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Vecchio 24-03-2013, 11.39.41   #251
maral
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
La prima risposta che mi viene da dare è tu, o meglio voi tutti che rappresentate per l'io la molteplicità che l'io nega al singolo (unico) se stesso di essere e che, presa tutta insieme, possiamo chiamare mondo che esiste sempre inseparato dall'io in quanto io e mondo a ogni istante reciprocamente si determinano l'un l'altro e così si conoscono.
Come sempre, quando si affronta questo argomento, si parla molto di realtà, di quale realtà sia reale, quella interiore o quella esteriore, quella soggettiva o quella oggettiva che dovrebbe valere in sé ma per tutti, quella empirica, sensoriale o emotiva, quella razionale, scientifica o immaginativa e via dicendo, Ebbene io penso che la realtà, proprio in virtù del suo essere reale, non possa che essere una e inscindibile, né solo interna né solo esterna, né solo soggettiva né solo oggettiva e che ogni tentativo di scinderla sia da riferirsi al gioco di rappresentazioni che appare in scena per prenderne coscienza, ove questa coscienza è a sua volta elemento che si rappresenta.
Come possiamo infatti separare l'io dal mondo in cui esiste sempre come questo io? Dove tracciare la linea di confine tra me e l'altro? Forse è la superficie del mio corpo che delimita il mio io? O piuttosto l'area percettiva dei miei sensi? O ancora quella intellettiva e immaginativa? O la potenza d'azione della mia volontà contrastata da una volontà ad essa opposta che sento non mia? Come tracciare un confine sicuro che separi il mio essere io dall'altrui essere altro? Un sasso che cade dal cielo appartiene indiscutibilmente all'essere altro o non è forse sempre collegato al mio io che lo percepisce, lo immagina, lo concepisce? E per contro, la mia volontà di scrivere queste parole appartiene solo al mio io o non è piuttosto il mondo (l'altro) che determina questo mio modo di essere io e dunque pure questo mio modo di pensare e di scrivere?
Il mondo puramente oggettivo a cui aspira una certa scienza fisica non sarà allora altrettanto irreale del mondo puramente soggettivo del solipsismo? Entrambi potranno ben essere logicamente costruiti, ma entrambi avranno sempre il difetto originario di voler tenere separato ciò che è inseparabile: il soggetto dall'oggetto sottomettendo il valore dell'uno all'altro, mentre è proprio la relazione che li lega a rappresentarli, è quella inscindibile relazione la realtà stessa per cui al mondo corrispondo sempre io e a me corrisponde sempre il mondo, non in rapporto causale, ma perfettamente sincronico, come due immagini che si riflettono l'una nell'altra, come le facce della stessa moneta.
La coscienza (che per Severino è l'apparire dell'apparire dell'apparire: la cosa che appare, l'apparire del significato di quella cosa e infine l'apparire del destinatario di quel significato, l'io stesso) costruisce questi giochi di riflessione in scena, affinché l'essere appaia a se stesso come un esserci (in un tempo, in un luogo) ove l'unità di senso è data dall'io e la molteplicità dal mondo. ma in cui ogni altro può e vuole essere inteso come singolo soggetto e ogni io diventa oggetto nel potere e volere essere compreso con gli altri, come un caso di valore unico della molteplicità dei valori.
La coscienza è come la superficie del mare che nulla sa del mare, ma lo sente e lo sente come quell'unità radicale di cui essa è espressione, anche se può negarlo, lo sente come ciò di cui non sa e non sapendo continuamente ne dà rappresentazione creando affascinanti, terribili e cangianti caleidoscopi di luci e ombre, di apparizioni e nascondimenti e in questi giochi necessariamente di continuo si rappresenta.
Un saluto
maral is offline  
Vecchio 24-03-2013, 12.03.54   #252
Giorgiosan
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
Io credo esista una casualità relativa. Se esce un numero al lotto diciamo che ciò è dovuto alla casualità, ma tale casualità ha dei margini, come ad esempio il fatto che chi pesca la pallina ha gl'occhi bendati, oppure che i numeri siano compresi fra 1 e 90. Non sarebbe un evento casuale se chi pesca può guardare, così come casualmente non potrebbe mai uscire un numero superiore al 90. La casualità viene costruita sulle finalità del gioco.
Se si prendesse seriamente il caso come principio dei fenomeni, pensiamo a cosa potrebbe succedere in campo giuridico dove l'intenzionalità è un fattore determinante. Avvocati scaltri farebbero apparire come eventi casuali persino gli omicidi di un serial killer.
Diciamo casuali certi eventi (per esempio la pesca di una pallina da parte di una persona bendata) perché la complessità delle cause che provocano quella scelta, è funzionale alla nostra esigenza.
La nostra esigenza è quella che nessuno possa prevedere quale pallina verrà sorteggiata. Non interessa che quel evento sia l’esito di una complessa catena causale, interessa che sia altamente improbabile saperlo calcolare/prevedere.
Ritengo, quindi, che l’espressione casualità relativa sia appropriata.
Conoscendo tutti i “parametri” dell’evento sorteggio sembra, però, teoricamente possibile prevederlo; nell’esempio proposto il mio discorso sembrerebbe più accettabile se tutte le operazioni del sorteggio fossero compiute da macchine.
Provo a spiegarmi:
nella visione deterministica c’è un elemento imponderabile, che è quello della libera volontà, che potrebbe agire, sempre nell’evento del sorteggio, in maniera non prevedibile in alcun modo.
E qui si potrebbe aprire un discorso se quelli che si dicono atti di libera volontà siano determinabili o meno in linea teorica.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 24-03-2013, 14.08.15   #253
ulysse
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
Chiedo scusa, ma questa frase suggerisce una riflessione.
Si tratta di riflettere sul fatto se sia o no casuale che esista l'universo.
Io credo che alla base di tutto ciò che esiste ci sia un fenomeno di intelligenza, forse lo stesso logos eracliteo, una ragione seminale che esiste in ogni cosa.
Sarà forse una ragione seminale!
Infatti, secondo Hawking (ma occorre leggerlo direttamente) abitiamo uno dei tanti universi insorti in modo probabilistico dal quantismo pre big-bang: in sostanza questo universo sarebbe uno dei tanti possibili fenomeni spontanei della materia allo stato quantistico.
Non che Hawking sia parola di vérita!...è solo una ipotesi suffragata da sviluppi teorici, sperimentazioni e simulazioni.
Citazione:
Non sono, forse, tanto i caratteri del nostro DNA quanto le leggi cui rispondono i fenomeni fisici, manifestazioni di una qualche forma di intelligenza?
Ma direi che non sono…e distinguerei!

