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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-09-2013, 23.08.35   #81
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Tuttavia, dice ancora Levinas, questo presente è "evanescente", perchè se durasse avrebbe ricevuto la sua esistenza da qualcosa che lo precede (qui è chiara la contrapposizione con la necessità severiniana).
Sì, per Severino ciò che precede l'esistente è il principio di non contraddizione, ossia il principio di identità che però è simultaneamente posto dall'esistente stesso, non è pertanto un'astrazione logica, ma è lo stesso apparire fenomenico che subito lo esige: il fenomeno è proprio quel fenomeno che è.
Citazione:
Levinas ritiene che il "cominciamento" non possa che risiedere in quel "partire da sè" della coscienza di cui dicevo all'inizio.
Nel momento in cui la coscienza si "identifica", cioè nel momento in cui l'esistente si rende consapevole della propria esistenza, l'"io" (che Levinas definisce "modo d'esistere per eccellenza"), e proprio per quel suo "partire da sè", è caratterizzato dalla solitudine.
In questo il pensiero di Levinas mi richiama l'io trascendentale di Husserl. Non so se l'accostamento è indebito. L'obiezione che Severino pone all'io trascendentale come fenomeno originario e primo è che questo io è ancora una posizione di fede del tutto discutibile, l'ennesimo muro di pietra destinato a crollare. Cos'è dopotutto l'io trascendentale se non la rappresentazione di una volontà di potenza trascendentale che si vuole rappresentare come nucleo agente di volontà, come il soggetto di aggancio della volontà che vuole?
Giustamente comunque il sentimento dell'io pone il sentimento dell'altro, che è il volto dell'altro che si volge verso l'io che in quel volto si rispecchia (nel riconoscermi dell'altro che mi accoglie io riconosco me stesso, trovo la mia definizione che non si disperde più continuamente nell'angosciante evanescenza dell'indefinito esserci), ma allora l'io e l'altro non viaggiano più paralleli mantenendo la loro distanza di rispetto, ma continuamente si intrecciano e si incontrano, e si sbattono pure contro respingendosi e allontanandosi, ma forse proprio per via di questa continua danza, una sorta di paso doble, alla fine non si ritrovano mai soli.

Hai qualche libro da consigliarmi per avvicinarmi a Levinas?
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Vecchio 26-09-2013, 20.36.34   #82
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@ Maral
No, non credo che l'accostamento con l'"io" trascendentale di Husserl sia indebito. E questo pur se Levinas
afferma: "nell'istante in cui poniamo il presente come il dominio dell'esistente sull'esistere e cerchiamo
il passaggio dall'esistere all'esistente, ci troviamo collocati in un piano di ricerca che non si può
qualificare in termini di esperienza. E se la fenomenologia non è altro che un metodo di esperienza radicale,
ci troveremo al di là della fenomenologia".
Si tratterebbe allora di comprendere meglio come Levinas intenda quell'"al di là della fenomenologia", visto
che l'"io" da lui tratteggiato sembra possedere quel carattere privilegiato della percezione immanente che
è proprio dell'"io" husserliano.
Forse che la risposta vada ricercata in quella che Levinas definisce "ipostasi" (il momento della "lacerazione"
del "c'è", cioè l'instaurazione - "identificazione"- del rapporto fra l'esistente e la sua esistenza)?
A tal proposito, Levinas afferma che l'ipostasi DEL presente è solo un momento dell'ipostasi, e che il tempo
può indicare una relazione diversa fra l'esistere e l'esistente (l'esistente, come ho già detto, ha un
ricordo che si situa nel passato e una progettualità che si situa nel futuro).
Mi sembra di poter affermare che quella che Levinas chiama "evanescenza" (del presente, e che come dicevo è
dunque evanescenza dello stesso essere dell'essente) si possa riferire anche all'"io" trascendentale così
come inteso da Husserl.
Se, come Levinas fa nello svolgimento del suo pensiero (in una parte da me ancora non toccata), il tempo
viene a coincidere con l'"assolutamente-Altro", allora non può esservi "privilegio" nella percezione immanente
dell'"io", ma solo quell'evanescenza che è propria del presente. Questo, a meno di non voler sostenere che
può esservi carattere privilegiato della percezione immanente in qualcosa che è assolutamente Altro dall'"io".
Solo così, a me pare, può essere spiegato il perchè Levinas sostenga di essere "al di là" della fenonenologia.
Concludo consigliandoti quello che è il "must have" di Levinas: "Totalità e infinito".
Ti saluto con cordialità e stima, ringraziandoti della interessantissima discussione.
mauro
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Vecchio 28-09-2013, 18.06.57   #83
and1972rea
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Originalmente inviato da jeangene
Ciao a tutti,
l' argomento è molto interessante.

