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31-12-2013, 03.23.45 | #172 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Maral:
Aggressor, se non fosse possibile ascrivere questa o quella caratteristica a qualcuno in particolare non vedo proprio come si potrebbe parlare di diversità (diverso da che?). La diversità prescrive l'ente anche se lo vedi come modalità dell'essere. Le caratteristiche del contesto peraltro non sono separabili dall'ente da cui emerge come quell'ente (il rosso di questo fiore è il rosso che emerge da un contesto di enti che non sono questo fiore), il contesto è dato da relazioni specifiche tra le quali in primo luogo vi è proprio l'irriducibile differenza che tiene gli enti non separati (ossia non isolati proprio in quanto sono diversi). Immagino dunque che tu sappia a chi appartiene una certa proprietà; ma se una certa proprietà appartiene a qualcuno e non a qualcun altro perché eliminando l' "altro" il qualcuno perde la "sua" proprietà? E se dici: "la sfera (che ho di fronte a me) è sferica (cioè ha la forma di questa particolare sfericità)" come se "la sfera" possedesse la sfericità, non ti pare di finire in un circolo vizioso scatenato dal fatto che "la sfera" nominata non è altro che quella particolare "sfericità"? Perché dunque aggiungere al fatto che noti una particolare sfericità quello che questa sfericità dovrebbe appartenere a qualcuno in particolare? E se si potesse essere diversi da se stessi (e non da qualcos'altro), o, in una parola variegati? Essere diversi da sé ha senso? E se no, perché avrebbe senso solo essere diversi da qualcos'altro? Ho cercato di mostrare quello che trovo paradossale del principio di identità: x e y sarebbero lo stesso oggetto se avessero le stesse proprietà; ma a questo punto x e y, considerati come altro rispetto alle loro proprietà (i loro "proprietari"), non potrebbero distinguersi l'uno dall'altro, sono le proprietà che si distinguono, dunque, non colui che le "possiede" di per sé. Ma se avvedutoti di questo inizierai a trattare le proprietà come gli oggetti (come x e y) cadrai ancora nello stesso paradosso di voler additare a qualcuno delle "istanze" (affermare che "qualcuno" è qualcosa", tipo la sfera e la sfericità) che invero non hanno proprietari e che non si possono distinguere nell'essere (se ci pensi l'essere, l'è, è anche la caratteristica identica di ogni ente) ma solo nel porsi; per questo direi che è più giusto affermare "questo è diverso" più che "questo non è questo". Maral: Ma mostrare a chi? Dici bene: l'essere deve mostrarsi variegato per apparire, ma l'apparire è relazione con qualcos'altro che non può essere il niente. Può invece essere l'ente che è compreso nell'essere come sua originaria istanza molteplice che a sua volta originariamente lo comprende e comprendendolo pone ciò da cui è posto. Ogni ente è in tal modo concretamente quell'aspetto finito dell'essere che continuamente nel suo apparire allude all'infinito dell'essere. O l'apparire è relazione con qualcos'altro oppure, alla Fichte (e alla me x) ), l'apparire, l'azione, "precede ontologicamente" l'essere dei protagonisti dell'azione creandoli (solo insieme gli enti esistono infatti, non separatamente, per cui non può esserci un momento in cui essi sono separati e poi interagiscono). Oppure semplicemente tutte queste cose non si precedono l'una all'altra; in ogni caso non c'è motivo di dire che l'apparire ha bisogno degli enti prima di svilupparsi. Maral: No, <<questo non è quello>> significa ancora <<questo è diverso da quello>>, semplicemente occorre negare che <<questo non è quello>> implichi una separazione tra questo e quello. Tutto ciò sarà verso solo prendendo per buono il principio di identità che trovo, in realtà, assai ambiguo (come ho mostrato prima). Per tutto il resto saremmo in accordo, ma io devo ancora capire se ha davvero un senso parlare dell'essere specifico di qualcosa o se non ci sia affatto bisogno di tutto questo, se basti semplicemente parlare delle cose (di caratteristiche, di forme) e lasciare l'essere nella sua assolutezza.. Un saluto grande Maral! |
01-01-2014, 11.32.53 | #173 | |||||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
Perché quella proprietà che connota l'ente A, lo connota in quanto non è quella dell'ente B ed è proprio questa relazione espressa dalla negazione che la fa emergere come tale. Il rosso di questa mela è il rosso di questa mela in quanto non è il rosso di questa matita o di altre cose ma questo significa che se non vi fossero i rossi di queste altre cose non vi sarebbe neppure il rosso di questa mela. Gli altri costituiscono lo sfondo indispensabile su cui solo questa mela può mostrarsi, mela che a sua volta è un altro per ognuna di quelle altre cose. Citazione:
Citazione:
