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05-10-2013, 11.37.36 | #94 |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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La logica di Severino è, ripeto, ineccepibile (ripeto anche quanto detto in precedenti risposte: è di un grande filosofo che stiamo parlando). Riconosciuto questo, però, continuo ad essere persuaso che egli cerchi, come dire, una "cura" al nichilismo dilagante, cioè che si ponga uno scopo prestabilito. Che cos'è il "nulla"? Severino risponde che il nulla è il nulla, e che dunque non può essere un qualcosa che "è". Condivido assolutamente: quando si afferma un essente che nasce dal, e poi ritorna nel "nulla" si afferma l'assurdo. Tuttavia, a parer mio, le parole non sono altro che "segni" di un qualcosa di inafferabile (dell'Evento di cui parla la semiotica): segni che dunque sono, necessariamente, interpretazioni. E interpretazioni sono quindi anche quelle parole che designano l'Essere, e/o il Nulla. Credo che la ragionevolezza ci induca a pensare che qualcosa ci sia stato anche prima dell'avvento di un interpretante (tipicamente: l'uomo). E che qualcosa ci sarà anche dopo la scomparsa dell'ultimo di essi. Levinas (vi rimando alla mia discussione con Maral) chiama questo qualcosa "c'è". Questo qualcosa, questo "c'è", non è il Nulla, ma è un qualcosa che il nichilismo, se non "ingenuo" (per usare le parole di Severino), equipari al Nulla. Una volta affermato questo, dovremmo chiederci: se nascere significa sorgere da un qualcosa che non può essere il Nulla, e se morire significa tornare ad un qualcosa che "è qualcosa", questo ci dà la licenza di negare il divenire? Come è possibile (per usare un'immagine assai orrida di Tolstoj) equiparare un bambino giocoso ad un corpo coperto di vermi? Com'è pensabile, se non come estrema "cura", non pensare a questi due stati di un corpo come ad un radicale divenire-altro? Ecco, il nichilismo "equipara" solamente il corpo coperto di vermi al Nulla. Non c'è, in esso, nessuna pretesa ontologica di non-contraddirsi; la sua equiparazione è meramente esistenziale. Il nichilismo di Nietzsche è un esempio chiarissimo di nichilismo non certo ingenuo. Egli dice: "imprimere al divenire il carattere dell'Essere, è questa la suprema volontà di potenza". Nietzsche si rende conto che nel "flusso continuo" del divenire, che egli pur afferma, non potremmo mai dire di qualcosa che "è". Dunque, nel flusso continuo del divenire (che è la morte di qualsiasi immutabile: la "morte di Dio"), che è l'unica realtà, l'uomo abbisogna di un punto fermo, di un punto che non "diventa": "così, per vivere", dice Nietzsche. Su questo punto la distanza da Severino è abissale. Dice infatti Severino: "dell'Essere non si può pensare che divenga, perchè, divenendo, non sarebbe (Essenza del nichilismo)". Proprio qui vediamo che la logica (inappuntabile) di Severino non tiene nel debito conto una affermazione ("così, per vivere") di Nietzsche che non cerca, ma di proposito, il rigore della logica; ma che si esplica su di un piano di cui, a mio modesto avviso, Severino ha troppo poca considerazione: il piano della vita, il piano della inarrestabile dinamicità del vivere. Non si tratta di non rendersi conto (come Severino pretenderebbe) della contraddizione logica che lui, acutamente, mette in rilievo: si tratta di altro. In merito a questo vorrei dire, innanzitutto, che la logica di Severino a me non appare così inappuntabile, come ho cercato di dimostrare. Ma per commentare il vero contenuto del tuo post vorrei evidenziare questo: che il discorso del nichilismo presenta, probabilmente, almeno due piani: 1) quello, più evidenziato da Severino (forse), del passaggio dall'essere al non essere, il quale porterebbe la gente a credere di diventare un nulla dopo la morte (questa idea deve avere forti ripercussioni etiche, diciamo, non troppo positive per una visione totalizzante della società come ente che si protrae nel futuro oltre la morta individuale), e 2) quello da te sottolineato, che pone l'uomo di fronte ad un divenire capace di annientare la possibilità di trovare "punti fermi" su cui appoggiare le proprie scelte e convinzioni per poter "vivere". Sul primo punto mi sono già espresso, per ciò che riguarda il secondo, invece, ho da far notare l'irrealtà di una simile posizione. Non è vero, secondo me, che siamo sballottati da un divenire incapace di darci punti fermi su cui basarci. Questo relativismo che viene spessissimo riportato sul piano etico e che fa dire alla gente "ognuo pensa ciò che vuole ma