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05-09-2013, 08.04.40 | #42 | ||
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Citazione:
Forse non ci ho capito nulla ma.. : l’apparizione dell’essere in realtà nel suo discorso coincide con l’apparizione degli enti 'a rappresentanza dell’essere' (!). Comunque, ripeto, come è possibile, portando il suo discorso sul pianeta terra, che gli enti negati della possibilità di trasformazione (poiché non divenienti) -che la relazione razionalmente impone- vengano però intesi come in relazione fra loro? L’ immagine degli enti posta in tali termini non consegna una visione francamente idiota dei medesimi? Cioè per affermare che in realtà non esiste sviluppo, non esiste un divenire, non sarebbe stato meglio affermare che il divenire è una errata comprensione dell’essere che in quanto tale esprime sé idiotamente -pardon!- in tutte le sue forme possibili? Il ché da ciò che mi sembra comprendere è ciò che lui ai minimi termini sembra affermare.. In fondo come gli si può dar torto se le domande che si pone non sono poi così semplici di esplicazione nemmeno nella stesura del porle come questioni? Ma chi glielo ha fatto fare..?.. Scusate, ma il solo pensiero che qualcuno che non sia –con tutto rispetto- fatto di marijuana affermi come incommensurabile verità metafisica che “ogni cosa è ciò che è e non ciò che non è” (Aristotele?) mi rende assai nervosa.. !!! Un po’ come quando aprendo il libro del precorso di matematica trovavo scritto l’insieme K privo di elementi è un insieme vuoto....e mi veniva voglia di darmi al giardinaggio.. Questa è una delle spiegazioni iperuraniche sugli essenti di Severino trovate in rete: "Immaginiamo il pavimento di un piano terreno che è la terra e la cantina che è il ripostiglio degli eterni in eterna attesa, chiaro? bene, ..immaginiamo che la cantina sia vuota e che io e te al piano terra vogliamo dei salami del formaggio e un buon vino, e se ti dico di andare a prenderli in cantina cosa potresti riportare su? nulla. Quindi che fare? Facciamo come Severino, inventiamo che in cantina ci siano gli eterni di prosciutto formaggio e vino e risolviamo tutto; ma.. anche se andassi in cantina cosa vedresti? ..sempre nulla, perché gli eterni essendo di un'altra dimensione si nascondono alla vista, e allora cosa fare? dobbiamo aspettare, aspettare che gli eterni dei salumi e del vino prendano coscienza della nostra fame e del loro destino di esser mangiati ed essi appariranno e potremo finalmente gustarli, ma comunque sia quei salumi e quel vino appena dissolti nel nostro stomaco potranno prendere coscienza definitiva del loro essere eterni e gioiranno in eterno gustando dello stesso loro sapore mentre altri "salami" potranno apparire per soppiantare quelli mangiati. Ora però il più intelligente del salotto potrebbe obbiettare "ma se voi due non esisteste cosa farebbero quegli eterni "salami" in cantina?" Bravo 7+, ..gli eterni hanno anche eterna pazienza e aspetterebbero di prendere coscienza di altri essenti che potrebbe aver fame. " (Panter) Citazione:
Resta un alone in me però.. Come è possibile che un Einstein sia stato in grado di comunicare le sue tesi ad un pubblico digiuno di elementare matematica e che una descrizione ipotetica della realtà per bocca di Severino sembra restare inaccessibile ai più? E’ una mia impressione oppure in questi discorsi riportati non c’è un solo concetto realmente sviscerato capace di fornire una trasparente e completa visione del pensiero di Severino? Possibile che chi ha letto direttamente gli scritti di Severino non abbia potuto coglierne una struttura d’insieme non indicativa ed abbozzata ma precisa nel suo dispiegarsi attraverso immagini e spiegazioni esaurienti in se stesse, ovvero comprensibili entro quella medesima esposizione che Severino ne fa o ne dovrebbe fare? Od è –con tutto rispetto- un taglia e cuci che ripara qua e là falle di altri pensatori senza giungere a fornire un quadro ben definito ed originale che possa in se stesso consegnare un discorso metafisico alquanto preciso non dialetticamente comprensibile ma razionalmente comprensibile? Cerco risposte che non ci sono affatto? Sono infinitamente grata all’esistenza di Zolla ed Eliade per aver contribuito a farmi sentire meno idiota. A Diego Fusaro che ha contribuito a farmi risparmiare tanto tempo prezioso ed alle apparentemente insensate risposte dell’i ching che hanno esercitato in me nei tempi quella base di tolleranza senza la quale i miei nervi e le mie capacità sinaptiche sarebbero definitivamente saltate. Ultima modifica di gyta : 05-09-2013 alle ore 18.08.22. |
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06-09-2013, 04.18.50 | #46 | |
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Se ciò a cui miriamo è assieme una comprensione e un’indagine intorno all’essere/nulla
sento prezioso segnalare per chi già non avesse avuto modo di incontrarlo un percorso degno di profonda attenzione sulla questione, che penso possa contribuire ad una differente analisi critica intorno al tema incentrato da Severino. L’articolo-saggio in questione è di un certo Mladen Dolar (filosofo sloveno) > qui! Quello che segue è solo un assaggio del punto cruciale: Citazione:
[p.s. : disponendo di una connessione purtroppo inadeguata sarei grata a chiunque potesse fornirmi riferimenti sul web o traduzioni italiane del suo lavoro] |
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06-09-2013, 19.32.26 | #48 |
Moderatore
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Mi sembra che la maggior parte di noi pensi ad un Essere eterno, ingenerato ed immortale (ed anch' io sono dello stesso parere), ma per essere tale o l' Essere é oltre il tempo (un eterno senza tempo, eternamente adesso) oppure é da un tempo infinitamente passato e sarà per un tempo infinitamente futuro.
