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01-07-2013, 12.04.01 | #192 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
La morte, intesa invece come raggiungimento della propria compiutezza originaria (e originariamente nascosta) non è morte, ma il rivelarsi eterno (l'apparire eterno) della gioia che partecipa di sé ogni essente, io compreso che legge nell'oltrepassamento della propria volontà la propria integra essenza che la comprende come realizzata e compiuta. In tal senso è chiaro il riferimento alla lettura di Severino. La morte è tutta ed esclusivamente un problema dell'io (l'io che partecipa dell'altro e in esso si ritrova o si perde): la sua estrema alienazione o la sua compiuta e definitiva comprensione. |
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02-07-2013, 08.53.36 | #193 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Scusa maral, faccio un po' fatica a seguirti, ma voglio capire. Prima ammettiamo che è necessario che l' Essere fondante si ritiri perchè possa apparire un io fondato sulla volontà e poi ammettiamo che l' unico modo per quell' io di accettare il destino degli essenti per come stanno (io compreso) sia rinunciare alla volontà, cioè al proprio fondamento, cioè a sè stesso. In sostanza o scelgo la volontà e quindi me stesso (illudendomi) o scelgo il destino annientandomi? ..ma immagino di non aver ancora capito. |
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03-07-2013, 09.24.59 | #194 |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Credo di aver frainteso.
Forse con "maral: ..accettare il destino degli essenti per come stanno (io compreso) o rifiutarlo in nome di quell'essente che è la propria volontà.." non intendi dire che si deve rinunciare alla volontà in sè che è nostro fondamento e motore della nostra esistenza, ma che si deve rinunciare alla volontà di voler essere altro da ciò che si è, di volere l' impossibile. Riprendo un tuo intervento nella discussione "Il Bene e il Male: Scegliere si può?": maral: In realtà ogni singolo uomo a ogni istante non può che essere se stesso per come è e aderire all' essere se stesso non può che essere bene. Eppure quando questo essere se stesso viene concepito nella propria separazione e isolamento da ciò che è, sorge quella volontà di potere essere altro che è impossibile da soddisfare. E proprio perché si vuole ciò che è impossibile, si deve fingere che l'impossibile sia possibile e che il bene stia solo in un perenne altrove (ce ne sono per tutti i gusti di questi altrove paradisi promessi e mai mantenuti a cui si sacrifica tanto volentieri l'essere se stesso di ogni uomo!). Ecco, credo che dopotutto sia proprio volere l'impossibile il male, volere essere altro. volere ad esempio, pur essendo uomo, essere come Dio e non potendo esserlo, fingersi tale. A me appare evidente che si è sempre necessariamente liberi di scegliere tra l'aderire all'essere di ciò che si è e il fingersi ciò che non si è, perché il fingersi ciò che non si è comunque è una possibilità non contraddittoria dell' essere ciò che si è. Dunque è sempre possibile. per ogni uomo. scegliere tra il Bene e il Male. |
04-07-2013, 14.15.36 | #195 |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
jeangene, l'atto di scelta (che è possibile solo se si ritrae la necessità per lasciar posto alla possibilità) in cui l'io trova il suo fondamento permane in ogni caso, perché è la scelta tra essere ciò che si è (quindi la scelta della necessità per cui ogni essente è l'essente che è), e la scelta di non voler essere ciò che si è (e, attraverso lo specchio che riflette l'altro in noi e noi nel'altro, di non volere che alcun altro essente sia ciò che è e dunque di poterlo far mutare all'infinito ad illimitato arbitrio, basta saper come fare). In sostanza, come ho cercato di spiegare nel mio commento sulla scelta tra il bene e il male, è sempre possibile scegliere tra la realtà della necessità fondata sul principio di identitità e la volontà delll'illusione che è un'illusione di potenza. Effettivamente, scegliendo la necessità di essere ciò che sono, io voglio questa necessità (e volendola l'io sussiste proprio come soggetto di quèesta volontà), ma nel senso in cui rifiuta ogni illusione, questa volontà è una volontà che si arrende e si consegna in tutto e per tutto all'Essere. Arrendersi alla necessità significa infatti "Io voglio essere ciò che sono, dunque riconoscermi e volermi per ciò in cui solo mi posso interamente riconoscere.". Il soggetto della frase è proprio quell'io che andiamo cercando e che in questo volere che si consegna all'Essere permane stabilmente.
