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12-03-2014, 22.04.30 | #202 |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
In risposta alla precedente domanda di green&grey pocket tento di riassumere la soluzione (dissoluzione) del paradosso dell'autoreferenzialità alla luce della relazione semantica fondamentale (RSF) per la quale l'ente è definito dialetticamente dal suo intero contraddittorio infinito con riferimento alla spiegazione che ne dà più diffusamente e chiaramente Berto nel testo precedentemente citato.
Il paradosso è così esprimibile, detta normale una classe (o insieme) che non appartiene a se stessa e R la classe di tutte le classi normali, R appartiene a se stessa se e solo se R non appartiene a se stessa. Il paradosso è dovuto al principio di comprensione o di astrazione che è alla base della logica insiemistica e considera astrattamente omogenei gli elementi di una classe (estensione o grafo della classe) con riferimento solo a una data proprietà definitoria (intensione). Per risolvere la contraddizione la logica formale si limita a vietare l'autoreferenzialità (una soluzione a hoc). Nella teoria dei tipi di Russell ad esempio si vieta la relazione di appartenenza tra elementi o classi di pari gerarchia logica. Questo, rileva Severino, nega la struttura originaria del principio di identità (ossia che un ente appartenga a se stesso) e che l'apparire appartenga all'apparire, ossia che insieme all'apparire dell'ente necessariamente appaia l'apparire del suo apparire (autocoscienza). Severino nota che secondo la logica insiemistica (logica formale del puro intelletto, direbbe Hegel) la classe si costruisce come un significato isolato sulla base solo di un'intensione, di un'estensione omogenea e del nesso che le unisce eliminando la RSF (ossia la relazione negativa tra ogni determinazione e la totalità del suo contraddittorio). Scrive infatti in Tautotes: "L’insieme delle determinazioni che hanno una proprietà comune e che la logica interpreta come estensione di una classe è connesso per necessità alla dimensione, come negata, delle determinazioni che non hanno tale proprietà. L’insieme delle cose bianche è connesso necessariamente con l’insieme delle cose non bianche…La connessione che unisce A alla negazione di non A implica una dimensione semantica la quale nel concetto di classe contenga solo A, e cioè non contenga non A come negato e che sia concepita come semanticamente indipendente dal contesto in cui essa si trova, lo A che si intende porre non sia A. Poiché A è necessariamente negazione di non A, isolato da non A, non è A, si che l’isolamento di A è la contraddizione che identifica A e non A" Per cui, alla luce della RSF, ogni classe in quanto tale è un significato contraddittorio e l'antinomia sorge dall’isolamento operato nelle semantiche basate su un’ontologia astratta di tipo insiemistico con cui quella determinazione dell’essente che è l’estensione delle classi normali (N) viene separata da quella classe non normale che è la stessa classe delle classi normali (K) Ogni isolamento è la negazione di un nesso necessario: la relazione (K1) tra N e K. Tale relazione K1 è la sintesi che ha come termini N e K non isolati, ma mantenuti tra loro in antitesi. Il paradosso segue dal presupposto dell’omogeneità per il quale l’estensione di una classe include tutti e solo gli elementi che godono della stessa proprietà. K1 è la recuperata sintesi relazionale tra elementi eterogenei, ossia tra N estensione delle classi che hanno la proprietà di essere normali e K, classe non normale delle classi normali che in quanto non normale include se stessa come elemento non omogeneo agli altri suoi elementi che ne rappresentano l'estensione. Quindi che K includa se stessa nella relazione di sintesi K1 con l’ estensione N delle classi normali non determina più, alla luce della RSF, il paradosso per cui essa insieme non include se stessa perché apparterrebbe all’estensione N delle classi normali, a cui non è omogenea perché proprio includendo se stessa non è normale. Quindi K1, il nesso di sintesi che permette di risolvere il paradosso è: -estensionalmente la sintesi fra N (tutte le classi normali) e K, ove estensione, essendo una sintesi, non ha nulla a che vedere con l’estensione della logica delle classi. -intensionalmente la sintesi tra il concetto di classe normale (di cui N è estensione) e il concetto di K come classe non normale delle classi normali, ove intensione, essendo una sintesi, è molto diversa dalla intensione della logica delle classi. Ultima modifica di maral : 12-03-2014 alle ore 22.14.37. |
13-03-2014, 01.11.01 | #203 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
anzitutto grazie maral, mi hai incuriosito e ho aggiunto un tassello fondamentale nella mia conoscenza del Severino.
