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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 11-03-2014, 23.23.43   #201
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Hai però evitato la domanda sul tempo, che secondo me qualche grattacapo lo dà, comunque in una conferenza Severino parla del tempo come entità.
il fatto è che allora l'entità tempo alla velocità della luce, e il tempo a velocità accellerato è diversa? ma allora cosa appare?cioè appare avrà pure una qualche relazione con il tempo, sì ma quale tempo? o anche l'apparire è una entità? e se sì come temo, perchè relazionarla all'infinito?Dove sta questa necessità? perchè se tutto è entizzabile, allora l'esistente potrebbe essere qualsiasi cosa, e cadremmo in un relativismo senza fine.
dove anche il dire che l'essente non è essente, potrebbe essere lo stesso un essente e dunque non c'è follia alcuna.
Il tempo è certamente un ente, anzi vi sono molti enti tempo tra loro diversi. Sono accomunati dall'essere misura del mutamento, dunque della contraddizione del divenire o, in termini severiniani del continuo sopraggiungere e oltrepassare degli enti nei cerchi dell'apparire (ossia del loro emergere e uscire dalla coscienza che esprime l'apparire dell'apparire). Tutto è entizzabile, perché tutto (a eccezione del nulla) esprime significati, ma questo non significa che il singolo esistente è qualsiasi cosa, esso esprime una modalità particolare e unica dell'essere, ossia un complesso di modalità di relazionarsi con tutti gli altri essenti da cui ogni singolo ente differisce ma a cui è sempre ontologicamente collegato.
Citazione:
peccato che il significare assolutmanente nulla porti l'intero pensiero occidentale a interrogarsi su quel senso di nulla.
foss'anco una manifestazione della contradizione c.
Per Severino il nulla è semplicemente il significato della contraddizione in cui ha fede l'Occidente e in quanto questa contraddizione appare, il nulla appare come significante che significa nulla (anche il nulla è infatti identico a se stesso)

Citazione:
Scusa se possibile potresti recuperare il passaggio, o spiegarmelo qua, se hai tempo ovvio! il fatto è che per Peirce i paradossi autoreferenziali non possono essere superati, e da che ne so anche secondo la logica formale moderna.
Ma la logica dialettica non è la logica formale, per la logica formale gli opposti si escludono e si eliminano reciprocamente, per quella dialettica si fondano l'uno con l'altro reciprocamente implicandosi pur mantenendosi in contraddizione tra loro (A non è non A significa che la realtà di A si fonda su non A che lo contraddice, ossia che A e non A si mantengono sempre in relazione nel loro opporsi).
Per Severino l'autoreferenzialità è un punto cardine che non può essere escluso (l'apparire è infatti sempre un apparire dell'apparire) e non può essere considerato illogico come impone la logica formale. Cercherò se ci riesco di riassumere la sua argomentazione in merito al paradosso di Russell e contro la teoria dei tipi, ma non sarà un'impresa semplice ridurla al formato adatto a un forum. L'ho trovata comunque spiegata molto bene in "La dialettica della struttura originaria" di F.Berto.

Citazione:
aspetto tuoi contributi sulle domande che faccio nel mio 3d, la posizione di severino mi sembra di averla capita ma rimangono delle problematiche.
Appena posso vedrò di tornarci sopra
Citazione:
Si va bene, ma questo secondo Hegel è impossibile.
Ma veramente Severino pensa di cavarsela dando impersonificazioni del totale come impossibilità del singolo ente di sussistere, cioè negandolo(il totale) sostanzialmente come processo dialettico?
E' un processo dialettico ribaltato rispetto a quello di Hegel, perché quello che per Hegel è la totalità finale espressa dal percorso dialettico per Severino è un continuo e infinito recupero della totalità iniziale ed eterna dell'ente. Il punto è che per Severino Hegel non può partire da un ente spurio per arrivare alla totalità, perché quell'ente spurio posto all'inizio del processo dialettico proprio in quanto spurio (astratto e in sé originariamente isolato) equivale a un niente. Se l'ente è realmente solo la totalità che è, tale totalità non può che essere eterna fin dal primo momento, anche se via via viene a manifestarsi fenomenologicamente. Perché fenomenologicamente l'ente può solo apparire circoscritto come parte definita pur essendo per immediata evidenza logica la totalità espressa dal pnc. il continuo diverso apparire (e questo è il significato dell'apparire che è sempre apparire dell'apparire, dunque è concetto autoreferenziale) dell'ente consiste proprio nel divario che si trova tra il fenomenologico mostrarsi dell'ente come parte determinata e la necessità di essere per intero ciò che è, e dunque di mostrarsi per intero per ciò che è. Il continuo diverso apparire è l'eterno inseguimento fenomenologico di quella totalità logica che non potrà mai essere raggiunta e che pur tuttavia è sempre presente. L'apparire di questo immane inseguimento in tutte le forme in cui appare è appunto il destino della Gloria.
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Vecchio 12-03-2014, 22.04.30   #202
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

