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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 04-06-2013, 15.06.03   #91
jeangene
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jeangene:
Io non credo comunque che senza il supporto del mio corpo (o meglio, di "qualcosa in sè" di cui il mio corpo è rappresentazione) questa mia "forma", questo mio "stato di coscienza" permanga insieme a questo pensare, questo ricordare..

Ma se non hai idea di dove cominci e dove finisca il tuo pensare attuale, il tuo corpo fenomenico o noumenico o entrambi, come puoi credere che la coscienza correlata ad esso svanisca quando quello svanisce? Se non conosci i confini del tuo Io non puoi nemmeno sapere quando e come si disgregherà totalmente; era soprattutto questo il senso del mio commento precedente. Parli del "tuo corpo", percui dovresti sapere dov'è il suo confine; tra l'altro se la realtà fosse del tutto interconnessa non avrebbe nemmeno senso parlare di confini obbiettivi.
Ovviamente questa è una provocazione intellettuale, un tentare, con tutte le difficoltà che si possono incontrare, la difesa della tesi di una vita dopo la vita.
Le stesse considerazioni puoi riportarle, da parte mia, al discorso che fai sulla "tua sopravvivenza"; una volta che avrai capito chi sei potrai forse chiarire il senso delle tue stesse domande e trovarvi risposta.

Penso che la coscienza permarrà, ma non in questa forma.. Se così non fosse dovrei avere memoria di un tempo che precede la mia "nascita" in questa forma.
Tutte le esperienze di cui ho memoria (sia "oniriche" che "reali") sono legate alla presenza di questo mio corpo e quindi penso che la mia attuale forma sia legata ad esso.

Tutto è Uno, lo penso anch' io, ma dove è tutto è Uno non ha senso parlare di io, coscienza, esperienza, forma.. Queste parole acquisiscono senso solo a livello fenomenico e a questo livello anche le parole corpo e confine acquisiscono un senso.
jeangene is offline  
Vecchio 04-06-2013, 16.03.37   #92
green&grey pocket
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green&grey pocket
Io non sono d'accordo con zanzara per niente, la diversità non è il noumeno, ma la diversità è la categoria logica principale che noi usiamo.

Questo Mr.zanzara sarei io? Perché non ho mai detto che "la diversità è il noumeno", semmai ho tentato di spiegare che se il noumeno è in un certo modo, allora sembra piuttosto la descrizione di una realtà colta da un punto di vista diverso (un altro fenomeno) piuttosto che qualcosa di primario o qualcosa che possiede di per sé un contenuto. Vedo che è difficile ai più comprendere questo passaggio (dopotutto potrei anche sbagliarmi), ma posso chiarirlo al meglio solo ripetendo questo: il senso preciso di "cosa in sé" dovrebbe essere lo stesso di "cosa che ha un contenuto (modalità, forma) al di fuori della relazione con l'altro", ma non mi pare che una cosa del genere possa ostentare una modalità di essere (cosa che si è ammessa del noumeno) poiché per essere in un modo non si è in un altro, allora l'altro è necessario, infatti non c'è niente che sia minimamete concepibile di per sé; anche le parole hanno senso solo grazie ad altre parole, al loro reciproco definirsi (per non parlare di cose come la veolocità ecc., e sgiombo ha ammesso che il noumeno diviene e perciò deve potersi dire diverso rispetto, appunto, a qualcos'altro). Se si vuole ammettere che il noumeno (o meglio, un ente noumenico) è qualcosa che non stà in contrapposizione con niente, allora esso non avrà alcun contenuto, sarà indeterminato, come la forma di una sfera, dicevo, al di fuori della quale non si stagliasse nulla (i suoi confini non sarebbero definiti, delineati, delimitati).


no non sei tu aggressor è l'utente "z4nz4r0".