1)- Un conto sono le leggi fisiche (caratteristiche di interazione materia/energia) che hanno portato, via via, alla costituzione dell’universo quale è oggi...verso un domani.
2)- Altro conto sono le modalità (reazioni elettro-fisico-chimiche) che, molto più tardi, oltre le leggi della materia, hanno portato all'emergre del vivente…di cui il codice DNA è parte essenziale.

Ma possiamo fare solo ipotesi dato che dalle leggi della materia alle leggi del vivente, pare si verifichi una discontinuità che non sappiamo spiegare razionalmente…per ora.

Irrazionalmente si può dire o supporre qualunque cosa secondo preferenza o conforto di “io penso che”: ma è un solo un wishfulthinking!

E’ caratteristica umana, infatti, ricorrere all’irrazionale (al deus ex machina) quando si incappi in qualcosa che non presenta spiegazione razionale nell’ambito delle concretezze esistenti e percepibili.
Credo che questo sarebbe uno di quei casi in cui, per gli umani, non ci sarebbe altra possibilità che ricorrere al trascendente

Per la scienza, che, in mancanza di indizi e prove pro o contro si astiene dal giudizio, la discontinuità fra leggi naturali e leggi della vita, è solo occasione di una delle tante soluzioni che si troveranno…cercando e sperimentando.
Citazione:
Se si ammette questo, allora poi rimane da stabilire se sia possibile o meno che una forma di intelligenza possa essere casuale. Io credo di no, perchè il concetto di intelligenza dovrebbe presupporre la capacità di agire per un fine.
Se lo si ammette… può essere…solo che non c’è dimostrazione oggettiva che esista una origine intelligente che abbia provocato il tutto.
Se mai si ipotizza “razionalmente” l’inverso…cioè che da quei primi fatti (leggi ed eventi fisici)… superando la discontinuità detta, sia poi insorta la vita: fra miliardi di miliardi di eventi per miliardi di anni.
Magari il caso “vita”, nello specifico ambiente antropico allora esistente...magari ora non più… era inevitabile.

Con la vita, la modalità evolutiva ha portato “evolutivamente” per successive scelte al tipo di intelligenza a noi noto oggi in questo mondo...che sarebbe la nostra intelligenza.
Sarebbe questa la nostra storia, ma, ripeto, ancora non è risolta la discontinuità.
Nell’ultra umano, invece, si può risolvere diletticamente qualunque cosa, solo che, senza una conferma concreta, bisogna crederci!
Citazione:
O si ammette che l'uomo è l'unico essere in grado di avere un'intelligenza (anche la IA è una derivazione dell'intelligenza umana), o si deve ammettere che possono esistere altre forme di intelligenze nell'universo oltre a quella umana.
Su questo pianeta sembra non esistano altre intelligenze oltre il tipo noto…per quanto non è detto che quella umana sia in toto la superiore: l’intelligenza la si deve valutare in rapporto all’ambiente con cui si trova a competere!

Su altri pianeti… oltre il sistema solare (si parla delle possibilità di miliardi di pianeti) possono esistere, essere esistite, intelligenze globalmente superiori alla intelligenze del nostro pianeta..magari diversamente evolute da altre chimiche o da diversi ambienti antropici.
In ogni caso, nonostante enti scientifici appositi siano dedicati all’esplorazione continua circa tali possibilità, …fino ad ora, alla nostra scienza non è giunta traccia….quindi niente è dimostrato e, per ora, su extraterrestri, intelligenti super o non super, non si fa conto.
Citazione:
E se esistono altre forme di intelligenza, significa che queste forme di intelligenza che possono esistere, possono anche essere superiori a quella umana. E si potrebbe pensare che la categoria di divinità sia proprio l'effetto di un tentativo di riferirsi ad una esistente intelligenza superiore
Infatti “ab antico” di fronte al razionalmente inspiegabile si è ricorsi alla spiegazione irrazionale …cioè alla divinità che più che intelligenza possedeva poteri magici.
Infatti la divinità in concreto è apparsa anche al capitano Kirk di Star Trek
quando, “in una delle missioni di esplorazione dell’Enterprise, alla scoperta di nuove forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima, ecc…” sbarcò su di un pianeta abitato da Divinità (una specie di Olimpo)…ma non è che erano tanto furbi…più che altro avevano evolutivamente sviluppato certi super poteri: ma è solo Star Trek!
Citazione:
Quindi, l'uomo può stabilire se l'universo sia o no casuale solo se ammette se stesso come unica forma di intelligenza possibile, altrimenti dovrebbe ammettere di non poter competere con una forma mentis superiore in materia di conoscenza dei fini dell'universo.
E’ un bel ragionamento, ma tutto il discorso è inquinato alla base da ipotesi puramente teoriche prive di conferma concreta.
Credo che non ci siano difficoltà ad ammettere che esistono altre forme d’intelligenza…solo che quella che col vivente si va evolvendo è l’unica forma vera che conosciamo.