La differenza fra queste due possibilità é abissale perché nel primo caso mi verebbe da dire: "Signori, rassegnamoci, le nostre azioni sono prive di senso, non siamo altro che semplici testimoni delle nostre azioni e perfino della nostra volontà e dei nostri pensieri. Tutto é adesso, tutto é destino." Nel secondo caso invece le nostre azioni, il nostro pensare, acquisirebbero un senso reale. Forse ci sono altre possibilità, ma al momento mi sfuggono. |
06-09-2013, 23.12.58 | #49 |
Ospite abituale
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
@ Maral
Innnzitutto devo ringraziarti per la tua spiegazione della "Struttura Originaria", visto che questo era per me un elemento mancante. Certo, in un "ambito strutturale originario" siffatto il divenire non può essere il mutare dell'essente, ma è il mutare dell'apparire dell'essente. Quella che chiami "causa" però, la intendi come causa dell'apparire dell'essente o causa della distinzione fra "essente" ed "apparente"? Se la "contraddizione C", che definisci come: "quanto attualmente appare a livello fenomenico non è quel Tutto implicato per via relazionale dal Logos", è la "causa", allora l'effetto può essere solo quello di riconoscere la necessità che il mutamento riguardi solo e soltanto l'"apparente" (in quanto l'"essente" appartiene ad un Tutto che solo il Logos riconosce). Ma allora: siamo ancora davanti all'ennesima riproposizione di una Verità che solo il Logos può cogliere? Cioè siamo ancora alle idee eterne contrapposte alla realtà apparente? Ho trovato molto interessante, nonche condivisibile, la tua descrizione della Struttura Originaria di Severino. Però, io trovo, ricavare una "conclusione" come quella che il mutamento riguarda solo l'apparire (forse perchè ciò che "appare", ovvero il dato fenomenologico, è l'unica conoscenza che ci è concessa?) pre-suppone che al Logos sia accessibile il dato nella sua più pura oggettività, ovvero pre-suppone che al Logos sia accessibile la "cosa in sè". Mi sembra che Severino, saltando a piedi pari tutta la problematica sulla "trascendenza" come processo VERSO la conoscenza della Verità, affermi il superamento dell'interpretazione soggettiva (cioè del "fenomeno") attraverso la riproposizione della possibilità di attingere, per tramite del Logos, immediatamente alla "cosa in sè": alla verità "oggettiva". Ma di quale verità "oggettiva" parliamo? Forse la "verità" dell'immediatezza dei nessi logici, così come essi appaiono nella Struttura Originaria? Ma se è con l'immediatezza dei dati fenomenologici che abbiamo a che fare, com'è possibile che ciò che appare (ed è quindi oggetto di interpretazione), appunto "appaia", mentre i nessi che legano queste apparenze no (cioè non "appaiano", ma siano percepiti nella loro più intima verità? Non dovremmo, forse, meglio specificare come sia possibile arrivare alla Verità partendo dal dato fenomenologico (cioè specificare come da una supposta conoscenza del rapporto logico sia possibile arrivare alla conoscenza degli essenti che quel rapporto instaurano? ciao |
06-09-2013, 23.26.26 | #50 |
Moderatore
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)
Leggendo gli ultimi interventi mi pare che l'obiezione che più viene posta a Severino è che, fatta salva la tenuta logica del suo discorso e pur accettando quel principio fermissimo da cui tutto si sviluppa, questi benedetti eterni essenti non si manifestano per nulla nella loro necessaria gloriosa eternità, ciò che appare fondante è invece proprio la volontà di potenza, ossia la volontà che sorge inevitabilmente dal conflitto che è la forma originaria con cui gli essenti si rapportano tra loro mentre cercano di tenersi in equilibrio sul filo sottilissimo dell'esistenza respingendosi reciprocamente l'un l'altro verso il baratro del nulla.
