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19-06-2013, 13.23.06 | #152 |
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La negazione dell'individualità (2)
Ciò che segue è una sintesi del pensiero di Fromm inerente la dinamica dei processi interiori che portano l’individuo alla negazione dell’io come tentativo di sublimare quel vuoto insostenibile che si viene a creare fra ciò che siamo e ciò che ci viene riconosciuto di essere.
Per l’importanza che credo abbia il suo pensiero cito seppure tagliato di alcune parti la sintesi riportata dal sito a lui dedicato : --------------------------------------------------------------------------
"Quando l'uomo pensa che il suo ideale è posto fuori di lui egli uscirà da se stesso e cercherà adempimento là dove non lo può trovare. Cercherà soluzioni e riposte in qualsiasi punto salvo dove potrebbe rivenirle: in se stesso Molti uomini sprecano la loro vita nel tentativo di divenire ciò che non possono essere, dimenticando ciò che possono divenire" Erich Fromm La libertà si afferma attraverso l'uomo come motivo immanente ed ineliminabile dello sviluppo umano come aspetto costitutivo dell'uomo, espressione del suo essere e prodotto del processo di individuazione e di sviluppo della società. Questo dinamismo se spezzato o forzatamente omologato si esprime attraverso la deformazione della personalità dell'uomo stesso. L'uomo privato della sua libertà reagisce o con la rassegnazione al vivere come un automa, oppure si trasforma in un essere aggressivo e furioso pronto a distruggere e distruggersi. Chi si propone di edificare un sistema sociale e politico antitetico a quello esistente, non può ignorare questi aspetti che la realtà ci propone in termini certi e definitivi. Ignorare tutto ciò, condannerebbe questi potenziali sistemi ad un sicuro fallimento obbligando l'uomo ad assumere il ruolo di mero strumento e considerandolo solo un ingranaggio della vita sociale. Infatti i sistemi autoritari non eliminano le condizioni fondamentali che permettono all'uomo di aspirare alla libertà, ma ne possono estirpare l'aspirazione stessa. "la liberazione umana non può compiersi avendo per mira una realtà materialistica in cui trovino appagamento soltanto determinati bisogni umani, ma perché questa liberazione si avveri è necessario riconquistare la sfera più ampia degli autentici bisogni umani, delle sue aspirazioni che comprendono, anche, il mondo dei suoi sentimenti e dei suoi ideali" Affinché si possa realizzare un mutamento radicale dell'ordine esistente non è sufficiente opporsi ai principi e sistemi che difendono le irrazionali strutture dell'organizzazione umana; infatti dobbiamo cogliere anche quegli elementi di secolarizzazione che si presentano come radicali e rivoluzionari e che in realtà sottendono e sono legati a vecchi schemi che intendono perpetuare. " Finché l'uomo resta immerso nella realtà sociale egli non può comprendere il valore che contiene in sé perché i tabù e le restrizioni socialmente condizionati gli appaiono naturali e finisce per accettare quelle distorsioni che la società determina nella natura umana (...)" È interessante anche la ricaduta in termini evolutivi della concezione di Fromm, infatti focalizzando sugli aspetti qualitativi delle dinamiche sociali, egli è in grado di mettere in luce come queste determinino la struttura di personalità dei soggetti adeguate al sistema sociale in cui essi vivono. Questa concezione deriva dalla teoria del carattere sociale considerata una delle tesi fondamentali delle teorie di Fromm. Ma questa adattabilità dell'uomo non è infinita; c'è insita nella sua natura una tendenza generale alla crescita che produce altre tendenze quali il desiderio di libertà e l'odio per la repressione. L'uomo in quanto tale è in grado di trascendere ai meccanismi istintivi e questa sua capacità lo porta a realizzare la sua condizione di libertà che rende più difficile la sua esistenza. Per Fromm c'è una profonda contraddizione nell'uomo determinata dalla dicotomia tra biologia (debolezza istintuale) e la consapevolezza di sé; il suo compito