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08-09-2013, 22.17.21 | #53 |
Ospite abituale
Data registrazione: 14-12-2012
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@ Gyta
"Conoscere le cose per come realmente sono" vuol dire, in ultima analisi, conoscere la Verità. E la Verità, per me, è inconoscibile. Tuttavia, io credo, è possibile "trascendere" VERSO la Verità. Quindi, ancora "per me", dici bene quando dici che nella coscienza del velo noi possiamo conoscere le cose per come realmente sono. La Verità, per me (per me che ragiono secondo le categorie kantiane), non può essere intesa come un "traguardo". Un traguardo che, una volta raggiunto, è per sempre. La Verità, viceversa, è un "processo"; un processo NEL QUALE noi possiamo individuare una "direzione" (ma NEL QUALE dobbiamo sempre essere pronti a riconoscere, di quella direzione, la fallacia). Lo strumento a nostra disposizione nel processo VERSO la verità è l'intelligenza (o ciò che i filosofi chiamavano "ragione"). Quella stessa intelligenza che, se autentica, non può fare a meno di riconoscere i propri limiti, cioè di ri-conoscersi fallibile. Con ciò, io trovo sia "giusto" dire (ad esempio) che gli oggetti cadono a causa della forza di gravità, mentre è "sbagliato" affermare che essi cadono per l'influenza di un qualche spirito: la conoscenza come effetto dell'intelligenza dell'uomo è indubbiamente "valida" (non "certa", ma valida sicuramente sì). Non riconoscere questo, oltre che teoreticamente errato, ci renderebbe la vita impossibile (in quanto l'uomo si "progetta", e un progetto è possibile solo sulla base di una ipotesi di conoscenza - Heidegger docet). Certamente anche la volontà di potenza come "motore del mondo" rientra pienamente nella conoscenza (cioè come ipotesi di una possibile causa del divenire delle cose). Tuttavia, io penso, se la conoscenza trova la sua radice ultima nella volontà di potenza allora questo può voler dire solo che il soggetto ha "fagocitato" l'oggetto (come accennavo). Un oggetto dunque che non solo risulta inconoscibile (come nella tradizione kantiana), ma che addirittura viene "prodotto" (dalla volontà di potenza, come nella tradizione idealistica). E dunque, ribadisco, se è NEL soggetto che si deve cercare il bandolo della matassa, questo però non può farci dimenticare che è pur sempre di un oggetto che il soggetto si trova a dover dare una interpretazione. E questo oggetto quindi "esiste" (nel senso di ex-sistere: venire alla luce): esiste nel senso di essere necessariamente l'oggetto dell'interpretazione che ne dà il soggetto, il quale interpreta sì necessariamente nel solo modo che gli è possibile (cioè nel modo soggettivo); ma, appunto, interpreta, e non "crea". Non è dunque logicamente possibile, da parte di nessun soggetto, "fagocitare" nessun oggetto (anche se questo è quello che sta avvenendo, in quanto la volontà di potenza dominante lo sta facendo allo scopo dei perpetuare il suo dominio). ciao |
09-09-2013, 08.01.31 | #54 | |||||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
Avevo scritto: " E’ vero anche secondo me che il “velo” non sta esattamente nel fuori ma nella lettura soggettiva che ne traiamo e che questa non può che essere –seppure in tal modo filtrante- anche l’unica possibile poiché imprescindibile. Ma la coscienza del velo ne abbatte ogni potere oscurante, così che nella coscienza del velo possiamo conoscere le cose per come realmente sono." Sostituitelo con una più comprensibile: “Si possono conoscere le cose solo nella conoscenza della mente che le interpreta”. Esempio esemplificativo: cosciente di non avere la vista a raggi x sono cosciente che la visione che ho dell’immagine che ho innanzi è quella reale rispetto ai miei sensi. Se non avessi coscienza dei miei sensi che fungono da mezzo crederei che ciò che vedo è tale in sé e non rispetto ai miei sensi. Pertanto posso comprendere la realtà attraverso la conoscenza dei mezzi attraverso i quali mi rapporto a quella. Citazione:
Il termine “verità” per me al di fuori del rapporto di relazione non ha alcun senso. Citazione:
Citazione:
Citazione:
Su questo ahimè non sono più d’accordo.. Nel senso che interpretare e creare ad un determinato livello secondo me sono sinonimi.. Ma mi accontenterei del precedente accordo.. poiché temo ora di poter dare avvio ad una lettura pericolosa secondo cui interpretazione e creazione sono la medesima cosa.. Lo è la medesima cosa, ma nel momento in cui siamo coscienti che la nostra lettura consegna a noi la realtà (realtà che non è soggettiva né oggettiva ma in funzione del rapporto). [poiché se la intendessi soggettiva od oggettiva sarebbe un po' differente] |
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10-09-2013, 00.47.22 | #55 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@ Maral
No, non credo nemmeno io che il Male sia la volontà di potenza. Il Male è, ad esempio, ciò che Severino NON vuole (nella sua, per me necessaria, volontà di potenza) quando si propone, attraverso lo strumento rappresentato dalla "Gloria eterna degli essenti", di rimediare all'angoscia suscitata dal divenire. Il Male è, dal mio punto di vista, ciò che è nocivo (mentre il Bene è ciò che giova). E quindi è un qualcosa di strettamente legato alla utilità pratica. Dunque il Male, come il Bene, è un qualcosa che è, come dire, "preceduto" dalla volontà di potenza; una volontà di potenza che, come "spinta originaria", sceglie, arbitrariamente, di perseguirlo (come, in alternativa, può scegliere di perseguire il Bene). Insomma: la volontà di potenza come libero arbitrio dell'uomo; un uomo che "progetta" il suo stesso essere-uomo su questa scelta originaria (ma che da questa scelta, necessaria, è sempre qualificato come uomo, sia che la scelta sia in un senso, sia che sia nell'altro). A mio avviso Severino nota, acutamente, come proprio in tale "originarietà" si trovi il nocciolo della questione. Egli infatti chiama la volontà di potenza "volontà derivata" (derivata, appunto, dalla originaria "fede" nel divenire delle cose). Secondo Severino (e la cosa è condivisibile: non a caso stiamo parlando di un grande filosofo), la volontà di potenza nasce dalla constatazione della "potenza" dell'uomo sul mondo che lo circonda. L'uomo vede le cose divenire, e comprende di poter indirizzare questo divenire (certo, se vedesse le cose immutabili non penserebbe di aver nessuna potenza su di esse, e la sua volontà ne sarebbe annullata). Resta, con ogni evidenza, il problema (per Severino) di spiegare perchè, e pur in presenza delle contraddizioni che acutissimamente rileva, il mondo è quel che è (un problema cruciale, mi sembra, anche per te). Cioè un mondo in cui la potenza dell'uomo riesce, effettivamente, a produrre dei cambiamenti (tant'è che anche in culture molto lontane dalla occidentale sorge la medesima volontà di cambiare il corso delle cose). ciao |
10-09-2013, 12.36.26 | #56 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@ Gyta
"Trascendere" nel senso kantiano del termine, cioè nel senso di individuare una categorizzazione logica che funga da base per la conoscenza (così come l'individuare un rapporto, quello fra soggetto e oggetto, che tenga ferma la differenza dei due termini). Ma, evidentemente, ho usato quel termine troppo superficialmente, senza riflettere sul fatto che esso, a prima vista, fa pensare a quel che sappiamo bene. Però, ribadisco, è proprio su questo concetto di "trascendenza" che si gioca la partita, per così dire. Perchè l'oggetto rimane inconoscibile nella sua realtà "vera" (una realtà oggettiva "in sè", cioè particolare), e diventa conoscibile solo attraverso la categorizzazione, cioè l'individuazione di proprietà che eccedono (trascendono) la sua particolarità. Questo mi riporta alla mente i "nessi logici" di cui Severino parla a proposito dei fenomeni (la "Struttura Originaria"), nonchè la tua affermazione per cui: "si possono conoscere le cose solo nella conoscenza della mente che le interpreta". Ma se il "mezzo" che la mente adopera per comprendere la realtà è la categoria (l'occhio è formato dalla retina, dal cristallino etc.), allora è necessario essere consapevoli di stare "trascendendo" la particolarità, cioè di stare facendo ciò che, nel suo famoso "rasoio", G.d'Ockam ha tanto criticato in quanto arbitrario derivato della "sostanza" aristotelica. E' necessario, in parole povere, essere consapevoli della profonda ed ineliminabile ambiguità del termine "trascendenza"; che rimanda ad una altrettanto profonda ed