nessuna posizione è più giusta delle altre", si basa su una cattiva interpretazione del concetto di relativismo stesso. è vero, per esempio, che anche in matematica, a seconda del sistema di riferimento, una semplice somma di numeri può dare risultati diversi; tuttavia uno e un solo risultato è quello giusto all'interno del singolo sistema preso a riferimento. Lo stesso discorso deve valere per altri campi del sapere e quello giuridico e/o etico non fa da meno. Diciamo che per noi non avrebbe senso farsi esplodere in nome di un qualche Dio e per qualcun'altro si. Quelli che credono nella sensatezza di un simile gesto saranno giustificati dal sistema tramite cui ragionano, sistema che prevede un Dio e una ricompensa elargita da quello una volta portata a termine la missione. Se mi inserissi in questo sistema scoprirei che è davvero conveniente e giusto farsi esplodere tra una moltitudine di infedeli, ma se credo, come accade, che questo sistema non "esista davvero" e che quello in cui siamo è assai diverso, eviterò di fare simili gesti. Ora, se riuscissi a convincere il kamikaze che le sue premesse non reggono egli rivedrebbe pure le sue posizioni e magari, mettendosi nel mio punto di vista, troverebbe che le cose più sensate da fare sono quelle che, più o meno, faccio io. Ciò vuol dire che se si dimostrasse certe premesse essere più probabilmente vere, la gente, prendendole in considerazione, avrebbe modo di comportarsi rifacendosi ai "punti fermi" propri del sistema "ontologico" che stà considerando. Ciò che cambia in una società come la nostra è, più che altro, alcune sottigliezze del sistema in cui siamo inseriti, ma la sua trasformazione porta di conseguenza l'emergere di nuove verità relative ad esso che non sono drasticamente arbitrarie. Un esempio che ci facevano a bioetica è questo: mettiamo che per un omicidio la legge preveda l'ergastolo; se tra 100 anni la gente vivesse 200 anni, in media, invece che 75, allora probabilmente dovremmo rivedere la consistenza della pena. Vediamo che il sistema di riferimento è mutato (prima la società era formata da enti che vivevano di meno), le premesse sono mutate, ma contemporaneamente cambieranno certe conseguenze sensatamente. Non dirò, come molti fanno "vedi, in ogni società diversa le cose sono diverse, quindi non puoi dirmi cosa dovrei fare perché una verità non esiste". Infine, se una società impone una ontologia/teologia improbabile, il problema stà solo nel convincere i partecipanti che quella è una ontologia/teologia improbabile (ovviamente c'è gente così assuefatta che è praticamente impossibile da convincere). C'è un motivo percui non crediamo che esista un Dio che ci gratificherà se imponiamo agli altri la sua parola, e i nostri motivi sono ragionevoli tanto che potranno essere espressi in un dialogo e fatti valere. Su molte cose, infatti, l'umanità intera (o quasi tutta l'umanità) è riuscita a mettersi sullo stesso piano (il linguaggio della scienza, ad esempio, e per ciò che riguarda il ditto i diritti fondamentali -discutibili, non lo nego, soprattutto nella giustificazione ufficiale che si da della loro sensatezza, ma tuttavia segni di una unificazione del senso etico-). In generale si può davvero discutere e "fare proprio"/"modificare" il punto di vista altrui poiché il dialogo opera tramite una sensatezza reale e non relativa nel senso assurdo dai più indicato. Non per niente c'è chi pretende di avere ragione quando dice "tutto è relativo"; inoltre se la natura non avesse qualche punto fermo o almeno relativamente fermo non si può pensare che si sia sviluppata coerentemente fino ad arrivare all'uomo, che dovrà pure lui soggiacere all'essere naturale. In soldoni mi pare che la mancanza di punti fermi sia una mala interpretazione del concetto di relativismo, perché le cose possono anche cambiare nel tempo, ciò non toglie che ad un preciso mutamento non corrisponda una precisa, nuova e coerente presa di posizione. Questo punto meritava certamente una discussione a parte rispetto alla questione dell'Essere, ciò che ho scritto è il mio punto di vista attuale; saluti |
06-10-2013, 12.36.54 | #95 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@Aggressor
