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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 07-07-2013, 18.39.37   #201
maral
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

Citazione:
Originalmente inviato da Soren
Per quanto non so se è attinente al topic... non riesco a capire il "ritrarsi della necessità" con cui, Maral, intendi lo spazio d'autodeterminazione consapevole. Se la necessità si ritirasse lascerebbe uno spazio non determinato a priori dunque spodestato dalla causalità... mi riesce difficile pensare così del cervello e della coscienza umana. Non è piuttosto un ritrarsi dell'apparenza della necessità ? presi dalla libertà della mente di scegliere strade, ci dimentichiamo che la nostra stessa mente è un prodotto della necessità e nei suoi meccanismi ne dipende per intero: onde nel non vederne il gioco magari sta l'illusione del libero arbitrio, l'illusione della scelta. Però mi rendo conto che c'è uno strano distinguo nella questione che ho criticato anche nell'ultimo post: il fatto cioè che si pare interpretare l'atto leggero, privo di bisogno intimo quanto di voluttà momentanea o pattern standard, come liberamente scelto: ma forse perché in questi casi la nostra "spinta in avanti" ( quel che nel rimanente mondo sarebbe definita "causa efficiente" ) non è tanto forte da determinare di per sé il corso e lascia spazio ad altre cause che siano usi, pensieri o meri capricci del gusto, preferenze. Ma che io decida di trasferirmi in Tibet, o che io decida di farmi un thé, non sono entrambe azioni egualmente dovute alla mia necessità più autentica, alla mia natura ed alla mia esperienza ? e non sono entrambi atti di volontà ? L'atto decisionale semplicemente sposta la necessità nel campo della coscienza dove le nostre stesse strutture cognitive la attuano, e che però noi chiamando esse "noi" ci illudiamo di autodeterminarlo. Onestamente, preferisco vedere la cosa in questi termini: l'uomo essendo prodotto partecipe dei modi della causa iniziale ( cioè della ragione del mondo ) come prodotto ne è determinato, come partecipe ( in quanto parte ) ne è determinante: ma in ciò nulla si distingue dalla natura dove ogni cosa è determinata e determinante. Però nell'uomo tra l'una e l'altra c'è la black box che attua da sé una ricombinazione della risposta all'input ambientale ( interno ed esterno ), e che è cosciente, cioè può osservare e riflettersi questi cambiamenti, confrontarli, integrarli con altri e poi fare la sua mossa. Ma data anche l'aggiunta di una conoscenza e di un processo di pensiero prima dell'azione questa non vedo come sottrarla alla necessità: se nel pensiero ancora si può esperire uno stato ipotetico d'azione che lascia presagire la contingenza ( che altro non è, nel caso, che ignoranza del sé o del mondo ), quando poi questa si attua, non c'è dubbio di cosa fosse necessario. Ma come credo saprai dopo le discussioni nel topic sulla metafisica, per me necessità e possibilità rappresentano una dualità ontologica inconciliabile sullo stesso piano di realtà ( o essenza ) in quanto l'una nega l'altra. Perciò mi è difficile accettare una posizione coesistenziale.
Potremmo allora parlare di un ritrarsi apparente della necessità (e non di una necessità apparente, perché se la necessità è solo apparente non è necessità), ove questo ritrarsi è pur tuttavia ancora necessario. Io posso pensare di poter scegliere se andare in Tibet o farmi un tè, ma questa scelta è in qualche modo già necessariamente compresa in ciò che sono, tuttavia posso ancora scegliere di illudermi che non lo sia e dunque che sia io in quanto io libero da ogni necessità a volere veder realizzato ciò che progetto. In realtà l'io non conosce il suo destino (il suo stare) ed è proprio il fatto di non conoscerlo che lo rende libero e sussistente, può solo intuirlo in termini astratti e in termini astratti accettarlo o rifiutarlo, ma come si dipana la fenomenicamente la narrazione che l'io stesso racconta e da cui è compreso resta nascosto (la necessità del destino è proprio nascondendosi che si ritrae). Se l'io potesse comprendere fenomenicamente il suo destino forse potrebbe effettivamente comprendere che la vera scelta è sempre stata tra un poter accettare l'essere di ciò che è e un poter volere che l'essere di ciò che è sia altro rifiutando l'essere di ciò che è e che la necessità di questa scelta che comunque è, rappresenta il fondamento a sua volta necessario della sua eterna essenza.
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Vecchio 07-07-2013, 19.00.00   #202
ulysse
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

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Originalmente inviato da jeangene
Cioè voler essere ciò che si é anche se non si sa cosa si é?
A 15 anni avevo una idea di me e del mondo, a 20 un' altra, ora a 25 un' altra ancora e sicuramente a 30 cambierà ancora.
Cosa vuol dire voler essere ciò che si é? Vuol dire voler essere ciò che si pensa di essere momento per momento o vuol dire voler essere ciò che realmente si é pur non sapendolo?.
Ma credo che solo pochi vogliono effettivamente essere ciò che sono e che oltrettutto non sanno di essere!

