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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-10-2013, 01.43.30   #121
Aggressor
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

0xdeadbeef
Ho capito, ma se tu dici che il fenomeno è l'oggetto reale (come hai affermato in una risposta precedente) poi
mi ricadi inevitabilmente in un punto di vista che, a mio parere, coincide con quello di Fichte (il quale,
nota bene, parla di un "io creatore (dell'oggetto)".
In realtà, la questione è solo apparentemente confusa: è di conoscenza che stiamo parlando, non di esistenza.


Avevo espressamente affermato che non condivido questa possibilità (almeno assoluta) di creare l'oggetto da parte dell'Io; ho reinterpretato il concetto di fenomeno forse, ma non in senso del tutto fichtiano. Probabilmente abbiamo la capacità di creare degli oggetti, ma non possiamo farlo in contrasto con gli altri sistemi che a loro volta definscono/creano la realtà, poiché essi al contempo ci delimitano.
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Vecchio 23-10-2013, 13.44.32   #122
mariodic
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Aggressor
Ho capito, ma se tu dici che il fenomeno è l'oggetto reale (come hai affermato in una risposta precedente) poi
mi ricadi inevitabilmente in un punto di vista che, a mio parere, coincide con quello di Fichte (il quale,
nota bene, parla di un "io creatore (dell'oggetto)".
Condivido pienamente con quanto dici a proposito di Fichte: sono pure sostenitore dell'IO creatore dell'universo e, quindi, di ogni oggetto di questo. Ma allora, mi si potrebbe obiettare, l'IO sarebbe DIO? No, in quanto la differenzatra DIO e IO sta nel potere conoscitivo o, se si preferisce, nella quantità di Conoscenza cioè nel potere di "dominare": il MIO (dell'IO) universo, il cui potere è, come dire, flaccido, mentre quello di Dio è asciuttamente secco, rigido ed assoluto, che vuol dire Conoscenza infinita. Dicendo di un potere "flaccido" dico del tipo di potere che un tale che, stringendo in un pugno cento guinzagli con cagmolini, si avvede che alcuni guinzagli sono lungi poche decine di centimetri, ma altri centinaia di metri o chilometri; è evidente che il potere di costui, sui propri cagnolini, potrebbe anche essere rigido, almeno per i cani con guinzaglio cortiìissimo, ma non per quelli con i lunghi, non di meno quel tale può bensì considerarsi il proprietario di tutti i suoi cagnolimìni.
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Vecchio 24-10-2013, 00.12.28   #123
0xdeadbeef
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

@ Mariodic
Naturalmente né Fichte né Hegel pensano di essere Dio...
L'"io creatore" vuol dire semplicemente che non è possibile pensare a nulla senza, in pari tempo, pensar-si
come "io" (in parole povere: non è possibile pensare un oggetto "fuori" dal soggetto che lo pensa).
Ed è questa una grande verità. Senonchè, io trovo, l'idealismo ha poi finito col confondere un problema di
conoscenza con uno di esistenza (io non posso conoscere un oggetto "fuori" da me, ma posso sapere della sua
esistenza fuori da me).
La famosa affermazione di Hegel: "il reale è razionale - e viceversa", è a mio avviso la prova di questa,
diciamo, confusione di ruoli.
ciao
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Vecchio 22-11-2013, 15.12.08   #124
Aggressor
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Io aggiungo al tuo discorso, 0xdeadbeef, che non si deve poi scambiare l'oggetto esistente fuori dell'Io come un oggetto che trovi in se stesso il suo senso o modo di essere.
Anche se puoi credere che esistano degli oggetti indipendenti dal tuo pensarli (e qui vorrei precisare che questà indipendenza sarà comunque relativa, cioè il mio pensarli presuppone che la materia cerebrale contragga una certa forma, e questa forma materiale, anche se a livello microscopico, avrà ripercussioni sulla forma materiale degli oggetti "esterni"; se ammetti che le cose abbiano una forma al di fuori del pensiero anche il pensiero stesso la avrà -infatti il cervello ne è la prova-) non puoi credere che questi oggetti abbiano di per sé un contenuto, la forma di ogni ente dipende dall'ambiente in cui è posto, indicando un ente indico contemporaneamente l'ambiente in cui lo penso (almeno approssimativamente).