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In realtà Severino stesso fa appello a quel principio di identità che pone a indiscutibile premessa di ogni premessa ritenendo che sia in sé ontologicamente innegabile per mostrare la contraddittorietà assoluta del divenire e quindi della volontà di potenza che di esso solo può occuparsi, dunque la sua nullità. Eppure anche questa premessa che risulta tanto evidente viene negata nelle sue logiche conseguenze da chi (consciamente o inconsciamente) vuole che sia invece proprio la volontà di potenza il principio chiave e da chi, pur considerandolo necessariamente principio chiave, continua a illudersi che da esso stesso scaturisca il suo rimedio, nonostante i millenni di storia che costantemente hanno mostrato la nullità di tali rimedi che finiscono sempre per esaltare la stessa volontà di potenza che erano nati per tentare di frenare. Non so, ma mi pare che invocare la capacità di mettere in discussione i principi fondanti di un campo di senso, che alla fine si traduce in un mettere in discussione i principi fondanti del campo di senso altrui in nome della superiorità del proprio (e mi pare che gli esempi che porti vadano non a caso tutti in questa direzione) sia una soluzione fallimentare in partenza e già infinite volte inutilmente percorsa. In fondo Severino ci mette di fronte a questa alternativa radicale: o accettiamo che la volontà di potenza sia tutto e la contraddizione che le sta alla base il principio dei principi, oppure ci rendiamo conto che essa è niente, perché niente è quel divenire che essa sola può davvero dirigere. |
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06-10-2013, 14.49.38 | #96 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@ Aggressor
Ci fai notare un punto estremamente interessante ("a seconda del sistema di riferimento, una semplice somma di numeri può dare risultati diversi; tuttavia uno e un solo risultato è quello giusto all'interno del singolo sistema preso a riferimento"). Condivido assolutamente, e d'altronde questo è ciò che dice, in sostanza, la relatività (spesso, e a torto, assolutizzata). Tuttavia, io credo, quando si passa ad argomenti che non considerano "numeri", o quantomeno tesi scientifiche, ma considerano l'"uomo", in tutte le sue sfumature, le cose si complicano notevolmente. Ad esempio: come considerare l'etica in riferimento a quanto la relatività afferma? Tu dici che deve valere lo stesso discorso; e quindi, presumo, assumeresti una certa prospettiva etica, non un'altra, come quella prospettiva all'interno della quale (e solo all'interno della quale) un certo principio assume la veste di "vero". Fino a questo punto posso condividere. Ma non senza una annotazione che ritengo importante: una certa prospettiva etica nasce e si sviluppa in senso ad una certa cultura, ad una certa "weltanschauung". La cultura, ad esempio, emersa all'interno della civiltà occidentale è, sempre più, una cultura volta alla auto-nomia dell'individuo. Un individuo, dunque, che sempre più si auto-nomina (cioè si dà norme proprie, anche e soprattutto in materia etica). Cioè un individuo che sempre più, nella sua singolarità, diventa "sistema di riferimento". Ma, almeno per il momento, sospenderei questo discorso per passare oltre. Non mi è molto chiaro ciò che intendi dire nel proseguimento di questo discorso. Da una parte, sembra, tu intendi tener fermo il principio di "sistema di riferimento etico", ma dall'altra sembri quasi voler tratteggiare una specie di sistema "privilegiato". Ritengo degno di nota il tuo riferirti a quello che Habermas chiama "agire comunicativo" (che contrappone all' agire strumentale). E che d'altronde già era stato preceduto dal celebre atteggiamento di Socrate, il quale parla di porsi in una condizione di "convincibilità". A mio avviso però, tesi di questo tipo (che sono apprezzabili comunque) sbattono irrimediabilmente contro il muro rappresentato dal solidificarsi di posizioni etiche contrapposte, e dunque dialetticamente irrisolvibili (Socrate, alla fine, non è convinto dalle tesi di Critone, come il fondamentalista religioso non sarà mai convinto dalle tesi "razionali"). ciao |
06-10-2013, 15.10.28 | #97 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Maral:
Non so, ma mi pare che invocare la capacità di mettere in discussione i principi fondanti di un campo di senso, che alla fine si traduce in un mettere in discussione i principi fondanti del campo di senso altrui in nome della superiorità del proprio (e mi pare che gli esempi che porti vadano non a caso tutti in questa direzione) sia una soluzione fallimentare in partenza e già infinite volte inutilmente percorsa. Sapevo che quella frase poteva creare una interpretazione di questo genere rispetto a ciò che volevo dire. Mi vergognerei di pensare cose del genere. Non voglio sopraffare l'altro con la mia visione, voglio solo dicutere per inglobare quella dell'altro e permettere all'altro