Comunque mi pare che la domanda di jeangene sia legittima…ed anche è vero che c'è chi afferma con orgoglio: io sono fatto così!...e basta.
Ma è solo questione di testardaggine!

Invero io sono io, inconsciamente, anche già allo stato di ovocita appena fecondato, ma già umano in fieri.

Oppure sono veramente io il primo giorno di scuola…felice o recalcitrante di entrare nella massima istituzione che, volente o nolente, farà di me un altro..anche se sono contrario.
O sarò ancora io quando, a 20 o 30 anni, entrando nel mondo del lavoro, dovrò abbandonare ogni illusione...e, se sono fortunato, ne acquisirò altre di illusioni...magari più concrete…e così procedendo istante per istante sarò sempre io, intangibile eppur diverso, ancora sempre me stesso anche in momento di morte!?

Eppure è un fatto, oltre ogni filosofia, che istante per istante pur sempre io, indagandomi, troverò in me stesso sempre diverse credenze, diverse certezze, incertezze, illusioni ..ecc… Pur sempre mantenendo quel senso di essere io che la foto della carta di identità, in cui manco mi riconosco, mi dice di essere.

Ecco vorrei sapere (e forse anche jaeangene) come sia possibile trovare in questo incostante io.. che le relazioni sociali , esperienziali, ecc.. sempre nuovo e diverso mi consegnano… come poter trovare , dicevo, sempre il medesimo immarcescibile riferimento del giusto, dell’etico, del sempre saper dirimere, in coscienza, il bene dal male?...e che solo in questo lo trovo!

Il consiglio profondo della filosofia sembra essere: quando sei incerto…di fronte al baratro, cerca nel tuo più profondo io e la coscienza ti darà consiglio…ti indicherà la strada…ti preserverà dal cadere!

In conclusone vale sempre il motto iscritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi: “Nosce te ipsum!”...cioè…”conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei!”

Ma, invero, dubito molto che così sia!...occorre molto di più anche perché il “se stesso” non esiste: in ogni istante l’uomo non è…ma diventa! Biologicamente, psichicamente e intellettualmente…diventa...me glio o peggio non saprei, ma inevitabilmnte diventa!...come ogni vivente…del resto.

Infatti oggi e da tempo, ci siamo accorti che questo “te ipsum” pare in continuo subbuglio e spesso anche in contrasto con il “te ipsum” del precedente attimo...per cui il dirimere, pur con onesta coscienza, il bene dal male, pare farsi complesso sempre più…con risultanze spesso contrastanti da individuo a individuo, da clan a clan, da movimento a movimento, da partito a partito, ecc..

Direi. in sostanza, che se la filosofia, oltre al semplice consiglio imperativo “nosce te ipsum!”, non ci fornisce anche un sistema operativo del come “nosce”... il nostro orientamento fallisce già proprio dall’origine ove un “me stesso” un “intangibile io” mi appare indefinibile!
Citazione:
Originalmente inviato da maral
.....tentare di spiegarsi è un modo per cercare di definire e chiarire i propri dubbi alla luce del percorso logico che tentiamo di seguire per vedere dove ci conduce (alla comprensione o alla follia).
Propenderei per la seconda che hai detto!
Citazione:
Essere quello che si è significa accettarsi nel momento presente che include la memoria di ciò che eravamo a 15 anni e la prospettiva di ciò che saremo a 60.

Giusto l’accettarsi...ma non è che significhi tanto…direi che non è l’accettarsi che conta, ma il farsi e il diventare!
Bisognerebbe, infatti, dedicarsi a perseguire il meglio: cioè possiamo e dobbiamo sempre essere meglio nel nostro esistere ed operare…per quanto possimo.
Quindi un accettarsi pieno è un po’ problematico…forse, anzi, cotroproducente:...qualcosa di insoddisfacente deve pur restare...se dobbiamo essere sempre meglio!

E’ chiaro comunque che il modo d’essere di ciascuno non è la risultanza solo della finestra temporale 15/60 anni… cosa che già in sè sarebbe complessa.

Siamo, in realtà, e globalmente la risultanza del nostro essere genetico (DNA, genoma, ecc…) ove sono codificati i DNA parentali e, oltre, le traversie della specie che si ripercuotono su di noi…sul nostro essere biologico e psichico con la registrazione delle esperienze intervenute, sofferte e godute certo nelle nostra vita, ma anche nella intera storia del vivente.
All’essere genetico si sono associate e si associano a definirci, le acquisizioni attive e passive cui concorre l’ambiente, l’interrelazione sociale, il nostro voler essere... con reciproci condizionamenti e imprinting culturali e comportamentali, ecc…

Quindi la cosa è complessa assai: il “nosce te ipsum”...rischierebbe di “andare a pallino”…se ci fermassimo lì! ….
Occorre invece un superare, procedendo con impegno alla conoscenza del complesso e globale universo…rispetto a cui migliorrare e la conoscenza di noi stessi (del resto approssimata) è piccola cosa: e, oltretutto, è solo un mezzo, non il fine.
Citazione:
Il momento presente è unico ed eterno e da esso in realtà non si esce mai, tutto quello che siamo proprio adesso è, compresa la memoria del variare delle nostre memorie e aspettative.
Mi pare che ora ci sia un partire per la tangente: l’affermare che il momento presente è unico ed eterno…è assolutamente arbitrario: nessun indizio concreto orienta in tal senso il nostro pensare.
Direi che è solo per eventuale illusione emotiva che l’attimo supposto attuale può apparire illusoriamente eterno.

