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26-12-2012, 10.28.21 | #74 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Citazione:
Non sono d’ accordo con il “provvidenzialismo” e l’ ottimismo cosmico degli stoici, in quanto constato che ingiustizia e dolore esistono, che il male non é mai completamente eliminabile dal mondo e dalla vita umana, e molte volte colpisce molto “ingiustamente” e odiosamente anche persone del tutto innocenti (perfino neonati!) o comunque persone buone e oneste che non lo meriterebbero affatto. Tuttavia concordo con gli stoici sul fatto che per vivere il meglio possibile si deve usare la ragione e sapere accettare, affrontare e sopportare le avversità e i colpi della sfortuna adattando le nostre aspirazioni per quanto possibile (e qui -lo so!- non sono un seguace coerente dello stoicismo…) a ciò che non può essere mutato nel mondo esterno. Credo anche che la virtù sia premio a se stessa, e dunque che persone rette e oneste ingiustamente perseguitate e anche uccise siano più felici nella loro onestà e rettitudine che nell’ eventualmente possibile tradimento di queste qualità interiori in cambio della fine delle persecuzioni e magari della salvezza della vita o addirittura di ingiusti privilegi e ricompense (come Severino Boezio, “consolato dalla filosofia”; anche se aderente al cristianesimo, stoico di fatto in questo atteggiamento: non dalla religione, che pure avrebbe potuto ben farlo, ma dalla filosofia consolato di fronte all’ ingiusta condanna; che sarebbe stato sereno e felice anche nell‘ ipotesi -da lui creduta falsa- della sua non sopravvivenza alla morte, della non esistenza di un premio eterno, solo per la sua coscienza di comportarsi rettamente e onestamente). Ma a chi non è onesto e retto la sua disonestà appagata e premiata dalla fortuna (indegnamente, come troppo spesso accade) dà più felicità dell’ eventuale possibile rettitudine nelle avversità. Per quanto mi riguarda ciò non mi impedisce di cercare di essere quanto più possibile retto, onesto, generoso e magnanimo (…quanto allo riuscirci e in che misura, beh non sono un presuntuoso megalomane e credo di conoscere discretamente i miei limiti). |
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26-12-2012, 10.36.17 | #75 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Citazione:
(1) Pur non essendo monista materialista (absit iniuria verbis), sono ateo e credo che la mia coscienza (che comunque non ritengo riducibile -nel senso nel quale la materia vivente è perfettamente riducibile alla materia in generale- al mio cervello né al funzionamento del mio cervello, né credo che possa essere “sopravveniente” o “emergente" -qualunque senso si dia a questi concetti- al funzionamento del mio cervello) finisca irrimediabilmente di esistere (accadere) con la morte (o eventuale coma irreversibile) del mio cervello. Tuttavia amo molto la vita e vorrei che fosse più lunga possibile, tranne che se dovesse diventare irrimediabilmente e insopportabilmente dolorosa (nel qual caso spero di potermi praticare l’ eutanasia o, se impossibilitato a farlo, che qualcun altro che mi vuol bene vi provveda per me). Dunque la prospettiva che ritengo inevitabile della mia morte irreversibile come persona la sento come un depauperamento della mia (attuale) felicità; che dopo la mia morte non resti niente della mia esperienza cosciente lo trovo decisamente spiacevole (senza virgolette!), mentre sarebbe molto più piacevole che continuasse (salvo nel caso fosse diventata irrimediabilmente infelice). Però credo anche che “a caval donato non si guarda in bocca”, e dunque che ci si possa accontentare di una vita felice ma di durata finita (essere complessivamente contenti di viverla, anche se solo temporaneamente) accettando serenamente la morte inevitabile; la quale, come ha ben detto Epicuro, non è nulla (né bene né male, né gioia né dolore) per chi la subisce; dolorosi possono invece essere i frangenti che più o meno immediatamente la precedono, per i quali ritengo vivamente raccomandabile cercare di essere sempre pronti per un’ eventuale eutanasia. (2) Non capisco: il pensiero è per me (esattamente come la materia, a mio avviso) fenomenicità concreta e nient’ altro che fenomenicità concreta: è sentire concretamente (interiormente) i propri ragionamenti, ricordi, desideri, aspirazioni, speranze, delusioni, la propria consapevolezza di esistere, ecc.: nient’ altro. Così come, secondo me, la materia è sentire colori, forme, suoni, durezze, temperature, odori, sapori, ecc.: nient’ altro. Anche il mondo materiale, non solo il mondo mentale o il proprio pensiero, per ciascuno di noi finisce irrimediabilmente con la nostra propria morte; può continuare ad esistere per altri, (come d’ altra parte i nostri pensieri, almeno in parte, se altri li conoscono e vi pensano anche dopo che siamo spirati; essi finiranno quando finirà l’ esistenza di altri che li pensano, certo; ma anche il modo materiale finirà dopo che si saranno estinte tutte le specie senzienti -animali-,allorchè non sarà presente in alcuna coscienza fenomenica: è solo questione di tempo, per quanto lunghissimo). |
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26-12-2012, 11.41.50 | #76 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Citazione:
Cerco di spiegarmi. Ritengo che vi siano più “piani di moralità” (e che in generale per nessuno di essi sia possibile dimostrare ciò che è bene e ciò che è male: si può conoscere -forse- come la realtà è; non -certamente- come deve essere, non che cosa si deve fare come fine dell’ azione, ma casomai quali mezzi impiegare -in conseguenza di come la realtà è- per raggiungere i propri fini, scopi, aspirazioni: questi ultimi “li si sente dentro” e non si può “dimostrarli” come tali da perseguirsi). Un piano è di fatto generalissimamente, universalmente umano (non “di diritto”: non lo si può dimostrare, e tuttavia tutti -al di fuori di casi chiaramente patologici- lo sentono di fatto, come espressione di tendenze comportamentali generalizzate nella nostra specie in conseguenza dell’ evoluzione biologica. Un secondo piano è collettivo ma relativamente, cioé limitatamente a gruppi di persone (classi sociali, popoli, categorie professionali, cultori di determinati interessi, ecc.) in conseguenza dell’ interazione fra genoma/tendenze comportamentali congenite ed esperienze (più o meno teoriche o pratiche) sociali, comunitarie ma non universalmente umane. Un terzo è individuale, conseguente ad esperienze del tutto personali. Se il divenire naturale, cui integralmente appartiene il comportamento (non integralmente la coscienza, secondo me) umano, è ordinato, deterministico sia pure in una forma debole o probabilistica-statistica (come credo immotivatamente, per fede: non lo posso dimostrate -Hume!- ma non posso fare a meno di crederlo; se così non fosse non potrei credere nemmeno a quanto ci dice la scienza e non avrei motivo di non gettarmi dal settantesimo piano di un grattacielo per la paura di schiantarmi da un momento all’ altro contro il soffitto), allora il comportamento umano dipende -per lo meno nel suo complesso, se non nelle singole azioni- da come il divenire naturale ordinato (da ultimo -ma solo da ultimo, a volere restringere le nostre vedute- genoma ed esperienze vissute) ha fatto sì che si sia (più o meno buoni o malvagi, relativamente ai criteri di valutazione morale che si sentono dentro di sé, anch’ essi in conseguenza del divenire deterministico generale più o meno forte della realtà naturale; e che in parte sono diversi da gruppo umano a gruppo umano e perfino da individuo e individuo). La giustizia (in senso tecnico: giurisdizione) in generale (con eccezioni non trascurabili) cerca tendenzialmente di uniformarsi ai criteri morali dominanti (non necessariamente maggioritari, non necessariamente i più civilmente avanzati) nella società regolata dallo stato che la codifica e la gestisce. Sia essa, sia chi da essa dissente (è il mio caso nell’ esempio citato, relativamente allo stato italiano, non certo a quello indiano, e -credo- nemmeno relativamente ai principi -morali e giuridici- solennemente dichiarati ma spessissimo contravvenuti delle relazioni internazionali teoricamente vigenti) tende a, cerca di, fondare le proprie prescrizioni o (nel secondo caso) semplici valutazioni ai rispettivi valori morali (indimostrabili). Che questo accada deterministicamente, che non possa non