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26-05-2013, 12.44.33 | #53 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Sgiombo:
Qui non ti capisco: Che significa “le caratteristiche da me riconosciute derivano dalla sintesi tra il mio stato e quello dell' oggetto osservato”? E “il colore deriva dal rapporto tra me e il fiore”? Le caratteristiche degli oggetti (in particolare, ma non solo, quelli materiali) di esperienza, come i colori dei fiori fanno parte dell’ esperienza fenomenica cosciente nell’ ambito della quale (per l’ appunto) accadono: “esse est percipi”. Cosa potrebbero essere l’ “io” che osserva e l’ “oggetto osservato”, che credo anche tu assumi esistere anche allorché le esperienze coscienti fenomeniche non accadono (non sento i miei pensieri, non vedo al luna) se non cose in sé distinte dalle sensazioni fenomeniche? Se non lo fossero, bensì con con sensazioni fenomeniche si identificassero, allora si cadrebbe in una patente contraddizione? Come può “il contenuto di una coscienza” essere “la coscienza altrui”? Il contenuto di una certa coscienza è fatto di sensazioni esterne materiali ed interne mentali, quello di un’ altra coscienza è fatto di altre (e magari corrispondenti) sensazioni esterne materiali ed interne mentali: due “cose” (fenomeniche) reciprocamente altre, diverse, che non possono essere (anche) la stessa cosa (o una di esse parte dell' altra), se le parole hanno un senso. Il fenomeno kantiano è il risultato dell'incontro tra la natura e le mie facoltà conoscitive, in questo senso è il risultato di un rapporto, una sintesi tra contenuti dell'Io e della natura che non può portare alla conoscenza del noumeno, visto che esso appare già distorto dall'Io nell'esperienza cosciente. Tu diresti che il rosso appartiene al fiore? O che il rosso è il risultato del rapporto tra le mie facoltà (sensi) e un ente noumenico? Ora, in senso generale si può dire che tutti gli oggetti fisici possiedono il loro contenuto in virtù dei rapporti che stabiliscono con altri oggetti (velocità, grandezza ecc.), in questo senso parlo a volte della realtà come qualcosa di fenomenico e non credo si debba ricercare alcunché oltre a questo, in quanto di per sé gli enti non possono contrarre un contenuto (particolarità, soggettività, modalità di esistenza). La seconda parte della citazione è il punto cruciale, come ti dicevo, non trovo un motivo valido per dire "questo non è quest'altro" se si porta come prova della propria tesi la differenza di forma tra i 2 enti, perché gli oggetti di per sé differiscono nel tempo in continuazione, allora dovremmo dire che mai un oggetto è se stesso. |
26-05-2013, 19.35.24 | #54 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Aggressor:
Tu basi la distinzione tra fenomeni e tra fenomeni e noumeno in base al fatto che si presentano con forme diverse, ma lo stesso oggetto che tu affermi essere "lo stesso oggetto", come una sedia, ad esempio, cambia sempre aspetto. Allora c'è qualcosa nel principio che usi per affermeare l'identità degli enti che non funziona, o che mi piacerebbe di capire, perché non lo colgo. Sgiombo: Francamente non capisco questa tua insistenza sul fatto, che a me sembra alquanto ovvio, che i vari oggetti di cui possiamo avere conoscenza sono: a) Arbitrariamente distinti fra loro nell’ ambito dell’ insieme dell’esperienza fenomenica cosciente "in un determinato istante"; b) Mutevoli nel tempo (cosicché anche nel tempo, oltre che nello spazio –per quel che riguarda i fenomeni materiali; comunque diacronicamente oltre che sincronicamente per quanto riguarda quelli mentali- li si “ritaglia” arbitrariamente dal “tutto del divenire fenomenico”). A me francamente tutto questo interessa poco. Non è dell’ identità o meno di questi “oggetti” interamente fenomenici, per i quali (sia che li si consideri indistintamente nel loro insieme, sia che li si distingua per lo meno in larga misura arbitrariamente in diversi enti o eventi) vale il berkeleiano “esse est percipi” che parlo, bensì della non-identità (della differenza, dell’ alterità) fra essi ed eventuali (indimostrabili; che peraltro credo siano reali) soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche coscienti: alterità imposta dalla logica (sia pure “classica”), pena l’ autocontraddizione. Aggressor: Che gli enti siano, a livello ontologico, un unico ente, per me è dimostrato dal fatto che non può porsi tra loro il non-essere a separarli; allora la divisione che noi operiamo dando nomi e separando ha un valore epistemico, come dicevo, e il fenomeno non sarà davvero separato dal noumeno (ammesso che esistano queste due realtà), il mio corpo non sarà davvero qualcosa di separato dal tuo ecc.. Sgiombo: Questo non