Il momento presente infatti non esiste in concreto: esso è solo l’invisibile linea immaginata a separare il passato dal futuro! …Una specie di illusoria linea dell’orizzonte che separa il mare dal cielo..ma che, in effetti, non c’è!

Nel momento che inizio a dire “presente”, infatti,...il presente già è passato…ed il successivo infinitesimo istante che arriva… già mi pone nel futuro…per cui nel presente…l’impercettibile istante ed io stesso, non esistiamo …possiamo solo diventare futuro!
Altro che eternità!

In conclusione nemmeno il “nosce te ipsum” esiste.
Possiamo osservarlo nel soggettivo ricordo o estrapolarlo come possibile e probabile stato futuro.
Citazione:
Noi ci siamo sempre per intero. L'io in tal senso è il punto focale che dà alla nostra essenza il senso di una narrazione in cui appare un progressivo cambiamento che l'io vorrebbe determinare.
Infatti non è solo l’io (cioè il mio volere) che determina il continuo mutare: il mutare accade!...e accade comunque pur nella più completa (ma impossibile) stasi della percezione cosciente: il tempo non può che passare!...e noi non possiamo che diventare…biologicamente, mentalmente, ecc..

D’altra parte il tempo passa proprio perchè mutiamo…fin negli atomi: parlare di un unico ed eterno momento presente è un controsenso…contrastante la realtà (le leggi) dell’universo…negante l’essenza del non essere.
Citazione:
Ma se tutta la storia è in questo preciso istante e come tale è da sempre e per sempre, accettare se stessi significa accettare proprio questo preciso istante per come ci appare, nella sua apparente mutevolezza.
Da quanto detto appare che un istante presente, eterno e mutevole è un controsenso...una entità illusoria… per cui accettare un tal se stesso è un accettare un inesistente ignoto: sospetto infatti che sia proprio questo che tendiamo a fare…che crediamo di fare…o che ci spinge a fare l’assurdità della credenza.

In realtà accettiamo in qualche modo, o anche non accettiamo, ciò che ci consegna il passato…insieme con progetti e aspirazioni che estrapoliamo per il futuro.
Citazione:
E' solo adesso che si può accettare l'eternità della nostra essenza che comprende ogni memoria e aspettativa.
Non solo questo preciso istante è mutevole… (che la mutevolezza sia apparente o meno non influisce) …esso “istante presente” semplicemente non c’è!...non esiste!

Per andarci leggeri, tuttavia, direi che la sua presenza è problematica…praticamente indefinibile.
Rimando alla varie teorie relative allo spazio-tempo.

Ne consegue che anche la nostra essenza è problematica… e tanto più è problematica se pretendiamo di definirla “eterna”.
Direi anzi che proprio per mancanza di eternità non si possa parlare di essenza: che significato avrebbe una essenza…continuamente mutevole?

L’essenza è roba da antica filosofia…da teologia…quando ancora si credeva nelle costanza delle entità del creato…eterne ed immutabili essenze

Oggi il tempo scorre per tutto…ma scorre diversamente per ogni entità di diversa marcescibilità.

Anzi, mi sovviene, che per un diamante, ad esempio, il tempo sembra scorrere meno: per esso il tempo è apparentemente eterno!
Solo “Apparentemente” però… poichè l’atomo di carbonio è intrinsecamente mutevole nell’orbitare dei suoi elettroni…quindi, ad ogni successivo istante, un diamante è intrinsecamente diverso…anche se una tale diversità non la rileviamo.

Il tempo poi, in questo universo, non scorre affatto per le tre particelle atomiche formatisi nel Big-Bang 14 miliardi di anni fa e non più mutate: il protone, il neutrone, l’elettrone.

Comunque mi pare che oggi sia rimasta la denominazione di “essenza” solo nel caso dei profumi…ove così si denomina, con relativo nome, il condensato di ogni diverso profumo!
... l’essenza della violetta, l’essenza di rose, l’essenza di fior d’arancio (il Neroli), ecc….
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Vecchio 08-07-2013, 23.01.59   #203
maral
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Originalmente inviato da ulysse
Propenderei per la seconda che hai detto!
La follia è infatti una di quelle cose che la si vede sempre e solo negli altri

Citazione:
Giusto l’accettarsi...ma non è che significhi tanto…direi che non è l’accettarsi che conta, ma il farsi e il diventare!
Bisognerebbe, infatti, dedicarsi a perseguire il meglio: cioè possiamo e dobbiamo sempre essere meglio nel nostro esistere ed operare…per quanto possimo.
Quindi un accettarsi pieno è un po’ problematico…forse, anzi, cotroproducente:...qualcosa di insoddisfacente deve pur restare...se dobbiamo essere sempre meglio!
Ma il meglio è già quello che siamo, basta solo lasciarlo apparire via via che appare. Il farsi è il delirio demiurgico di un io perennemente insoddisratto, dunque perennemente infelice che insegue le illusioni del poter diventare altro e far diventare altre le cose, mentre è sempre lo stesso, è sempre quel se stesso che originariamente è. Perché mai volere l'insoddisfazione per un altra insoddisfazione? Perché passare da un'insoddisfazione all'altra nell'illusione di quel meglio che già siamo con costante e imperterrito masochismo?