Lo stesso principio di identità assunto in tale modo separato è una contraddizione. Se dico la sfera è la sfera mi contraddico in quanto equiparo la sfera soggetto alla sfera predicato, in realtà la sfera è sfera senza contraddizione in quanto la sfera predicato è la sfericità di quella sfera soggetto e non altra, non una sfericità astratta di un essere generalissimo, ma la sfericità di quel particolare essente che è proprio questa sfera per come è. E' vero che la sfera soggetto separata dal suo predicato è niente, ma è altrettanto vero che la sfera predicato nella sua astrazione isolata è parimenti niente poiché non predica di ciò a cui conviene. Per farla essere qualcosa tu la riconduci platonicamente a proprietà dell'essere e non della sfera, ma questo la svuota di ogni concreto effettivo significare. Citazione:
Citazione:
Tanti auguri di un anno felice Aggressor! |
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01-01-2014, 19.39.50 | #174 |
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Maral:
Perché la sfericità di questa sfera è comunque la sfericità di questa sfera e non quella di altre sfere. Posso certo astrarre un concetto di sfericità comune a un gruppo di sfere (come nell'insiemistica matematica), ma non posso esaurire l'essere di questa sfera a tale astrazione, altrimenti vado incontro a paradossi (ad esempio il paradosso di Russell). Io non dico che dovremmo parlare della proprietà generali (astratte) ma parlare delle proprietà concrete quali si manifestano particolarmente (tropi). Dicevo, infatti, che di solito si afferma come proprietario di certe particolari proprietà (non considerate astrattamente) degli enti a cui ci riferiamo con nomi o nomi propri. Ma questi nomi non si riferiscono a qualcosa di altro rispetto alle proprietà concrete (quella particolare sfera o sfericità), per cui alla fine si ammette che le proprietà particolari si auto-possiedono, il che non ha alcun senso interessante. Ma poi che vuol dire che un "ente" (ma come è fatto, cos'è questo ente?) "possiede" delle cose? Con la locuzione "Questa Sfera" indico una certa forma sferica, e perché mai "questa sfera" dovrebbe essere sferica se essa è solo un nome col quale indico la sfericità stessa? Maral: Ma così dicendo tu separi di nuovo isolando le proprietà da chi le possiede , ciò che si predica del soggetto dal soggetto di cui si predica e suggerisci che dopotutto basta tenere fermi i predicati riferiti a un soggetto generalissimo e astratto, del tutto indefinito. Ti collochi cioè ancora in una logica separante. io dico invece che il predicato se non si vuole cadere in contraddizione (e dunque se non si vuole predicare del nulla) non può essere separato da ciò di cui si predica, ossia sussiste un ciò di cui si predica che è definito dai suoi predicati ma equivalentemente i cui predicati sono definiti proprio da ciò di cui si predica e non da un essere generalissimo. Dici che i predicati devono essere accostati a qualcuno (il soggetto) che è definito dai suoi stessi predicati, ma se lui non è i suoi predicati: o è diverso da essi (cioè detiene di per sé altri predicati; in questo caso però cadiamo in un cattivo infinito il cui problema fondamentale è che il soggetto di quei predicati sarebbe, in realtà, soggetto di altri predicati), o essendo altro dai predicabili stessi (in generale) non potrà venire distinto da altri soggetti perché la distinguibilità si basa sulle proprietà. Se il soggetto definisce i suoi predicati dovrebbe avere una forma, non trovi? |
02-01-2014, 10.15.52 | #175 | ||||
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Un cordiale saluto |
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08-01-2014, 03.15.39 | #176 | |
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In realtà il mio scopo è eliminare questa separazione tra soggetto e predicati. Certe volte sembra che affermo il contrario perché dico "le proprietà appartengono ad un unico ente e non a molti separatamente", ma lo faccio solo per chiarire che esse non appartengono a "qualcuno in particolare", e così, in realtà, a nessuno o a tutti (mi sono espresso in quel modo anche e sopratutto per evocare la mia idea più chiaramente in principio, sapevo che avrei dovuto specificare in seguito). Alla fine vorrei poter dire che "Io" non sono "letteralmente" così e cosà. Il fatto che voglia descrivere la realtà parlando di "Me" (=>per comodità espressiva, in questo senso considero il "Me" alla stregua di un "gioco linguistico" che semplicemente permette di intenderci) non vuol dire che Io non sia te. Il problema stà proprio nel definire le proprietà come inerenti ad un ente che astratto da quelle diventerebbe l'Essere (qualcosa di indefinito, di inseparabile) indistinguibile (un "nulla", appunto). Per questo devo riproporre la mia ultima critica: Dici che i predicati devono essere accostati a qualcuno (il soggetto) che è definito dai suoi stessi predicati, ma se lui non è i suoi predicati: o è diverso da essi (cioè detiene di per sé altri predicati; in questo caso però cadiamo in un cattivo infinito il cui problema fondamentale è che il soggetto di quei predicati sarebbe, in realtà, soggetto di altri predicati), o essendo altro dai predicabili stessi (in generale) non potrà venire distinto da altri soggetti perché la distinguibilità si basa sulle proprietà. Se il soggetto definisce i suoi predicati dovrebbe avere una forma, non trovi? Scusa se ci ho messo tempo a rispondere ma ho molto da fare; inoltre trovo questo tema abbastanza delicato da meritare il giusto tempo per riflettere. Cordiali saluti |
