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28-06-2013, 09.19.24 | #182 | ||
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Ho negato che il soggetto IO sia esperienza, ma mai ho dedotto che questo IO non sia allora realtà. Sicuramente ho sbagliato a definire questo mondo di cui ho esperienza attraverso i miei sensi 'realtà esterna'. Con 'realtà esterna' intendo il mondo che esperisco attraverso il mio corpo attraverso i miei sensi, l' attributo 'realtà' è di troppo. Citazione:
Si, mi rendo conto che in questa discussione si dice di tutto e di più, allontanandosi, a volte, dall' argomento della discussione. Vedi paul11, non me la sento di inquadrare il mio IO perchè in tutta onesta devo ammettere che non so precisamente a cosa vado incontro interpretando il mio IO ontologicamente o metafisicamente o fenomenologicamente o in qualsiasi altro modo e sicuramente non pretendo che me lo spieghi. Ho ammesso più volte che le mie competenze filosofiche sono più che scarse. Quello che posso dire è che con IO intendo quel puro soggetto a cui l' esperienza è rivolta. L' esperienza è sempre esperienza di qualcuno, ecco io vorrei indagare, conoscere meglio quel qualcuno. Forse non è corretto parlare di IO, ma di autocoscienza, sinceramente non lo so.. Ultima modifica di jeangene : 28-06-2013 alle ore 10.55.02. |
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28-06-2013, 13.39.20 | #183 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
L'INTANGIBILE "IO"!... MA... VERAMENTE?
Mi pare che alla fine (in tutto il discutere) l'IO si sia perso: non si sa piu' cosa sia... sarebbe "tutto" noi o "niente" di noi!...o, semplicemente, non ho capito!? Soprattutto sembra sia incerto se l'IO "trascenda" la nostra persona...entità esterna (diversa) da noi, ma a noi riferita, o se sia l'IO, concretamente ciascuno di noi... nelle nostre esperienze, sensazioni, pensamenti, ecc... In sostanza l'IO sarebbe ciò cui sopperisce la nostra mente, il nostro essere coscienti...la nonstra anima in defintiva...purchè la supponiamo incarnata....frutto eccelso della nostra psiche in interazione con la fenomenologia dell'universo che su di noi agisce ...nota o ignota che sia. La mia formazione, tendente alla concretezza scientifico/razionale, m'induce a propendere per la seconda che ho detto: niente trascende niente! L'IO mio, forse deviando dalla interpretazione e definizione dei primi analisti, è la somma vettoriale di un "tutto" comprendente il mio essere: il genoma che determina l'essere fisico/psichico con relative ataviche pulsioni,... poi esperienze e pensamenti trasfusi e sublimati nella mente, carattere e comportemento conseguente, acquisizioni culturali, ecc... Tutto cio insomma che fa dire questo sono io o anche questo ero io...o sarò io coi miei progetti, le mie aspirazioni, le mie pulsioni ecc... A costo di ripetermi dico che l'IO rappresenta concretamente il tutto "me stesso"...anche se un tal "me stesso" è in continua trasformazione ed evoluzione: si rinnovano le cellule, s'incrementano i ricordi, si elaborano, progetti, strategie, correlazioni, ecc...intenti, intendinmenti e aspirazioni, eccc. In proposito, con le premesse poste, mi par di poter dire che l'espressione "Intangibilità del'IO" è un controsenso ...non ha rispondenza in ciò che sempre più sappiamo del comportamento e delle acquisizioni culturali ed esperienziali degli umani come individui e come specie...tutta roba che interagendo col corpo, con la spsiche, col pensiero, ecc... causa il mutare di cui si è detto. Infatti, l'essere dell'uomo (inteso come carattere, pensieri, comportamenti, affettività, ecc...) continuamente muta e con esso, di conseguenza, muta, impercettibilmente, la specie...quindi essenzialmnte si può dire che l'uomo non è! ...esso essenzialmente diventa!...in continuo...istante per istante. Comunque qualcosa di straordinario occade...per gli umani ...per gli animali piu' evoluti, ma forse anche per tutti i viventi: nonostante il continuo intrinseco mutare, ogni individuo sano mantiene la sensazione, assieme al ricordo, di essere sempre lui, il soggetto, e non altri. Accade infatti che...la sensazione identitaria si mantine pur nel continuo mutare biologico e culturale e, quindi, comportamentale e affettivo. E' forse questo l'esplicarsi dell'IO?...