Citazione:
Siamo, in realtà, e globalmente la risultanza del nostro essere genetico (DNA, genoma, ecc…) ove sono codificati i DNA parentali e, oltre, le traversie della specie che si ripercuotono su di noi…sul nostro essere biologico e psichico con la registrazione delle esperienze intervenute, sofferte e godute certo nelle nostra vita, ma anche nella intera storia del vivente.
All’essere genetico si sono associate e si associano a definirci, le acquisizioni attive e passive cui concorre l’ambiente, l’interrelazione sociale, il nostro voler essere... con reciproci condizionamenti e imprinting culturali e comportamentali, ecc…
Questa è pura mitologia raffazzonata alla meglio . il DNA in sé è solo una molecola chimica che funziona in modo diverso in rapporto all'ambiente in cui si trova in costante relazione attraverso l'intermediazione proteica senza la quale sarebbe morto. Anche parlando di genoma ci muoviamo nel campo della pura finzione rappresentativa, sotto la quale ci sta però il senso della realtà e la realtà è che comunque ciascuno di noi è la traduzione diversa di un intero universo in un singolo soggetto rappresentativo che chiamiamo io quando in esso riconosciamo la possibilità di una volontà di illudersi.

Citazione:
Occorre invece un superare, procedendo con impegno alla conoscenza del complesso e globale universo
Appunto, ciò che siamo, una rappresentazione dell'intero complesso e globale universo, ciascuno in modo diverso

Citazione:
Mi pare che ora ci sia un partire per la tangente: l’affermare che il momento presente è unico ed eterno…è assolutamente arbitrario: nessun indizio concreto orienta in tal senso il nostro pensare.
Direi che è solo per eventuale illusione emotiva che l’attimo supposto attuale può apparire illusoriamente eterno.
Davvero nessun indizio? Sei mai uscito dall'istante presente con tutti i suoi ricordi del passato e le aspettative del futuro, Ulysse? Non sei forse sempre proprio ora?
E non è forse anche l'impressione che i tuoi ricordi e le tue aspettative siano mutati qualcosa che è sempre adesso, in questo solo e preciso istante, questo Adesso che non avrà mai, né mai ha avuto altro istante?

Citazione:
Il momento presente infatti non esiste in concreto: esso è solo l’invisibile linea immaginata a separare il passato dal futuro! …Una specie di illusoria linea dell’orizzonte che separa il mare dal cielo..ma che, in effetti, non c’è!
E invece solo il momento presente è, né il passato né il futuro sono, se non come immagini della memoria e illusioni di aspettative, entrambe appartenenti al solo presente, proprio adesso.

Citazione:
Nel momento che inizio a dire “presente”, infatti,...il presente già è passato…ed il successivo infinitesimo istante che arriva… già mi pone nel futuro…per cui nel presente…l’impercettibile istante ed io stesso, non esistiamo …possiamo solo diventare futuro!
Altro che eternità!
Eppure siamo sempre nel presente, non te ne sei accorto? E' così evidente! Non è vero che ieri non c'è più e domani non c'è ancora, solo il presente è e solo il presente è abitato da memorie e aspettative.

Citazione:
Infatti non è solo l’io (cioè il mio volere) che determina il continuo mutare: il mutare accade!...e accade comunque pur nella più completa (ma impossibile) stasi della percezione cosciente: il tempo non può che passare!...e noi non possiamo che diventare…biologicamente, mentalmente, ecc..

D’altra parte il tempo passa proprio perchè mutiamo…fin negli atomi: parlare di un unico ed eterno momento presente è un controsenso…contrastante la realtà (le leggi) dell’universo…negante l’essenza del non essere.
Eppure tutto questo è nel presente, non c'è nulla nel passato e nel futuro, proprio perché non sono. E la volontà di mutare il presente o di credere che sia mutato è solo volontà di un diverso far apparire, ma nemmeno questo apparire è da noi determinato, perché noi siamo in ciò che appare, personaggi di un racconto che si illudono di esserne i creatori.

Citazione:
che significato avrebbe una essenza…continuamente mutevole?_
Infatti non è mutevole, per questo è un'essenza.
Citazione:
L’essenza è roba da antica filosofia…da teologia…quando ancora si credeva nelle costanza delle entità del creato…eterne ed immutabili essenze
L'essenza è semplicemente la realtà, tutta intera, per come nell'eterno adesso (e proprio adesso) siamo.