Quindi potremmo anche ammettere che esiste una intelligenza superiore che prevede, ordina e dirige l’universo…ma non ne abbiamo alcun indizio concreto e la scienza, che per istituzione si riferisce solo a indizi e dimostrazioni concrete non può che prescinderne.

La filosofia può farsi tutti i suoi ragionamenti, ma resta il fatto che sempre si tratta di “se fosse”… e niente dimostra che l’universo sia etero diretto verso fini e scopi predeterminati o che non lo sia…anzi ciò che si rileva dice che non lo è.

Quindi la scienza può perseguire solo la teoria che procede da studi e scoperte..certo non risolutive, ma plausibili…magari più plausibili del puro ragionamento dialettico.

L’andamento dell’evolvere dell’universo si presume sia avvenuto a partire da un caos quantistico della grande zuppa di particelle uscite da big-bang… fino al perseguire un ordine dovuto all’azione continua che la forza di gravità determina agendo sulle increspature intrinseche della zuppa.
L’azione della gravità induce il separarsi delle nebulose, che evolvono in galassie popolate da corpi celesti addensati per gravità dalla materia esistente…corpi interagenti per i diversi campi di energia nel frattempo insorti ecc…

Ovvio che così non si capisce e, per chi ne è alieno, può apparire sterile credenza…ma l’ipotesi scientifica conclusiva di questo momento, è che l’universo si è auto-evoluto per forza propria e non evoluto per forza di intelligenza aliena…che poi bisognerebbe anche dimostrare come sia insorta una tale intelligenza.
Citazione:
In altre parole l'uomo dovrà rassegnarsi a non sapere mai se egli sia nato dal caso o da una volontà creatrice,

Temo che per il momento la probabilità propenda per il “caso”, per il probabilismo..o forse..non poteva andare che così.

Se invece parliamo di origine della vita, l’emersione stessa sembra spiegabile solo col caso… di innumeri combinazioni e reazioni.

Invece, dopo che l’emersione è avvenuta… interviene il meccanismo evolutivo intuito da Darwin: a questo punto non è più caso…è selezione naturale… per la quale, tuttavia, una finalità predisposta pare non porsi …come dedotto da osservazioni, sperimentazioni, simulazioni su popolazioni di viventi.
Citazione:
e provo a dimostrarlo: se esiste un'intelligenza superiore, proprio perchè è superiore l'uomo non potrà mai comprenderla fino in fondo; se invece tutto è dominato dal caos, credo sia praticamente impossibile, con qualsiasi tipo di matematica disponibile, ricostruire la catena degli eventi casuali, a loro volta dipendenti da un'infinità di altre concatenazioni di contesti casuali, che hanno determinato la nascita dell'universo: quindi questa seconda posizione sarebbe comunque indimostrabile.
In effetti, caos o non caos, ricostruire la catena degli eventi consequenziali… non è possibile, ma nemmeno l’esistenza di una intelligenza superiore è dimostrabile…quindi il discorso dialettico cade.

Ma è sempre il solito dilemma: intelligenza superiore o capacità umana di perseguire la conoscenza del reale universo?
Se pretendiamo riferirci a ciò che esiste o non esiste non la finiamo più ed infatti la scienza prescinde da una tale impostazione del problema.

Il pensiero scientifico, piuttosto, credo sia strategico:
Se prescindiamo dall’origine, sopranaturale o meno, e fidiamo nella nostra intelligenza (pare dicesse Kant) ricercheremo e apprenderemo sempre più...magari cadiamo in buca, ma in prevalenza ci azzecchiamo ed il sapere umano, sempre in prevalenza, evolve…o si modifica con trend migliorativo.