In risposta alla precedente domanda di green&grey pocket tento di riassumere la soluzione (dissoluzione) del paradosso dell'autoreferenzialità alla luce della relazione semantica fondamentale (RSF) per la quale l'ente è definito dialetticamente dal suo intero contraddittorio infinito con riferimento alla spiegazione che ne dà più diffusamente e chiaramente Berto nel testo precedentemente citato.
Il paradosso è così esprimibile, detta normale una classe (o insieme) che non appartiene a se stessa e R la classe di tutte le classi normali, R appartiene a se stessa se e solo se R non appartiene a se stessa. Il paradosso è dovuto al principio di comprensione o di astrazione che è alla base della logica insiemistica e considera astrattamente omogenei gli elementi di una classe (estensione o grafo della classe) con riferimento solo a una data proprietà definitoria (intensione).
Per risolvere la contraddizione la logica formale si limita a vietare l'autoreferenzialità (una soluzione a hoc). Nella teoria dei tipi di Russell ad esempio si vieta la relazione di appartenenza tra elementi o classi di pari gerarchia logica. Questo, rileva Severino, nega la struttura originaria del principio di identità (ossia che un ente appartenga a se stesso) e che l'apparire appartenga all'apparire, ossia che insieme all'apparire dell'ente necessariamente appaia l'apparire del suo apparire (autocoscienza).
Severino nota che secondo la logica insiemistica (logica formale del puro intelletto, direbbe Hegel) la classe si costruisce come un significato isolato sulla base solo di un'intensione, di un'estensione omogenea e del nesso che le unisce eliminando la RSF (ossia la relazione negativa tra ogni determinazione e la totalità del suo contraddittorio).
Scrive infatti in Tautotes:
"L’insieme delle determinazioni che hanno una proprietà comune e che la logica interpreta come estensione di una classe è connesso per necessità alla dimensione, come negata, delle determinazioni che non hanno tale proprietà. L’insieme delle cose bianche è connesso necessariamente con l’insieme delle cose non bianche…La connessione che unisce A alla negazione di non A implica una dimensione semantica la quale nel concetto di classe contenga solo A, e cioè non contenga non A come negato e che sia concepita come semanticamente indipendente dal contesto in cui essa si trova, lo A che si intende porre non sia A. Poiché A è necessariamente negazione di non A, isolato da non A, non è A, si che l’isolamento di A è la contraddizione che identifica A e non A"
Per cui, alla luce della RSF, ogni classe in quanto tale è un significato contraddittorio e l'antinomia sorge dall’isolamento operato nelle semantiche basate su un’ontologia astratta di tipo insiemistico con cui quella determinazione dell’essente che è l’estensione delle classi normali (N) viene separata da quella classe non normale che è la stessa classe delle classi normali (K)
Ogni isolamento è la negazione di un nesso necessario: la relazione (K1) tra N e K. Tale relazione K1 è la sintesi che ha come termini N e K non isolati, ma mantenuti tra loro in antitesi. Il paradosso segue dal presupposto dell’omogeneità per il quale l’estensione di una classe include tutti e solo gli elementi che godono della stessa proprietà. K1 è la recuperata sintesi relazionale tra elementi eterogenei, ossia tra N estensione delle classi che hanno la proprietà di essere normali e K, classe non normale delle classi normali che in quanto non normale include se stessa come elemento non omogeneo agli altri suoi elementi che ne rappresentano l'estensione. Quindi che K includa se stessa nella relazione di sintesi K1 con l’ estensione N delle classi normali non determina più, alla luce della RSF, il paradosso per cui essa insieme non include se stessa perché apparterrebbe all’estensione N delle classi normali, a cui non è omogenea perché proprio includendo se stessa non è normale.
Quindi K1, il nesso di sintesi che permette di risolvere il paradosso è:
-estensionalmente la sintesi fra N (tutte le classi normali) e K, ove estensione, essendo una sintesi, non ha nulla a che vedere con l’estensione della logica delle classi.
-intensionalmente la sintesi tra il concetto di classe normale (di cui N è estensione) e il concetto di K come classe non normale delle classi normali, ove intensione, essendo una sintesi, è molto diversa dalla intensione della logica delle classi.

Ultima modifica di maral : 12-03-2014 alle ore 22.14.37.
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Vecchio 13-03-2014, 01.11.01   #203
green&grey pocket
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

anzitutto grazie maral, mi hai incuriosito e ho aggiunto un tassello fondamentale nella mia conoscenza del Severino.

questo perchè dopo lo smonto ...ma è stato utile

Allora, ho trovato il testo, poi lo leggo con calma, butto giù di getto alcune considerazioni che però ritengo definitive.