Premetto che non conosco molto Severino...

C' è una cosa che non capisco: perchè il divenire implica il nulla?
L' Essere non può essere paragonato ad una immensa bolla d' acqua che continuamente cambia forma, ma che, nel suo mutare/divenire rimane sempre sè stessa?

Il principio di conservazione di massa di Lavoisier recita: "Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma." ed è evidente, non ho mai avuto esperienza di enti derivati dal nulla o annientatisi nel nulla.

Perchè il divenire implica il nulla?

Severino esprime ,semplicemente, una constatazione del tutto evidente e logicamente incontestabile, e cioe' che Essere e non Essere non sono due aspetti contrapposti del Reale, ne' il primo puo' nascere dal secondo o esservi legato da una qualunque relazione logica, come gia' Parmenide dimostro' , il reale consiste solo in cio' che esiste, cio' che diciamo non esistere, logicamente, e' solo errore e vana apparenza. L'Essere , quindi, non puo' passare per il Nonessere ne' attraverso il tempo, ne' attraverso lo spazio, e il semplice fatto di constatare l'apparente mutevolezza degli enti attraverso la dimensionalita' del nostro esperire, non dimostra logicamente alcunche' riguardo alla natura ontologica del divenire. Il divenire , quindi, non puo' considerarsi ontologicamente come Essere mutevole , perche' ,se esso mutasse realmente, dovrebbe contraddire se' stesso attraverso continui salti in un Nulla razionalmente inammissibile; il divenire , quindi, e' solo un nostro modo di guardare al reale , che in se' e per se' rimane immutabile e apparentemente mutevole solo attraverso i nostri personalissimi e relativi filtri del tempo e dello spazio. Questa antichissima evidente constatazione ha delle implicazioni molto empiriche e pratiche, che , oramai, anche la scienza moderna e' sulla via di dimostrare incontestabilmente: tempo e spazio sono metri relativi e comunque solo convenzionali ,operativi ed ontologicamente inconsistenti, le relazioni fra elementi della natura spazialmente distantissimi fra loro possono essere del tutto immediate e verificarsi a prescindere da qualunque nozione di localita' o temporalita'. Un fronte d'onda luminoso in allontanamento dall'osservatore non varia unicamente la frequenza del suo impulso elettromagnetico, ma anche la sua ampiezza, e cio' vuol dire che le distanze fra gli elementi dello spazio naturale sono intimamente legate alle reciproche relative dimensioni degli stessi; ogni elemento dello spazio reale pare essere intimamente ed immediatamente legato a qualsiasi altro elemento di quello spazio, al di la' del tempo e delle distanze apparenti che li separano. In ogni porzione del Reale , quindi, e' razionalmente ammissibile che vi sia contenuto tutto il Reale , e non solamente viceversa; in ogni sua parte apparente, il Reale e' immutabile , compiutamente ed immediatamente relazionato in se' stesso; e' impensabile che ogni suo punto non sia immediatamente relazionato ad ogni altro suo punto , e questo lo si comincia a constatare fisicamente anche osservandolo attraverso lo spazio ed il tempo. In quest'ottica, la fisica moderna ha iniziato un percorso conoscitivo della Natura di tipo sempre piu' parmenideo, e questo e' innegabile e sotto gli occhi di tutti.
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Vecchio 30-09-2013, 16.25.24   #84
jeangene
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Originalmente inviato da and1972rea
...
Ciò che non mi convince sono gli esempi sull' eternità degli enti, come quando (ad esempio) si afferma che una sedia é un ente eterno che entra ed esce dal cerchio dell' apparire. Per chiarire l' esempio io parlerei di eternità di ciò che si nasconde dietro alla rappresentazione di sedia, di eternità di quella entità noumenica che noi rappresentiamo come sedia, ma che, potenzialmente, potrebbe essere rappresentata in infiniti modi diversi.
(...ma forse tutto questo era dato per scontato.)
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Vecchio 01-10-2013, 16.01.13   #85
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"Perchè il divenire implica il nulla?"