Il concetto è sempre “prova, sbaglia e riprova”…try and error!
In effetti da quando questo metodo è prevalso la conoscenza dell’universo, del vivente e di noi stessi, che dell’universo facciamo parte, ha fatto passi da gigante.
Fino a che è prevalsa l’ipotesi della intelligenza superiore… che tutto preordina e dirige…la conoscenza dell’universo è rimasta in stallo: 1500 anni di stallo fra Aristotele e Galileo...e Galileo quasi ci rimetteva le penne!
ulysse is offline  
Vecchio 24-03-2013, 17.57.14   #254
maral
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E' molto interessante il discorso che porta avanti ulysse, perché è un classico esempio di quell'aprioristica assunzione che ci sia un mondo oggettivo in sé, ma conoscibile dal pensiero che su di esso si applica secondo un metodo che è il pensiero stesso a stabilire attraverso un avanzare che è fatto di prove ed errori secondo un modello epistemico di base fondamentalmente aristotelico (la conoscenza come una sorta di travaso dall'oggetto al soggetto che si pone nelle corrette condizioni e alla corretta distanza per accoglierla).
In genere chi porta avanti questo discorso non si avvede però che il meccanismo di avanzamento di quella che si ritiene la positiva conoscenza della realtà è solo un meccanismo di valutazione di correttezza sintattica con riferimento a priori e nemmeno si avvede che quella sintassi è frutto soggettivo condiviso a priori in un determinato ambito culturale (o campo di senso) di soggetti. Da tutto quel discorso, affinché possa sembrare oggettivo, vengono arbitrariamente escluse (tenute separate e rigettate) fette enormi di realtà che effettivamente viviamo (emozioni, aspettative, timori) pre-giudicate come scorie inutili, fuorvianti, se non addirittura falsificanti e quindi producenti falsità nel momento del necessario giudizio di verità.
Beninteso, qualsiasi tentativo di conoscenza deve darsi un metodo per procedere, e la conoscenza scientifica gode di un metodo di straordinaria potenza, ma deve pure rendersi conto che quel metodo, per quanto potente sia, non è IL METODO che esaurisce ogni altra possibilità di conoscenza, che le sue pre assunzioni restano comunque arbitrarie per poter determinare una prospettiva di senso e che questa prospettiva di senso che si estende alla moderna biologia e alla fisica quantistica è comunque sempre una rappresentazione la cui correttezza è giudicata dalla conformità a quelle particolari regole sintattiche sempre soggettivamente prestabilite che costituiscono il termine effettivo di ogni verifica e non certo la realtà stessa per come si dà. Il presupposto è che ciò che si dà nel suo darsi spontaneo mente, tergiversa, inganna e dunque è necessario un giudice che verifichi obbligando la natura a dire solo quanto è pertinente a quella sola sintassi metodologica da lui prestabilita per cui il vero e il falso equivarranno al sintatticamente corretto e scorretto.
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Vecchio 24-03-2013, 20.10.38   #255
ulysse
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Originalmente inviato da maral
E' molto interessante il discorso che porta avanti ulysse, perché è un classico esempio di quell'aprioristica assunzione che ci sia un mondo oggettivo in sé, ma conoscibile dal pensiero che su di esso si applica secondo un metodo che è il pensiero stesso a stabilire attraverso un avanzare che è fatto di prove ed errori secondo un modello epistemico di base fondamentalmente aristotelico (la conoscenza come una sorta di travaso dall'oggetto al soggetto che si pone nelle corrette condizioni e alla corretta distanza per accoglierla).
In genere chi porta avanti questo discorso non si avvede però che il meccanismo di avanzamento di quella che si ritiene la positiva conoscenza della realtà è solo un meccanismo di valutazione di correttezza sintattica con riferimento a priori e nemmeno si avvede che quella sintassi è frutto soggettivo condiviso a priori in un determinato ambito culturale (o campo di senso) di soggetti. Da tutto quel discorso, affinché possa sembrare oggettivo, vengono arbitrariamente escluse (tenute separate e rigettate) fette enormi di realtà che effettivamente viviamo (emozioni, aspettative, timori) pre-giudicate come scorie inutili, fuorvianti, se non addirittura falsificanti e quindi producenti falsità nel momento del necessario giudizio di verità.
Beninteso, qualsiasi tentativo di conoscenza deve darsi un metodo per procedere, e la conoscenza scientifica gode di un metodo di straordinaria potenza, ma deve pure rendersi conto che quel metodo, per quanto potente sia, non è IL METODO che esaurisce ogni altra possibilità di conoscenza, che le sue pre assunzioni restano comunque arbitrarie per poter determinare una prospettiva di senso e che questa prospettiva di senso che si estende alla moderna biologia e alla fisica quantistica è comunque sempre una rappresentazione la cui correttezza è giudicata dalla conformità a quelle particolari regole sintattiche sempre soggettivamente prestabilite che costituiscono il termine effettivo di ogni verifica e non certo la realtà stessa per come si dà. Il presupposto è che ciò che si dà nel suo darsi spontaneo mente, tergiversa, inganna e dunque è necessario un giudice che verifichi obbligando la natura a dire solo quanto è pertinente a quella sola sintassi metodologica da lui prestabilita per cui il vero e il falso equivarranno al sintatticamente corretto e scorretto.
Mah!...tutto il discorso mi pare una illazione arbitraria di chi non sa cosa sia la scienza, quali siano i relativi scopi, i relativi limiti autoimposti, e quale sia il campo di indagine qui ampiamente confuso con campi che la scienza non nega, ma di cui non si interessa dati gli scopi ed i metodi che si propone di perseguire.
Soprattutto la scienza si propone di non indulgere alla arbitrarietà!

Ultima modifica di ulysse : 25-03-2013 alle ore 14.08.37.
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Vecchio 24-03-2013, 20.39.08   #256
ulysse
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Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Questo non è storicamente vero....
.
Citazione:
Originalmente inviato da ulysse
Ma non saprei cosa intendi: l'evoluzione del vivente si origina nella teoria evolutiva elaborata da Darwin.

Citazione:
Originalmente inviato da Gorgiosan
Questo non è storicamente vero.
Infatti c’è un qui quo qua: forse la mia frase risulta ambigua.
Non intendo, ovviamente, che l’evoluzione del vivente sia provocata dalla teoria di Darwin, ma che è avvenuta nel vivente per selezione naturale, adattamento, pressione riproduttiva, ecc...secondo il meccanismo intuito da Darwin ed evoluta, oggi, nel neodarwinismo, nell’EVODEVO, ecc…
L’evoluzione dell’universo è un’altra cosa.

Comunque è vero che già prima di Darwin (magari fin da Copernico o immediatamente dopo la classificazione di Linneo) il concetto generale di “evoluzione” si andava imponendo: si capì che l’universo, assieme ai fenomeni in esso presenti, non era sempre stato tal quali, così come dicevano le sacre scritture a partire dalla creazione, ma andavano mutando con un certo dinamismo.

Infatti nessuno dice che Darwin abbia scoperto l’evoluzione…di cui vari studiosi già parlavano prima di Darwin cercando un meccanismo adeguato …fra cui lo stesso nonno di Darwin…che era un lamarkiano.

Darwin ha semplicemente intuito il meccanismo per mezzo del quale l’evoluzione avviene nel vivente a partire dai primi esseri autoreplicanti in poi…e non mi par poco…quando ancora il concetto di DNA era sconosciuto.