è forse in questo la sua intangibilità? Senza scomondare il trascendente o la metafisica...che poi non so cosa c'entrino...chiedo a chi ne abbia notizia: esiste una spiegazione biologica e funzionale del fatto o lo dobbiamo mettere in conto fra i vari interrogativi irrisolti di cui è oggetto il fenomeno "vita"? |
28-06-2013, 23.26.22 | #184 | ||||||||
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
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Precedentemente avevo detto che l'io sussiste come possibilità di una scelta per un ritrarsi della necessità dell'Essere (delle cose come stanno). In questo modo nell'io stesso quella necessità che si era ritratta è recuperata, ma da questo recupero l'io non è annichilito, ma esattamente al contrario ottiene da ciò che fai il proprio riconoscimento in essenza. E' il tripudio glorioso dell'io, ma la condizione indispensabile per il suo accadimento è che esso non sia in alcun modo voluto dall'io Citazione:
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29-06-2013, 00.28.27 | #185 | ||
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
E' certo possibile ipotizzare che l'io sia parte di un sistema autoreferenziale come la macchina autopoietica di Maturana e Varela, ma il punto critico secondo me sta in quel cioè all'io. Mi spiego: c'è un sistema autoreferenziale in cui l'io (che ne è parte non autoreferenziale) si riflette e il riflesso dell'io coincide con il sistema dunque è esso stesso autoreferenziale, ma il riflesso dell'io non è l'io e pertanto, in virtù della sua autoreferenzialità il riflesso può solo riferirsi al riflesso che esso stesso è e non all'io. Nel caso in cui il sistema autoreferenziale fosse la macchina biologica, l'io si rifletterebbe in essa ma essa, proprio in virtù della sua autoreferenzialità, non potrebbe che riferirsi a se stessa come riflesso e non all'io che in essa si riflette. Citazione:
Per quanto riguarda l'informazione il lavoro di Maturana e Varela la prende in considerazione in modo particolare. L'informazione è a loro avviso prodotta da una variazione dello stato di equilibrio interno del sistema stesso (non c'è alcuna necessità di considerare una causa esterna al sistema, un mondo esterno verso cui la macchina sarebbe cieca). L'informazione rappresenterebbe dunque la presa d'atto del sistema che una variazione è avvenuta al suo interno e in tal modo il sistema risponde in modo più o meno complesso nell'ambito delle sue possibilità biologiche per ripristinare i parametri variati affinché il necessario equilibrio torni a essere rispettato (per così dire l'informazione che è il prodotto di una variazione dello stato di equilibrio interno ha sempre un valore di necessità esistenziale per il sistema, anche se può essere elaborata a livelli diversi e secondo percorsi diversi). In ogni caso questo meccanicismo di impronta biochimica resta a mio avviso del tutto arbitrario, tuttavia mi pareva interessante proporlo proprio in quanto la macchina biologica potrebbe essere assunta come il sistema autoreferente (lo specchio) in cui l'io si riflette. Ciò non toglie che si potrebbero assumere altri specchi autoreferenziali di altra natura. |
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29-06-2013, 15.42.37 | #186 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Non c'è un sistema autoreferenziato senza l'Io, perchè senza l'Io non possiamo sapere attraverso la conoscenza, come possa sussistere.