Citazione:
È quindi inevitabile che la logica analitica non si senta soccombente di fronte alla
logica dialettica [scil. in quanto dialettica hegeliana]. Ciò che quest’ultima non riesce a
mostrare alla logica analitica è la necessità che la coscienza [posizione, apparire] di una
determinazione sia coscienza [posizione, apparire] della sintesi della determinazione e del
suo opposto [RSF].
La “logica analitica”, che Hegel chiamerebbe logica dell’intelletto, è, come
ormai ben sappiamo, negazione della RSF: è negazione che la posizione del
significato a implichi la posizione della totalità del suo contraddittorio non-a. Ed è
anche, per ciò stesso, negazione che la posizione del PNC e dei princìpi logici
implichi l’apparire (del positivo significare) del nulla, della contraddizione (cfr. II,
4). Ora, la dialettica hegeliana non sa dire
perché “la determinazione isolata” (ossia concepita come indifferente all’apparire
del suo opposto) debba “sopprimersi da sé”, cioè “contraddirsi”, “passare nel suo opposto”.
E l’implicita indicazione del ‘perché’ si risolve, nella dialettica [hegeliana], in una petitio
principii.55
Essa non sa esibire l’autentica motivazione della contraddizione dialettica,
perché pretende che la posizione della relazione semantica in quanto tale (della
RSF, della relazione logica in cui consistono il PNC e i principi della logica, etc.)
sia il risultato del divenire, in cui la contraddizione è tolta. Al contrario, solo se la
RSF, la relazione fra opposti, è presupposta, è l’originario, ed essa è una tautologia
54. AT, p. 66.
55. RC, p. 356.
333
III, 2. La petitio principii della dialettica hegeliana
(anzi, è la stessa posizione concreta del PNC), allora la sua negazione produce una
contraddizione. La contraddizione dialettica, prodotta dall’isolamento semantico,
può sussistere solo se il significato è originariamente non isolato: ossia solo se
originariamente esso non appare come “noema”, o come significato, ente isolato
dall’apofansi originaria che lo oppone al niente e all’altro da sé:
Se non si presuppone sin dall’inizio che il finito è necessariamente unito al suo
contesto [ossia, se non si presuppone la RSF], non si vede perché, separato dal contesto -
cioè pensato come indifferente all’apparire del suo opposto -, il finito debba “avere questo
di proprio, di sopprimere se medesimo”.56 F.Berto


Di Berto mi fido, lo stimo troppo.

Diciamo che qesta risposta sarebbe state meglio nel mio 3 d, ma tant'è.

a questo punto non serve maral che rispondi di là.

Quando Severino parla di logica dialettica pensavo avesse ben inteso di cosa parlasse Hegel: mi trovo mio malgrado a trovare la posizione di Severino altamente discutibile, per quanto innovativa a livello formale, MAI fenomenologico.
In generale un percorso che non mi riguarda.

Dunque il tentativo è quello di creare una semantica formale a partire dalla logica Hegeliana ma senza il petitio principii.

Per farlo però Severino deve ricorrere necessariamente a un escamotage che forse non sarà paraconsistente ma di certo è alternativo.
E comunque è di natura formale. Inoltre se si rifersice alla sintesi hegeliana, è comunque una petitio principii, in cui al posto del divenire si intenda una tautologia.
Ma io non sono una tautologia...voglio dire è vero che la forma determina la sostanza, ma la sostanza è comunque determinata per negativo...sennò non vi è sintesi. (cioè ha fatto lo stesso errore di Russel che tanto ha criticato )

Veramente arruffato questo tentativo di unire l'analitica alla dialettica.

Io dico solo: grazie a Dio la logica dialettica non deve rendere conto alla logica formale!!!

Rimane il problema dell'aporia dell'essente però! ("il finito debba “avere questo
di proprio, di sopprimere se medesimo”
vedi quote")
(e il suo rapporto complicato con la differenza, più che il nulla(positivo significare), a questo punto)
(dico in prospettiva esclusivamente fenomenologica e cioè inferenziale alla fine.)



(ora capisco perchè carlo sini dice di essere all'opposto!!)
green&grey pocket is offline  
Vecchio 14-03-2014, 13.45.12   #204
maral
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Citazione:
Veramente arruffato questo tentativo di unire l'analitica alla dialettica.
In effetti lo trovo un tentativo interessante. La tautologia del principio di identità si sviluppa per implicazioni analitiche, ma il principio di identità si identifica con il principio di non contraddizione e questo consente di portare avanti lo sviluppo della tautologia per via dialettica così da tradurlo in un continuo infinito apparire fenomenologico.
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Vecchio 14-05-2014, 16.51.36   #205
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Ciao Mauro,
scusa se intervengo ma l' argomento affascina anche me per il semplice fatto che vi ho ragionato a lungo e naturalmente sono lontano dal credere di aver raggiunto una qualsivoglia soddisfacente teoria al problema che tu poni. E' naturale che qualche ipotesi più o meno corretta penso di averla ma dire di più è impossibile.