io ti raggruppo in quelli che ritengono il noumeno una forma senza contenuto.
ma lo stesso husserl che lo teorizzava (la forma sono gli universali kantiani apriori) lo univa con il lato interno dell'io quello biologico, che sembri trascurare.
certo il noumeno è il sempre altro, come dici tu, e si può capire solo relativamente alla funzione delle parti.
ma i problemi che non elenchi sono quelli che aristotele, kant e husserl si ponevano.
per aristotele era l'inizio...se è vero che ogni cosa non è mai in sè, ma relata ad altro come giustifichi il principio delle cose?
per kant il problema era quello del noumeno, se noi formalizziamo mentalmente l'oggetto nello spazio-tempo, l'oggetto in sè dove si colloca?
per husserl il problema è se io vedo una casa in fuoco che non è mia e chiedo al prorietario cosa "sente" perchè le risposte sono diverse pur essendo la funzione "spettatore-oggetto" la medesima formalmente?

la domanda che faccio a tutti è comunque un altra: quella heideggeriana...in che relazione è l'io con il noumeno?
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Vecchio 04-06-2013, 18.01.59   #93
sgiombo
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Evidentemente ho creduto erroneamente che tu, sgiombo, negassi al noumeno il divenire e una modalità di esistenza. Ora, ammesso che le cose non stanno così, non vedo come si possa affermare questa incredibile capacità del noumeno di essere una cosa sostanzialmente identica a tutte le altre ed al contempo la più importante in quanto ciò da cui dipenderebbero le manifestazioni fenomeniche.

La differenza che tu poni tra la forma di un fenomeno e la forma del noumeno è dello stesso tipo riscontrabile tra le diverse esperienze fenomeniche. Cioè, per esempio, ammetteresti che c'è un tavolo fatto in un certo modo nella mia esperienza, uno fatto in un altro modo nell'esperienza di qualcun'altro, poi un tavolo ancora diverso ma "noumenico"; il che non ci porta a chissà quale differenza sostanziale. Mi pare che il tuo tavolo noumenico sia semplicemente una ulteriore prospettiva sul mondo anziché qualcosa di più fondamentale.

L'importanza di ciò che sto dicendo (e francamente trovo strano che la gente, quando si parla di certe cose, ad un punto inizi a chiedermi qual'è l'importanza di ciò che si dice, come se descrivere la realtà nel modo migliore non sia utile se non si trova immediatamente un diretto utilizzo pratico della teoria) ricade soprattutto sulla questione della coscienza. Poiché avevi ammesso questa grande differenza tra fenomeni e noumeno, avevi ammesso che l'oggetto fenomenico non-è quello noumenico, ma se ciò che ho detto è vero, ogni oggetto è semplicemente diverso nel tempo e a seconda della prospettiva di approccio in generale, così non sarò costretto a dire che l'oggetto è qualcosa di cui non saprò mai nulla, cioè, per esempio, non è coscienza, come non-è quello che appare a me; dirò piuttosto che è sia ciò che appare a me, sia ciò che emerge da altre prospettive (anche temporalmente diverse), perché tutte hanno pari dignità ontologica nella descrizione dell'essere dell'ente.


Dire che il tavolo noumenico non-è il tavolo fenomenico avrebbe lo stesso valore di "questa poltiglia -il fiore dopo la martellata- non è il fiore", visto che in tutti questi casi l'unica cosa che cambia è l'aspetto delle cose a cui affibiamo, poi, vari nomi. Ma come dicevo questo è del tutto irrilevante, perché l'aspetto degli oggetti cambia in continuazione, e solo quando non ci fa più comodo di rimarcarne la somiglianza alteriamo il nome tramite cui li indichiamo.