@ Jeangene e And1972rea
E' quello che mi chiedo anch'io (e dopo una lunghissima discussione in merito)...
Ma perchè, io dico, non parliamo di una persona che "diventa" vecchia e poi...muore?
La logica con cui Severino approccia il problema è ineccepibile. Eccepibile è però il suo "mirare" al nichilismo
come soggetto della contraddizione, ed estremamente discutibile è quel suo attribuire al nichilismo la
coincidenza ontologica di nulla e morte.
E' vero, per il nichilismo la morte è il nulla, ma il nichilismo non cerca (e qui, secondo me, Severino vuole
chiudere gli occhi...) definizioni logiche, o ontologiche, della morte. Il nichilismo "constata" che un
corpo in decomposizione non è la persona, magari viva ed allegra, che era. Che quella persona è "annullata"
NELLA morte.
Il nichilismo è sofferenza, è paura esistenziale, e non fredda logica.
ciao
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Vecchio 02-10-2013, 10.09.13   #86
maral
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Originalmente inviato da jeangene
Ciò che non mi convince sono gli esempi sull' eternità degli enti, come quando (ad esempio) si afferma che una sedia é un ente eterno che entra ed esce dal cerchio dell' apparire. Per chiarire l' esempio io parlerei di eternità di ciò che si nasconde dietro alla rappresentazione di sedia, di eternità di quella entità noumenica che noi rappresentiamo come sedia, ma che, potenzialmente, potrebbe essere rappresentata in infiniti modi diversi.
(...ma forse tutto questo era dato per scontato.)
Per Severino l'ente eterno è l'ente completamente preso in quanto tale, quindi non tanto la sedia che è già un'astrazione (una parte dell'intero sedia che si vuole lo rappresenti), ma proprio questa sedia specifica e unica su cui ora, questa mattina e in questa stanza sto seduto. La sedia su cui un'ora fa non ero seduto e che per comodità in base a un rapporto di somiglianza considero come se fosse la medesima sedia su cui ora sono seduto è un altro ente ugualmente eterno. Ciò che si nasconde (e alternativamente appare) non è quindi un noumeno indefinito che può acquisire qualsiasi rappresentazione mostrandosi, ma innumerevoli enti sedie precisamente e concretamente definiti da tutti i loro attributi che li rendono (ciascuno di essi) un intero universo inscindibile.
Severino intende così mostrare nel modo più radicale quel percorso di tutta la filosofia che crea per astrazione degli eterni privilegiati (idea di sedia, noumeno ecc.) ma nel contempo vuole costantemente, in nome della assoluta fede nel divenire, sottrarre ad essi tale privilegio arrivando in tal modo inevitabilmente al nichilismo assoluto. Pertanto se si riafferma il noumeno si effettua un passo indietro sul cammino del destino, passo che peraltro non porta ad alcunché, perché il percorso nichilistico è comunque inevitabile per il pensiero filosofico ed è lo stesso percorso che porta (con il diventar niente della stessa volontà che vuole il niente che finisce con l'investire pure se stessa) al tramonto della terra isolata sostituita dalla terra della gloria.
In altre parole Severino afferma la necessità assoluta della morte (del tramonto) ove la morte -isolamento estremo dell'essente- coincide però con la resurrezione, ossia con l'apparire evidentissimo del non isolamento di ogni intero e concreto essente.
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Vecchio 02-10-2013, 23.09.16   #87
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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
"Perchè il divenire implica il nulla?"