Citazione:
Anzi, mi sovviene, che per un diamante, ad esempio, il tempo sembra scorrere meno: per esso il tempo è apparentemente eterno!
Solo “Apparentemente” però… poichè l’atomo di carbonio è intrinsecamente mutevole nell’orbitare dei suoi elettroni…quindi, ad ogni successivo istante, un diamante è intrinsecamente diverso…anche se una tale diversità non la rileviamo.
Il tempo poi, in questo universo, non scorre affatto per le tre particelle atomiche formatisi nel Big-Bang 14 miliardi di anni fa e non più mutate: il protone, il neutrone, l’elettrone.
Ti assicuro che ogni altro essente è ugualmente eterno, anche il più apparentemente labile, anche una farfalla che vola un giorno solo, anche un respiro che dura pochi secondi.
Sono, dunque non potranno mai non essere più o non essere stati, pure il sogno che viene subito dimenticato al risveglio o il vago sentore di un profumo
Ciò che è , è per sempre, non solo un diamante, quello è un trucco pubblicitario. L'eternità complete agli essenti in quanto tali, a eterno dispetto di chi vuole assurdamente farli diventare qualcos'altro per sentirsi gratificato di tanta egoistica quanto folle potenza.
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Vecchio 11-07-2013, 18.37.07   #204
gyta
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Citazione:
E invece solo il momento presente è, né il passato né il futuro sono, se non come immagini della memoria e illusioni di aspettative, entrambe appartenenti al solo presente, proprio adesso.
(Maral)

Con tutto rispetto.. detta così sa tanto di new age della quale non amo nemmeno a musica..
[Se] quell’essenza siamo allora creiamo e tutto il resto. Non l’apparenza crea, beninteso.
Citazione:
Eppure tutto questo è nel presente, non c'è nulla nel passato e nel futuro, proprio perché non sono.
Idem per ciò che riguarda il presente inteso al pari del concetto di passato e futuro.
Penso che si fa un discorso di questo calibro la precisione assoluta ed il silenzio talvolta siano indispensabili.
Citazione:
Eppure siamo sempre nel presente, non te ne sei accorto? E' così evidente! Non è vero che ieri non c'è più e domani non c'è ancora, solo il presente è e solo il presente è abitato da memorie e aspettative.
Non siamo nel presente. Anche qui opterei per il silenzio.
Citazione:
Appunto, ciò che siamo, una rappresentazione dell'intero complesso e globale universo, ciascuno in modo diverso
Non condivido. Al massimo ciò che ad un determinato livello percepiamo può esserlo ‘rappresentazione dell’intero etc..’
Non è per gratuita polemica, mi spiace che in certo senso ti autolimiti visto la volontà introspettiva e la serietà nella tua messa in gioco.. e per altro non sono nemmeno affari miei.. Avendo partecipato a queste discussioni da anni talvolta sento di non restare a guardare.
Citazione:
Anche parlando di genoma ci muoviamo nel campo della pura finzione rappresentativa, sotto la quale ci sta però il senso della realtà e la realtà è che comunque ciascuno di noi è la traduzione diversa di un intero universo in un singolo soggetto rappresentativo che chiamiamo io quando in esso riconosciamo la possibilità di una volontà di illudersi.
Condivido la sintesi che punta a mirare alla consapevolezza del linguaggio sensoriale cui facciamo uso ed attraverso il quale illustriamo e cerchiamo di comunicare la nostra esperienza.

Citazione:
Ma il meglio è già quello che siamo, basta solo lasciarlo apparire via via che appare. Il farsi è il delirio demiurgico di un io perennemente insoddisratto, dunque perennemente infelice che insegue le illusioni del poter diventare altro e far diventare altre le cose, mentre è sempre lo stesso, è sempre quel se stesso che originariamente è. Perché mai volere l'insoddisfazione per un altra insoddisfazione? Perché passare da un'insoddisfazione all'altra nell'illusione di quel meglio che già siamo con costante e imperterrito masochismo?
Il lasciare apparire come dici presuppone una coscienza che non emerge naturalmente visto che di naturale ci è rimasto ben poco culturalmente e non. Per cui in questo caso sono maggiormente d’accordo con la tesi di Ulysse che sviluppo in: coscienza non è solo coscienza politica, né coscienza sociale ma senza questi passaggi nemmeno una possibile ulteriore consapevolezza realmente profonda può emergere, per il discorso di cui sopra.

Per tanto credersi esecutori di un fato o fato-essenza è per me follia pura.
Altro è consapevolezza priva di deliri di onnipotenza in campo errato.

Citazione:
L'essenza è semplicemente la realtà, tutta intera, per come nell'eterno adesso (e proprio adesso) siamo

L’essenza è. Punto. : Non diciamo nulla ma non diamo nemmeno formule a colabrodo.