Non conosco bene Severino, ma altrove ho già dubitato delle sue argomentazioni filosofiche che ritenevo non logiche anche se altamente apprezzabili.

Per quanto riguarda l' argomento in questione mi avvalgo di ciò che ho letto nel tuo intervento e in quello di altri, tra cui Maral, che ritengo un profondo conoscitore di Severino.

Il nulla. E qui parte già la prima critica, che per altro avevo rivolto già ad Heidegger che aveva formulato appunto l' ipotesi che l' esistenza degli enti si trova nel nulla da dove provengono e dove tornano alla morte dell' entità fisica che li avvolge.

Ma il nulla non è un logos, né una dimensione reale che può dare credito ad una simile argomentazione. Il nulla non esiste proprio. Tutti gli enti, a mio avviso sono solo in potenza e fortunato è quell' ente che riesce a diventare atto e cioè vitale.

L' ipotesi di Severino che il Nichilismo sia causato dal credere nel divenire non sta in piedi neanche a reggerlo. Il nichilismo è un disadattamento di enti che abituati a credere in qualcosa non riescono a mutare la loro condizione nel momento in cui si ipotizza l' inesistenza d un mondo Metafisico, della divinità, di Dio. E' la Morte di Dio annunciata da Nietzsche e non interiorizzata che causa l' ascesa della tecnica e il perdersi dell' ente nel nulla.

La volontà di potenza sbandierata come concausa rappresenta il voler ricorrere ad una teoria come verità, per altro ricordiamo che in Nietzsche nasce come contrapposizione alla volontà di volontà di Schopenhauer, che fa acqua da tutte le parti come lo stesso Nietzsche argomenta ampiamente negando la possibilità che una volontà possa essere alla base di un' altra volontà.

Ad esempio, personalmente, ritengo che non vi sia neanche una volontà di potenza, ma che ogni essere vivente brucia tutta la sua energia perché una volta in vita non può farne a meno ( presenza dell' ossigeno e altre concause dell' ambiente in cui si ritrova a vivere).

Quello che a me sembra è che l' unica cosa che Severino abbia in mente è l' inevitabile ( ma dove sta scritto? ) esistenza di un mondo Metafisico e fa di tutto per provarlo.

Come ho già detto altrove, il mio agnosticismo, per molti versi innato, non solo mi impedisce di cadere nel Nichilismo, che proprio non so cosa sia, ma anche di poter credere a simili argomentazioni che invece mi lasciano molto perplesso.

Comunque se mi è concesso di espormi, l' unica cosa in cui credo è proprio l' esistenza del divenire degli enti in un eterno presente. Il tempo è una dimensione creata dall' uomo e che ci aiuta a stabilire un rapporto misurabile con il nostro divenire, ma nulla di più. Nell' attimo in cui la vita abbandona il nostro corpo muore anche l' ente che ne fa parte. Sarà drammatico, ingiusto, difficile da accettare, ma creare una dimensione irreale dove tutti gli enti continuano ad essere a me sa molto di Platonico, ma soprattutto di vecchio.

Nietzsche aveva pienamente ragione quando affermava di essere nato postumo. Chi più di lui può affermarlo? Quand' è che si ci libererà definitivamente di ogni ideale e Mondo Metafisico?

Vi prego di segnalarmi se ho detto qualche idiozia, che ritengo sempre probabile.

Vi ringrazio della vostra attenzione e spero che il mio intervento sia stato gradito. Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 15-05-2014, 00.34.39   #206
green&grey pocket
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Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
Veramente arruffato questo tentativo di unire l'analitica alla dialettica.

Citazione:
Se non si presuppone sin dall’inizio che il finito è necessariamente unito al suo
contesto [ossia, se non si presuppone la RSF], non si vede perché, separato dal contesto -
cioè pensato come indifferente all’apparire del suo opposto -, il finito debba “avere questo
di proprio, di sopprimere se medesimo”.56 F.Berto

Citazione:
Originalmente inviato da Garbino
Comunque se mi è concesso di espormi, l' unica cosa in cui credo è proprio l' esistenza del divenire degli enti in un eterno presente. Il tempo è una dimensione creata dall' uomo e che ci aiuta a stabilire un rapporto misurabile con il nostro divenire, ma nulla di più. Nell' attimo in cui la vita abbandona il nostro corpo muore anche l' ente che ne fa parte. Sarà drammatico, ingiusto, difficile da accettare, ma creare una dimensione irreale dove tutti gli enti continuano ad essere a me sa molto di Platonico, ma soprattutto di vecchio.