Se vuoi che ti dica esattamente come la penso, non credo affatto che le proprietà appartengano a degli enti piuttosto che ad altri, ed un esempio che faccio spesso è chiedere al mio interlocutore di immaginare un oggetto con una certa forma al di fuori di qualsiasi contesto (cioè eliminando tutto ciò che è fuori di lui); quel corpo non avendo più limiti entro cui si delimiti il suo perimetro perderà tutte le proprietà che dicevamo appartenergli. Per esempio prendi una sfera e poi elimina ciò che usi per delimitarne il perimetro; a quel punto la sfera non ci sarà più. Non credo dunque che la sfericità (di chi? della sfera? -tautologia-) appartenga ad un ente in particolare, ma semplicemente una particolare sfericità apparirà (non so se sai cosa sono i tropi, comunque direi che sono i tropi a porsi nel mondo) nel mondo; se qualcuno deve possedere questa sfericità sarà il tutto e non qualcosa di particolare. Anche io non potrei essere né simpati né antipatico se non in relazione agli altri.


Io credo che la scienza contemporanea stia calcando la mano giustamente su questi concetti di indeterminatezza della realtà a sé stante; non voglio dire che sia l'osservatore umano a creare la realtà (quello è un modo stupido di interpretare la quantistica) ma le cose si creano vicendevolmente, hanno bisogno le une delle altre; eliminando il "fuori" si cambia o elimina il "dentro" di tutte le cose.


Ora di tutto questo discorso il punto più importante che volevo arrivasse a voi è che la realtà esterna all'Io non è "realtà a sé stante"; gli idealisti possono anche aver toppato, ma non perché non hanno creduto ad una realtà di per sé significante, piuttosto perché hanno creduto che solo il pensiero umano fosse materia in grado di delineare o definire la realtà (o almeno a volte li si interpreta così, come se fosse l'uomo a creare la realtà, le leggi della fisica ecc.).


(Ora cercherò di rispiegarmi ma il messaggio fondamentale l'ho mandato) Se la materia che compone il mio corpo fosse fatta svanire ne rimarrebbe molta altra in grado di porsi a contro-parte per l'altro (per altra materia); certo, la realtà cambierebbe un pò (e qui si rivela comunque l'interdipendenza delle cose anche con me, anche se sono piccolo), ma non abbastanza da sparire, semplicemente sarebbe diversa perché diverso è l'ambiente (io facevo parte dell'ambiente e abbiamo ammesso il mio svanire). Se la Luna non girasse introno alla terra non avrebbe le proprietà dell'oggetto che chiamiamo Luna, il che vuol dire che la Luna non possiede di per sé le proprietà che gli additiamo, ma le contrae dalla relazione con l'altro (la Terra, il resto della via lattea ecc.); o meglio, non c'è un oggetto Luna a sé stante che detenga certe proprietà, la "lunezza" è un tropo (=>"particolare astratto" cioè "proprietà/attributo particolare", del tipo "questo particolare rosso" o "questa particolare lunezza" o "questa particolare puzza") che "appartiene" al sistema universo o a nessuno (qui ho ripetuto la cosa con parole più adatte alla tassonomia che ho elaborato).
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Vecchio 27-11-2013, 19.52.00   #125
0xdeadbeef
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

@ Aggressor
"Io aggiungo al tuo discorso, 0xdeadbeef, che non si deve poi scambiare l'oggetto esistente fuori dell'Io come
un oggetto che trovi in se stesso il suo senso o modo di essere".

