la luna è una sostanza che permane nel tempo, che motivo avrei di dubitare della sua esistenza per il semplice motivo di aver girato lo sguardo da un'altra parte?

Riguardo al "se esistano i fatti o solo le interpretazioni" mi pare che Ferraris abbia dato una bella risposta: se esistono solo interpretazioni la proposizione "non esistono fatti ma solo interpretazioni" che cos'è, un fatto o un'interpretazione?
Se è un fatto è in contraddizione con ciò che enuncia, se è un'interpretazione allora è anch'essa smentibile e interpretabile come tutto il resto.
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Vecchio 27-12-2012, 23.20.23   #85
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da sgiombo
Non sono d’ accordo con il “provvidenzialismo” e l’ ottimismo cosmico degli stoici, in quanto constato che ingiustizia e dolore esistono, che il male non é mai completamente eliminabile dal mondo e dalla vita umana, e molte volte colpisce molto “ingiustamente” e odiosamente anche persone del tutto innocenti (perfino neonati!) o comunque persone buone e oneste che non lo meriterebbero affatto.
Tuttavia concordo con gli stoici sul fatto che per vivere il meglio possibile si deve usare la ragione e sapere accettare, affrontare e sopportare le avversità e i colpi della sfortuna adattando le nostre aspirazioni per quanto possibile (e qui -lo so!- non sono un seguace coerente dello stoicismo…) a ciò che non può essere mutato nel mondo esterno.
Credo anche che la virtù sia premio a se stessa, e dunque che persone rette e oneste ingiustamente perseguitate e anche uccise siano più felici nella loro onestà e rettitudine che nell’ eventualmente possibile tradimento di queste qualità interiori in cambio della fine delle persecuzioni e magari della salvezza della vita o addirittura di ingiusti privilegi e ricompense (come Severino Boezio, “consolato dalla filosofia”; anche se aderente al cristianesimo, stoico di fatto in questo atteggiamento: non dalla religione, che pure avrebbe potuto ben farlo, ma dalla filosofia consolato di fronte all’ ingiusta condanna; che sarebbe stato sereno e felice anche nell‘ ipotesi -da lui creduta falsa- della sua non sopravvivenza alla morte, della non esistenza di un premio eterno, solo per la sua coscienza di comportarsi rettamente e onestamente).
Ma a chi non è onesto e retto la sua disonestà appagata e premiata dalla fortuna (indegnamente, come troppo spesso accade) dà più felicità dell’ eventuale possibile rettitudine nelle avversità. Per quanto mi riguarda ciò non mi impedisce di cercare di essere quanto più possibile retto, onesto, generoso e magnanimo (…quanto allo riuscirci e in che misura, beh non sono un presuntuoso megalomane e credo di conoscere discretamente i miei limiti).
E' proprio perchè il male e l'ingiustizia sono ineliminabili dal mondo che lo stoico cerca l'autarchia, cerca di rendersi indipendente dalla sorte coltivando la virtù perchè la virtù è l'unica cosa che nessuno potrà mai portargli via.
Chi non è onesto e vede la sua disonestà appagata è davvero felice o è soltanto appagato nella sua avidità, concupiscenza, malvagità? Uno stoico non definirebbe mai felice un individuo del genere, perchè l'unica felicità è quella che si raggiunge con la virtù, ed è una felicità che permea profondamente l'animo, non è una brama ceca che appaga solo superficialmente ma che nel profondo non fa che rendere sempre più insaziabili e avidi.
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Vecchio 27-12-2012, 23.23.07   #86
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da and1972rea