@ Jeangene e And1972rea
E' quello che mi chiedo anch'io (e dopo una lunghissima discussione in merito)...
Ma perchè, io dico, non parliamo di una persona che "diventa" vecchia e poi...muore?
La logica con cui Severino approccia il problema è ineccepibile. Eccepibile è però il suo "mirare" al nichilismo
come soggetto della contraddizione, ed estremamente discutibile è quel suo attribuire al nichilismo la
coincidenza ontologica di nulla e morte.
E' vero, per il nichilismo la morte è il nulla, ma il nichilismo non cerca (e qui, secondo me, Severino vuole
chiudere gli occhi...) definizioni logiche, o ontologiche, della morte. Il nichilismo "constata" che un
corpo in decomposizione non è la persona, magari viva ed allegra, che era. Che quella persona è "annullata"
NELLA morte.
Il nichilismo è sofferenza, è paura esistenziale, e non fredda logica.
ciao

La fredda logica di Severino in realta' ci conforta sul fatto evidente e logicamente incontestabile che l'insieme di relazioni chimico fisiche che legavano il flusso delle particelle di un corpo umano dal suo concepimento ( e anche prima, molto profondamente prima , talmente prima che il prima diventa principio) al suo disfacimento( e anche dopo...) non iniziano dal nulla e non finiscono , semplicemente, nel nulla; l'essenza del nostro esistere , per Severino, va colto al di la' del singolo fotogramma , del singolo fermo immagine rappresentato dal nostro esperire dimensionale; il carattere , la memoria,lo spirito di una persona che diviene cenere , e' l'insieme di sinapsi neuronali , neurotrasmettitori, e con essi e in essi l'alternarsi di miriadi di particelle atomiche e subatomiche, e insieme ad esse , profondamente e abissalmente affondando via via nel Reale ,l'insieme di innumerevoli altri stadi dell'essente che non conosciamo ancora e che “apparentemente” mutano il loro stato dimensionale dinanzi ai nostri occhi, ma che in realta' non trovano confini logici all'interno di una bara , ne' si annullano nella apparente dispersione delle particelle che esperiamo; non credo di fraintendere Severino se dico , insieme a lui, che ogni uomo , in quanto essente ,non puo' essere soltanto assimilabile ad una figura immaginaria ed evanescente che formano le nuvole in cielo, o ad un volto immaginifico che disegnano le insenature fra le nude rocce a seconda della prospettiva da cui osserviamo; un uomo , come qualsiasi essente, e' profondamente ed infinitamente di piu' di cio' che il nostro esperire puo' percepire frammentariamente fra le pieghe del divenire.
La scienza scientista , non quella vera, continua a circoscrivere ed isolare le apparenze dell'esperire dall'essere in cui esse sono in assoluto profondamente radicate, mitizzandole e costruendo sopra di esse dei totem che continua ad abbattere e a ricostruire di continuo mano mano che esse si moltiplicano, pensando cosi' di allargare la propria potenza noetica sul mondo, ma in questo modo insegue il sapere come un assetato i propri miraggi nel deserto, credendo di continuo di essere sul punto di raggiungere la fonte di ogni discernimento , salvo poi proseguire vanamente per ritornare a perdersi in tondo sulle sue stesse impronte.
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Vecchio 03-10-2013, 09.59.06   #88
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Jeangene e And1972rea
E' quello che mi chiedo anch'io (e dopo una lunghissima discussione in merito)...
Ma perchè, io dico, non parliamo di una persona che "diventa" vecchia e poi...muore?
La logica con cui Severino approccia il problema è ineccepibile. Eccepibile è però il suo "mirare" al nichilismo
come soggetto della contraddizione, ed estremamente discutibile è quel suo attribuire al nichilismo la
coincidenza ontologica di nulla e morte.
E' vero, per il nichilismo la morte è il nulla, ma il nichilismo non cerca (e qui, secondo me, Severino vuole
chiudere gli occhi...) definizioni logiche, o ontologiche, della morte. Il nichilismo "constata" che un
corpo in decomposizione non è la persona, magari viva ed allegra, che era. Che quella persona è "annullata"
NELLA morte.
Il nichilismo è sofferenza, è paura esistenziale, e non fredda logica.