Citazione:
Originalmente inviato da Maral
In effetti lo trovo un tentativo interessante. La tautologia del principio di identità si sviluppa per implicazioni analitiche, ma il principio di identità si identifica con il principio di non contraddizione e questo consente di portare avanti lo sviluppo della tautologia per via dialettica così da tradurlo in un continuo infinito apparire fenomenologico.


Anzitutto aggiorno alcune mie posizioni, ho sbagliato io nel considerare arruffato il tentativo.
Mi mancava il dato necessario che un astrazione di un astrazione potesse essere relazione (Cantor).

A questo punto trovo anch'io come Maral che il tentativo di trovare "x" da parte di Severino sia corretto.

Ossia: unire l'analitico (ossia la rdn) tramite il dialettico(proprietà della classe) con il sintetico (apparire infinito).
Mentre prima avevo capito che usasse la categoria dialettica per giustificare se stessa in quanto dialettica.
Invece questa dimostrazione serve a giustificare l'apparire, che è apparire dal punto di vista dell'infinito(intesa come proprietà della classe).
Giustificare significa trovare una relazione che apparirebbe altrimenti impossibile se non assiomatizzata.

Ciò detto ovviamente non accetto che il tempo sia un ente.
E sopratutto non accetto che non si consideri la relazione anche, meglio sopratutto, dall'io.
Infatti qui si sta facendo astrazione pura.

Sul problema in chiave Hegeliana, e così rispondo anche a Garbino, del perchè l'io si sopprima da se posto da Berto, è dovuta proprio al fatto che per Hegel il sintetico è una chiave dis-omogenea.(e questo vale anche per lo spirito, che a mio modo di vedere più pertinente nello sviluppo hegeliano)

Ma c'è di più, il fatto è che la morte è una forza di per sè dialettica.
La sintesi definitiva da cui prender le mosse.
Il fatto è che questa forza è irrelata con l'io...se non come scontro dialettico per Hegel.
Infatti vien da pensare che l'estensione non è con l'apparizione infinita, ma il fantasma disperato che l'uomo necessita per relazionarsi come io-contradizone con il totale, ossia Dio.
Che Dio sia questa relazione infinita e infinita con se stessa (in Severino), salva solo l'astrazione ma per quanto riguarda la sostanza del rapporto io-mondo?
Heidegger ribalta tutto ciò. O forse lo comprende meglio nelle sue reali dimensioni (ossia non c'è alcun Dio dato).

Non è tanto il problema della misurazione del tempo presente, ossia della misurazione in assoluto, ma proprio il problema del divenire, che a ben vedere alla fine si risolve nella morte.

Quello che meglio lo ha capito è stato Heidegger, che infatti legge correttamente il nulla non come ente logico formale, bensì come problema del vivente.

Su questo forum molti hanno detto di stare tranquillamente bene anche senza una metafisica, il punto è che senza dover sposare la tesi opposta, ossia che molti vanno in depressione senza di essa, ognuno di noi ha a che fare con questa forza.

Siccome viviamo in tempi ideologici per eccellenza, nessun dentro un mondo alienato si rende conto, che la costruzione tecnica, il feticismo e il consumismo sono modi costruens di dis-togliere l'attenzione sul centro della gravità da cui per generazione induttiva si arriva anche ai sintetici cantoriani e alle metafisiche religiose mitiche.
ossia siamo allontanati e ci allontaniamo da questo centro.

in termini psicoanalitici questo allontanarsi da quel centro è infatti sintomo delle attuali condotte depressive.(Le mappe mentali infatti si formano nei paraggi di quel centro, e se non vengono esplorate creano un buco chiamato inconscio) essendo l'uomo empatico per natura si trasformano nel più tragico tra gli eversori ossia il mondo dello spettacolo.

Ora è chiaro che in un mondo dominato dalla scienza è difficile tornare a quelle metafisiche, e senz'altro bisogna stare attenti alla socializzazione ossia alla banalizzazione di queste metafisiche (nietzche aiuta certo).

Ma fatte le debite premesse, io trovo invece che trovare una nuova commisurazione alle religioni una cosa necessaria, un bivacco nei pressi del centro, un cerchio intorno al sacro (il non nominato) appunto la morte.
aiuterebbe senz'altro il senso di salvezza, appunto l'unione tra ciò è (necessariamente) e ciò che quel "ciò" garantische appunto tutto il resto.