Quindi concordo in buona parte con quanto dici nella citazione che segue.
Citazione:
Comincia da quando una sempre maggior quantità di materiali giungeva alle più importanti istituzioni europee di ricerca fra le quali il Museo di Parigi e diveniva sempre più evidente che la specie non era una entità fissa e immutabile, ma una entità sottoposta a notevoli variazioni in relazione ai diversi luoghi di raccolta del materiale preso in esame.
Nello stesso periodo gli astronomi cominciavano a discutere della possibilità di una evoluzione del sistema solare da una nebulosa primordiale.
Jean Baptiste Monet conte di Lamark espone la prima ipotesi scientifica sulla trasformazione degli esseri viventi, proponendo l’ipotesi che le trasformazioni si siano prodotte per l’uso o il disuso degli organi e per l’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Secondo Lamark il motore di questo continuo adattamento è la capacità innata dei viventi ad adattarsi sempre meglio all’ambiente.
In parte Lamark aveva ragione, ma non spiegava la capacità di adattamento che definiva “innata”.
In realtà lo stesso "innatismo" è frutto della evoluzione e l’adattamento avviene per azione della “selezione naturale nella lotta tesa all’esistenza, alla riproduzione, ecc...”
E’ questo il motore intuito da Darwin che ancor oggi è ritenuto valido ed in linea col concetto genetico di DNA.
Citazione:
Senza questi presupposti culturali, fra i quali le idee attualistiche di Lyell e senza la lettura di Malthus , Charles Darwin non avrebbe potuto elaborare la sua teoria.
Non intendo attribuire un merito esclusivo a Darwin che certamente era immerso nella cultura del tempo, ma dire che senza Malthus o altri la sua teoria non sarebbe nata è una illazione arbitraria.

Certamente la teoria nacque in contrapposizione anche a Lamark che Darwin conosceva bene, ma è un fatto che Darwin partì sul Beagle da lamarkiano e ritornò, dopo cinque anni di osservazioni, studi e reperti raccolti in ogni dove, da darwinista.

Più che Malthus e Lyell furono le isole Galapagos coi relativi fringuelli a dare il contributo fondamentale.
Citazione:
Diciamo che i tempi scientifici erano maturi per la teoria di Darwin come mostra la proposizione della stessa ipotesi nello stesso periodo, da parte di un altro naturalista inglese Alfred Wallace.
In effetti è vero, i tempi erano maturi, ma l’intuizione della [“Evoluzione del vivente per Selezione Naturale” l'ha avuta Darwin.

Il caso “Wallace” fu abbastanza straordinario: in un mese di attacco malarico intuì le basi fisiche della teoria indipendentemente da Darwin tanto che Darwin stesso ne riconobbe la contemporaneità e pubblicarono qualcosa a firma comune.

Tuttavia, quando si trattò di spiegare come l’evoluzione avvenisse nell’uomo anche oltre le pure esigenze esistenziali, Wallace non riuscì a concepire: si staccò da Darwin con sue particolari idee e ipotesi...non saprei se di ordine metafisico o esoterico o altro...e si perse: peccato!
Darwin invece pubblico nel 1871 il suo sencondo libro sull'argomento: "l'origine dell'uomo" che fu ed è fondamentale!
Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Mentre di questo possono e devono parlare i filosofi. (cioè del finalismo o casualità dell’evoluzione)

Citazione:
Originalmente inviato da ulysse
Ma ne parlino pure i filosofi…non saprei di che cosa!...ma io non sono filosofo! … Ma il processo evolutivo non è né finalizzato e neppure avviene per casualità

Citazione:
Tu non sei filosofo dici, però fai delle considerazioni di ordine filosofico che sono dello stesso ordine di quelle di Dawkins o di Jacques Monod e di ognuno che si esprima riguardo alla casualità o al finalismo dell’evoluzione. E fai sempre in questo forum da quanto ti leggo considerazioni filosofiche avendo come punto di partenza dei dati scientifici.

Può essere che tu legga affermazioni relative a questo da parte di un biologo evolutivo o di altri scienziati, ma in quel momento non sono scienziati né biologi, ma filosofi che esprimono nulla più che una opinione.
Dico di non essere filosofo come atto di umiltà: per dire che, sul piano filosofico, la mia opinione non si ammanta di alcun riferimento ad autorità o pretesa filosofica, ma, come dici, mi ingegno a tenere come punto di riferimento la cultura tecnico/scientifica che mi viene da una mia formazione generale e da varie letture, interessi,esperienze e studi anche attuali.

In genere mi sforzo di rifuggire da causalità ideologiche, metafisiche o trascendentali.
Cerco di mantenermi sul concreto, ma, forse, non sempre mi riesce…anche perché, in effetti, non tutto è oggettivamente concreto, misurabile, sperimentabile...anzi moltissimo non lo è.

Del resto anche gli scienziati, i ricercatori e persino i tecnici… pensano ed esprimono opinioni (filosofiche o meno, non saprei) derivanti appunto dalla loro formazione generale e sperimentazione/calcolo particolare.
Credo che essendo consequenziali alla sperimentazione oggettivante ed alla esplicazione matematica, un qualche valore lo abbiano..magari oltre il filosofico…almeno per certi argomenti
Citazione:
Se non sei convinto di questo dovresti esporre quali sono gli strumenti categoriali e cognitivi della scienza adeguati a formulare ipotesi intorno al finalismo o alla causalità.
Effettivamente mi cogli in castagna e, nello specifico, non so come rispondere.
Ma confesso che a me pare ovvio!...gli strumenti sono i soliti: la ricerca, la sperimentazione, l’esplicazione matematica…non ci sono categorie precostituite… comunque rimando a Stephen Hawking...ad esempio!

1)- Il finalismo?...Ma è universalmente noto che la scienza, pur senza negare, non postula una intelligenza all’origine dell’universo…quindi niente finalismo: l’universo evolve secondo leggi fisiche in parte note, in parte ignote o solo sospettabili.
Si può dire che è argomento di filosofia…ma, alla fine, è questione di ricerca scientifica.
Su tali basi si fanno previsioni in parte certe, in parte probabilistiche in parte fasulle, ma questo non significa finalismo…pur senza negare, appunto, una certa consequenzialità…quindi un possibile determinismo…ma dove vada l’universo lo si può solo estrapolare dall'andamnto degli eventi passati.