questo perchè dopo lo smonto ...ma è stato utile Allora, ho trovato il testo, poi lo leggo con calma, butto giù di getto alcune considerazioni che però ritengo definitive. Citazione:
Di Berto mi fido, lo stimo troppo. Diciamo che qesta risposta sarebbe state meglio nel mio 3 d, ma tant'è. a questo punto non serve maral che rispondi di là. Quando Severino parla di logica dialettica pensavo avesse ben inteso di cosa parlasse Hegel: mi trovo mio malgrado a trovare la posizione di Severino altamente discutibile, per quanto innovativa a livello formale, MAI fenomenologico. In generale un percorso che non mi riguarda. Dunque il tentativo è quello di creare una semantica formale a partire dalla logica Hegeliana ma senza il petitio principii. Per farlo però Severino deve ricorrere necessariamente a un escamotage che forse non sarà paraconsistente ma di certo è alternativo. E comunque è di natura formale. Inoltre se si rifersice alla sintesi hegeliana, è comunque una petitio principii, in cui al posto del divenire si intenda una tautologia. Ma io non sono una tautologia...voglio dire è vero che la forma determina la sostanza, ma la sostanza è comunque determinata per negativo...sennò non vi è sintesi. (cioè ha fatto lo stesso errore di Russel che tanto ha criticato ) Veramente arruffato questo tentativo di unire l'analitica alla dialettica. Io dico solo: grazie a Dio la logica dialettica non deve rendere conto alla logica formale!!! Rimane il problema dell'aporia dell'essente però! ("il finito debba “avere questo di proprio, di sopprimere se medesimo” vedi quote") (e il suo rapporto complicato con la differenza, più che il nulla(positivo significare), a questo punto) (dico in prospettiva esclusivamente fenomenologica e cioè inferenziale alla fine.) (ora capisco perchè carlo sini dice di essere all'opposto!!) |
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14-03-2014, 13.45.12 | #204 | |
Moderatore
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
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14-05-2014, 16.51.36 | #205 |
Garbino Vento di Tempesta
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Ciao Mauro,
scusa se intervengo ma l' argomento affascina anche me per il semplice fatto che vi ho ragionato a lungo e naturalmente sono lontano dal credere di aver raggiunto una qualsivoglia soddisfacente teoria al problema che tu poni. E' naturale che qualche ipotesi più o meno corretta penso di averla ma dire di più è impossibile. Non conosco bene Severino, ma altrove ho già dubitato delle sue argomentazioni filosofiche che ritenevo non logiche anche se altamente apprezzabili. Per quanto riguarda l' argomento in questione mi avvalgo di ciò che ho letto nel tuo intervento e in quello di altri, tra cui Maral, che ritengo un profondo conoscitore di Severino. Il nulla. E qui parte già la prima critica, che per altro avevo rivolto già ad Heidegger che aveva formulato appunto l' ipotesi che l' esistenza degli enti si trova nel nulla da dove provengono e dove tornano alla morte dell' entità fisica che li avvolge. Ma il nulla non è un logos, né una dimensione reale che può dare credito ad una simile argomentazione. Il nulla non esiste proprio. Tutti gli enti, a mio avviso sono solo in potenza e fortunato è quell' ente che riesce a diventare atto e cioè vitale. L' ipotesi di Severino che il Nichilismo sia causato dal credere nel divenire non sta in piedi neanche a reggerlo. Il nichilismo è un disadattamento di enti che abituati a credere in qualcosa non riescono a mutare la loro condizione nel momento in cui si ipotizza l' inesistenza d un mondo Metafisico, della divinità, di Dio. E' la Morte di Dio annunciata da Nietzsche e non interiorizzata che causa l' ascesa della tecnica e il perdersi dell' ente nel nulla. La volontà di potenza sbandierata come concausa rappresenta il voler ricorrere ad una teoria come verità, per altro ricordiamo che in Nietzsche nasce come contrapposizione alla volontà di volontà di Schopenhauer, che fa acqua da tutte le parti come lo stesso Nietzsche argomenta ampiamente negando la possibilità che una volontà possa essere alla base di un' altra volontà. Ad esempio, personalmente, ritengo che non vi sia neanche una volontà di potenza, ma che ogni essere vivente brucia tutta la sua energia perché una volta in vita non può farne a meno ( presenza dell' ossigeno e altre concause dell' ambiente in cui si ritrova a vivere). Quello che a me sembra è che l' unica cosa che Severino abbia in mente è l' inevitabile ( ma dove sta scritto? ) esistenza di un mondo Metafisico e fa di tutto per provarlo. Come ho già detto altrove, il mio agnosticismo, per molti versi innato, non solo mi impedisce di cadere nel Nichilismo, che proprio non so cosa sia, ma anche di poter credere a simili argomentazioni che invece mi lasciano molto perplesso. Comunque se mi è concesso di espormi, l' unica cosa in cui credo è proprio l' esistenza del divenire degli enti in un eterno presente. Il tempo è una dimensione creata dall' uomo e che ci aiuta a stabilire un rapporto misurabile con il nostro divenire, ma nulla di più. Nell' attimo in cui la vita abbandona il nostro corpo muore anche l' ente che ne fa parte. Sarà drammatico, ingiusto, difficile da accettare, ma creare una dimensione irreale dove tutti gli enti continuano ad essere a me sa molto di Platonico, ma soprattutto di vecchio. Nietzsche aveva pienamente ragione quando affermava di essere nato postumo. Chi più di lui può affermarlo? Quand' è che si ci libererà definitivamente di ogni ideale e Mondo Metafisico? Vi prego di segnalarmi se ho detto qualche idiozia, che ritengo sempre probabile. Vi ringrazio della vostra attenzione e spero che il mio intervento sia stato gradito. Garbino Vento di Tempesta. |
15-05-2014, 00.34.39 | #206 | ||||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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Anzitutto aggiorno alcune mie posizioni, ho sbagliato io nel considerare arruffato il tentativo. Mi mancava il dato necessario che un astrazione di un astrazione potesse essere relazione (Cantor). A questo punto trovo anch'io come Maral che il tentativo di trovare "x" da parte di Severino sia corretto. Ossia: unire l'analitico (ossia la rdn) tramite il dialettico(proprietà della classe) con il sintetico (apparire infinito). Mentre prima avevo capito che usasse la categoria dialettica per giustificare se stessa in quanto dialettica. Invece questa dimostrazione serve a giustificare l'apparire, che è apparire dal punto di vista dell'infinito(intesa come proprietà della classe). Giustificare significa trovare una relazione che apparirebbe altrimenti impossibile se non assiomatizzata. Ciò detto ovviamente non accetto che il tempo sia un ente. E sopratutto non accetto che non si consideri la relazione anche, meglio sopratutto, dall'io. Infatti qui si sta facendo astrazione pura. Sul problema in chiave Hegeliana, e così rispondo anche a Garbino, del perchè l'io si sopprima da se posto da Berto, è dovuta proprio al fatto che per Hegel il sintetico è una chiave dis-omogenea.(e questo vale anche per lo spirito, che a mio modo di vedere più pertinente nello sviluppo hegeliano) Ma c'è di più, il fatto è che la morte è una forza di per sè dialettica. La sintesi definitiva da cui prender le mosse. Il fatto è che questa forza è irrelata con l'io...se non come scontro dialettico per Hegel. Infatti vien da pensare che l'estensione non è con l'apparizione infinita, ma il fantasma disperato che l'uomo necessita per relazionarsi come io-contradizone con il totale, ossia Dio. Che Dio sia questa relazione infinita e infinita con se stessa (in Severino), salva solo l'astrazione ma per quanto riguarda la sostanza del rapporto io-mondo? Heidegger ribalta tutto ciò. O forse lo comprende meglio nelle sue reali dimensioni (ossia non c'è alcun Dio dato). Non è tanto il problema della misurazione del tempo presente, ossia della misurazione in assoluto, ma proprio il problema del divenire, che a ben vedere alla fine si risolve nella morte. Quello che meglio lo ha capito è stato Heidegger, che infatti legge correttamente il nulla non come ente logico formale, bensì come problema del vivente. Su questo forum molti hanno detto di stare tranquillamente bene anche senza una metafisica, il punto è che senza dover sposare la tesi opposta, ossia che molti vanno in depressione senza di essa, ognuno di noi ha a che fare con questa forza. Siccome viviamo in tempi ideologici per eccellenza, nessun dentro un mondo alienato si rende conto, che la costruzione tecnica, il feticismo e il consumismo sono modi costruens di dis-togliere l'attenzione sul centro della gravità da cui per generazione induttiva si arriva anche ai sintetici cantoriani e alle metafisiche religiose mitiche. ossia siamo allontanati e ci allontaniamo da questo centro. in termini psicoanalitici questo allontanarsi da quel centro è infatti sintomo delle attuali condotte depressive.