Questa unione (coniuctio oppositorum) che dalla recente alchimia arriva su su fin ai miti, è essenzialmente il cammino opposto, ossia annichilente e introversivo,che oggi siamo chiamati a ri-costruire.
(ricordiamoci che per uscire dal nischilismo bisogna infatti attraversarlo e quindi "farsi annichilire")

Il tema dell'angst ossia della paura in casa propria, è senz'altro il tema ossessivo dei prossimi secoli per queste nuove metafisiche.

questa altalena tra eversivo (la tecnica) e introversivo (la metafisica) è un tema platonico? probabilmente sì...dire che non lo si vuol affrontare perchè vecchio è quantomeno discutibile, per me risibile.

eccoci arrivati appunto alla questione che cantor e severino quasi tralasciano, e da cui invece partono sia hegel che peirce che nietzche (guarda caso i filosofi maggiori), ossia tutto questo riflettere sulle condotte sulle morali sul fare, sull'analizzare e sul logico, sono sempre cose riflesse e cioè appunto contemplano un IO.

il problema è sempre quello dell'io...
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Vecchio 15-05-2014, 10.01.09   #207
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Ciao Green&Grey Pocket,
ti ringrazio per aver raccolto la mia provocazione ed aver ravvivato un argomento che ritengo veramente di alto spessore e che sembrava volto ad un congelamento definitivo.

Ti ringrazio anche per avermi bacchettato con quel 'risibile' che accetto pienamente perché lo ritengo inoppugnabile visto e considerato il periodo a cui si riferiva. ( Scusate se non ho la vostra dimestichezza con i mezzi che il forum offre ma spero che con il tempo riuscirò ad usarli e ad essere così più attento alle argomentazioni a cui mi intendo riferire ).

Sono assolutamente d' accordo con te che il problema principale sia quello dell' io e se questo io, una volta localizzato, garantisca la presenza di un ente. Purtroppo tale questione oltre che essere di ardua trattazione ci allontana dal tema principale della discussione e ritengo più opportuno farla cadere.

Altra cosa è la costruzione che Severino fa e che ribadisco sembra essere un ritorno ad un nichilismo delle origini. Quello a cui Nietzsche si riferisce quando afferma che l' uomo preferisce un niente certo ad un incerto qualcosa.
Sono vari i punti in cui Nietzsche parla di questo argomento, riporto integralmente il brano che si può trovare in Al di là del bene e del male nel paragrafo dieci del Capitolo SUI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI a pag 45 della versione della Newton Compton: .......un' ambizione metafisica di una sentinella perduta che alla fine preferisce una manciata di certezza a un intero carro di belle possibilità; possono esserci persino puritani fanatici della coscienza, che preferiscono morire su un nulla sicuro piuttosto che su un incerto qualcosa. Ma questo è NICHILISMO e segno di un' anima in preda alla disperazione, stremata fino alla morte, sebbene possano apparire gagliardi gli atteggiamenti di tale virtù. .....

Sono d' accordo altresì che il problema sussiste e vada affrontato, ma a mio avviso, non è questa la strada. Né mi sogno di indicarne un' altra perché ho già detto che finirei fuori tema. Ammesso e non concesso che possa fornirla.

Ringrazio tutti per la cortese attenzione e ci tengo a precisare che non c' è alcuna volontà di offesa nel mio argomentare ma soltanto la ricerca di un pensare diverso che dopo Nietzsche mi sembra possibile. Arduo ma possibile.
Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 15-05-2014, 19.08.40   #208
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

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Anzitutto aggiorno alcune mie posizioni, ho sbagliato io nel considerare arruffato il tentativo.
Mi mancava il dato necessario che un astrazione di un astrazione potesse essere relazione (Cantor).

A questo punto trovo anch'io come Maral che il tentativo di trovare "x" da parte di Severino sia corretto.

Ossia: unire l'analitico (ossia la rdn) tramite il dialettico(proprietà della classe) con il sintetico (apparire infinito).
Mentre prima avevo capito che usasse la categoria dialettica per giustificare se stessa in quanto dialettica.
Invece questa dimostrazione serve a giustificare l'apparire, che è apparire dal punto di vista dell'infinito(intesa come proprietà della classe).
Giustificare significa trovare una relazione che apparirebbe altrimenti impossibile se non assiomatizzata.

Ciò detto ovviamente non accetto che il tempo sia un ente.
E sopratutto non accetto che non si consideri la relazione anche, meglio sopratutto, dall'io.
Infatti qui si sta facendo astrazione pura.