Ecco, io non condivido del tutto il pensiero di Severino, ma una cosa la condivido, la lotta contro questo tipo di nichilismo.
Trovo che la constatazione "dopo la morte la persona è annullata" sia molto meno evidente di ciò che comunemente (al giorno d'oggi) si crede. Forse, a causa della scarsa fiducia nella filosofia, non si studia più tanto il problema dell'essere, percui si usa questa parola con troppa leggerezza. In germania la facoltà di filosofia è annessa a quella di logica, qui in italia a quelle umanistiche. L'uso corretto che si può fare di parole quali essere e nulla è oggetto di studi dal tempo della filosofia antica e oggi se ne occupa molto anche la metafisica analitica, che cerca di dare un certo rigore logico/matematico alle asserzioni filosofiche. Tutti potranno rendersi conto della portata del problema scrivendo semplicemente sul proprio sistema di ricerca "l'essere".
La mia posizione in merito è che l'essere di un oggetto non possa identificarsi con le proprietà con cui identifichiamo l'oggetto stesso, ma può essere pensato come un substrato in cui le proprietà appartenenti ad una sorta di unico enete (l'essere appunto) appaiono. Il senso del nulla e quello dell'essere sarebbero assai vicini; in entrambi i casi non troviamo proprietà ma, forse, il semplice potenziale del dispiegamento di proprietà (forme o modalità). In questo senso noi non spariremo mai, noi non-saremo mai, perché, anche se cambiano le proprietà emergenti il nostro essere (che è lo stesso per tutti e indefinito) permane. Così sarà sbagliato dire "non sarò più", semplicemente diremo "sarò diverso" (cioè "avrò altre proprietà"). Questa posizione nasce innanzitutto dalla constatazione che la parola Essere denota puntualmente (nel linguaggio comune) una serie di proprietà che non si esplicitano direttamente per comodità espresiva e che non può, dunque, significare nulla di più essenziale negli oggetti. Se dico "pegaso non esiste" volevo dire semplicemente "pegaso non è alto 2 metri, lungo 3, fatto di carne ed ossa ecc., ma è una serie di impulsi elettrochimici nella mia testa" ad esempio. Quando dirò che il mio cane non-è più, avrò semplicemente detto che ha perso certe caratteristiche come di consueto accade in continuazione.
Un altro dei principali motivi per cui credo questo è che nessuno può ostentare delle proprietà al di fuori di una relazione con il resto dell'universo. Se io ho questa forma non è solo grazie a me, ma grazie alla pressione, per esempio, nell'atmosfera terrestre. Se ciò che è fuori dal "mio" corpo non esistesse più nemmeno io esisterei più (utilizzando un modo comune di intendere l'essere), percui non si può pensare che siamo entità obbiettive con precise caratteriste di per sé, e così non possiamo dire di essere "l'animale alto 1,80 cm, con capelli e barba". Se io fossi davvero una cosa del genere, una volta eliminati gli altri enti nel mondo dovrei continuare a possedere le mie proprietà, se invece sono legato indissolubilmente al resto delle cose "esistenti" allora Io sono "l'animale alto ecc, nel pianeta terra" così il pianeta terra rientrerà nella definizione del mio essere in quanto elemento indispensabile. In poche parole le proprietà del mio corpo non appartengono al mio corpo, ma "appartengono" all'intero sistema da cui scaturiscono (non scaturiscono da me).

In un certo senso c'è anche una critica a un certo materialismo che individua gli oggetti ontologici come cose in sé, oggetti che di per sé ostenterebbero delle proprietà, mentre è evidente che niente sarebbe in un certo modo se non grazie alla definizione tramite l'alterità.



Mi piaceva di dire la mia in proposito ciao!

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Vecchio 03-10-2013, 16.38.53   #89
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Originalmente inviato da Aggressor
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E' quello che mi chiedo anch'io (e dopo una lunghissima discussione in merito)...
Ma perchè, io dico, non parliamo di una persona che "diventa" vecchia e poi...muore?
La logica con cui Severino approccia il problema è ineccepibile. Eccepibile è però il suo "mirare" al nichilismo
come soggetto della contraddizione, ed estremamente discutibile è quel suo attribuire al nichilismo la
coincidenza ontologica di nulla e morte.
E' vero, per il nichilismo la morte è il nulla, ma il nichilismo non cerca (e qui, secondo me, Severino vuole
chiudere gli occhi...) definizioni logiche, o ontologiche, della morte. Il nichilismo "constata" che un
corpo in decomposizione non è la persona, magari viva ed allegra, che era. Che quella persona è "annullata"
NELLA morte.
Il nichilismo è sofferenza, è paura esistenziale, e non fredda logica.