(Le mappe mentali infatti si formano nei paraggi di quel centro, e se non vengono esplorate creano un buco chiamato inconscio) essendo l'uomo empatico per natura si trasformano nel più tragico tra gli eversori ossia il mondo dello spettacolo. Ora è chiaro che in un mondo dominato dalla scienza è difficile tornare a quelle metafisiche, e senz'altro bisogna stare attenti alla socializzazione ossia alla banalizzazione di queste metafisiche (nietzche aiuta certo). Ma fatte le debite premesse, io trovo invece che trovare una nuova commisurazione alle religioni una cosa necessaria, un bivacco nei pressi del centro, un cerchio intorno al sacro (il non nominato) appunto la morte. aiuterebbe senz'altro il senso di salvezza, appunto l'unione tra ciò è (necessariamente) e ciò che quel "ciò" garantische appunto tutto il resto. Questa unione (coniuctio oppositorum) che dalla recente alchimia arriva su su fin ai miti, è essenzialmente il cammino opposto, ossia annichilente e introversivo,che oggi siamo chiamati a ri-costruire. (ricordiamoci che per uscire dal nischilismo bisogna infatti attraversarlo e quindi "farsi annichilire") Il tema dell'angst ossia della paura in casa propria, è senz'altro il tema ossessivo dei prossimi secoli per queste nuove metafisiche. questa altalena tra eversivo (la tecnica) e introversivo (la metafisica) è un tema platonico? probabilmente sì...dire che non lo si vuol affrontare perchè vecchio è quantomeno discutibile, per me risibile. eccoci arrivati appunto alla questione che cantor e severino quasi tralasciano, e da cui invece partono sia hegel che peirce che nietzche (guarda caso i filosofi maggiori), ossia tutto questo riflettere sulle condotte sulle morali sul fare, sull'analizzare e sul logico, sono sempre cose riflesse e cioè appunto contemplano un IO. il problema è sempre quello dell'io... |
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15-05-2014, 10.01.09 | #207 |
Garbino Vento di Tempesta
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Ciao Green&Grey Pocket,
ti ringrazio per aver raccolto la mia provocazione ed aver ravvivato un argomento che ritengo veramente di alto spessore e che sembrava volto ad un congelamento definitivo. Ti ringrazio anche per avermi bacchettato con quel 'risibile' che accetto pienamente perché lo ritengo inoppugnabile visto e considerato il periodo a cui si riferiva. ( Scusate se non ho la vostra dimestichezza con i mezzi che il forum offre ma spero che con il tempo riuscirò ad usarli e ad essere così più attento alle argomentazioni a cui mi intendo riferire ). Sono assolutamente d' accordo con te che il problema principale sia quello dell' io e se questo io, una volta localizzato, garantisca la presenza di un ente. Purtroppo tale questione oltre che essere di ardua trattazione ci allontana dal tema principale della discussione e ritengo più opportuno farla cadere. Altra cosa è la costruzione che Severino fa e che ribadisco sembra essere un ritorno ad un nichilismo delle origini. Quello a cui Nietzsche si riferisce quando afferma che l' uomo preferisce un niente certo ad un incerto qualcosa. Sono vari i punti in cui Nietzsche parla di questo argomento, riporto integralmente il brano che si può trovare in Al di là del bene e del male nel paragrafo dieci del Capitolo SUI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI a pag 45 della versione della Newton Compton: .......un' ambizione metafisica di una sentinella perduta che alla fine preferisce una manciata di certezza a un intero carro di belle possibilità; possono esserci persino puritani fanatici della coscienza, che preferiscono morire su un nulla sicuro piuttosto che su un incerto qualcosa. Ma questo è NICHILISMO e segno di un' anima in preda alla disperazione, stremata fino alla morte, sebbene possano apparire gagliardi gli atteggiamenti di tale virtù. ..... Sono d' accordo altresì che il problema sussiste e vada affrontato, ma a mio avviso, non è questa la strada. Né mi sogno di indicarne un' altra perché ho già detto che finirei fuori tema. Ammesso e non concesso che possa fornirla. Ringrazio tutti per la cortese attenzione e ci tengo a precisare che non c' è alcuna volontà di offesa nel mio argomentare ma soltanto la ricerca di un pensare diverso che dopo Nietzsche mi sembra possibile. Arduo ma possibile. Garbino Vento di Tempesta. |
15-05-2014, 19.08.40 | #208 | |