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08-01-2014, 18.53.47 | #177 | ||
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10-01-2014, 01.47.40 | #178 |
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Maral:
Ma è qui il punto: per quale motivo dovremmo astrarre un ente dai suoi predicati e mantenerlo come tale nella sua pura astrazione? Infatti, come cercavo di dire proprio per dirimere fraintendimenti: non dovremmo affatto parlare di un possessore, o ente, o esistente, al di fuori delle proprietà stesse. Ma neanche dobbiamo parlare delle proprietà come se fossero di per sé enti. sono quello che sono e basta, il rosso non è, né non-è. si dica "rosso" e basta, senza queste precisazioni esistenziali che non posso specificare nulla data l'impossibilità del non essere. Questo discorso è strano da comprendere, secondo me (ammesso che non sia di per sé fallace), perché la lingua italiana -in particolare- usa spessissimo l'è come se si trattasse d'una specifica filosofico-esistenziale delle descrizioni; ma essa è solo una consuetudine grammaticale. Cioè non voglio, in realtà, negare che il linguaggio si sia creato anche grazie all'indirizzo di una riflessione filosofico-ontologica, ma in questo caso potrebbe aver accumulato il peso di una credenza facile da contrarre nei tempi antichi, periodi in cui un certo olismo o teorie del rapporto o della co-definizione non esistevano (mi pare; ma non ricordo davvero teorie simili all'essere-con-l'altro; cioè le teorie dell'Uno si muovevano comunque nel senso di una contrapposizione tra enti di per sé significanti e quando ciò sembrava impossibile a causa della relatività umana si è pensato ad un iperuranio stabile o ad un atomismo colmo di piccole ma per sé significanti entità). Maral: I predicati non devono essere accostati al soggetto, non esistono staccati dal soggetto di cui predicano, esattamente come il soggetto non esiste senza i predicati che gli competono in quanto da sempre è proprio quel (e non un altro) soggetto. Il soggetto è diverso dai suoi predicati in quanto è soggetto e non predicato, ma questa differenza non necessita di alcuna separazione isolante. La forma che i predicati predicano, nel modo in cui la predica non è isolabile dalla sostanza soggetto e viceversa, la forma è la stessa sostanza pur essendo da essa diversa in quanto forma predicata e non sostanza soggetto. E' l'inscindibile unione di forma e sostanza che va concretamente considerata come essente, non le loro concettualizzazioni astrattamente tenute separate, altrimenti non può apparire che la contraddizione, ossia l'essere nulla di entrambi i momenti proprio in quanto isolati. Ma se i predicati non possono essere staccati dal soggetto che differenza ci sarebbe tra i due, tanto che sei disposto a dire che un certo soggetto possiede delle proprietà ed un altro soggetto no? Non vedo la necessità di questa inscindibile unione di forma e sostanza; la sostanza, quando è pensata, è colta con una forma, per questo i fisici non hanno idea di cosa sia l'energia, cioè quella sostanza inerente a tutti i corpi, né è possibile definirla, poiché apparterrebbe a tutti. Perché parli di questa unione se non si possono separare queste cose? Oramai questo è diventato un dibattito che va avanti da un anno circa tra noi, contando altri discussioni affini, lo trovo comunque molto interessante e formativo; un saluto come al solito! |
10-01-2014, 14.27.35 | #179 | ||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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E a sua volta la forma si riferisce a una sostanza specifica, altrimenti sarebbe forma del nulla, che essendo nulla non può avere forma. Quando penso a una mela tutti i predicati specifici di questa mela mi appaiono proprio nell'essere specifico di questa mela, non nell'Essere di tutto quello che è. Se non ci fosse questa mela con la sua specificità non ci sarebbero nemmeno i predicati che la definiscono, non è che i predicati di questa mela vengano prima di questa mela. Stanno sempre insieme e stare sempre insieme non significa non poter essere diversi. |
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21-01-2014, 13.53.31 | #180 |
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Sarò strano ma continuo a non vedere la necessità di pensare ad una "sostanza" come soggetto dei predicati; io vedo i predicati: altezze, colori, distanze ecc.; dei soggetti oltre i tropi non vedo nulla. La domanda "di chi si predica?" non può ottenere, come risposta, qualcosa che sia un predicato o che abbia una forma, altrimenti ci sarebbe una contraddizione; la forma, il modo d'essere, è il predicato, oltre questo la specificità non c'è, magari può rimanere qualcosa di indefinito come "la forma".