lo capisco proprio. Il tuo corpo si può considerare indistintamente rispetto al mio (ma del tutto legittimamente si potrà anche distinguerli: ognuno é libero di considerare nei suoi pensieri separatamente da tutto il resto quel che gli pare) nell’ ambito delle nostre o altrui esperienze fenomeniche coscienti. Ma (mi scuso per l’ ennesima ripetizione) se qualcosa che ha a che fare con i fenomeni materiali includenti i nostri corpi (che li si consideri indistintamente nell’ insieme come “un tutto” o che vi si distinguano più o meno arbitrariamente vari oggetti, fra i quali il tuo e il mio corpo) esiste anche allorché essi non esistono (non si percepiscono, non sono in atto -cioè non sono reali- in una o più esperienze fenomeniche coscienti), ed è “la stessa cosa” per quanto riguarda gli oggetti (fenomenici) delle diverse esperienze coscienti che crediamo esistere (indimostrabilmente oltre la “propria” che direttamente si constata: “qualcosa” a motivo del quale la sedia che vedi tu è la stessa cosa della sedia che vedo io; e tutto indistintamente ciò di materiale che percepisci tu è -in linea di massima, mutatis mutandis- tutto indistintamente ciò di materiale che vedo io), allora questo qualcosa -pena la caduta in una patente contraddizione- non può essere niente di fenomenico cosciente (né complessivamente o indistintamente inteso, né arbitrariamente distinto da altri aspetti fenomenici; né nella mia, né nella tua esperienza cosciente) bensì qualcosa di radicalmente diverso e non fenomenico, una “cosa in sé” o “noumeno” (la precisazione “in linea di massima, mutatis mutandis" perché ci sono tante cose materiali che tu hai percepito e percepisci ma io non ho mai percepito e viceversa, data la differenza delle nostre esperienze di vita). Mi sembra evidente che abbiamo interessi diversi e focalizziamo la nostra rispettiva attenzione su diverse questioni (spero però di essermi spiegato, stavolta). |
26-05-2013, 20.15.45 | #55 | |
Moderatore
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Citazione:
Per puro caso mi sono imbattuto in questo testo che tenta di dare risposta alle stesse domande con cui ho aperto questa discussione: https://www.riflessioni.it/testi/chi_pensa.htm Questa idea del pensiero primordiale "io-me" descritta nel testo https://www.riflessioni.it/testi/chi_pensa.htm ha una sua logica perchè altrimenti non mi spiegherei l' esistenza degli io empirici e delle relative esperienze. Se c' è un Essere che ha esperienza di sè non si capisce come questa esperienza possa essere divisibile in diverse esperienze rivolte a diversi io empirici, dovrebbe esistere un unico flusso di esperienza destinato ad un unico IO. |
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27-05-2013, 01.21.21 | #56 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Forse è così. Forse ciò che intendiamo come individuale non è che un determinato dispiegarsi delle esperienze che chiamiamo “memoria ”. Forse i numeri preposti al quantificare non sono esaustivi a rappresentare un ordine di grandezza [?] che chiamiamo coscienza. Così non c’è una Coscienza universale e non ci sono molteplici Coscienze individuali se è vero che i cardinali rappresentano simboli spaziali pertanto temporali, forse ciò che è non esauribile dalla sottintesa dimensione concettuale necessita di un differente simbolismo magari non quantitativo né prettamente di contrasto qualitativo. Già nell’assunto “Se c’è un Essere che ha esperienza di sé” stiamo definendo una serie di parametri, imperativi e contenitivi, ben precisi nella loro direzione ed impliciti al linguaggio. Eppure ogni denominazione è una definizione presunta che definisce un quadro prima dell’analisi. “Se” “esiste” “un” “Essere” “(che) ha” “esperienza (di?)” “ sé” : quante coscienze ci sono nella formulazione di questo interrogativo? Quanti soggetti? Quante definizioni predefiniscono la coscienza medesima dell’interrogazione? Questa ultima mia osservazione non ha il fine certo di scoraggiare la ricerca.. tutt'altro.. |
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27-05-2013, 12.44.31 | #57 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Non è dell’ identità o meno di questi “oggetti” interamente fenomenici, per i quali (sia che li si consideri indistintamente nel loro insieme, sia che li si distingua per lo meno in larga misura arbitrariamente in diversi enti o eventi) vale il berkeleiano “esse est percipi” che parlo, bensì della non-identità (della differenza, dell’ alterità) fra essi ed eventuali (indimostrabili; che peraltro credo siano reali) soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche coscienti: alterità imposta dalla logica (sia pure “classica”), pena l’ autocontraddizione.