Pur comprendendo le tue buone intenzioni (così le reputo) non condivido le semplificazioni che spesso come tali portano falle gigantesche. “per come nell’eterno adesso” è già tutto un affermare senza nulla chiarire, poiché ‘eterno’ e ‘tempo’ sono linguaggio appartenente ad una ben precisa visione di sé e delle cose e per nulla profonda appartenendo al linguaggio di rappresentazione di una cultura che riconosce il tempo e l’eternità come realtà e concetti comprensibili, quando nella migliore delle ipotesi sono concetti parziali, filtrati ed utili a malapena per discernere il cartello di una casa in vendita da quello tenuto in mano dal vigile all’incrocio.

Ciao.

p.s: non sono facista. Amo la divulgazione scientifica ad un certo livello e vomito, pur cercando di comprendere i miei simili, quando l’informazione (scientifica o filosofica intimista)* diventa nella grande apertura tirannia di spazi ben chiusi.
* a tal proposito ‘mi’ chiedo come possa mai una filosofia non essere intimista!
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Vecchio 13-07-2013, 10.24.18   #205
maral
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Originalmente inviato da gyta
Non siamo nel presente. Anche qui opterei per il silenzio.
E allora dove siamo gyta? Siamo forse in ciò che ancora non è? Oppure in ciò che non è più? Dunque non siamo? Dove sei gyta?
Cosa sono il passato e il futuro se non immagini di questo costante presente a cui la mente dà questo senso per rappresentarsi come narrazione che pur tuttavia è sempre e solo adesso? Spero che si intenda il senso ontologico e perfettamente fenomenologico (non banalmente New Age) della posizione.

Citazione:
Al massimo ciò che ad un determinato livello percepiamo può esserlo ‘rappresentazione dell’intero etc..’
No, ciò che percepiamo a qualsiasi livello non è qui in gioco, in gioco è esattamente ciò che ontologicamente siamo: l'universo che rappresenta se stesso nella forma di un particolare essente che ammette innumerevoli altri essenti, innumerevoli altre rappresentazioni dell'Essere completo eccetto che nella modalità rappresentativa. Io non sono te solo in virtù del diverso rappresentarsi dell'Uno che entrambi in modo diverso raffiguriamo e ci raffigura affinché esso possa a se stesso apparire. Ciò che percepiamo è il risultato del nostro diverso modo individuale di lasciare apparire il medesimo Uno che siamo.

Citazione:
Il lasciare apparire come dici presuppone una coscienza che non emerge naturalmente visto che di naturale ci è rimasto ben poco culturalmente e non.

La coscienza è la nostra natura, per cui in essenza ogni cultura è per l'uomo natura (e viceversa), proprio come un seme germina e fiorisce, l'uomo è originariamente cosciente e attraverso questa coscienza per naturale necessità dà rappresentazioni e chiama queste rappresentazioni cultura.

Citazione:
Per tanto credersi esecutori di un fato o fato-essenza è per me follia pura.
Altro è consapevolezza priva di deliri di onnipotenza in campo errato.
Non siamo esecutori di un fato che ci trascende, siamo il destino (ciò che sta nel modo in cui ognuno lo viene diversamente a rappresentare), siamo cioè proprio ciò che siamo e per come siamo. Come potremmo mai essere altrimenti?

Citazione:
Pur comprendendo le tue buone intenzioni (così le reputo) non condivido le semplificazioni che spesso come tali portano falle gigantesche. “per come nell’eterno adesso” è già tutto un affermare senza nulla chiarire, poiché ‘eterno’ e ‘tempo’ sono linguaggio appartenente ad una ben precisa visione di sé e delle cose e per nulla profonda appartenendo al linguaggio di rappresentazione di una cultura che riconosce il tempo e l’eternità come realtà e concetti comprensibili, quando nella migliore delle ipotesi sono concetti parziali, filtrati ed utili a malapena per discernere il cartello di una casa in vendita da quello tenuto in mano dal vigile all’incrocio.
Sì, eterno e tempo sono immagine antitetiche reciprocamente implicate da un linguaggio rappresentativo e dunque fuorviante per quanto alludente. Ciò che possiamo dire è che l'essente (ogni essente) è e dunque, in base al principio di identità, che ogni cosa è la cosa che è e non può mai non essere o essere altro da ciò che è e solo questo ci autorizza a parlare dando senso a ciò che diciamo affinché appaia ciò che ne consegue, compresa l'eternità e il tempo


Ciao.
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Vecchio 18-07-2013, 08.05.58   #206
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Citazione:
E allora dove siamo gyta? Siamo forse in ciò che ancora non è? Oppure in ciò che non è più? Dunque non siamo? Dove sei gyta?

Dove siamo? Chi, siamo? Non è forse la medesima questione?
Dove francamente non lo so. Chi francamente non ho parole per comunicare.
Per te sono queste parole. Come tu per me. Dirti altro sarebbe come soffocare me e te..
Suona male, ma preferisco questo stridere a parole che non si avvicinano minimamente per me
a rappresentare me né la cosiddetta “realtà fuori”..