Per rispondere alla tua domanda, e , ancor prima, per poterla enunciare, bisognerebbe poter astrarre se' stessi dal proprio Io e poter verificare oggettivamente la presenza o meno di quel "al di fuori" dell'Io ,senza ,pero', perdere la coscienza di essere lo stesso Io dal quale si pretende di essere astratti; un'operazione , questa, paradossale, che, da un punto di vista logico, ci impedisce di dividere noi stessi dalla kantianamente, moralmente presunta ed insondabile realta' fisica che ci circonda e di cui ci sentiamo parte integrante.
Il fatto che la realta' fisica non pare mutare al cambiare del nostro stato autocosciente, e che la realta' stessa sembra produrre in noi cambiamenti indipendentemente dal nostro stato , sono , purtroppo, soltanto indizi morali e non prove logico razionali dell'autonomia del reale rispetto all'IO, o addirittura, della completa appartenenza dell'IO al reale “fuori di noi”; viceversa, per alcuni, e' sembrato logicamente inoppugnabile la completa appartenenza del reale all'Io, che diviene coincidenza assoluta nel momento in cui sembra cadere ogni barriera fra Io e non-io; Reale e Razionale, realta' e pensiero, in quest'ottica, diverrebbero una cosa sola, cio' che si pensa razionalmente esisterebbe e non potrebbe che esistere, viceversa, cio' che esiste potrebbe essere solo e soltanto pensato razionalmente; il problema logico si sposta , in questo caso, sul dimostrare l'assolutezza di una certa affermazione razionale; se si riuscisse , quindi, a dimostrare l'esistenza di una sola affermazione davvero razionale, allora ,sarebbe plausibile l'inesistenza di qualsiasi barriera fra realta' ed Io, e l'idealismo puro darebbe una risposta alla tua domanda, ma, purtroppo, questo non e' ancora avvenuto; fai un'affermazione qualsiasi, ebbene, non potrai mai dimostrare razionalmente questa affermazione all'interno dell'insieme di regole logiche che l' hanno generata, e questa stessa affermazione, purtroppo ,per giunta, dovrebbe essere razionale. Nessuno ha ancora dimostrato razionalmente che Hegel avesse ragione ,che un frutto del nostro pensiero possa davvero dirsi inequivocabilmente reale. Parrebbe , quindi, che gli enunciati della scienza riguardo al nostro Io e a noi stessi, piu' in generale, rimangano razionalmente soltanto congetture da confutare popperianamente, e che ogni teoria fisica rimanga un mito, falso , poiche' costitutivamente falsificabile. Qualsiasi teoria neurologica riduzionista o emergenziale del nostro cervello sembra rimanere ancora solo un modello di un reale indimostrabilmente scisso e indimostrabilmente tutt'uno con L'IO.
Come giustamente affermi non vi sono prove logico razionali dell'autonomia del reale rispetto all'io, ne dell'appartenenza del reale all'io. Sembrerebbe questa quasi una disperata ricerca di identità, come fossimo dei trovatelli che si affannano alla ricerca dei loro genitori naturali.
Ma accanto alla categoria di identità ne esiste un'altra altrettanto importante per la mente umana: la categoria di relazione. La realtà, sostiene Piaget, è nell'insieme delle relazioni fra individuo e ambiente. Siamo delle totalità organizzate che si conservano assimilando l'ambiente, la realtà esterna diviene per noi intelleggibile e razionale soltando dopo che è stata assimilata, integrata nei nostri schemi. L'idea di una realtà esterna è forse anch'essa uno schema che ci permette di oggettivare ciò che abbiamo bisogno di assimilare e che deve essere oggettivato per essere assimilato. L'idea dell'io, l'identità, può essere anch'essa uno schema che ci permette di organizzarci internamente per poter assimilare l'ambiente.