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Forse potrebbe far capire meglio una correlazione: L'uomo è nell'Eden è sia natura(in quanto creato con la terra) sia a immagine di Dio. Non ha bisogno di dominare la natura in quanto essa lo sostenta senza il lavoro e vive immortale in quanto perfetta armonia fra il creatore e il creato. Quindi siamo negli eterni, nella "gloria"( se ricordo bene Severino). Il peccato diventa la contraddizione logica, si apre la dualità e il processo dialettico.La dualità è rappresentato dall'albero del bene e del male. La dialettica è il sistema di riferimento assoluto ed eterno (Dio, la perfezione) e il sistema del divenire della natura: il fisico e il metafisico e quell'albero del bene e del male che rappresenta la dualità rappresenta pure lo strumento dell mondo delle relazioni, la conoscenza attraverso il linguaggio. Ma rimane nascosto il "sancta sanctorum": l'albero della vita . La contraddizione del divenire appare quando ora l'uomo o per necessità(fisica di sopravvivenza) o desideri o per rimorso del peccato, del tempo perduto, chiama ad apparire gli enti .Il tempo è un ente che appare con la contraddizione,la conoscenza o diventa tentativo di trovare l'albero della vita(una sorta di sacro graal) o diventa dominio sulla natura attraverso la conoscenza che però nasce come strumento anch'esso dalla contraddizione. La gloria può apparire solo se il peccato è rimosso , cioè la contraddizione logica fondamentale che apre alla dialettica, al divenire. Fin quando non è risolta non può essere sottratto al nascondimento l'albero della vita. L'assiomatizzazione è il procedimento della verità relativa, nno assoluta e in quanto tale ancor nel divenire. E' il fermarsi al più alto livello metafisico possibile(attraverso la conoscenza) per dimostrare delle tesi iniziali attraverso la logica, matematica e mondo fisico. |
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16-05-2014, 17.40.19 | #209 | |
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Non so quando possa entrarci questo mio rapido commento, ma sotto un certo aspetto sono interessatissimo alla questione dell'IO che, secondo una mia ottica, c'entra non solamente nella filsofia ma, dico, della fisica. Per me l'IO è: - La Coscienza osservante dell'universo; - Unico - la singolarità origine dell'universo e suo riferimento assoluto. L'accettazione di questo, anzi, la sua comprensione è equivalente all'accettare la visuale soggettivistica (=idealistica) del mondo. Cio facilità la soluzione di annosi problemi e contraddizioni sia in campo teologico che scientifico, per esempio, il problema della costanza della velocità della luce (nel senso della non banale sommabilità aritmetica ed anche -ma direi: specialmente- nella spiegazione della meccanica quantistica dove una posizione realista è una specie di zavorra ideologica. Scusatemi di questa mia inteferenza, grazie. |
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17-05-2014, 00.18.51 | #210 | ||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
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figurati, anzi, concordiamo infatti su un punto dirimente per molte questioni che riguardano infine anche molte scienze. Citazione:
infatti!...il tema è di quelli che più mi stanno affascinando, però poichè la conoscenza ha separato le radici vi è anche l'albero della morte. non le leggo come prescrizioni ebraiche, bensì come chiavi allegoriche. ecco facendo un breve salto allo Sefer ha-Zohar e improvvisando un pochino(tramite google) ecco la raffigurazione dell'albero della vita. bisogna stare nella colonna per tornare al regno (la gloria, anche in severino) la colonna è fondamento conoscienza e corona. a sinistra il femmineo e a destra il maschile eternità amore e sapienza contro splendore forza e intelligenza. Nella tradizione della Cabala è il coniunctio oppositorum (che influenzerà l'alchimia d'occidentale, molti pensano sia il contrario...non saprei). (Ho letto Jung e basta per ora). Ecco che cosa è il fondamento? Ma non è esattamente, quello che da Platone ad Heidegger, il grande tentativo della filosofia di stare ai "piedi del regno"? Come vediamo corona e fondamento noi li possiamo intuire anche a partire da un forum il resto è nella vita reale. La conoscenza è dunque nella filosofia per questa visione ebraica? direi di no. E' sorprendente anche ripensando ad alcune proteste recentemente apparse sul forum. Ecco azzardo che le proposte dei vari Severino, Cantor etc... mi sembrano più corona che fondamento. fanno parte di quello che dovrà un giorno essere di nuovo coniunctio. I temi sono abbondanti! le interpretaazioni pure! |
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