accadere (come credo arbitrariamente, per fede) non mi turba o sconcerta affatto: constato che -deterministicamente- tendo a dare certe valutazioni morali (così come a dare certe valutazioni estetiche, ad avere certe preferenze in campo sportivo, ecc.) e a comportarmi di conseguenza (più o meno coerentemente), e la forza con cui le sento –deterministicamente- non è per nulla indebolita dalla mia consapevolezza del generale determinismo (per lo meno debole) in cui credo. Mi porrebbe invece qualche problema il libero arbitrio (per lo meno in senso forte: indeterminismo del divenire naturale di tipo forte, divenire del tutto disordinato e caotico), che non mi consentirebbe di dire che un certo comportamento è buono o malvagio (secondo i criteri da me avvertiti e indimostrabili), ma solo fortunato o sfortunato. Quello che avevo intenzione di dire quando ho introdotto in questa discussione la questione del rapporto fra determinismo/indeterminismo e morale (ma forse non mi sono espresso bene) è che non si deve confondere condizionamenti e costrizioni estrinseche immediati (che ovviamente non consentono una valutazione morale delle scelte -obbligate- di chi li subisce, ma casomai di chi li impone) e condizionamenti intrinseci (immediati ma “con una lunga storia alle spalle”; infinita?) che invece ritengo necessari per qualsiasi valutazione morale (e che sono convinto non siano compatibili con il libero arbitrio come comunemente inteso, intrinsecamente). Mi scuso per la mia solita ridondanza e contorcimento sintattico nell’ argomentare. Un cordialissimo augurio di buon anno! |
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26-12-2012, 18.48.08 | #77 | |
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
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Il fatto che la realta' fisica non pare mutare al cambiare del nostro stato autocosciente, e che la realta' stessa sembra produrre in noi cambiamenti indipendentemente dal nostro stato , sono , purtroppo, soltanto indizi morali e non prove logico razionali dell'autonomia del reale rispetto all'IO, o addirittura, della completa appartenenza dell'IO al reale “fuori di noi”; viceversa, per alcuni, e' sembrato logicamente inoppugnabile la completa appartenenza del reale all'Io, che diviene coincidenza assoluta nel momento in cui sembra cadere ogni barriera fra Io e non-io; Reale e Razionale, realta' e pensiero, in quest'ottica, diverrebbero una cosa sola, cio' che si pensa razionalmente esisterebbe e non potrebbe che esistere, viceversa, cio' che esiste potrebbe essere solo e soltanto pensato razionalmente; il problema logico si sposta , in questo caso, sul dimostrare l'assolutezza di una certa affermazione razionale; se si riuscisse , quindi, a dimostrare l'esistenza di una sola affermazione davvero razionale, allora ,sarebbe plausibile l'inesistenza di qualsiasi barriera fra realta' ed Io, e l'idealismo puro darebbe una risposta alla tua domanda, ma, purtroppo, questo non e' ancora avvenuto; fai un'affermazione qualsiasi, ebbene, non potrai mai dimostrare razionalmente questa affermazione all'interno dell'insieme di regole logiche che l' hanno generata, e questa stessa affermazione, purtroppo ,per giunta, dovrebbe essere razionale. Nessuno ha ancora dimostrato razionalmente che Hegel avesse ragione ,che un frutto del nostro pensiero possa davvero dirsi inequivocabilmente reale. Parrebbe , quindi, che gli enunciati della scienza riguardo al nostro Io e a noi stessi, piu' in generale, rimangano razionalmente soltanto congetture da confutare popperianamente, e che ogni teoria fisica rimanga un mito, falso , poiche' costitutivamente falsificabile. Qualsiasi teoria neurologica riduzionista o emergenziale del nostro cervello sembra rimanere ancora solo un modello di un reale indimostrabilmente scisso e indimostrabilmente tutt'uno con L'IO. Ultima modifica di and1972rea : 27-12-2012 alle ore 16.17.24. |
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26-12-2012, 21.19.41 | #78 | |||||
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
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Anche quste intuizioni sono indice, per Ferraris, di esistenza? Per me senz'altro! Credo, d'altra parte, che bisognrebbe capire meglio cosa intenda Vattimo quando parla di esistenza come sola interpretazione. Citazione:
I cosmologi ci dicono che prima dell'universo attuale, che in parte anche vediamo ad occhio nudo ossevando il cielo di notte, ecc...prima dell'universo attuale esisteva un cosiddetto universo primordiale i cui astri sono per lo più finiti come buchi neri o in supernove che, una volta scoppiate hanno di nuvo rifornito lo spazio di materia...e nebulose..e così a seguire. Tale materia si sarebbe di nuovo ricostituita, per gravità, in nuovi astri e sistemi stellari, ecc...così come il nostro...4 o 5 miliardi di anni fa. Anche qui dubito che questi cosmolgi, coi loro sofisticati strumenti osservanti e auscultanti il cielo, con tutte le analisi e indagini sulle rocce stellari e sui metoriti che cadono sulla terra, ecc... pensino che la loro sia niente altro che interpretazione in un certo contesto culturale...che un altro cosmologo, in un altro contesto culturale potrebbe anche interpretate diversamente e...vedere...che so...due lune...forse quattro!!!! Citazione:
Ma credo sempre che non sia possibile e certo siamo noi che male intrpretiamo gli illustri Vattimo o Gabriel: loro chissà cosa intendono! Citazione:
Comunque mi pare più probabile che sia l'oggetto luna a provocare il relativo, o i relativi, segni semantici che non viceversa. Nssun oggetto ha mai provocato il suo segno o denominazione: è sempre stata una nostra iniziativa..atribuirla! Mi riesce sempre difficile anche solo pensare che tali elucubrazioni si possano immaginare: sarei anzi curioso di capire perchè si immaginano...anche se sono Severino o Vattimo che immaginano. Citazione:
Ma Quando nessun segno esisteva e la luna la si indicava solo col dito o non la si indicava affatto...era anche allora un problema semiotico? O proprio la luna non c'era!? ....Eppure l'umanità ha cominciato a parlare (emettere suoni articolati significativi) non più di 100.000 anni fa...altri dicono 50.0000...altri ancora 200.000. Comunque, prima, la luna, non c'era in cielo? Che c'entra il problema semiotico?...se quelli non parlavano e non usavano alcun segno...anzi, manco c'erano? Ma anche fosse, ...2 o 3 miliardi di anni fa, solo batteri esistevano!...Anche quella luna era interpretata dai batteri?...a loro volta solo interpretati in un nostro contesto culturale? Magari tutta la storia evolutiva del vivente è una interpretazione!...la riproduzine è avventuta per interpretaziaone...e così anche oggi ci riproduciamo solo in un contesto culturale ...e io che credevo!!! ...e quando, ancor prima, (4 miliardi di anni fa) nessun vivente eisteva e la luna c'era...era solo una interpretazione degli attuali cosmologi? Ecco, ho esposto cose semplici e ovvie...direi banali, ma vorrei essere rassicurato...Gabriel, Severino, Vattimo ne hanno tenuto conto? ...o sono cose di nessun conto? E' tutto interpretazione? Ma non c'era già stato Berkeley a sostenere cose del genere?...ora ritorna? |
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27-12-2012, 13.25.16 | #79 | |
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
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Sono d'accordo. Riguardo l'interpretazione. Certo tutto è interpretato ... ma questo non implica certo dover necessariamente negare una realtà fuori di noi anzi per il fatto stesso che si parla di interpretazione è implicito l'aver postulato che qualcosa é fuori di noi, noi compresi. Credo che chi "totalitarizza" l'interpretazione fino a negare una qualche realtà assuma posizioni filosofiche insostenibili smentite dalla stessa prassi di chi le assume. Inutile tentare di smentirle razionalmente: la razionalità è sostituita da contorcimenti dialettici che poco hanno vedere con l'amore per la sapienza ... si chiamino Vattimo o Severino. Perché un essere razionale assume tali posizioni? Anche i filosofi, ovviamente sono essere fragili come tutti gli umani, anche in loro può prevalere il desiderio di successo, la vanità, ecc. ecc. Vattimo d'altra parte riconosce di avere un pensiero debole ... |
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27-12-2012, 13.49.27 | #80 |
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?