Assolutamente no, ci mancherebbe. E' per questo che parlavo di "grande verità" a proposito dell'Idealismo,
che afferma l'impossibilità di pensare un oggetto "fuori" dal soggetto pensante.
E' chiarissimo anche per me che l'oggetto esistente fuori dell'"io" trova "senso e modo d'essere" solo NELL'"io".
Tuttavia, e questo è l'aspetto fondamentale, "qualcosa" (chiamiamola così) esiste FUORI dall'"io". Esiste nel
senso di ex-sistere; di emergere stabilmente, saldamente, appunto come qualcosa "fuori" (ex) dall'"io"
che, necessariamente (è da notare questo avverbio), ne dà la propria interpretazione.
E dunque, anche se è vero che solo l'"io" dà specificazione, "senso e modo d'essere" al "qualcosa", è altrettanto
vero che il "qualcosa" esiste indipendentemente dall'"io".
Quindi non mi è molto chiara la tua affermazione circa la realtà esterna all'"io" come NON "realtà a se stante".
Qui, forse, è solo questione di intendersi (nemmeno secondo me la realtà esterna all'"io" è "a sé stante"). Ma
la faccenda non è così semplice come potrebbe sembrare.
Capisco bene come tu intenda quell'"a sé stante", cioè come un qualcosa che trova da sé senso e modo d'essere
(se ben ti interpreto). Ma, e pur concordando, trovo che una precisazione sia essenziale.
Quella realtà non è "a sé stante" se la intendiamo nel senso di una sua possibilità di essere conosciuta. Ma
è "a sé stante" nel senso, che dicevo, della ex-sistenza. Nel senso, ovvero, di una determinazione che non
intende determinare altro se non la ex-sistenza. Null'altro che questa.
Ma questa non è, diciamo, una precisazione di poco conto (come una lettura superficiale potrebbe far pensare).
E' una precisazione invece fondamentale, che apre la strada alla consapevolezza di un uomo incapace di "creare"
la realtà fuori da sè (quindi alla consapevolezza di un uomo "limitato", in quanto solo "interprete"). E che
apre la strada al riconoscimento di una radicale impossibilità di conoscere (potremmo, invero, parlare solo
di "validità", di efficacia della conoscenza, non certo di "verità" - ma non vorrei allargare troppo il
discorso).
ciao
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Vecchio 28-11-2013, 11.28.24   #126
maral
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Il punto che mi pare evidente è che la cosa in sè nel momento in cui si presenta come essente implica necessariamente l'altro di quella cosa dal cui sfondo emerge (dunque possiamo coscientemente dire che esiste) e questo sfondo implica pure l'io (in quanto altro della cosa) che la rileva, dunque la cosa implica costantemente un io (e quindi il pensare a quella cosa di questo io) come suo particolare ma inseparabile momento costituente. Dunque la cosa nella sua concreta essenza non è isolabile dallo sfondo da cui emerge (che include il pensarla), poiché è proprio quello sfondo che la determina come quella cosa che è e non altra.
Questo non significa che non sia possibile pensare questa cosa in forma astratta di concetto, ossia separando e togliendo da essa il pensiero che il soggetto ha di quell'oggetto, ma questo concetto va di nuovo inteso nel suo vero senso concreto come non quella cosa che predica di definire in sé. Ossia la concettualizzazione della cosa a cui è stata tolto il suo venire pensato non è assolutamente "la cosa a sé stante", ma è altro da essa, è cioè la cosa a sé stante a cui si è voluto togliere (astrarre) l'atto del pensarla che in essa in quanto è la cosa che è è presente in origine.
In altre parole non possiamo separare escludendolo il momento cognitivo del soggetto da quello ontologico esistenziale dell'oggetto, poiché il momento cognitivo è elemento costitutivo irrinunciabile di quella particolare essenza emergente come esistenza, a meno che non si voglia porre in esclusiva evidenza un ambito parziale della cosa per identificare (erroneamente poiché contraddittoriamente) questo ambito parziale come tutta la cosa reale in se stessa.

Ultima modifica di maral : 28-11-2013 alle ore 21.06.27.
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Vecchio 28-11-2013, 13.13.58   #127
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Allora Oxd. è il caso di continuare a chiarire il discorso.

Tu dici: Quella realtà non è "a sé stante" se la intendiamo nel senso di una sua possibilità di essere conosciuta. Ma
è "a sé stante" nel senso, che dicevo, della ex-sistenza. Nel senso, ovvero, di una determinazione che non
intende determinare altro se non la ex-sistenza. Null'altro che questa.
Ma questa non è, diciamo, una precisazione di poco conto (come una lettura superficiale potrebbe far pensare).
E' una precisazione invece fondamentale, che apre la strada alla consapevolezza di un uomo incapace di "creare"
la realtà fuori da sè (quindi alla consapevolezza di un uomo "limitato", in quanto solo "interprete").