2)- La casualità? Quì è più’ difficile: dipende dalle teorie di riferimento che assumono i fisici ed i cosmologi.
Per il macrouniverso vale in prevalenza la Relatività che lascia scarso spazio al casuale.
Per il microuniverso, vale la Quantistica che lascia ampio spazio al probabilismo.

Comunque come tutti sanno, gli effetti delle due teorie interferiscono: si tratta di vedere quanto e dove.

Per l’evoluzione del vivente il darwinismo parla di “selezione naturale” che non significa “casuale”…come alcuni mostrano di credere.
Citazione:
Non lo faccio per metterti in difficoltà ma solo per invitarti ad un approfondimento, che sono certo ti porterà ad una distinzione fra piano scientifico e piano filosofico
Credo che hai ragione: in effetti non saprei distinguere fra piano scientifico e piano filosofico.
Al momento credo, con Bacone, che l’esplicazione filosofica non possa contraddire l’enunciato scientifico.

Tuttavia non tutto è trattabile sul piano “quantitativo”: per molti argomenti oltre il concreto oggettivabile e misurabile è naturale ed indispensabile che intervenga l’esplicazione “qualitativa” delle filosofia.

Noto tuttavia che sempre più la scienza riesce a “quantizzare” argomenti già caratteristici della filosofia o a renderli insignificanti.
Ma credo che accada anche l’inverso: hai ragione debbo approfondire!

Ultima modifica di ulysse : 25-03-2013 alle ore 18.01.21.
ulysse is offline  
Vecchio 25-03-2013, 14.03.43   #257
ulysse
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Diciamo casuali certi eventi (per esempio la pesca di una pallina da parte di una persona bendata) perché la complessità delle cause che provocano quella scelta, è funzionale alla nostra esigenza.
Mi chiedo cosa signigfichi "funzionale alla nostra esigenza"...in relazione a che cosa?
Forse vuoi dire che l'esigenza non è orientata al risultato specifico, ma al fatto che il risultato non sia prevedibile..per quanto, nella roulette, interessa anche uno specifico risultalo...per chi gioca..

Anche non saprei se l'estrazione di una specifica pallina fra tante sia consequenziale ad una complessità di cause. Direi che alcune cause influiscono...per esempio la modalità e struttura del meccanismo o metodo di estrazione o il numero comunque limitato di palline...da cui una casualità non infinita.
Per il resto, l'atto in sè direi che offre un risultato casuale e non prevedibile e non solo perchè non è calcolabile (troppo complesso) il processo consequenziale...un processo consequenziale non esiste...a meno che il sistema non sia truccato.
Direi, in definitiva, che certi fenomeni sono indifferenti alla cause che potrebbero provocarli!

Ritengo quindi anch'io, che l’espressione "casualità relativa" sia per lo piu' appropriata.

Sospetto infatti che esistano fenomni e risultanze assoltamente casuali ove il sistema causalità (relazione causa-effetto) è interotto.

Un caso del genere, purtroppo solo commisto umano-trascendente, ma di cui richiamiamo continuamente il concetto anche negli eventi umani, è quello del "libero arbitrio": se Dio affermasse di non aver rotto in nessun caso la catena della consuenzialità, il libero arbitrio non esisterebbe...come, in effetti, in assoluto non esiste...esiste solo relativamente.
Citazione:
nella visione deterministica c’è un elemento imponderabile, che è quello della libera volontà, che potrebbe agire, sempre nell’evento del sorteggio, in maniera non prevedibile in alcun modo.
Come detto la libera volonà del vivente umano potrebbe conseguire solo ad una cesura del processo consequenziale causa-effeto: un tempo si pensava che solo Dio potesse concederci questo dono o gravarci di questo peso.

Oggi qualcosa di diturbante, forse ponderabile, sembra apparire all'orizzonte.
Citazione:
E qui si potrebbe aprire un discorso se quelli che si dicono atti di libera volontà siano determinabili o meno in linea teorica.
Infatti potrebbe dar luogo ad una discussione/elucubrazione in ambito esclusivamente filosofico e fino a venti o trenta anni fa la cosa sarebbe stata pacifica.

Oggi si comincia a pensare che eventi quantistici intervengano nel processo computazionale del nostro organo cerebrale...e si sa che essi vanno per prevalenza probabilstica e non prettamente per logicismo filosofico, ecc....

Potrebbe essere questo uno di quei casi in cui la scienza scippa un argomento di elucubrazione ed indagine alla filosofia!

Ora io, che oltre a non-filosofo, sono anche un non-quantistico comicio a sospettare che dietro il complesso sistema di casualità-causalità-non casualità, ecc... si nasconda un terribile complotto ai miei danni.