La realtà è quell'oggettività raggiunta la quale siamo in grado orientarci nel tempo e nello spazio, ma è forse più una situazione di equilibrio delle nostre facoltà intellettuali piuttosto che l'esistenza dell'oggettività effettiva, lo spirito assoluto cui si riferiva Hegel. E l'io forse non è altro che un punto d'equilibrio
CVC is offline  
Vecchio 28-12-2012, 01.37.51   #87
Giorgiosan
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Ulysse
Allora, facciamo una premessa fondamentale (sennò non si capisce di cosa stiamo discutendo): quella che chiamiamo
"luna" è un qualcosa che "noi" (che siamo all'interno di un campo di senso, cioè di un contesto, o segno
linguistico - se stiamo, come io credo corretto fare, al significato semiotico) chiamiamo, appunto, "luna".
Allo stesso modo, siamo "noi" a nominare come tali "cose" come i sistemi solari, i campi gravitazionali o le
perturbazioni di campo.
Trovo dunque corretta la definizione di Gabriel, il quale dice appunto che un qualche "oggetto" ex-siste (un
"ex-siste" che, etimologicamente, rivela la sua presenza al di fuori del soggetto interpretante) solo all'interno
di un campo di senso (per semplicità: immagina che all'interno di un campo di senso quell'oggetto venga chiamato
"luna"; mentre all'interno di un'altro campo di senso venga chiamato "moon").
Già mi immagino dirai: ma luna o moon che sia è sempre quell'oggetto lì!
Certo, ma la cosa mica è così semplice. Innanzitutto io ho cambiato quello che tu avevi scritto (avevi scritto
non "oggetto" ma proprio "luna"), e già la cosa cambia parecchio. Immagina un attimo a ciò che era quell'oggetto
che noi chiamiamo "luna" - e che sappiamo essere un satellite del pianeta terra etc.- per i primitivi. Ma direi
di più: immagina cos'è quell'oggetto per un rettile, o per un minerale (mica c'è solo il campo di senso dell'uomo...).
Dunque nessuno (nemmeno Hegel, o Gentile, che parlavano di un soggetto "produttore" dell'oggetto) mette in
discussione che ci sia (ex-sista) un'oggetto, un "qualcosa" al di fuori del soggetto: non è questo il problema.
Il problema è invece, ed è rilevantissimo, nel momento in cui CVC (cui rispondevo) affermando che: "la luna
esiste anche quando non la guardiamo" definisce un'esistenza di fatto che prescinde dall'interpretante.
Ciò è impossibile, perchè già il pronunciare parole come "luna"; "esiste"; "guardare"; è un qualcosa che si
pone all'interno di un campo di senso, cioè all'interno di una "semiosi"; di un "già interpretato" da un soggetto.
Naturalmente la cosa ha un'importanza relativa (ma solo fino a un certo punto...) quando si parla di questioni
scientifiche - che presuppongono una dimostrazione empirica - ma prova a parlare di etica; di politica; di
economia e vedi un pò che ne esce fuori...
Ecco perchè Nietzsche dice: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (è da questa considerazione che "parte"
Vattimo).
Ti lascio con una frase di G.Gentile (citata da Severino all'interno di quel dibattito), che reputo particolarmente
chiara ed esplicita ai fini di una corretta comprensione del problema: "ciò che chiamiamo fatto è pur sempre
pensato, e in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal pensiero".
ciao
Veramente se ti piomba un masso sulla testa non importa che lo pensi o meno, ma altri(essendo tu defunto) possono interpretare quel fatto come sfortuna, come destino, come casualità o altro.