Credo, dunque, che il soggetto delle nostre predicazioni sia indefinito, un nulla in sé stesso che solo con le proprietà acquista, nelle proprietà e non in sé, caretterizzazione. Nel linguaggio comune distinguiamo un soggetto dai suoi predicati, ma non sappiamo nulla del soggetto se non le sue predicazioni, così <<Mario è alto>> sarebbe come << X è alto>>, che questa X non sia Y, perché, magari, <<Y è basso>>, è tutto da vedere. Se "Mario" non fosse una "X" indefinita sarebbe qualcosa tipo "bello", allora <<Bello è alto>> diventa un controsenso anche per te. A questo punto potremmo, invece, identificare il soggetto con la proprietà, ma allora <<alto è alto>> diventa solo una tautologia, ma soprattutto non porta con sé la divisione tra soggetto e predicato, si instaura solo l'uguaglianza tra 2 predicati. Lasciando stare anche questa seconda interpretazione del principio di identità ci rimane quella in cui il soggetto rimane indefinito, percui esso può venire identificato con qualsiasi proprietà (o con nessuna), mentre solo le proprietà sarebbero tra loro distinte. A questo punto non si può più distinguere tra vari soggetti ma solo si possono distinguere i modi di essere, percui questi possono mutare pur mantenedo, o comunque non intralciando, il loro soggetto. <<Basso non è alto>> ok, ma non è che Io sono basso e tu sei alto e di qui Io non sono te. Ma voglio far notare ancora una cosa, che volendo descrive perfettamente un oggetto ci troveremmo a descrivere tutti quelli che lo circondano perché, per esempio, Io sono distante dalla luna tot, abitante a Roma, avente una specifica conformazione di atomi relazionati con l'intero universo esterno in un certo preciso modo. Allora la Mia descrizione, se vuole essere completa, diventa la descrizione del tutto (con questo volevo gettare un ponte verso le argomentazioni di sopra); stò descrivendo qualcuno in particolare o stò descrivendo il "tutto"? (la parola tutto è però, nella mia testa, un rimando all'indefinito che esso si trascina dietro a causa dell'indelineabilità che lo contraddistingue). Allora non sono Io (una sostanza separata) a possedere certe proprietà; le proprietà sono un modo per descrivere il tutto, il suo modo di porsi -appunto- tramite caratteristiche (che vengono scambiate per oggetti) irrelate; con <<La luna gira intorno alla terra>> non descrivo "La luna" che di per sé non è nulla, ma descrivo una situazione (diciamo, per capirci, la situazione del sistema solare); un tutto che si manifesta tramite "enti" irrelati (e non il risultato della relazione di più enti, poiché essi di per sé non sono nulla). Per questo parlavo dei fenomeni come l'apparire fenomenologico dell'Essere, io non vedo i fenomeni come il risultato della relazione tra più enti, ma gli enti irrelati come risultato dell'essere. Mara: Quando penso a una mela tutti i predicati specifici di questa mela mi appaiono proprio nell'essere specifico di questa mela, non nell'Essere di tutto quello che è. Se non ci fosse questa mela con la sua specificità non ci sarebbero nemmeno i predicati che la definiscono, non è che i predicati di questa mela vengano prima di questa mela. Stanno sempre insieme e stare sempre insieme non significa non poter essere diversi. Non si capisce cos'è che starebbe insieme a cosa; cioè io non capisco. I predicati li ho presenti, il resto no, è questo il mio problema. Inoltre perché dovremmo distinguere linguisticamente le 2 cose se stanno insieme? Mentre l'essere della mela, in ogni caso, lo trovo così legato a tutto ciò che è da non poter appoggiare la prima frase che hai scritto qui (il motivo l'ho esposti meglio sopra). Ultima modifica di Aggressor : 21-01-2014 alle ore 23.25.33. |