Dici che ti interessa la distinzione tra i fenomeni e veri soggetti per sé (quelli noumenici). In realtà è ciò che interessa anche me, ed il mio discorso è questo, che se qualcosa di noumenico c'è a scatenare i nostri fenomeni esso pure avrà un contenuto e così, in generale, quello che chiamo forma (=> soggettività, modalità di essere, particolarità). In questo caso finchè, come hai pure ammesso, vorrai muoverti nell'arbitrarietà, potrai dire che il tavolo fenomenico non-è quello noumenico, con lo stesso valore tramite cui distingui il tavolo fenomenico dal resto della stessa esperienza (es. il pavimento su cui lo trovi collocato); e questo tipo di descrizione lo accetto. Ma quando vuoi dare un peso ontologico alle tue descrizioni, questo mi pare di poterlo criticare, perché il contenuto, il senso, della distinzione epistemica lo abbiamo chiarito (arbitrario, soggettivo, legato al linguaggio, ecc.) ma quello della distinzione con valore ontologico no. Dopotutto con la teoria del noumeno affermi a priori che esiste una realtà obbiettiva e dei soggetti che la recepiscono. Allora posso dire di essere noumeno e che tu mi vedi come fenomeno (anche io mi percepisco in quanto fenomeno), il che significa che possiedo una certa forma in quanto entità noumenica e un'altra in quanto realtà fenomnica; così, però, la stessa cosa, per es. la coscienza, può avere una forma noumenica e un'altra fenomenica ed essere ancora la stessa cosa. Il testo riportato da jeangene non mi è piaciuto troppo, ma quantomeno riesce a far palese la difficoltà di difinire il proprio Io, il proprio essere, anche in contrapposizione con ciò che l'Io coglie. |
27-05-2013, 18.47.12 | #58 |
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Ogni volta che gyta fa una osservazione ne esco frastornato..
Ancora però mi sfugge la tua teoria, la tua "visione del mondo".. Scusate, ma questa frase riguardante la teoria di Husserl: Ogni senso, ogni essere immaginabile, che si dica immanente o trascendente, cade entro la cerchia della soggettività [la coscienza] trascendentale. Il contenuto della coscienza come pura Erlebnis, come flusso immediato dei fenomeni, trascende le singole individualità, e un orizzonte al di sopra del tempo e al di sopra dello spazio (anzi, li contiene entro di sé). Le coscienze entrano in questo flusso trascendentale, il quale si mantiene identico a sé al di sopra dell'entrare e dell'uscire delle singole coscienze individuali da questo cerchia, da questo orizzonte che mai si esaurisce. .. non vi sembra in qualche modo affine a quanto esposto nel testo che ho riportato? Certo, qui le singole individualità non vengono identificate con pensieri "io-me", però.. |
27-05-2013, 21.36.47 | #59 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Aggressor:
Il fenomeno kantiano è il risultato dell'incontro tra la natura e le mie facoltà conoscitive, in questo senso è il risultato di un rapporto, una sintesi tra contenuti dell'Io e della natura che non può portare alla conoscenza del noumeno, visto che esso appare già distorto dall'Io nell'esperienza cosciente. Tu diresti che il rosso appartiene al fiore? O che il rosso è il risultato del rapporto tra le mie facoltà (sensi) e un ente noumenico? Sgiombo: Io direi che il rosso appartiene alla mia esperienza fenomenica del fiore. Si, in un certo senso si può ben dire che è il risultato del rapporto fra l’ “io” noumenico soggettivo e qualcosaltro di noumenico oggettivo; il che fa sì che anche gli altri soggetti di esperienza cosciente (che non siano daltonici; ciascuno nell’ambito della propria esperienza cosciente fenomenica) vedono quel fiore di colore rosso. Aggressor: Ora, in senso generale si può dire che tutti gli oggetti fisici possiedono il loro contenuto in virtù dei rapporti che stabiliscono con altri oggetti (velocità, grandezza ecc.), in questo senso parlo a volte della realtà come qualcosa di fenomenico e non credo si debba ricercare alcunché oltre a questo, in quanto di per sé gli enti non possono contrarre un contenuto (particolarità, soggettività, modalità di esistenza). Sgiombo: Ma tutti gli oggetti fisici sono contenuti nella coscienza fenomenica di chi li percepisce, sono fenomeni. Se non si ammette una realtà in sé non vedo come si possa ammettere e spiegare l’ intersoggettività dei