Sul problema in chiave Hegeliana, e così rispondo anche a Garbino, del perchè l'io si sopprima da se posto da Berto, è dovuta proprio al fatto che per Hegel il sintetico è una chiave dis-omogenea.(e questo vale anche per lo spirito, che a mio modo di vedere più pertinente nello sviluppo hegeliano)

Ma c'è di più, il fatto è che la morte è una forza di per sè dialettica.
La sintesi definitiva da cui prender le mosse.
Il fatto è che questa forza è irrelata con l'io...se non come scontro dialettico per Hegel.
Infatti vien da pensare che l'estensione non è con l'apparizione infinita, ma il fantasma disperato che l'uomo necessita per relazionarsi come io-contradizone con il totale, ossia Dio.
Che Dio sia questa relazione infinita e infinita con se stessa (in Severino), salva solo l'astrazione ma per quanto riguarda la sostanza del rapporto io-mondo?
Heidegger ribalta tutto ciò. O forse lo comprende meglio nelle sue reali dimensioni (ossia non c'è alcun Dio dato).

Non è tanto il problema della misurazione del tempo presente, ossia della misurazione in assoluto, ma proprio il problema del divenire, che a ben vedere alla fine si risolve nella morte.

Quello che meglio lo ha capito è stato Heidegger, che infatti legge correttamente il nulla non come ente logico formale, bensì come problema del vivente.

Su questo forum molti hanno detto di stare tranquillamente bene anche senza una metafisica, il punto è che senza dover sposare la tesi opposta, ossia che molti vanno in depressione senza di essa, ognuno di noi ha a che fare con questa forza.

Siccome viviamo in tempi ideologici per eccellenza, nessun dentro un mondo alienato si rende conto, che la costruzione tecnica, il feticismo e il consumismo sono modi costruens di dis-togliere l'attenzione sul centro della gravità da cui per generazione induttiva si arriva anche ai sintetici cantoriani e alle metafisiche religiose mitiche.
ossia siamo allontanati e ci allontaniamo da questo centro.

in termini psicoanalitici questo allontanarsi da quel centro è infatti sintomo delle attuali condotte depressive.(Le mappe mentali infatti si formano nei paraggi di quel centro, e se non vengono esplorate creano un buco chiamato inconscio) essendo l'uomo empatico per natura si trasformano nel più tragico tra gli eversori ossia il mondo dello spettacolo.

Ora è chiaro che in un mondo dominato dalla scienza è difficile tornare a quelle metafisiche, e senz'altro bisogna stare attenti alla socializzazione ossia alla banalizzazione di queste metafisiche (nietzche aiuta certo).

Ma fatte le debite premesse, io trovo invece che trovare una nuova commisurazione alle religioni una cosa necessaria, un bivacco nei pressi del centro, un cerchio intorno al sacro (il non nominato) appunto la morte.
aiuterebbe senz'altro il senso di salvezza, appunto l'unione tra ciò è (necessariamente) e ciò che quel "ciò" garantische appunto tutto il resto.

Questa unione (coniuctio oppositorum) che dalla recente alchimia arriva su su fin ai miti, è essenzialmente il cammino opposto, ossia annichilente e introversivo,che oggi siamo chiamati a ri-costruire.
(ricordiamoci che per uscire dal nischilismo bisogna infatti attraversarlo e quindi "farsi annichilire")

Il tema dell'angst ossia della paura in casa propria, è senz'altro il tema ossessivo dei prossimi secoli per queste nuove metafisiche.

questa altalena tra eversivo (la tecnica) e introversivo (la metafisica) è un tema platonico? probabilmente sì...dire che non lo si vuol affrontare perchè vecchio è quantomeno discutibile, per me risibile.

eccoci arrivati appunto alla questione che cantor e severino quasi tralasciano, e da cui invece partono sia hegel che peirce che nietzche (guarda caso i filosofi maggiori), ossia tutto questo riflettere sulle condotte sulle morali sul fare, sull'analizzare e sul logico, sono sempre cose riflesse e cioè appunto contemplano un IO.

il problema è sempre quello dell'io...


Forse potrebbe far capire meglio una correlazione:

L'uomo è nell'Eden è sia natura(in quanto creato con la terra) sia a immagine di Dio. Non ha bisogno di dominare la natura in quanto essa lo sostenta senza il lavoro e vive immortale in quanto perfetta armonia fra il creatore e il creato.
Quindi siamo negli eterni, nella "gloria"( se ricordo bene Severino).
Il peccato diventa la contraddizione logica, si apre la dualità e il processo dialettico.La dualità è rappresentato dall'albero del bene e del male.
La dialettica è il sistema di riferimento assoluto ed eterno (Dio, la perfezione) e il sistema del divenire della natura: il fisico e il metafisico e quell'albero del bene e del male che rappresenta la dualità rappresenta pure lo strumento dell mondo delle relazioni, la conoscenza attraverso il linguaggio.
Ma rimane nascosto il "sancta sanctorum": l'albero della vita .