Ultima modifica di ulysse : 25-03-2013 alle ore 17.19.31.
ulysse is offline  
Vecchio 25-03-2013, 21.38.32   #258
maral
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da ulysse
Mah!...tutto il discorso mi pare una illazione arbitraria di chi non sa cosa sia la scienza, quali siano i relativi scopi, i relativi limiti autoimposti, e quale sia il campo di indagine qui ampiamente confuso con campi che la scienza non nega, ma di cui non si interessa dati gli scopi ed i metodi che si propone di perseguire.
Soprattutto la scienza si propone di non indulgere alla arbitrarietà!
Certamente il fatto di avere una laurea in chimica e di aver lavorato per tre lustri come ricercatore fa sì che io non sappia cos'è la scienza e faccia un sacco di arbitrarie illazioni in merito. O forse mi ha traviato la mia passione filosofica, brutta bestia la filosofia, fa perdere tempo e confonde la mente se non è quella giusta.
Vedi, ulysse, non ho dubbi che molti grandi scienziati sappiano bene che la scienza (quel metodo di modellizzazione standardizzato su rapporti quantitativi statisticamente ripetibili che oggi si intende per scienza) fornisce una particolare e non esaustiva visione del reale tra le diverse possibili, ognuna con i suoi limiti e i suoi scopi. Heisemberg va ancora oltre scrivendo:
Citazione:
La scienza naturale non descrive semplicemente e interpreta la natura, è una parte dell'interfaccia fra la natura e noi stessi.
, ma se è una parte dell'interfaccia tra noi e la natura, tra osservatore e osservato, tra soggetto e oggetto, come si può poi pretendere che parli solo oggettivamente della realtà in sé e non sempre della realtà per noi anche quando in pompa magna si proclama oggettiva?
Purtroppo capita anche che molti che annusano la scienza e ne restano estasiati intendano espressioni come "scientificamente o non scientificamente dimostrato" non come coerente a un campo di conoscenza con i suoi limiti e i suoi scopi, ma come aderente o non aderente al reale per come è.
Quanto all'arbitrarietà delle nostre affermazioni ve ne sono di vario tipo e tutti ne andiamo soggetti, ma forse la più pericolosa, perché si nasconde a se stessa, è proprio quella che pretende di essere rigorosamente oggettiva dimenticandosi dei presupposti che per essa si sono assunti a priori e arbitrariamente a metro di giudizio, senza ovviamente poterli mai verificare. Tanto per fare un esempio che esista in sé un mondo fuori di noi da noi perfettamente separabile e nello stesso tempo conoscibile per come è senza di noi. Io la trovo una pretesa quanto meno curiosa, ma certo non sono i veri scienziati a sostenerla.
Forse riusciremo comunque un giorno a comprendere che qualsiasi rappresentazione diamo del mondo non potrà mai sfuggire a una soggettiva arbitrarietà più o meno condivisibile nel contesto di senso culturale storico e sociale in cui esistiamo e allora forse riusciremo a essere meno arbitrari e cognitivamente arroganti fingendo la nostra arroganza come umile sottomissione alla realtà delle cose, sia in qualità di filosofi, filomiti o anche scienzofili e ci accorgeremo che tutto quello che pensiamo come reale sono modelli narrativi che costruiamo e poi verifichiamo sulla base delle regole che ad arbitrio ci siamo dati che per verificarsi prendono a riferimento la loro coerenza sintattica e non la realtà per come è in se stessa, liberata dai soggetti che la vivono e vivendola la rappresentano e ne sono rappresentati come "io".
Un saluto
maral is offline  
Vecchio 26-03-2013, 00.32.46   #259
gyta
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E’ caratteristica umana, infatti, ricorrere all’irrazionale (al deus ex machina) quando si incappi in qualcosa che non presenta spiegazione razionale nell’ambito delle concretezze esistenti e percepibili.
(Ulysse)
E’ vero, spesso il sentimento religioso converge nell’immagine di un’entità trascendente che dona moto, senso e finalità alle cose ma esiste anche una differente concezione spirituale che converge nell’immagine di una realtà conoscibile tangibile seppure sorprendentemente complessa. In questa ultima concezione la divinità è il soggetto che anima la sorpresa e la scoperta; la divinità è il conoscere stesso, l’anima che abita il moto stesso delle cose che si compenetrano l’un l’altra, è l’occhio dentro l’occhio, il seme della ricerca e la ricerca stessa, è la ragione dei razionali e la fede dei mistici, lo stupore del bambino e la passione dell’amore, è ciò attraverso cui ogni realtà è e diviene ciò che è e diventa. E’ più di un sentimento, è l’anima delle cose, l’anima di ogni cosa, è ciò che fa sì che il limite sia illusorio e la conoscenza possa compiersi. E’ come lo spazio senza il quale non potremmo concepire né la materia né l’immateriale pensiero, né le cose né il pensiero sulle cose tangibili o quelle immaginate; uno spazio che è più di un mero sfondo necessario al conoscere ma è la medesima realtà attraverso cui le cose prendono forma ad essere.

Citazione:
E se esistono altre forme di intelligenza, significa che queste forme di intelligenza che possono esistere, possono anche essere superiori a quella umana.
se esiste un'intelligenza superiore, proprio perchè è superiore l'uomo non potrà mai comprenderla fino in fondo
(cvc)

Superiore ed inferiore sono sempre relativi ad una medesima capacità o caratteristica distinta secondo una scala di maggiore o minore aderenza a tale capacità. Per cui una intelligenza superiore non è, a mio avviso, inconoscibile da una inferiore poiché la comunione tra le due è data dalla possibilità di riferirsi al medesimo linguaggio sottostante. Altro è se parliamo di intelligenze differenti non per grado ma per linguaggio. Questa precisazione mi sembra importante ai fini del distinguo.

Citazione:
Io credo che alla base di tutto ciò che esiste ci sia un fenomeno di intelligenza, forse lo stesso logos eracliteo, una ragione seminale che esiste in ogni cosa.
Non sono, forse, tanto i caratteri del nostro DNA quanto le leggi cui rispondono i fenomeni fisici, manifestazioni di una qualche forma di intelligenza?
Se si ammette questo, allora poi rimane da stabilire se sia possibile o meno che una forma di intelligenza possa essere casuale. Io credo di no, perchè il concetto di intelligenza dovrebbe presupporre la capacità di agire per un fine.
(cvc)

Penso sia importante indagare a fondo sul concetto di finalità.. Finalità come punto di arrivo? Finalità come utilità ad un qualcosa? Sembra facciamo molta fatica ad intendere una Capacità il cui fine sia il medesimo mezzo attraverso cui si esprime. Forse siamo troppo abituati a guardare alle cose con gli occhi del tempo che scorre, della tecnica che soccorre per cogliere un’intelligenza staccata dalla funzione utilitaristica alla quale siamo assuefatti. Condivido il tuo pensiero, la tua intuizione; ho voluto portare una riflessione in più su quella finalità verso la quale spesso ci smarriamo nella ricerca di un volto determinato del senso.