Citazione:
in gioco è esattamente ciò che ontologicamente siamo: l'universo che rappresenta se stesso nella forma di un particolare essente che ammette innumerevoli altri essenti, innumerevoli altre rappresentazioni dell'Essere completo eccetto che nella modalità rappresentativa. Io non sono te solo in virtù del diverso rappresentarsi dell'Uno che entrambi in modo diverso raffiguriamo e ci raffigura affinché esso possa a se stesso apparire. Ciò che percepiamo è il risultato del nostro diverso modo individuale di lasciare apparire il medesimo Uno che siamo.

Ciò che tu affermi essere ontologicamente non è che un pensiero intorno all’essere, essere che individui –per quanto mi pare di comprendere dalle tue parole- nella forma dell’universo e degli esseri animali e delle cose che lo rappresentano.

Mentre per me già faccio fatica a chiamarlo essere.. in più non lo intendo certo rappresentato dall’insieme universo ed esseri, avendo ripetuto più volte il mio pensiero secondo il quale universo ed esseri non sono che visioni parziali della nostra esperienza e forse abbiamo già un gran da fare ad individuarla questa nostra esperienza.. altro che fermarla in dato di fatto chiamato universo ed essere.. Mi dispiace non avere grandi risposte.. Per ora mi accontento di cercare delle risposte al cammino di questa esperienza per renderlo più armonico e trasparente possibile senza privarlo di spazio attraverso formule che non ho.. Mi pare sia già un lavoro abbastanza consistente quello di cercare di mettere a frutto quanta più luce di ragione possibile nell’esaminare il mio sentire e l’esperienza del vivere che sperimentiamo..

Per me l’universo ed il tempo, spazio compreso non restano che parametri funzionali ad una determinata gamma sensoriale e non rappresentano almeno per me la realtà dell’esperienza alla quale francamente non saprei dare uno spazio, un tempo, tanto meno un luogo, se non strettamente funzionale al nostro interagire dialettico per nulla verosimile rispetto a ciò che tentiamo di andare delineando. Reputo l’universo, il tempo e lo spazio per ciò che all’unanimità riteniamo rappresentare, parametri a definire qualcosa che francamente da un determinato livello di indagine in poi sfugge ad una autentica e verosimile comprensione che non sia quella accademica. Sento che sperimento qualcosa e cerco di prestare più ascolto che posso a ciò che accade ma dire che accada dove e quando proprio non me la sentirei. Ho poche certezze e fra queste quella di tenere il campo sgombrato dai preconcetti quando e quanto ci riesco.. compreso il pre-concetto che questo sentire sia lacunoso quanto i parametri spazio temporali..

Certo non ho molte definizioni certezze.. spero in questo modo che se qualcosa di verosimile debba emergere emergerà con minore difficoltà.. Per me i pensieri e le parole per esprimerli non sono che simboli e metafore, utili spero a fare maggior spazio all’ascolto di quanto sperimento.. O perlomeno, quando mi avvicino a discorrere intorno all’ Essere cerco di lasciare fuori il linguaggio di quel discernere tanto utile in altri campi, dell’etica e dei rapporti umani.. Di questi ultimi discorro con maggiore piacere e facilità essendo quei parametri limitati maggiormente utili seppure nemmeno qui troppo esaustivi..

Citazione:
Sì, eterno e tempo sono immagine antitetiche reciprocamente implicate da un linguaggio rappresentativo e dunque fuorviante per quanto alludente

Sì, è quello che sto cercando di comunicare..

Citazione:
Ciò che possiamo dire è che l'essente (ogni essente) è e dunque, in base al principio di identità, che ogni cosa è la cosa che è e non può mai non essere[..]


Mentre questo di definire e delineare è per me fuori dalla portata di quell’ascolto che perseguo..

Mi accontento di cercare di acquistare maggiore coscienza introspettiva possibile avendo una sorta di fiducia sul fatto che ciò che ci appartiene prima o poi emergerà (se non ci soffochiamo prima di immagini definite).. e spero lo faccia con "le sue" di parole e non con le parole di questo linguaggio comunque apparente del quale mi servo per consegnare spazi ed entità più o meno finite..
Non avrò mai un gran futuro come scrittrice di metafisica..