psichico è quello di sopportare l'insicurezza che sperimenta. "L'uomo libero è necessariamente insicuro, l'uomo che pensa è necessariamente incerto". L'uomo si troverà sempre di fronte alla realtà sia per stabilire un rapporto che lo liberi dall'isolamento per trovare la propria individualità e identità, sia per arrivare a all'equilibrio nello sviluppo di relazioni armoniose e durevoli con la realtà sociale in cui vive. Gli atteggiamenti che l'uomo può assumere (nei confronti di questa realtà che non è mai statica) sono due: da un lato può progredire stabilendo un rapporto positivo col mondo per la piena realizzazione delle sue facoltà, dall'altro può rinunciare alla propria identità regredendo verso una dimensione involutiva dell'esistere, I meccanismi di fuga derivano dall'insicurezza che l'individuo sperimenta in quanto prova difficoltà ad ascoltare i suoi bisogni (amore, lavoro espressione genuina di sé e delle proprie facoltà) mettendo in atto una sorta di fuga attraverso la rinuncia nel tentativo di eliminare il vuoto che si è creato tra il suo essere e il mondo. Quest'apparente soluzione all'ansia che il vuoto genera assume i connotati della rinuncia esistenziale in termini di rinuncia dell'individualità e integrità dell'Io. Il primo meccanismo di fuga che Fromm analizza in questa dimensione di rinuncia è il bisogno di rinunciare all'indipendenza. In tal modo l'uomo si fonde con qualcosa che sia altro da se, illudendosi di acquisire la forza di cui è mancante. Qui la sottomissione diventa il modo di relazionarsi con l'altro (la vita come qualcosa di irresistibilmente potente ma ingestibile). Nell'analizzare queste tendenze che generano sottomissione Fromm coglie due matrici importanti: da un lato evidenzia la tendenza masochista e dall'altro la distruttività. Per il masochismo lo scopo fondamentale è disfarsi dell'Io individuale in una dialettica tra attivo e passivo fino a perdersi, la distruttività mira invece all'eliminazione del suo oggetto – vi è radicata incapacità di sopportare l'impotenza e l'isolamento – e si manifesta con la fuga dall'intollerabile sentimento di impotenza (attraverso la rimozione degli oggetti) causato dal confronto degli oggetti con cui l'individuo è spesso chiamato a confrontarsi. L'individuo attraverso la rinuncia alla propria integrità personale o attraverso la propria distruzione riesce a superare il sentimento di irrilevanza rispetto al potere del mondo esterno e così facendo crede di sfuggire a questa minaccia che su lui pesa. Ma vi è un altro meccanismo che deriva da questo suo panico e che genera omologazione, questo è determinato dal fatto che l'individuo cessa di essere sé stesso per adottare un atteggiamento condiviso culturalmente che lo fa divenire esattamente come gli altri. Fromm paragona quest'atteggiamento alla mimesi animale che permette agli animali stessi di confondersi con l'ambiente, e questo per l'uomo vale sia per l'aspetto sociale che psichico. Tutto questo finisce in uno pseudo Io che sostituisce l'Io originale delle attività mentali. [..segue ultima parte..] |
19-06-2013, 13.23.52 | #153 |
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La negazione dell'individualità (3)
L'uomo fugge dalla libertà, perché essa significa responsabilità ed è a questi uomini che il tiranno si rivolge. Una volta spazzato via un tiranno già un altro è pronto in quanto si rivolge non a uomini liberi ma a quelli che hanno bisogno di sentirsi guidati e lo vivono come un protettore magico in grado di dissipare quelle incertezze e angosce che rendono stabile la vita dell'uomo. L'indebolimento dell'Io determinato da questa fuga dalla libertà e soprattutto dalla diserzione alla responsabilità trovano l'humus che permette al totalitarismo il suo sviluppo. Anche i desideri individuali si affievoliscono e emergono quelli che noi illusoriamente sentiamo nostri come espressione del nostro Io. L'uomo si è sottratto all'autenticità del rapporto con la realtà che lo circonda diventando parte di una macchina di cui egli stesso è stato l'artefice. Da qui il presentarsi di un'alienazione crescente.