La contraddizione del divenire appare quando ora l'uomo o per necessità(fisica di sopravvivenza) o desideri o per rimorso del peccato, del tempo perduto, chiama ad apparire gli enti .Il tempo è un ente che appare con la contraddizione,la conoscenza o diventa tentativo di trovare l'albero della vita(una sorta di sacro graal) o diventa dominio sulla natura attraverso la conoscenza che però nasce come strumento anch'esso dalla contraddizione.

La gloria può apparire solo se il peccato è rimosso , cioè la contraddizione logica fondamentale che apre alla dialettica, al divenire. Fin quando non è risolta non può essere sottratto al nascondimento l'albero della vita.

L'assiomatizzazione è il procedimento della verità relativa, nno assoluta e in quanto tale ancor nel divenire. E' il fermarsi al più alto livello metafisico possibile(attraverso la conoscenza) per dimostrare delle tesi iniziali attraverso la logica, matematica e mondo fisico.
paul11 is offline  
Vecchio 16-05-2014, 17.40.19   #209
mariodic
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Originalmente inviato da Garbino
Sono assolutamente d' accordo con te che il problema principale sia quello dell' io e se questo io, una volta localizzato, garantisca la presenza di un ente. Purtroppo tale questione oltre che essere di ardua trattazione ci allontana dal tema principale della discussione e ritengo più opportuno farla cadere.

Mi scuso per itrodurmi in un dibattito cui non ho preso parte. Lo faccio prendendo questo breve tratto del post citato.
Non so quando possa entrarci questo mio rapido commento, ma sotto un certo aspetto sono interessatissimo alla questione dell'IO che, secondo una mia ottica, c'entra non solamente nella filsofia ma, dico, della fisica.
Per me l'IO è:
- La Coscienza osservante dell'universo;

- Unico

- la singolarità origine dell'universo e suo riferimento assoluto
.


L'accettazione di questo, anzi, la sua comprensione è equivalente all'accettare la visuale soggettivistica (=idealistica) del mondo. Cio facilità la soluzione di annosi problemi e contraddizioni sia in campo teologico che scientifico, per esempio, il problema della costanza della velocità della luce (nel senso della non banale sommabilità aritmetica ed anche -ma direi: specialmente- nella spiegazione della meccanica quantistica dove una posizione realista è una specie di zavorra ideologica.
Scusatemi di questa mia inteferenza, grazie.
mariodic is offline  
Vecchio 17-05-2014, 00.18.51   #210
green&grey pocket
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Originalmente inviato da mariodic
...
Scusatemi di questa mia inteferenza, grazie.

figurati, anzi, concordiamo infatti su un punto dirimente per molte questioni che riguardano infine anche molte scienze.


Citazione:
a gloria può apparire solo se il peccato è rimosso , cioè la contraddizione logica fondamentale che apre alla dialettica, al divenire. Fin quando non è risolta non può essere sottratto al nascondimento l'albero della vita.

L'assiomatizzazione è il procedimento della verità relativa, nno assoluta e in quanto tale ancor nel divenire. E' il fermarsi al più alto livello metafisico possibile(attraverso la conoscenza) per dimostrare delle tesi iniziali attraverso la logica, matematica e mondo fisico.

infatti!...il tema è di quelli che più mi stanno affascinando, però poichè la conoscenza ha separato le radici vi è anche l'albero della morte.

non le leggo come prescrizioni ebraiche, bensì come chiavi allegoriche.

ecco facendo un breve salto allo Sefer ha-Zohar e improvvisando un pochino(tramite google) ecco la raffigurazione dell'albero della vita.





bisogna stare nella colonna per tornare al regno (la gloria, anche in severino)

la colonna è fondamento conoscienza e corona.

a sinistra il femmineo e a destra il maschile

eternità amore e sapienza contro splendore forza e intelligenza.

Nella tradizione della Cabala è il coniunctio oppositorum (che influenzerà l'alchimia d'occidentale, molti pensano sia il contrario...non saprei). (Ho letto Jung e basta per ora).

Ecco che cosa è il fondamento?

Ma non è esattamente, quello che da Platone ad Heidegger, il grande tentativo della filosofia di stare ai "piedi del regno"?

Come vediamo corona e fondamento noi li possiamo intuire anche a partire da un forum il resto è nella vita reale.
La conoscenza è dunque nella filosofia per questa visione ebraica? direi di no.
E' sorprendente anche ripensando ad alcune proteste recentemente apparse sul forum.

Ecco azzardo che le proposte dei vari Severino, Cantor etc... mi sembrano più corona che fondamento. fanno parte di quello che dovrà un giorno essere di nuovo coniunctio.

I temi sono abbondanti! le interpretaazioni pure!
green&grey pocket is offline  

 



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