contenuti materiali delle varie esperienze coscienti che si può ammettere (non dimostrare né mostrare) esistere. Se non corrispondono alle stesse “cose in sé” come fanno ad essere rossi sia il fiore che fa parte della mia coscienza fenomenica (visto da me) sia il fiore (“lo stesso fiore”) che fa parte della tua (visto da te)? Forse si potrebbe pensare per una sorta di leibniziana “armonia prestabilita” fra le diverse esperienze coscienti, che però con Leibniz andrebbe spiegata tramite Dio, ipotesi che mi sembra meno “naturalistica” di quella del noumeno (anch’ essa peraltro letteralmente “metafsica”, e parimenti indimostrabile: onestà intellettuale impone di riconoscerlo; la mia é una preferenza in un certo senso puramente estetica fra due spiegazioni alternative altrettanto indimostrabili). Aggressor: La seconda parte della citazione è il punto cruciale, come ti dicevo, non trovo un motivo valido per dire "questo non è quest'altro" se si porta come prova della propria tesi la differenza di forma tra i 2 enti, perché gli oggetti di per sé differiscono nel tempo in continuazione, allora dovremmo dire che mai un oggetto è se stesso. Sgiombo: Però nulla vieta di stabilire arbitrariamente (a proprio comodo, per fini teorici e/o pratici “insindacabili”) di descrivere il divenire naturale considerando “qualcosa” (e dandogli il nome di un oggetto”) un certo insieme di sensazioni fenomeniche relativamente costante per un determinato lasso di tempo (finito). |
27-05-2013, 21.53.23 | #60 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Sgiombo:
Non è dell’ identità o meno di questi “oggetti” interamente fenomenici, per i quali (sia che li si consideri indistintamente nel loro insieme, sia che li si distingua per lo meno in larga misura arbitrariamente in diversi enti o eventi) vale il berkeleiano “esse est percipi” che parlo, bensì della non-identità (della differenza, dell’ alterità) fra essi ed eventuali (indimostrabili; che peraltro credo siano reali) soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche coscienti: alterità imposta dalla logica (sia pure “classica”), pena l’ autocontraddizione. Aggressor: Dici che ti interessa la distinzione tra i fenomeni e veri soggetti per sé (quelli noumenici). In realtà è ciò che interessa anche me, ed il mio discorso è questo, che se qualcosa di noumenico c'è a scatenare i nostri fenomeni esso pure avrà un contenuto e così, in generale, quello che chiamo forma (=> soggettività, modalità di essere, particolarità). In questo caso finchè, come hai pure ammesso, vorrai muoverti nell'arbitrarietà, potrai dire che il tavolo fenomenico non-è quello noumenico, con lo stesso valore tramite cui distingui il tavolo fenomenico dal resto della stessa esperienza (es. il pavimento su cui lo trovi collocato); e questo tipo di descrizione lo accetto. Ma quando vuoi dare un peso ontologico alle tue descrizioni, questo mi pare di poterlo criticare, perché il contenuto, il senso, della distinzione epistemica lo abbiamo chiarito (arbitrario, soggettivo, legato al linguaggio, ecc.) ma quello della distinzione con valore ontologico no. Sgiombo: Io trovo che ci sia "una bella differenza" (mi scuso per il gioco di parole) fra il modo di essere "diverse cose" di due oggetti fenomenici, come un tavolo e il pavimento su cui é collocato, e il modo di "essere diverse cose" dei fenomeni e dell' (indimostrabile) noumeno (possiamo chiamarla "differenza ontologica"? Credo che più che la parola con cui la indichiamo conti la sostanza della questione). Aggressor: Dopotutto con la teoria del noumeno affermi a priori che esiste una realtà obbiettiva e dei soggetti che la recepiscono. Allora posso dire di essere noumeno e che tu mi vedi come fenomeno (anche io mi percepisco in quanto fenomeno), il che significa che possiedo una certa forma in quanto entità noumenica e un'altra in quanto realtà fenomnica; Sgiombo: Fin qui sono d'accordo. Aggressor: così, però, la stessa cosa, per es. la coscienza, può avere una forma noumenica e un'altra fenomenica ed essere ancora la stessa cosa. Sgiombo: La coscienza per definizione é fenomenica (é un insieme/sequenza di sensazioni: esse est percipi); si può ammettere che ad ogni coscienza corrisponda, non che con essa si identifichi, "qualcosa di noumenico" determinato, reale in sé. |