Fromm richiamandosi a Pirandello descrive un suo personaggio paragonandolo allo stato attuale dell'uomo: individuo che cerca in vano di ritrovare la propria identità; e la sua risposta non è come in Cartesio l'affermazione dell'Io ma la sua negazione: "non ho alcuna identità, non c'è alcun io tranne quel che è riflesso di quello che gli altri pretendono che io sia". Questa è un'analisi interessante sul conformismo nella società di massa che mette in luce i comportamenti individuali quando l'uomo perde la scintilla dinamica della sua personalità. Un incontro di maschere e non più di individui. In questo scenario che rappresenta una realtà opaca caratterizzata sia dall'anonimo che dal collettivo l'individuo è concentrato nell'eseguire solo il ruolo che gli è stato assegnato dalla società e le sue regole. La realtà acquista un senso e un significato in base alla forza che acquista la realtà economica. Più l'individuo consuma e produce, più è utile. La repressione sociale tende a rarefare l'identità dell'uomo adattandolo e omologandolo, da ciò le forme di nevrosi che si sperimentano nella situazione odierna; per questo la terapia deve risalire non solo al singolo, ma alla realtà dell'organizzazione sociale. Il carattere dell'Homo consumer viene riscontrato nelle diverse psicopatologie (depresse, ansiose, bulimiche, alcoliste ecc.) per compensare alla depressione e ansia nascoste. L'avidità consumistica (forma estrema di ciò che Freud definiva carattere orale o ricettivo) diventa la forza psichica dell'attuale società industrializzata. L'Homo consumer vive nell'illusione della felicità ma a livello inconscio soffre della sua passività. Da qui il senso di alienazione per non essere in grado di instaurare un rapporto autentico con la realtà sociale. "Paura, solitudine, timore di sentimenti profondi, mancanza di gioia sono i sintomi di una morte interiore che è la malattia del secolo" A differenza di Marcuse che cogliere nella "società della non repressione" una sorta di paradiso utopico, in cui ogni lavoro sia gioco e dove non esistono conflitti e tragedie reali, Fromm crede in un risveglio della ragione attraverso una conversione silenziosa, una religiosità interiore. Attraverso un ritorno in noi stessi possiamo arrivare ad una resurrezione morale dell'uomo. Perché la verità è dentro ciascuno di noi, non nella realtà esterna, la quale ne riesce a dare solo illusione. Per Fromm essere significa riuscire affermare contro ogni tentazione materialistica la piena espressione di sé da un punto di vista spirituale che qualifica tutta l'esistenza umana. Essere significa amare. Quest'ultimo è il "movente" universale che può tramutare l'individuo inerte e alienato in un essere dinamico in grado di esprimere il proprio potenziale e capace di ogni trasformazione umana. Trascendere la ristrettezza dell'ego, dell'avidità e dell'egoismo diventa i modo attraverso il quale l'uomo raggiunge il pieno sviluppo (arrivando alla separazione dal prossimo e infine alla solitudine, elemento fondamentale). Affinchè questo possa avvenire bisogna liberarsi dalla coscienza autoritaria a favore di una umanistica. Infatti la coscienza autoritaria è una coscienza interiorizzata, mentre quella umanistica è in ciascuno di noi indipendentemente dalle ricompense esteriori; per ricomporre le fila del rapporto sociale dobbiamo cercare in noi e in quella voce interiore che ci unisce agli altri (senza bisogno di sottomissione) l'adesione libera e spontanea. La realizzazione dei propri desideri e la presenza di una morale autentica permettono la realizzazione dell'uomo. "Il male è la perdita dell'uomo da parte di se stesso nel tentativo di sfuggire alla sua umanità." da http://www.ifefromm.it/biografia.php ----------------------------------------------------------------------- |
22-06-2013, 16.48.02 | #156 | ||
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Sostituirei a “bio-logica” un più trasparente “necro-fila”. Citazione:
Se perdete il filo.. tutto torna.. |
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22-06-2013, 23.51.18 | #157 |
Ospite
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Quando io affermo, sono già l'oggetto del mio pensiero.
In realtà, l'io non può affermare la propria esperienza, ma soltanto il proprio pensiero. E' impossibile all'io oggettivare la propria esperienza, se questa dovesse coincidergli. |
23-06-2013, 11.35.26 | #158 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Forse intendi dire che l' io non è l' esperienza che lo investe e forse che non è nemmeno questo o quel pensiero, ma che l' io è pensare? Scusami, ho provato ad interpretare le tue parole perchè non mi sono chiare. |
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23-06-2013, 21.00.23 | #159 |
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Mi chiedo se in questo "lasciarsi possedere dall' Essere", in questa "passione" le individualità vengano sempre e comunque rispettate.