ineliminabile ambiguità: quella di un soggetto che "vuole" conoscere un oggetto che "può" conoscere solo attraverso la sua interpretazione (la "grande verità dell'idealismo", di cui parlano sia Levinas che Severino). Per finire, giusto due parole su "interpretazione" e "creazione" (un argomento molto vasto): a mio avviso è necessario mantenere separati il soggetto e l'oggetto (come dalla lettura kantiana del termine "trascendenza"). Non effettuare cioè quella "sintesi", idealistica, che porta necessariamente il soggetto (l'"io" di Fichte) ad essere inteso come "creatore" dell'oggetto (nella prospettiva idealistica non è questo l'intendimento, ma "diventa" questo se il soggetto - l'"io"- è inteso come l'infinito che si rapporta al finito dell'oggetto, cioè se il rapporto soggetto-oggetto diventa un rapporto di tipo qualitativo. ciao |
10-09-2013, 15.32.56 | #57 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
A me pare contraddittorio affermare "inconoscibile" la verità e poi ritenere che si possa andare verso la verità. Se assumiamo che la verità non sia un traguardo, una meta, poiché questa è irraggiungibile, la sua "inconoscibilità" da te asserita impedisce anche di individuare la "direzione" verso cui andare. Inoltre la visione della verità come "processo" la identifica con lo stesso "andare", ma rimane sempre da stabilire verso dove, e se non si sa dove andare qualunque direzione si prenda sarà sempre quella sbagliata. Tu affermi che lo strumento per andare verso la verità è l'intelligenza, a cui dai il nome di ragione, ma solo i filosofi moderni, illuministi, hanno identificato l'intelligenza con la ragione, mentre l'intelligenza è sempre stata quella facoltà, mossa dall'intelletto, che consente di leggere "dentro" le cose per comprenderne l'essenza, ed è diametralmente opposta alla ragione che, solitamente mossa dall'esperienza sensoriale, analizza un oggetto per inserirlo all'interno di una visione tassonomica del mondo. Non si tratta quindi solo di riconoscere la fallibilità della ragione, ma anche di riconoscere la fallibilità di ciò di cui questa si serve per interpretare il mondo, ovvero dei sensi e soprattutto dei desideri e delle aspirazioni umane, che vengono utilizzate copiosamente come "filtro" attraverso il quale "conoscere" il mondo e, giudicandolo secondo i concetti di piacere e dolore che ognuno si è formato, trasformarlo per adeguarlo a quei desideri e quelle aspirazioni. Per quanto concerne la questione delle cause di un fenomeno, la loro affermazione è direttamente dipendente dalla cultura di riferimento, e non è giusta in un caso e sbagliata nell'altro. Le culture tradizionali tendono a ricondurre i fenomeni alla loro causa prima (o ultima che dir si voglia) ovvero a quella da cui tutto è originato. Se il mondo origina da un essere che per convenzione sarà chiamato Dio ogni fenomeno sarà a lui riconducibile e da lui causato, anche se a volte Dio potrà servirsi di "emissari" che si occuperanno direttamente di alcuni particolari aspetti della vita dell'universo (il dio del mare, del vento, del fuoco eccetera) e saranno quindi i diretti responsabili dei fenomeni che accadono. Questa conoscenza tradizionale è puramente giustificativa, poiché soddisfa prettamente ed esclusivamente il bisogno umano di conoscere il "perché" dei fenomeni, ma essendo appunto meramente giustificativa è inservibile a qualsiasi altro scopo. La conoscenza scientifica moderna, invece, tende ad individuare le cause più prossime di un fenomeno, e nominarle secondo categorie speciali e diverse utilizzando anche un linguaggio suo proprio, perché il suo scopo è quello di intervenire su di esse per cambiare i fenomeni oppure controllarli. Essendo la scienza una conoscenza funzionale e non giustificativa, non ritiene utile sapere se la causa di tutto è Dio, perché per i suoi scopi non servirebbe a niente; se invece riesce ad individuare delle cause di un fenomeno, e possono essere solo le più prossime, in cui l'uomo possa intervenire mosso dai suoi desideri, dai suoi bisogni, dalle sue aspirazioni, i greci direbbero dalla sua hybris, allora la sua funzione sarà espletata al meglio. Più che affermare che l'uomo "si progetta" io sono molto più convinto che l'uomo abbia un progetto dentro di sé (vogliamo chiamarlo destino? Non mi oppongo); si tratta di riconoscerlo e di adeguarvisi. Se il progetto di ogni uomo sarà elaborato a partire dalle suggestioni del mondo combinate con i suoi desideri e le sue aspirazioni (torna ancora il concetto di hybris e anche quello di concupiscenza) il risultato non potrà che essere quello che abbiamo davanti: un mare di infelicità e un mondo distrutto. |