Da una parte sembri affermare che la ex-sistenza delle cose determini semplicemente il loro esistere (e null'altro) al di fuori del pensiero, dall'altro poi affermi che in questo modo l'uomo sarà incapace di creare la realtà e sarà limitato a solo interprete.
Ora, il primo momento di questa riflessione non ho capito perché provochi il secondo: tu non dici "come" è fatta la realtà al di fuori del pensiero, dici solo che esiste; poi però affermi l'uomo essere un interprete di quella ex-sistenza, pertanto devo concludere che secondo te non solo la realtà ex-esiste ma ad essa corrisponde pure un certo modo di essere (che io chiamo anche "forma") indipendente, colto in quanto interpretazione dagli esseri pensanti (cioè colto con una forma diversa da quella a sé stante).
La mia riflessione cade sulla "potenza" di questa indipendenza. Una cosa è dire che esisteste una forma delle cose indipendentemente dal nostro pensarle (ma ho già chiarito l'approssimazione di cui si fa carico una simile sentenza), un'altra è dire che effettivamente le cose hanno -di per sé- un modo di essere (cioè, in assoluto, un contenuto/forma/"modo d'essere" indipendentemente dall'altro, umano o meno che sia).

Io credo nella prima posizione ammettendone l'approssimazione, nella seconda non credo affatto, come ho cercato di chiarire con l'esempio della luna. Sebbene abbia già specificato che, dopo tutto, anche se dovessi sparire la Luna continuerebbe ad esistere più o meno come prima.


Il commento di Maral coglie abbastanza il punto, solo che il mio principale intento è di evidenziare come il fondo del problema non sia epistemico ma ontologico. Non solo non possiamo pensare gli oggetti se non in quanto determinati dal pensare stesso (per ciò che appare a noi), ma gli oggetti non avrebbero, in generale, alcuna forma (sia pure ex-sistente) se non nella relazione con un'alterità che sia ad un tempo il nostro pensiero (compresa la controparte "materiale di esso" che non considero, in realtà, altro da esso) e/o un'altro ente reale (cioè, in realtà, tutto ciò che esiste -compreso il nostro personale pensiero-).

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Vecchio 28-11-2013, 21.18.03   #128
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Il commento di Maral coglie abbastanza il punto, solo che il mio principale intento è di evidenziare come il fondo del problema non sia epistemico ma ontologico. Non solo non possiamo pensare gli oggetti se non in quanto determinati dal pensare stesso (per ciò che appare a noi), ma gli oggetti non avrebbero, in generale, alcuna forma (sia pure ex-sistente) se non nella relazione con un'alterità che sia ad un tempo il nostro pensiero (compresa la controparte "materiale di esso" che non considero, in realtà, altro da esso) e/o un'altro ente reale (cioè, in realtà, tutto ciò che esiste -compreso il nostro personale pensiero-).