Sgiombo, anche io pensavo come te una volta, ma mi pare che ci sia bisogno sia del determinismo che dell'indeterminismo per spiegare la realtà in modo soddisfacente (sono sicuro che una ontologia del tutto determinista non regga, e su questo si può discutere, come pure una in cui il caso sia affermato oltre il piano gnoseologico).
Poi te dici che è contraddittorio dire di "sì" al determinismo e metterci dentro cose che non lo riguardano, stesso discorso che avevo fatto io e che ho anche scritto in un saggio, ma è anche per questo che ti dico: prova a non pensare un sistema che è in parte deterministico e in parte no, pensane uno in cui le due cose stanno insieme presso un'unica sostanza che per sé non è né in quel modo, né all'opposto, perché il vedere quegli aspetti in modo separato potrebbe essere un abbaglio, magari causato da sovrastrutture linguistiche (alla fine il linguaggio scentifico, ma più in generale il linguaggio che conosce, che indaga, è portato a spezzettere i suoi oggetti). Per tentare di dimostrare questa idea ho già detto che non mi sembra che facciamo esperieza effettiva né del determinismo né dell'indeterminismo, ma che queste realtà convivono sempre nei fenomeni (kantianamente); insomma, non è empiricamente che deduciamo che le cose possono essere assolutamente determinate o assolutamente indeterminate. C'è una cosa molto importante che mi sono sentito spesso dire qui in questo forum: una realtà (o entità) in cui convivano proprietà opposte è contraddittoria, paradossale, è da escludere (e so bene che questo è anche il pensiero di Severino). Purtroppo però i criteri di verità non si applicano ai fatti oggettivi, agli enti in sé (sempre che una realtà oggettiva esista), ma agli enunciati, tanto è vero che a seconda dei punti di vista si possono attribuire predicati opposti ai medesimi oggetti, questi predicati portano alla contraddizione solo al'interno dello stesso sistama, di un sistema chiuso. Se io prendo il sistema di rifermimento <<quello che vedo io>> allora quello che vedo è in un modo e non in un'altro e posso costruire frasi che si regolano su questo con tanto di criteri di verità, non contraddizione ecc, ma la verità delle frasi non è assoluta o ontologica è invece ancora relativa tale in quanto riferita ad un certo sistema e a un sitema formale (si possono costruire frasi o storie assolutamente fantastiche e verificare se ci siano o meno contraddizioni all'interno). Se l'universo fosse un sistema chiuso, allora alcune verità dei suoi elementi interni sarebbero obbiettivamente indecidibi, come dimostrano i teoremi di incomplettezza di Godel, ci sarebbero comunque delle contraddizioni insomma, dei paradossi, paradossi rislovibili solo attraverso un metasistema superiore, e così l'universo dipenderebbe sempre da un altro universo cadendo in un cattivo infinito, su cui ovviamente si può discutere ma che porta molte difficoltà concettuali. Per quanto riguarda la libertà e la colpa, bé le ritengo relative al sistema di riferimento anche queste, ma aggiungo una cosa molto importante, che all'interno dello stesso sistema si può giudicare rettamante del bene e del male e che probabilmente gli uomini prima o poi accetteranno lo stesso punto di riferimento, quindi lo stesso bene e lo stesso male. Quelli che parlano di un bene obbiettivo o di istinti naturali non mi convincono; di solito io faccio una domanda: perché dovrei penalizzarmi per far stare bene anche gli altri? (Ammettendo che io sia in una condizione di poter portare vantaggio a me se non avvantaggio gli altri). Finché non ci sarà una risposta seria a questa domanda non si troverà il vero motivo per cui ci si dovrebbe comportare tenedo un occhio di riguardo verso la società. Io la risposta me la sono data per ora: non considerando gli altri come "altro da me", posso ben dire che non mi converrebbe di penalizzarli. Dire che ci si realizza meglio lavorando per la società o che questo è un instinto naturale porta il grande svantaggio di dover fare i conti con chi non sembra realizzarsi facendo questo ma rubbando o uccidendo, in loro l'istinto è magicamente sparito. Se poi si parla del bene e del male assoluti, allora bisogna dimostrare di esserne in possesso: come convincere gli altri che la tua visione è quella obbiettivamente buona? Sovente mi sento rispondere: lo so e basta, è così, si sa, ecc.., nulla di convincente, poche argomentazioni. |