Ecco, io non condivido del tutto il pensiero di Severino, ma una cosa la condivido, la lotta contro questo tipo di nichilismo.
Trovo che la constatazione "dopo la morte la persona è annullata" sia molto meno evidente di ciò che comunemente (al giorno d'oggi) si crede. Forse, a causa della scarsa fiducia nella filosofia, non si studia più tanto il problema dell'essere, percui si usa questa parola con troppa leggerezza. In germania la facoltà di filosofia è annessa a quella di logica, qui in italia a quelle umanistiche. L'uso corretto che si può fare di parole quali essere e nulla è oggetto di studi dal tempo della filosofia antica e oggi se ne occupa molto anche la metafisica analitica, che cerca di dare un certo rigore logico/matematico alle asserzioni filosofiche. Tutti potranno rendersi conto della portata del problema scrivendo semplicemente sul proprio sistema di ricerca "l'essere".
La mia posizione in merito è che l'essere di un oggetto non possa identificarsi con le proprietà con cui identifichiamo l'oggetto stesso, ma può essere pensato come un substrato in cui le proprietà appartenenti ad una sorta di unico enete (l'essere appunto) appaiono. Il senso del nulla e quello dell'essere sarebbero assai vicini; in entrambi i casi non troviamo proprietà ma, forse, il semplice potenziale del dispiegamento di proprietà (forme o modalità). In questo senso noi non spariremo mai, noi non-saremo mai, perché, anche se cambiano le proprietà emergenti il nostro essere (che è lo stesso per tutti e indefinito) permane. Così sarà sbagliato dire "non sarò più", semplicemente diremo "sarò diverso" (cioè "avrò altre proprietà"). Questa posizione nasce innanzitutto dalla constatazione che la parola Essere denota puntualmente (nel linguaggio comune) una serie di proprietà che non si esplicitano direttamente per comodità espresiva e che non può, dunque, significare nulla di più essenziale negli oggetti. Se dico "pegaso non esiste" volevo dire semplicemente "pegaso non è alto 2 metri, lungo 3, fatto di carne ed ossa ecc., ma è una serie di impulsi elettrochimici nella mia testa" ad esempio. Quando dirò che il mio cane non-è più, avrò semplicemente detto che ha perso certe caratteristiche come di consueto accade in continuazione.
Un altro dei principali motivi per cui credo questo è che nessuno può ostentare delle proprietà al di fuori di una relazione con il resto dell'universo. Se io ho questa forma non è solo grazie a me, ma grazie alla pressione, per esempio, nell'atmosfera terrestre. Se ciò che è fuori dal "mio" corpo non esistesse più nemmeno io esisterei più (utilizzando un modo comune di intendere l'essere), percui non si può pensare che siamo entità obbiettive con precise caratteriste di per sé, e così non possiamo dire di essere "l'animale alto 1,80 cm, con capelli e barba". Se io fossi davvero una cosa del genere, una volta eliminati gli altri enti nel mondo dovrei continuare a possedere le mie proprietà, se invece sono legato indissolubilmente al resto delle cose "esistenti" allora Io sono "l'animale alto ecc, nel pianeta terra" così il pianeta terra rientrerà nella definizione del mio essere in quanto elemento indispensabile. In poche parole le proprietà del mio corpo non appartengono al mio corpo, ma "appartengono" all'intero sistema da cui scaturiscono (non scaturiscono da me).

In un certo senso c'è anche una critica a un certo materialismo che individua gli oggetti ontologici come cose in sé, oggetti che di per sé ostenterebbero delle proprietà, mentre è evidente che niente sarebbe in un certo modo se non grazie alla definizione tramite l'alterità.