Citazione:
Heisenberg va ancora oltre scrivendo: “ La scienza naturale non descrive semplicemente e interpreta la natura, è una parte dell'interfaccia fra la natura e noi stessi “ ma se è una parte dell'interfaccia tra noi e la natura, tra osservatore e osservato, tra soggetto e oggetto, come si può poi pretendere che parli solo oggettivamente della realtà in sé e non sempre della realtà per noi anche quando in pompa magna si proclama oggettiva?

Quanto all'arbitrarietà delle nostre affermazioni ve ne sono di vario tipo e tutti ne andiamo soggetti, ma forse la più pericolosa, perché si nasconde a se stessa, è proprio quella che pretende di essere rigorosamente oggettiva dimenticandosi dei presupposti che per essa si sono assunti a priori e arbitrariamente a metro di giudizio, senza ovviamente poterli mai verificare. Tanto per fare un esempio che esista in sé un mondo fuori di noi da noi perfettamente separabile e nello stesso tempo conoscibile per come è senza di noi. Io la trovo una pretesa quanto meno curiosa, ma certo non sono i veri scienziati a sostenerla.
(Maral)
Già!
Forse ci resta ancora ostico accettare che ogni constatazione avviene attraverso il nostro porci in relazione dalla quale non possiamo prescindere..
gyta is offline  
Vecchio 26-03-2013, 09.21.38   #260
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da maral
Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
io penso che la realtà, proprio in virtù del suo essere reale, non possa che essere una e inscindibile, né solo interna né solo esterna, né solo soggettiva né solo oggettiva e che ogni tentativo di scinderla sia da riferirsi al gioco di rappresentazioni che appare in scena per prenderne coscienza, ove questa coscienza è a sua volta elemento che si rappresenta.
Su questo sono d'accordo, ma penso che ci sia un altro fatto impriscindibile. Per quanto possiamo concordare che la realtà sia una ed inscindibile, è importante stabilire se di questa realtà noi ne facciamo parte attivamente o passivamente.
Noi abbiamo un io che osserva e un io che riflette. L'io che osserva può vedere la realtà come un complesso di cose in cui è compreso l'io stesso, ma quell'io visto dall'io che osserva è un io passivo. L'io diventa attivo quando riflette, ed è allora che percepisce se stesso come distinto dalla realtà esterna. E' questa la fase che io chiamerei di produzione, quando cioè l'io che ha raccolto i dati esterni, li elabora per creare schemi mentali che gli consentiranno di interagire con l'esterno.
La realtà unica ed inscindibile è l'universo inteso come insieme di tutte le cose conosciute, ma l'universo è buio finchè non viene illuminato dal fascio di luce della coscienza.
Ciò che ci confonde è quel continuo gioco di dentro e fuori dalla coscienza, in base a ciò che cade di volta in volta nel raggio della nostra attenzione ci creiamo concetti, opinioni, credenze.
In questo credo ci vide bene quel genio di Eraclito: l'unica costante è il cambiamento stesso.
Oggi vedo un documentario sulle usanze dei musulmani, poi ne vedo uno per strada e penso sia una brava persona sebbene abbia una cultura diversa dalla mia. Domani vedo un documentario sui talebani, poi vedo un musulmano in giro e sono condizionato a pensarlo come potenziale terrorista.
Finchè non comprendiamo i nostri limiti non possiamo comprenderci, e il nostro grande limite è quello di essere condizionati da ciò che è illuminato dal fascio di luce della nostra coscienza.
Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
E qui si potrebbe aprire un discorso se quelli che si dicono atti di libera volontà siano determinabili o meno in linea teorica.
Interpretando in chiave stoica si potrebbe dire che dipenda dall'accettare o meno il nostro destino. Il nostro destino è quello di essere mortali, di invecchiare, di avere un corpo che ci vincola ai suoi piaceri ed alle sue sofferenze.
Finchè ci opponiamo al destino e cerchiamo di cambiarlo siamo schiavi delle paure e delle speranze. Quando accettiamo il nostro destino smettiamo di esserne trascinati e lo seguiamo di nostra volontà, inseguiamo cioè la natura che per gli stoici è la ragione contrapposta alle passioni.
Una volta illuminati dalla distinzione della diaresi di Epitteto, possiamo sapere ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è. Una volta che ci siamo messi il cuore in pace riguardo a ciò che non possiamo cambiare perchè non dipendente da noi, possiamo concentrarci di ciò su cui abbiamo influenza e sentirci liberi. Ciò su cui abbiamo influenza è la nostra virtù morale, e ben poco importa che il resto sia vincolato al caso se almeno questa non lo è.
Ponendo la ragione come essenza della natura, allo stoico non resta altro che seguire la natura ed ottenere quindi la libertà sottomettendosi alla ragione e liberandosi dalle passioni.
Citazione:
Originalmente inviato da Ulysse
E’ caratteristica umana, infatti, ricorrere all’irrazionale (al deus ex machina) quando si incappi in qualcosa che non presenta spiegazione razionale nell’ambito delle concretezze esistenti e percepibili.
Credo che questo sarebbe uno di quei casi in cui, per gli umani, non ci sarebbe altra possibilità che ricorrere al trascendente
Ma credo che siamo noi che rendiamo l'universo razionale o irrazionale a seconda che riusciamo a scorgere in esso un qualche fenomeno ricorrente che lo rende prevedibile.
Anche la scienza diventa un deus ex machina se si pensa che tutto possa essere spiegato sperimentalmente.
Se l'unico modo per conoscere le cose è quello sperimentale, allora per conoscere l'universo occorrerrebbe un colossale esperimento che coinvolga tutto l'universo. E se tutto l'universo fosse contenuto in un gigantesco esperimento, chi resta fuori ad osservare, misurare e verificare?
CVC is offline  

 



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