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10-09-2013, 21.32.33 | #58 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
Penso che per Severino il male sia la conseguenza di quell'errare logico che nega in primo luogo il principio di identità e conseguentemente recide i nessi logici necessari che tengono la parte nel tutto che la implica. Mostrare l'unità indissolubile dei termini tra loro contraddittori è il metodo severiniano di risolvere le contraddizioni (metodo ripreso dalla dialettica hegeliana ma con la differenza che la sintesi è intesa come origine - il giudizio sintetico a posteriori che si rivela giudizio un sintetico a priori consentendo un diverso apparire- anziché momento di arrivo come nell'idealismo hegeliano). Non credo che la Gloria sia un rimedio voluto per come la intende Severino, quanto una originaria necessità ontologica, certamente presupposta in virtù della immediatezza logica e non di quella fenomenologica e in questa scelta il pensiero di Severino resta opinabile, per cui giustamente tu denoti che il mondo si mostra sotto il segno del divenire e dunque di quella volontà di potenza che vuole cambiarlo e lo cambia (mentre per Severino e per chi ne segue il pensiero solo si illude di cambiarlo restando poi costantemente deluso da questa illusione). La contraddizione C è in effetti una costruzione logica che spiega da un punto di vista logico le ragioni dell'eterno sopraggiungere e oltrepassare degli enti, ma resta il fatto che questa spiegazione di per sé fenomenologicamente non appare, per quanto se ne mostri e dimostri la necessità. Collegare l'etica all'utilità credo che però di fatto neghi la morale in primo luogo perché fa del bene e del male solo qualcosa di valutabile a posteriori sugli effetti piacevoli o spiacevoli di un determinato agire (quindi viene a cadere qualsiasi possibilità di legge morale di valore predittivo), ma non solo, se la morale è ridotta a convenienza (sia pure in senso esistenziale) essa varia in continuazione in relazione alle circostanze, dunque ciò che male e ciò che è bene possono trasmutarsi continuamente l'uno nell'altro rendendo di fatto impossibile qualsiasi decisione morale se non sulla base di un calcolo economico del tutto contingente e di fatto aleatorio. Probabilmente se Severino eccede nel porre la sua prospettiva centrata sulla coerenza logica dell'assolutamente inflessibile principio fermissimo, non dobbiamo correre il rischio opposto facendo dell'evidenza puramente fenomenologica la radice flessibilissima di ogni questione. Ma la conciliazione dei 2 aspetti si presenta veramente problematica. |
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11-09-2013, 08.07.58 | #59 |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
E' curioso che Severino giunga alle stesse conclusioni cui giungono le distorsioni spazio/temporali relativistiche: l'annullamento del tempo
E dopo aver speculato sul tempo che si ferma in prossimità della velocità luminale e sull'eternità degli essenti, alziamo la testa verso l'orologio sulla parete per vedere che ore sono! |
11-09-2013, 19.00.06 | #60 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
"L'unica ragione del tempo è che, in questo modo, le cose non accadono tutte insieme" e tutto sommato sembra proprio una spiegazione semplice della contraddizione C. In realtà sia la fisica classica che quella relativistica e pure quella quantistica hanno la necessità di considerare il tempo come qualcosa che è (dunque spazializzato nelle dimensioni di passato presente e futuro in sé sempre presenti) e non come qualcosa che fluisce. L'unica eccezione è finora lo studio delle emergenze nei sistemi complessi che parte dall'imprescindibilità dell'evento fenomenico. Ultima modifica di maral : 11-09-2013 alle ore 22.30.13. |
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