Mi piaceva di dire la mia in proposito ciao!

be', concordo con Te ,e non si puo' essere che d'accordo sull'evidenza di constatazioni che sono alla portata di chiunque di noi; e' chiaro che qualsiasi fenomeno che osserviamo realmente non e' un ritaglio astraibile dal mondo, esso e' profondamente nel mondo , e' il mondo stesso , ed e' parte del mondo essente nel senso piu' compiuto che diamo al significato di parte come ente non circoscrivibile dal Nulla ne' nel tempo ne' nello spazio; se tocco quella sedia, non mi metto in relazione con una parte astratta dal Tutto, ma con il Tutto intero ,rimanendo nel Tutto , ma in modo diverso; e' impossibile pensare razionalmente che in un tempo ed in luogo diverso dal nostro l'Essere non abbia nulla a che vedere con noi e non ci riguardi in alcun modo; davvero possiamo pensare che sul Sole in questo istante qualunque cosa accade possa interagire con noi non prima di 8 minuti del nostro tempo? e nel frattempo? nel frattempo dovremmo vivere in parti distinte dell'Essere ? completamente scisse e separate dal nulla? se così fosse, in quale punto del tempo e dello spazio che ci separano il Nulla comincerebbe a diventare Essere ? e' evidente che tutto non puo' che essere soltanto essente,e' evidente che ogni punto del Reale non puo' che essere immediatamente ( non mediatamente ) relazionato ad ogni altro punto di esso.
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Vecchio 04-10-2013, 08.39.07   #90
jeangene
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Citazione:
Originalmente inviato da maral
Per Severino l'ente eterno è l'ente completamente preso in quanto tale, quindi non tanto la sedia che è già un'astrazione (una parte dell'intero sedia che si vuole lo rappresenti), ma proprio questa sedia specifica e unica su cui ora, questa mattina e in questa stanza sto seduto. La sedia su cui un'ora fa non ero seduto e che per comodità in base a un rapporto di somiglianza considero come se fosse la medesima sedia su cui ora sono seduto è un altro ente ugualmente eterno. Ciò che si nasconde (e alternativamente appare) non è quindi un noumeno indefinito che può acquisire qualsiasi rappresentazione mostrandosi, ma innumerevoli enti sedie precisamente e concretamente definiti da tutti i loro attributi che li rendono (ciascuno di essi) un intero universo inscindibile.
Severino intende così mostrare nel modo più radicale quel percorso di tutta la filosofia che crea per astrazione degli eterni privilegiati (idea di sedia, noumeno ecc.) ma nel contempo vuole costantemente, in nome della assoluta fede nel divenire, sottrarre ad essi tale privilegio arrivando in tal modo inevitabilmente al nichilismo assoluto. Pertanto se si riafferma il noumeno si effettua un passo indietro sul cammino del destino, passo che peraltro non porta ad alcunché, perché il percorso nichilistico è comunque inevitabile per il pensiero filosofico ed è lo stesso percorso che porta (con il diventar niente della stessa volontà che vuole il niente che finisce con l'investire pure se stessa) al tramonto della terra isolata sostituita dalla terra della gloria.
In altre parole Severino afferma la necessità assoluta della morte (del tramonto) ove la morte -isolamento estremo dell'essente- coincide però con la resurrezione, ossia con l'apparire evidentissimo del non isolamento di ogni intero e concreto essente.

Cioè vuoi dire che tutte le caratteristiche di un ente appartengono all' ente stesso e non siamo noi ad attribuirgliele attraverso un processo di costruzione della relativa rappresentazione fenomenica/mentale?
Scusate se torno sull' argomento, ma se io mi chiedessi: "Di cosa é fatto questo ente?". Durante questa indagine non potrei forse imbattermi in quella famosa sostanza fondante tanto cercata dagli antichi greci?
Per me é talmente naturale, semplice e razionale pensare ad una sostanza origine di tutto ciò che é che non posso fare a meno di menzionarla.
Se davvero questa sostanza esistesse anche il problema del divenire e del nulla sarebbe risolto perché nel suo divenire, nel suo cambiare essa resterebbe sempre identica a sé stessa.
Mi piacerebbe approfondire questo argomento con voi perché non vorrei essermi talmente affezzionato a questa idea da non vederne i limiti o le contraddizioni.
jeangene is offline  

 



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