La caduta dei gravi è un fatto poi i fisici danno una loro interpretazione ... Aristotele ...Newton ... Einstein ed altri.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 28-12-2012, 14.31.09   #88
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

@ CVC
Nel corso di discussioni che ho avuto in altri forum, io sostenevo appunto (contro qualche idealista "puro")
che un "qualcosa" ex-siste, ed è quindi "reale", al di fuori del soggetto interpretante.
Naturalmente (un "naturalmente" che non so se ti vede concorde...) ho dovuto ammettere che non possiamo conoscere
quel "qualcosa" se non attraverso un segno linguistico (come dice Peirce già il pensare a qualcosa ci pone
all'interno della catena semiotica interpretante-interpretato). Cioè non possiamo conoscere quel "qualcosa"
come un oggetto.
Dunque, nemmeno io ho dubbi circa l'ex-sistentia della cosa che chiamiamo "luna", ma la questione è assai più
sottile.
Ferraris avrà pur dato una bella risposta (per me gravemente compromessa con quella corrente che è stata
definita "realismo ingenuo"), ma Ferraris si è detto sostanzialmente d'accordo con Gabriel; e Gabriel sostiene
che un "oggetto" appartiene ad un campo di senso (cioè appartiene all'insieme di coloro che lo nominano come
tale).
A questo punto, Severino ha avuto buon gioco, per così dire, ad affermare che siccome un campo di senso è
null'altro che un contesto (personalmente preferisco usare la terminologia semiotica, e quindi parlare di segno
linguistico), allora "oggetto", e dunque "fatto", è quel qualcosa che un interpretante ha definito tale: oggetto
o fatto sono, in altre parole, un "interpretato" (ecco perchè non esistono fatti, ma solo interpretazioni -
ricorsivamente possiamo dire che anche quest'enunciato è un'interpretazione, ovviamente).
Io credo che commetteremmo un grave errore se pensassimo (come viene quasi spontaneo) che questi ragionamenti
siano fini a se stessi; che siano frutto di menti quasi malate di persone fragili come chiunque, e che cercano
il successo (come qualcuno ha già, molto ingenuamente, ipotizzato).
Faccio qualche esempio (lasciando perdere la luna, sulla quale avrei comunque da dire molto...): cosa rispondiamo
a coloro che dicono che risulta un fatto la minorità intellettuale degli aborigeni australiani? Cosa rispondiamo
a quel prete che ha sostenuto che, sì, i mariti saranno pure violenti ma è un fatto che sono le donne che li provocano?
Cosa rispondiamo (riferendomi al mio post sull'economia) a coloro che affermano sia un fatto il primato dell'
economia sulla politica?
Prima di rispondere, ricordo che "fatto" è, allo stesso tempo, quel qualcosa che risulta indipendente dalle credenze soggettive
o personali - dunque quel qualcosa di "vero". Nonchè quel qualcosa che fa riferimento ad un metodo appropriato di
accertamento (come da Dizionario Filosofico - N.Abbagnano).
ciao
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Vecchio 28-12-2012, 15.16.36   #89
sgiombo
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
(1) E' proprio perchè il male e l'ingiustizia sono ineliminabili dal mondo che lo stoico cerca l'autarchia, cerca di rendersi indipendente dalla sorte coltivando la virtù perchè la virtù è l'unica cosa che nessuno potrà mai portargli via.
(2) Chi non è onesto e vede la sua disonestà appagata è davvero felice o è soltanto appagato nella sua avidità, concupiscenza, malvagità? Uno stoico non definirebbe mai felice un individuo del genere, perchè l'unica felicità è quella che si raggiunge con la virtù, ed è una felicità che permea profondamente l'animo, non è una brama ceca che appaga solo superficialmente ma che nel profondo non fa che rendere sempre più insaziabili e avidi.

(1) Su questo sono perfettamente d' accordo.

(2) Per me "appagamento dei propri desideri", ovvero soddisfazione delle proprie aspirazioni, (buoni o cattivi che siano) significa nient' altro che "felicità", gioia; dunque credo che anche i malvagi possano essere felici, se soddisfatti nelle loro aspirazioni malvagie.
Sono invece d' accordo che per chi é virtuoso la felicità sta nell' esercitare il proprio valore morale.
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Vecchio 28-12-2012, 15.37.05   #90
sgiombo
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
Ma mettiamo che io veda la luna ed in base alla mia osservazione convenga che essa è un corpo, che ha una massa, che ha una forza di gravità che interagisce con gli altri corpi, che compia un orbita intorno alla terra, ecc. Una volta assodato che la luna è una sostanza che permane nel tempo, che motivo avrei di dubitare della sua esistenza per il semplice motivo di aver girato lo sguardo da un'altra parte?

Esse est percipi:
Anche se scientificamente so che la luna é un corpo, che ha una massa, che ha una forza di gravità che interagisce con gli altri corpi, che compie un orbita intorno alla terra, ecc., essa (ciò di cui possiedo tali nozioni) non é che un insieme di sensazioni fenomeniche (di colori -dal bianco al quasi rosso-, forme -dal circolare al profilo di lente concavoconvessa di varie ampiezze- ecc) che la scienza mi dice ripresentarsi nella mia coscienza (in una determinata variante: di una certa forma, grandezza, colore, ecc.) ogni volta che mi colloco in determinate circostanze ben calcolabili (allorché mi metto all' ora giusta nel posto giusto e guardo nella giusta direzione).
Quando giro lo sguardo da un' altra parte essa (quell' insieme di sensazioni fenomeniche nella mia coscienza) non esiste; il fatto che costantemente la posso fare riapparire (mettendomi all' ora giusta nel posto giusto e guardando nella giusta direzione) non significa che la sua visone nella mia coscienza esiste mentre non la vedo, cioé mentre non esiste la sua visione nella mia coscienza (patente autocontraddizione!); quando non la vedo può casomai esistere (per spiegare la costanza dell' accadere della sua visione in determinate circostanze calcolabili, come da conoscenza scientifica) qualcosa che ad essa in qualche modo corrisponde ma non é la sua visione, qualcosa di non visito ma di congetturabile (in greco: noumeno).
sgiombo is offline  

 



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