Intendo dire che siamo noi a definire il sapere e il non sapere,la conoscenza e l'ignoranza: il soggetto rimane sempre quell'IO. Il problema ribadisco è anche semantico terminologico. Se quell'IO, si intende per Essere,o per Ego,o per Es, ecc. entro in domini ontologici diversi: dalla metafisica ontologica, alla fisica,alla filogenetica e biologia fino alla psicanalisi e pure l'esistenzialismo, ecc. Torno un attimo sull'autopoietica. Sono del parere, sempre dubbiosamente, che la materia abbia intrinsecamente un "movimento" verso una finalità, come ho espresso in altra discussione. Quindi c'è anche nell'autopoietica qualcosa di vero. Il nostro corpo funziona senza intervento della nostra volontà umana, intesa come una forma di sovrastruttura che nasce dalla materialità del cervello. Non siamo noi a decidere le ramificazioni delle sinapsi nei neuroni, come non siamo noi a decidere la riparazione di un tessuto nel corpo. Che ci sia un "sistema direzionale" e un "sistema operazionale" è un dato evidente e che comunichino attraverso molecole biochimiche è altrettanto sperimentato e farmacologicamente risaputo: basta vedere il compito degli ormoni secreti dalle ghiandole endocrine. Quindi, sempre a mio modesto avviso, la teoria autopoietica non è per niente da sottovalutare . Il problema, mi pare, scientifico è il passaggi fra la materialità di sinapsi e neuroni, ecc. al prodotto, cioè il pensiero, l'astrazione, la riflessione, ecc. Non mi sembra che "spremendo" fisicamente neuroni escano pensieri. Ci manca questa conoscenza fondamentale. Ma detto questo è altrettanto vero che quell'IO si rapporta con il suo corpo in modo ontologico. Ma quell'IO se vede il suo riflesso fisico in uno specchio ogni mattina non è che si identifica perfettamente e gli animali manco si riconoscono. Ma c'è un rapporto fisico fra l'Io e il corpo che è quello somatico. Se abbiamo un malessere esistenziale lo trasmettiamo al corpo fisico, alterando la comunicazione biochimica e se c'è un malessere fisico nel corpo l'elaborazione del cervello ne risente. saranno ovvietà forse quello che ho scritto, ma sono sempre da tener presente. Il pensiero non mi risulta che possa essere elaborato senza un cervello fisico. Quindi penso che sia giusto quel rapporto ontologico dell'Io con il proprio corpo, è un problema in più perchè quel "riflesso" risente del dentro di sè e del fuori di sè e diventa a sua volta interfaccia comunicativa fra ambiente esterno e corpo. Mi parrebbe un elastico fra l'Io e il proprio corpo che realaziona come insieme con il mondo. Ma a quel punto il problema culturale è l'input comunicativo dal mondo al corpo che passa per l'IO . Intendo dire che se i sensi decodificano i messaggi elettromagnetici del mondo verso il corpo altrettanto fa l'IO che decodifica i segni e i significati linguistici , immagini, forme, parole, simboli,ecc. Il risultato è un doppio binario, ma sinergico, altrettanto difficile da decodificare. Ma sta di fatto che viene comunque relazionato ontologicamente tramite conoscenza sensoriale, e la parte deduttiva e intuitiva comprese le sovrastrutture dei condizionamenti psichici e culturali quel mondo esterno e viene ontologiamente proiettato nel rapporto Io fenomenologicamente ed epistemologicamente con la conoscenza e quel che c'è nel mondo, cioè ontologicamente. In realtà noi non vediamo il riflesso fra l'IO e il mondo noi vediamo la diffrazione, cioè ne vediamo le differenze, le alterazioni perchè non abbiamo una immagine perfettamente armonica ,coincidente ,nella logica, nei sentimenti, nella psiche. Noi siamo "condannati" a continuare questa ricerca epistemologica della conoscenza al fine di trovare quella immagine perfetta di"quiete" fra noi (l'IO) e il mondo , in una ontologia "finita", compiuta. In defintiva rispondendo personalmente alla domanda della discussione. L'IO è una "sovrastruttura"del cervello umano intesa come non materica, ma prodotta comunque da questa .Ha una attività simbiotica con il cervello, ma non è completamente dipendente, perchè quell'Io non è solo il prodotto biochimico dell'attività cerebrale e del corpro tant'è che l'Io può a sua volta influire sul corpo fisico, con l'interpretazione "astratta" dei segnali che gli dà il mondo esterno. L'IO definisce l'ontologia propria e del mondo attraverso i processi relazionati della conoscenza. L'IO può anche non sentirsi "quell' " esperienza e "quel"pensiero particolare , ma relazionandosi ne è influito e comunque appare ontologicamente in quanto coscienza, nell'assentire o dissentire, nel prendere parte o nell'astenersi, ma sempre nell'orizzonte ontologico che le relazioni determinano. L'Io è tangibile ma può anche non sentirsi identificato , ma se è ammesso il "soggettivismo". Perchè ontologicamente se l'IO c'è ed esite se non è l'Io a definrsi saranno i domini a definirlo, sarà il "movimento" relazionato dello strumento conoscitivo che gli riporterà l'immagine proiettata della sua "dimensionalità" della sua coincidenza o meno con l'immagine che ha l'Io del mondo, del suo modello di rappresentazione. Il grado di differenza fra la proiezione e il riflesso porranno l'Io nel disagio e nella difficoltà e sarà ricostretto permamentemente a "muoversi per il mondo" con la conoscenza Noi siamo Esseri costretti ognuno nel proprio "io" a cercarci una dimensione di quiete: che non esiste senza una verità eterna. |