Infatti il punto è ontologico in quanto l'aspetto epistemico non può essere tolto dall'ontologia di qualsiasi ente preso nella sua concreta integrità.
Non riesco però a capire, alla luce di questa ontologia, come fai ad affermare che la luna sarebbe più o meno la stessa anche se non fosse osservata o pensata. Che per certi scopi questo ci possa tornare comodo è indubbio, ma in sé è contraddittorio, non può essere la stessa, né più né meno.
maral is offline  
Vecchio 28-11-2013, 21.20.01   #129
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@ Maral e Aggressor
No, la "cosa" nella sua concreta essenza non è isolabile dallo sfondo da cui emerge. Naturalmente questo
vuol dire che di tale sfondo fa parte la stessa idea di "cosa" (in sé), visto che questa idea null'altro può
essere se non l'interpretazione dell'"io" (null'altro può essere, cioè, se non un "già interpretato").
La "cosa" (in sé) non può dunque essere conosciuta, per così dire, "per presenza"; ma solo "per assenza" (ove,
naturalmente, tale definizione rimanda ancora ad un "già interpretato", cioè ad una conoscenza "per presenza").
La "cosa" (in sé), quindi, non è neppure pensabile, visto che il solo pensarla la rende conosciuta "per presenza".
Il problema allora si sposta, e diventa press'a poco questo: come pensare l'impensabile? Questo, ovviamente,
sempre che si voglia ammettere l'ex-sistenza della "cosa", e non accettare il principio idealista di un "io"
creatore (come in Berkeley e successivi).
Kant, come Heidegger, o come lo stesso Peirce (che in semiotica ne ripercorre sostanzialmente la medesima
strada), parlano di "conoscenza trascendentale". Sono d'accordo: solo "trascendentale" può essere. Solo
"intuitivamente" possiamo conoscere l'esistenza della "cosa" fuori dall'"io" (una esistenza, per me, evidentissima
ma che vedo evidentissima anche per Aggressor, visto che afferma che la "Luna" continuerebbe ad ex-sistere
anche se lui sparisse), e "trascendentalmente", visto che si tratta di trascendere lo stesso pensiero.
Dicevo di quella che, ritengo, è la sola alternativa: un "io" creatore. Un "io" che, come in Hegel, non
interpreta una "cosa" che ex-siste al di fuori di esso; un "io" nel quale realtà e razionalità coincidono; un
"io", in altre parole, "onnipotente" ("infinito", come in Fichte).
E' a questo "io" che conduce la negazione della ex-sistenza della "cosa": non vedo alternative. Perchè l'"io"
o interpreta un qualcosa che gli viene "dato", come una realtà sulla quale egli ha solo un potere "limitato";
oppure è l'"io" stesso che crea questa realtà, visto che nulla gli si offre come fuori da esso. E pertanto il
suo potere su di essa non potrà che essere, appunto, in-finito.
Dunque, necessariamente, la presa d'atto di un "io" incapace di creare è la presa d'atto di uno specifico
"modo d'essere"; un modo d'essere che però non appartiene certo alla "cosa" (come potrebbe essere?), ma all'
"io" che alla cosa pensa (vi pensa pur se "per assenza").
Questo vuol dire che non è la "cosa" ad avere un contenuto ed una forma, ma è l'"io" che dà, attraverso i
principi della conoscenza (categoriale, che è per larga parte non solo trascendentale, ma addirittura
scientifica nel senso proprio del termine), forma e contenuto alla "cosa".
Un saluto ad entrambi
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 29-11-2013, 00.43.26   #130
Aggressor
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

A Maral rispondo brevemente che con quel "più o meno" intendevo proprio dire che la Luna non esisterebbe più nel modo in cui esisteva quando la pensavo (ma sarebbe simile a prima, nonostante tutto) se smettessi di pensarla, cioè, in termini più esatti e generali: se Io cambiassi forma (chessò, mi trasformassi in polvere) anche la Luna cambierebbe, seppure poco (più o meno), la sua forma. In quanto Io sono parte del contesto che la delimita, faccio parte della definizione della sua forma, cioè faccio parte di essa.

Prendendo le mosse da quest'ultima affermazione nego pure che gli oggetti siano di per sé esistenti in modo separato dagli altri, nego l'individualità dell'essere delle cose a favore della particolarità delle proprietà di questo essere (tutto ciò che rileviamo nel mondo). Io non sono altro da Te, ma un modo d'essere diverso dello stesso ente/essere (o di nessun particolare essere/ente) di cui siamo manifestazione. [Questo è il miglior modo che ho di esprimere ciò che penso oggi della realtà].


No, non credo che ex-esista una realtà indipendente, se non per approssimazione; non ci sono dati degli oggetti esterni in senso assoluto, questi oggetti sono tali (possiedono una certa particolare forma) anche grazie alla mia forma che li delimita/deforma/delinea. Il mio essere interprete è al contempo essere più o meno plasmatore attivo del reale, perché l'atto stesso del percepire o interpretare colpisce e plasma ciò che chiami ex-sistente da me. La cosa in sé non è solo un concetto inarrivabile (ma anche solo per questo dovremmo capirlo), la cosa in sé non-esiste..
Aggressor is offline  

 



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