di fare lo stesso. In questo modo si arriverà ad un accordo presumibilmente (non imposto con la forza! ma nel senso di una comprensione dell'altro), se non si afferma (come certe correnti ermeneutiche fanno) che il dialogo non può portare a molto, che la comprensione dell'altro alla fine è impossibile. Con gli esempi volevo mostrare che certi sistemi teologici/ontologici sono da noi esclusi e non senza ragioni, e che queste ragioni si possono esprimere davvero, non sono incomunicabili. Anche gli assiomi a cui ti sei riferito, come nelle scienze, possono essere discussi oppure accettati per evidenza se risultano così lampanti. Ma se a qualcuno non sembreranno così lampati potrà benissimo esporre le sue ragioni e gli altri, se non sono volontariamente di parte, potranno capire se quello che dice ha senso. è possibile che questo processo di comprensione non sia immediato; noi stessi su questo forum difficilmente cambiamo opinione (ma a volte accade), ciò non vuol dire che il processo non avrà sviluppo e compimento. Non possiamo fossilizzarci sugli assiomi delle vare ontologie, nessuno prende per veri questi assiomi senza rifletterci sopra, secondo me anche essi hanno modo di essere rivisti ed essere oggetto di dibattito e comprensione. |
07-10-2013, 11.45.06 | #98 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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Ci fai notare un punto estremamente interessante ("a seconda del sistema di riferimento, una semplice somma di numeri può dare risultati diversi; tuttavia uno e un solo risultato è quello giusto all'interno del singolo sistema preso a riferimento"). Condivido assolutamente, e d'altronde questo è ciò che dice, in sostanza, la relatività (spesso, e a torto, assolutizzata). Tuttavia, io credo, quando si passa ad argomenti che non considerano "numeri", o quantomeno tesi scientifiche, ma considerano l'"uomo", in tutte le sue sfumature, le cose si complicano notevolmente. Ad esempio: come considerare l'etica in riferimento a quanto la relatività afferma? Tu dici che deve valere lo stesso discorso; e quindi, presumo, assumeresti una certa prospettiva etica, non un'altra, come quella prospettiva all'interno della quale (e solo all'interno della quale) un certo principio assume la veste di "vero". Fino a questo punto posso condividere. Ma non senza una annotazione che ritengo importante: una certa prospettiva etica nasce e si sviluppa in senso ad una certa cultura, ad una certa "weltanschauung". La cultura, ad esempio, emersa all'interno della civiltà occidentale è, sempre più, una cultura volta alla auto-nomia dell'individuo. Un individuo, dunque, che sempre più si auto-nomina (cioè si dà norme proprie, anche e soprattutto in materia etica). Cioè un individuo che sempre più, nella sua singolarità, diventa "sistema di riferimento". Ma, almeno per il momento, sospenderei questo discorso per passare oltre. Non mi è molto chiaro ciò che intendi dire nel proseguimento di questo discorso. Da una parte, sembra, tu intendi tener fermo il principio di "sistema di riferimento etico", ma dall'altra sembri quasi voler tratteggiare una specie di sistema "privilegiato". Ritengo degno di nota il tuo riferirti a quello che Habermas chiama "agire comunicativo" (che contrappone all' agire strumentale). E che d'altronde già era stato preceduto dal celebre atteggiamento di Socrate, il quale parla di porsi in una condizione di "convincibilità". A mio avviso però, tesi di questo tipo (che sono apprezzabili comunque) sbattono irrimediabilmente contro il muro rappresentato dal solidificarsi di posizioni etiche contrapposte, e dunque dialetticamente irrisolvibili (Socrate, alla fine, non è convinto dalle tesi di Critone, come il fondamentalista religioso non sarà mai convinto dalle tesi "razionali"). Capisco perfettamente che la mia tesi può sembrare fin troppo positiva e che si evince la possibilità di una via privilegiata, cosa che fa paura addirittura a me che ve lo dico. Non dovete pensare che affermi queste cose con leggerezza, come se fosse scontato; però devo dire che in questo momento del percorso di studi, soprattutto dopo una riflessione sull'ermeneutica filosofica, passado da libri quali "utopia del comprendere" a tesi molto più positive, mi stò convincendo di ciò che ho esposto, anche grazie all'ultimo libro che ho studiato (in cui molto si citava Habermas; caro Oxd. hai la vista lunga tu). Il motivo per cui si evince dal mio discorso il riferimento ad un sistema privilegiato è che credo che siamo inseriti in un sistema/universo fatto in un