29-06-2013, 16.52.32 | #187 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
@Maral
Citazione:
a quale struttura ontologica fai riferimento parlando di destino ? perché "destino" implica necessità di qualcosa di essere così e non altrimenti, ma se ci rifacciamo a questa per spiegare certi eventi/motivi allora dobbiamo ricondurvi per forza anche tutti gli altri ( è una categoria un po' all-inclusive o all-exclusive! ). Trovo curioso che certe declinazioni dell'ego umano come il ritorno economico paiono descritte qui come meramente dettate dalla situazione ambientale e altre come la struttura idealtipica di un soggetto meramente da sé stesso, mentre entrambe partecipano però di entrambe le variabili ( ambiente interno ed esterno per avere la "soluzione" ). Dunque trovo curiosa l'accezione di destino da te nominata per determinare gli eventi che hanno preso luogo da Steve Jobs, come se fossero sottratti allo stato accidentale dello svolgersi della materia ( inteso dal punto di vista finale cioè in ottica umana siccome senza fine è un po' come dire "senza controllo" ). Insomma non sono riuscito a capire cosa esattamente suddivide un corso degli eventi determinato dal "destino" ed uno determinato da spinte egoiche e/o capricci in genere. Non è sempre riferibile allo stesso contesto e dunque alla stessa identica causa di fondo, ontologicamente parlando ? lo chiedo perché dal tuo modo di esprimerti tra "azione necessaria" e "azione scelta" mi sembra evidenziare un baratro che io non riesco a vedere. Ciao |
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30-06-2013, 13.10.10 | #188 | |
prof
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Drasticamnte sintetizzerei il mio pensiero in questo: **L'IO è la MIA (il grassetto nell scrittura di IO e MIO solo per indicare che entrambi i pronomi non si riferiscono a singoli individui comunemente intesi ma alla IOità ed alla MIOità corrispondemte); riprende l'Ego cartesiano ma con la importante differenza che Res cogitans e Res extensa non sono due entità nettamente separate ma continue e quella presunta divisione è solo un'area sfumatissima di transizione tra campi di Conoscenza diversamente densi, appunto, di Conoscenza ma continui ed omogenei. **La Conoscenza ha un significato non esattamente corrispondente con ciò che comunemente s'intende ma uno speciale campo (una specie di spazio) di cui l'IO ne è l'origine. **L'IO è unico ed assoluto, è la Simgolarità origine (non solo matematica) dell'universo e con esso inscindibilmente s'identifica. |
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30-06-2013, 20.09.50 | #189 | |||
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
In senso strettamente autopoietico oggettivo biologico non è comunque necessario l'io come conseguenza autoreferenziale, dato che si parla di macchina biologica autopoietica e lo sono pure gli organismi più semplici: batteri, amebe e via dicendo, per i quali la risposta volta al recupero dell'equilibrio è completamente automatica (e ai quali quindi, pur essendo riconosciuta un'autoreferenzialità non è ovviamente riconosciuto un io). Citazione:
Citazione:
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30-06-2013, 21.19.56 | #190 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Per tale motivo precedentemente avevo parlato di un ritrarsi della necessità (dunque del destino) affinché un io possa apparire (e con esso una coscienza e un'autocoscienza). Si può sempre scegliere (volere) tra la necessità della cosa per come è e la possibilità di determinarla mediante volontà per come non è e in questo secondo ambito funziona il pensiero calcolante che valuta i pro e i contro delle possibilità di ciò di cui ci si illude di poter fare accadere. Colui che, nell'esempio che ho citato, aiuta gli ebrei sotto il nazismo, non sceglie se aiutarli o meno in base a una valutazione di convenienze, ma accetta la necessità del proprio destino che si attua nell'aiutarli senza soppesare i pro e i contro. Van Gogh che dipinge un quadro non sceglie se dipingerlo o piuttosto vendere quadri di altri che gli verrebbe più conveniente, ma accetta fino in fondo la necessità di ciò che è e si sente essere. In tal modo l'unione con quell'Essere fondante che si è ritirato per lasciare aperta la possibilità dell'io è recuperata nell'io stesso che accetta la propria essenziale originaria integrità che è la stessa integrità di tutto ciò che è. |
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