Se c'é una cosa che ritengo giusta é che ogni azione va pensata e pianificata tenendo conto del fatto che siamo tutti fratelli e che quindi ogni azione dovrà rispettare (nei limiti del possibile) tutte le individualità coinvolte. Mi chiedo perché molte persone non agiscono nel rispetto delle individualità se questo rispetto é nella nostra natura. É forse la libertà di andare contro la nostra natura la causa del male? Ultima modifica di jeangene : 24-06-2013 alle ore 11.44.06. |
23-06-2013, 21.01.07 | #160 | ||
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Ma è un egoismo ancora animalesco, grezzo e informe anche nocivo..che pur ci colpisce...ma che ovviamente non auspico...e maral, nel suo estremismo, lo descrive ottimamente. In affetti le società barbare e primitive...ma anche quelle odierne, lo perseguivano e lo perseguono piu' o meno a seconda del grado di civiltà raggiunto...comunque anche in antico le grandi opere che ancor oggi ammiriamo erano un prodotto di quell'egoismo che non voleva e non poteva aprirsi all'altro pur di preservarsi o consegnarsi al futuro. Cosi abbiamo la "Grande Muraglia" che proteggeva l'esistere della grandezza cinese dai barbari mongoli. Oppure i Faraoni egiziani aspiravano a mostrare la propria grandezza, in questo e nell'altro mondo, innalzando le grandi piramidi. Così i greci, in epoca più avanzata e civile, costruirono il Partenone: non era questione di situazione precaria...non mancava il sale! I greci volevano, comunque, ingraziarsi gli dei in modo che sopperissero ai propri desideri. Ecc... Quindi a partire dal primitivo egoismo animale che dominava gli antichi umani e le relative feroci società...(che maral nel suo assolutismo descrive... trasponendolo all'oggi)... la storia e l'evoluzione culturale e civile hanno perseguito e perseguono un egoismo strategicamente costruttivo che l'etica dei costumi e delle leggi rende valore positivo indispensabile per le attuali società democratiche. Osservo che una società tendente alla rinuncia ed al chiudersi egoisticamente in se stessa, come pare essere quella nostra attuale... incapace di reagire alla precarietà... è deleteria. Ma anche sarebbe deleteria una situazione di assoluta soddisfazione...di soddisfatto universale amore contemplante (pure esso egoistico)... ove un egoismo etico non avrebbe modo di esprimere la propria potenzialità e slancio verso l'intraprendenza. Infatti, "In medio stat virtus": l'ideale sarebbe un controllato e contenuto egoismo che spinga l'individuo alla intrapresa ed a realizzare opere sempre più eclatanti per propria esigente soddisfazione ed autorealizzazione..ma anche nella prospettiva di un vantaggio che renda piu' vivibile la vita. In effetti...è così che si autorealizzano e progrediscono le società meglio equilibrate con la partecipazione interessata di tutte la componenti sociali. Comunque evidenziare quanto sarebbe deleterio, di nessuna costruttività e valore, il perseguire un egoismo estremo ed animalesco...quale maral descrive...che nemmeno l'antenato austrolopiteco praticava, mi pare fuori luogo...già lo sappiamo e, comunque, sarebbe assai distante dal civile impulso egoistico autorelizzante che tutti pervade e che sta alla base della società civile. Infatti è su di un certo contenuto egoismo, prodotto temperato della educazione e formazione civile dei cittadini fin dall'infanzia, che fanno leva, o dovrebbero far leva, le organizzazioni e istituzioni statali con relativi sistemi legislativi: se intraprendi la società ti offre vantaggi... non ti reprime! Naturalmente esistono anche, come ben sappimo, organizzazioni statali culturalmente arretrate e burocratiche che non sanno come manovrare la leva...e preferiscono il controllo alla incentivazione!...magari incapaci anche nel controllo! Citazione:
Mi chiedo e chiedo...è possibile che diveniamo di bel nuovo continuamente ciò che gia siamo da sempre? Mi pare ridondante! ....la logica filosofica va un pò a pallino! Da un tal discorso, comunque, ne escono assai male i tedeschi la cui "essenza" doveva essere, in quel periodo, assente o talmente corrotta fino ad approvare entusiasta ogni malefatta nazista dei quali, anche, non si sa bene quale fosse o come fosse l'essenza e da che derivasse. Oppure anche l'essenza dei tedeschi era tale da sempre...e Hitler era solo un malaugurato contingente accidente!? Con lui o senza di lui i tedeschi erano tal quali da sempre e avrebberoi comunque gasato gli ebrei! E' possibile? Invero sarei più propenso a credere che il discorso di Fromm sia un pò retorico: ciò che siamo da sempre non esiste...a meno che non si parli di DNA...che tuttavia anch'esso è mutato e muta nel tempo. In ogni caso nessuno e niente può determinarci per cio' che già siamo: è una contraddizione in termini! Ciò che siamo lo siamo ovviamente per genetica da un lato e per ambiente e acquisizione culturale dall'altro. La spiegazione di quanto esposto deriva dal fatto che la propaganda nazista non era arrivata al cuore dei polacchi che invece vedevano nel tedesco l'invasore oppressore. Devo, in proposito notare che la "propaganda" può, in genere, influire molto piu' del destino di essere cio' che si è! Quindi ammesso che il sacrificio dei polacchi non avesse una giustificazione egoistica personale, l'aveva però sul piano sociale e storico: storicamente i polacchi odiavano i tedeschi e opporsi a loro, anche a rischio delle vita, era soddisfazione forse sufficiente per un tale odio. Ultima modifica di ulysse : 24-06-2013 alle ore 14.06.51. |
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