Effettivamente Oxdeadbeef ha ragione quando dice che Severino tutto sommato riprende Aristotele, ne riprende il principio logico fondamentale e lo porta alle estreme conseguenze, perché il principio di identità che per Severino implica necessariamente quello di non contraddizione (dire che A è A significa dire che A non è mai né mai potrà essere o essere stato non A) è il cardine del logos del pensiero filosofico dell'Occidente che in tal modo si propone di "oltrepassare" definitivamente il pensiero mitico in cui A è anche non A e l'essente conserva tutta l'ambiguità simbolica per cui il multiforme ente può in fin dei conti anche rappresentarsi come niente (proprio su questo percorso si sviluppa il pensiero Orientale che però a noi occidentali resta fondamentalmente lontano). Per Severino invece è proprio il principio di non contraddizione quella L-immediatezza che esprime il vero significare di ogni ente per ogni altro ente e proprio questo reciproco infinito significare costituisce quel Tutto da cui l'ente non può mai apparire disgiunto. Ma il problema è proprio questo Tutto che concretamente non appare, ciò che vediamo sono cose limitate e parziali (le cose che contrapponendosi si fanno madri di tutte le guerre), non gli eterni essenti che partecipano del Tutto e questa visione parziale dell'ente la prendiamo per la sua totalità. In fondo c'è qualcosa che richiama quel pensiero di Heidegger che pensa che l'Essere (il Tutto) si ritragga per lasciare che siano gli Enti, ma qui il Tutto non precede gli Enti, ogni Ente vive originariamente proprio come Tutto e il Tutto è il destino (ciò che sta sempre alla base senza mai abbandonarlo) di ogni Ente. L'ente è cosa perché solo come cosa può apparire, ma l'essere cosa non realizza la promessa dell'Ente di significare quel Tutto da cui non è separabile e potremmo anche dire che l'ente nel suo significare il Tutto non può realizzare la concretezza fenomenica immediata della cosa, il suo lasciarsi vedere e toccare proprio come questo oggetto. C'è dunque una discrepanza originaria tra l'immediatezza dei nessi (l'immediatezza del significare e venire significati di ogni ente per quello che eternamente è) e l'immediatezza delle cose in cui gli enti si incarnano apparendo, dunque l'obiezione è validissima, ma per Severino è proprio questa discrepanza a implicare una necessità di superamento (volontà necessaria del destino che vuole l'eterno concreto essente) che genera il continuo grandioso flusso dell'apparire della cosa che persegue il proprio inesauribile significare e del significare che vuole mostrarsi nell'evidenza fenomenica della cosa. Non quindi una volontà di potenza dell'ente, ma la sua necessità di ottemperare alla promessa di apparire per ciò che completamente è e quello che per la Terra Isolata è morire (diventare niente dell'ente), per il Destino è trovare l'eterno inesauribile significare di ogni essente compreso quella cosa che confondendo la parte cono il tutto resta soggetta al dolore del proprio isolamento disintegrante. La terra isolata è la stessa struttura originaria (la struttura immediata) che non riesce a leggersi concretamente come tale, ma destinata per Severino al proprio continuo superamento che essa vede come il doloroso morire di tutto ciò che la abita anziché come glorioso compimento di ogni essente. La volontà del destino è dunque la sua assoluta necessità, la volontà che ogni cosa sia proprio fino in fondo quello che solo essa è. Il fluire dell'apparire è pertanto eterno, perché sempre a ogni apparire la discrepanza tra la promessa e ciò che appare si ripropone, ma radicalmente diverso è il senso di questo fluire alla luce del destino rispetto a quello che è nella terra isolata. Nel destino questo fluire si manifesta come gioia della gloria, nella terra isolata è invece un uscire ed entrare in quel farsi altro da sé che è comunque un uscire ed entrare nel proprio fondamentale essere niente (che ha sempre bisogno di costruire fedi in idoli voluti eterni che possano garantire ai viventi-morienti l'illusione di essere qualcosa anche se si muore). Se c'è una cura al nichilismo questa è la cura che propone Severino, una cura per necessità inscritta nell'essere stesso, non per volontà che le cose si possano sanare facendole diverse da quello che sono, perché questo è solo vuota pretesa (e quindi delusione e dolore) della volontà di potenza che eternamente vuole, come ogni altro essente, continuamente se stessa. |