certo modo, la qual cosa deve aprire la via ad un muoversi in esso privilegiato, che tenga conto del suo essere specifico. Se questo discorso è palesemente vero quando si parla di tecnica è giusto cercare di capire se in fatto di etica sia lo stesso. Ma io vedo che, almeno ad un certo livello, anche in etica si discute e si cerca di far valere il proprio punto di vista, come se fosse possibile mostrare una via privilegiata. Poi quando una discussione sull'etica si fa più sottile diventa difficile argomentare, soprattutto si affermano cose difficilmente dimostrabili, come accade in altre discipline della conoscenza. Il bello è che forse non ci rendiamo conto di quanto l'etica sia avanzata nel tempo, di pari passo con altre discipline. A farci caso dei precetti di comportamento collettivi vengono fatti esistere dalla legge, ora abbiamo anche i "diritti dell'uomo"; ma la cosa che ritengo più interessante è che queste leggi imperano, come nelle altre scienze, senza che vi sia una rigorosa interpretazione del motivo per cui sono così. Semplicemente nella storia alcuni imperativi si sono fatti valeri (ma nel passato soprattutto con interpretazione ontologica/metafisica/teologica del loro senso intrinseco, per esempio, col cristianesimo, il perché è sbagliato "non uccidere"). Cioè, la scienza ad oggi avanza senza dire che ciò che trova è vero, cioè che la realtà in sé è come ce la descrive; se si descrive il moto di una particella con una legge probbilistica, ognuno di noi è abbastanza libero -per ora- di interpretare quella descrizione matematica come libertà della particella, meccanismo determinato non ancora individuato, o caso ontologico; allo stesso modo noi abbiamo delle leggi in grado di gestire il nostro operato (che è anche lo scopo dell'etica), ma siamo abbastanza liberi -per ora- di interpretarne la validità intrinseca con elaborazioni metefisiche/ontologiche/teologiche/ecc. . È così che cerco di comparare questa disciplina alle altre, di modo che, come nelle altre, si possa ammetterne la sensatezza contro la totale arbitrarietà (cioè pure un avvicinamento di certe posizioni ad una sorta di "verità", seppure relativa). Ovviamente, se si riuscisse a trovare una pozione univoca in fatto di "interpretazione metafisica", sia nella scienza che in etica, avremmo la strada spianata; credo infatti che questa "interpretazione metafisica" sia semplicemente una conoscenza difficile da "dimostrare" (vuoi per complessità dei concetti che vorrebbe descrivere e tramite cui si descrive il reale, vuoi per impossibilità tecniche di verifica attuali). Mi si potrebbe contestare che le ragioni dell'etica coincidono con l'interpretazione della scienza (compresa la "scienza" o l'insieme di tecnicismi tramite cui si cerca di gestire la cooperazione della massa -le leggi-) e che dunque i piani sono effettivamente separati (per es. la fisica ti calcola il moto della particella, l'etica suppone che quello spostamento derivi da una volontà libera e quindi che la gente sia responsabile di ciò che fa; oppure la legge ti dice che è sbagliato uccidere, l'etica utilitarista afferma che è meglio che non uccidi altrimenti ci sono più probabilità di essere ucciso a tua volta). Questo non vuol dire (se ciò che ho scritto sopra circa il senso dell'interpretazione metafisica è vero) che le interpretazioni della scienza non siano passibili di verifica/disquisizione, né che siano inutili a livello di tecnicismi stessi; né che questo interrogarsi sull'etica si debba scontrare col muro della diversità inconciliabile (a causa dell'indimostrabilità e della credenza sconsiderata in uno a caso degli assiomi da cui si potrebbe partire) e così rendersi inutile. Infine, da un lato si può riconoscere la diversità etica di diverse popolazioni, ma non possiamo neanche fare finta che non si stia compiendo un processo con esito opposto. Ora non è che io sia a favore della globalizzazione nel modo in cui si stà attualizzando, ma sono certo a favore della ricerca di un dialogo con l'altro. E in questo sono ottimista, come spiegavo anche a Maral, io credo che possiamo portare effettivamente le nostre credenze al pubblico e regionare sulla loro sensatezza anche oltre qualsiasi pessimismo ermeneutico e logico (se non in breve tempo, almeno lentamente, con pazienza). Ultima modifica di Aggressor : 08-10-2013 alle ore 09.04.33. |
07-10-2013, 14.52.20 | #99 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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08-10-2013, 01.06.48 | #100 | |
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