Ciao..
gyta is offline  
Vecchio 18-07-2013, 15.40.06   #207
maral
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Originalmente inviato da gyta
Dove siamo? Chi, siamo? Non è forse la medesima questione?
Dove francamente non lo so. Chi francamente non ho parole per comunicare.
Per te sono queste parole. Come tu per me. Dirti altro sarebbe come soffocare me e te..
Suona male, ma preferisco questo stridere a parole che non si avvicinano minimamente per me
a rappresentare me né la cosiddetta “realtà fuori”..
Il dove e il chi non son la medesima questione anche se si determinano reciprocamente, specchiandosi l'uno nell'altro. Tu non sei queste parole (e credo nemmeno io per te), ma sei in queste parole, ossia sei la rappresentazione del soggetto che trae origine dalla mia lettura e interpretazione di queste parole. E queste parole è proprio ora che le leggo, proprio ora che le ricorda e proprio ora immagino il soggetto che le scrive, nulla è fuori da questo preciso istante che non termina mai, né mi pare che abbia mai avuto inizio.
Ogni discorso che facciamo è rappresentazione, non può cogliere l'essenza, ma fingerla e le parole (tutte le parole e soprattutto le più precise e oggettive) sono strumenti di finzione, come i pennelli o le spatole del pittore, ma questo non è un buon motivo per non usarle e tacere, anzi è solo la finzione che riesce ad alludere al vero. Per tale motivo, da allusione ad allusione, nessun discorso che miri al vero potrà mai apparire davvero terminato.
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Vecchio 19-07-2013, 11.09.20   #208
jeangene
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Il linguaggio, queste parole, questi simboli, sono per noi fondamentali.
Il linguaggio non è semplicemente un mezzo di comunicazione. Mi ha sorpreso realizzare che noi pensiamo a parole perchè questo significa che i pensieri non vengono prima elaborati e poi tradotti in linguaggio per essere comunicati, ma nascono sotto forma di linguaggio, si elaborano sotto forma di linguaggio e naturalmente si comunicano sotto forma di linguaggio.

Questa piccola parentesi solo per evidenziare che noi non siamo queste parole, ma ne siamo profondamente legati.

jeangene is offline  
Vecchio 22-07-2013, 15.20.24   #209
gyta
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Citazione:
Mi ha sorpreso realizzare che noi pensiamo a parole perchè questo significa che i pensieri non vengono prima elaborati e poi tradotti in linguaggio [..]

(Jeangene)

Mi sorprende leggere che il pensare avvenga tramite le parole.. Per ciò che mi riguarda il mio di pensare si svolge attraverso immagini e simboli mentre la parola entra in un secondo tempo nell’esigenza di consegnare la riflessione al mondo assodato del linguaggio, mezzo base di comunicazione concettuale.
Il nostro essere legati alle parole è molto sottile: lo siamo nella misura in cui queste parole condizionano il nostro immaginario e non viceversa (come sarebbe dal mio punto di vista maggiormente produttivo).

Citazione:
Ogni discorso che facciamo è rappresentazione, non può cogliere l'essenza, ma fingerla [..]

(Maral)

Ci sono discorsi che possono giungere a coglierla la cosiddetta essenza seppure sia di gran lunga più facile fingerla e tale finzione essere portata in seno alla rappresentazione cristallizzandola sino a celarla dall’interno..


L’intangibilità dell’io è in un certo senso misura di tale difficoltà dell’essere a venire colto, tanto più nel dipanarsi di un linguaggio spesso fin troppo rigido ed osservante dinamiche più utili a discriminare un io psichico che a individuarne la radice che sfugge al limite discriminante di un linguaggio procedente unicamente per contrasti.. Il coglierlo allora non è più lavoro di individuazione diretta quanto di un processo di coscienza atto a perseguire una sorta di spogliazione da contenuti apparenti giungendo così al fulcro di una realtà le cui nostre percezioni (vestite di esperienza) non ne sono che una sorta di riflesso o per meglio dire la modalità attraverso cui possiamo farne esperienza sensoriale.

Non posso dire cosa l’essere sia ma al massimo come questo essere si presenti a questi sensi, e lo posso fare, a mio avviso, attraverso un percorso di individuazione indiretta che passa attraverso le differenti fasi discriminanti di conoscenza del mio immaginario mentale, immaginario mentale che forma la mia coscienza quindi la mia capacità acquisita di conoscere, l’immagine concetto di me, di mondo, di universo, di sensi, di concetto, di linguaggio, di percezione. Ciò che al di sotto di questo esame si evidenzia resta ed è proprio la capacità di conoscere, colorata, vestita di tutte le esperienze e le discriminazioni attraverso le quali il nostro immaginario procede, la "mente chiara" direbbero i buddisti o con le parole degli advaitini ‘Ciò attraverso cui ogni realtà è' *

* [ “Ciò attraverso cui gli occhi vedono, le orecchie odono.. Questo è il Brahman” ]
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Vecchio 23-07-2013, 08.03.36   #210
jeangene
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Originalmente inviato da gyta
Mi sorprende leggere che il pensare avvenga tramite le parole.. Per ciò che mi riguarda il mio di pensare si svolge attraverso immagini e simboli mentre la parola entra in un secondo tempo nell’esigenza di consegnare la riflessione al mondo assodato del linguaggio, mezzo base di comunicazione concettuale.
Il nostro essere legati alle parole è molto sottile: lo siamo nella misura in cui queste parole condizionano il nostro immaginario e non viceversa (come sarebbe dal mio punto di vista maggiormente produttivo).

Cosa intendi con simboli?
Io solitamente penso immagini sensoriali (immagini, suoni, sensazioni varie) e parole. Certo, le parole evocano concetti, significati, ma io non sono in grado di elaborare, di ragionare su questi concetti, su questi significati, senza usare le parole che li evocano. Quando penso, quando ragiono, parlo a me stesso come se parlassi ad un altra persona. Penso sia normale.
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