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05-07-2013, 08.39.29 | #196 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Cioè voler essere ciò che si é anche se non si sa cosa si é? A 15 anni avevo una idea di me e del mondo, a 20 un' altra, ora a 25 un' altra ancora e sicuramente a 30 cambierà ancora. Cosa vuol dire voler essere ciò che si é? Vuol dire voler essere ciò che si pensa di essere momento per momento o vuol dire voler essere ciò che realmente si é pur non sapendolo? Grazie per la tua infinita pazienza.. |
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05-07-2013, 19.15.14 | #197 | |
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Figurati, è un piacere per me, anche perché tentare di spiegarsi è un modo per cercare di definire e chiarire i propri dubbi alla luce del percorso logico che tentiamo di seguire per vedere dove ci conduce (alla comprensione o alla follia). Essere quello che si è significa accettarsi nel momento presente che include la memoria di ciò che eravamo a 15 anni e la prospettiva di ciò che saremo a 60. Il momento presente è unico ed eterno e da esso in realtà non si esce mai, tutto quello che siamo proprio adesso è, compresa la memoria del variare delle nostre memorie e aspettative. Noi ci siamo sempre per intero. L'io in tal senso è il punto focale che dà alla nostra essenza il senso di una narrazione in cui appare un progressivo cambiamento che l'io vorrebbe determinare. Ma se tutta la storia è in questo preciso istante e come tale è da sempre e per sempre, accettare se stessi significa accettare proprio questo preciso istante per come ci appare, nella sua apparente mutevolezza. E' solo adesso che si può accettare l'eternità della nostra essenza che comprende ogni memoria e aspettativa. |
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06-07-2013, 13.20.42 | #198 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Si può quindi paragonare la nostra storia a un disco e l' io alla puntina che lo legge? Ogni mia esperienza, ogni mio piacere, ogni mio male, ogni mio volere, ogni mio pensare, ogni mio sogno, ogni mia azione, ogni mio conoscere è scritto su quel disco e la mia unica libertà consiste solo nell' accettarlo o meno? (e forse nemmeno questo) ..che misera libertà.. Concetti come responsabilità e giustizia che senso avrebbero? In effetti se si pensa all' Essere come un eterno statico e immutabile, viene da pensare, ma anche questa evidente libertà (seppur limitatissima) di cui godo continuamente fa pensare. Il punto è che per me è inpensabile una esistenza priva di libertà, la trovo priva di senso, del tutto inutile. Esistenza e libertà sono per me inscindibili e la semplice libertà di accettare o meno il mio destino la trovo insufficiente a giustificare la mia presenza qui. |
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06-07-2013, 15.41.09 | #199 |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Per quanto non so se è attinente al topic... non riesco a capire il "ritrarsi della necessità" con cui, Maral, intendi lo spazio d'autodeterminazione consapevole. Se la necessità si ritirasse lascerebbe uno spazio non determinato a priori dunque spodestato dalla causalità... mi riesce difficile pensare così del cervello e della coscienza umana. Non è piuttosto un ritrarsi dell'apparenza della necessità ? presi dalla libertà della mente di scegliere strade, ci dimentichiamo che la nostra stessa mente è un prodotto della necessità e nei suoi meccanismi ne dipende per intero: onde nel non vederne il gioco magari sta l'illusione del libero arbitrio, l'illusione della scelta. Però mi rendo conto che c'è uno strano distinguo nella questione che ho criticato anche nell'ultimo post: il fatto cioè che si pare interpretare l'atto leggero, privo di bisogno intimo quanto di voluttà momentanea o pattern standard, come liberamente scelto: ma forse perché in questi casi la nostra "spinta in avanti" ( quel che nel rimanente mondo sarebbe definita "causa efficiente" ) non è tanto forte da determinare di per sé il corso e lascia spazio ad altre cause che siano usi, pensieri o meri capricci del gusto, preferenze. Ma che io decida di trasferirmi in Tibet, o che io decida di farmi un thé, non sono entrambe azioni egualmente dovute alla mia necessità più autentica, alla mia natura ed alla mia esperienza ? e non sono entrambi atti di volontà ? L'atto decisionale semplicemente sposta la necessità nel campo della coscienza dove le nostre stesse strutture cognitive la attuano, e che però noi chiamando esse "noi" ci illudiamo di autodeterminarlo. Onestamente, preferisco vedere la cosa in questi termini: l'uomo essendo prodotto partecipe dei modi della causa iniziale ( cioè della ragione del mondo ) come prodotto ne è determinato, come partecipe ( in quanto parte ) ne è determinante: ma in ciò nulla si distingue dalla natura dove ogni cosa è determinata e determinante. Però nell'uomo tra l'una e l'altra c'è la black box che attua da sé una ricombinazione della risposta all'input ambientale ( interno ed esterno ), e che è cosciente, cioè può osservare e riflettersi questi cambiamenti, confrontarli, integrarli con altri e poi fare la sua mossa. Ma data anche l'aggiunta di una conoscenza e di un processo di pensiero prima dell'azione questa non vedo come sottrarla alla necessità: se nel pensiero ancora si può esperire uno stato ipotetico d'azione che lascia presagire la contingenza ( che altro non è, nel caso, che ignoranza del sé o del mondo ), quando poi questa si attua, non c'è dubbio di cosa fosse necessario. Ma come credo saprai dopo le discussioni nel topic sulla metafisica, per me necessità e possibilità rappresentano una dualità ontologica inconciliabile sullo stesso piano di realtà ( o essenza ) in quanto l'una nega l'altra. Perciò mi è difficile accettare una posizione coesistenziale.
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07-07-2013, 18.15.37 | #200 | |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
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La possibilità di scegliere tra essere per come si è e illudersi di potersi determinare per come si vuole essere non è cosa da poco, né nei presupposti di comprensione o separazione, né nelle conseguenze (tornare alla propria originaria ed eterna compiutezza o inseguire la propria volontà trasformativa). La libertà c'è sempre nell'accettazione del necessario destino dell'Essere e l'illusione di poterlo rifiutare e in questa libertà l'io trova il suo eterno spazio di esistenza, altrimenti non sarebbe più e questo è impossibile essendo pure l'io con tutte le sue illusioni un eterno essente. Il punto è che tu (io) sei qui e questa è la giustificazione che non può essere giustificata se non da se stessa. |
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