Che il noumeno abbia la “capacità di essere una cosa sostanzialmente identica a tutte le altre [la notte hegeliana in cui tutte le vacche sembrano nere, N.d.R] ed al contempo la più importante in quanto ciò da cui dipenderebbero le manifestazioni fenomeniche” io non l’ ho mai affermato. Lo affermi tu, e io non sono affatto d’ accordo.
La differenza che io ipotizzo fra noumeno (se reale) e fenomeni è di tipo completamente diverso da quella riscontrata fra enti ed eventi fenomenici di una stessa esperienza cosciente; per certi aspetti è simile a quella esistente fra i fenomeni propri di diverse esperienze coscienti in quanto reciprocamente trascendenti, cosicché fra di essi non ha alcun senso parlare di differenza o uguaglianza (che si può stabilire fra enti od eventi fenomenici appartenenti tutti ad un ‘ unica, medesima esperienza cosciente, nell’ ambito della quale si possono confrontare fra loro); e ancor meno fra di essi si può parlare di identità-unicità (questa anzi la si può recisamente negare perché sarebbe autocontraddittorio l’affermarla); bensì soltanto di (ipotizzabile, non dimostrabile) corrispondenza puntuale ed univoca: per ogni determinata condizione (nel divenire) del noumeno (“di un certo tipo” che è “accompagnato” da un’ esperienza cosciente, non necessariamente di tutte) c’ è una certa determinata condizione (nel divenire) di una o di talune determinate esperienze fenomeniche coscienti.
Dunque secondo la mia ipotesi ontologica si tratta di più diverse “cose” e non si identificano affatto in un unico ente o sequenza di eventi (sarebbe autocontraddittorio affermarlo) ma solo si corrispondono: “lo stesso” tavolo (le virgolette perché il termine è usato impropriamente, anche se senza evidenti inconvenienti pratici; il che in filosofia non conta: stiamo facendo della conoscenza pura o teoria) percepito da me nell’ ambito della mia esperienza fenomenica cosciente (1), “lo stesso tavolo” percepito da te nell’ ambito della tua (2), e a maggiore ragione l’ “entità noumenica” (3) che a ciascuno di essi (“lo stesso tavolo”1 e “lo stesso tavolo”2) corrisponde (se c’è) e fa sì che essi (transitivamente) si corrispondano fra loro.

Poiché affermi che
“quello che fa paura è il fatto che alla disgregazione del corpo, si pensa, corrisponda un disgregarsi della coscienza, perché sarebbe legata a quel complesso ordinato in quel modo. Il punto su cui cerco di far chiarezza con sgiombo però è questo, che parli della disgiunzione di un corpo, come se quel corpo fosse effettivamente confinato da una dimenzione spaziale precisa, mentre sappiamo che milioni e milioni di particelle entrano e escono dal corpo creando la difficltà di poter definire in modo univoco il suo essere, e il tuo essere si trasforma ogni istante. In altre parole non è detto che la morte sia tale quale la pensi”
e inoltre che
“Cosa pensi che sia "il tuo avere fame" al di fiori di ciò che risulta a te? Se guardi la descrizione fisica di quel fenomeno vedrai che essa sarà tale da non porre mai qualcosa che abbia effettivamente, in senso assoluto, di per sé un senso. Ogni descrizione riceve senso dalla relazione tra vari enti. Un ente non delimitato, riflettici, può avere un qualche contenuto? Se la risposta è no, dovrai ammettere che la tua fame è sensata e reale quanto le istanze chimiche nel nostro sangue, perché il fenomeno cosciente è il risultato del rapporto tra te e un mondo esterno (con tutta l'apporssimazione che questa frase deve concedere), come accade per tutte le altre raltà (una atomo è tale in quanto la sua modalità è delineata da ciò che è fuori da esso). è un modo per restituire valore (anche ontologico direi) al tuo vissuto. Non si tratta di una illusione, non è qualcosa che è meno reale di qualcos'altro, è semplicemente ciò che emerge da quel punto di vista, ciò che emerge da altri punti di vista (da altri rapporti) sarà diverso quanto altrettanto reale”
non trovo affatto strano chiederti:
ma che importanza ha tutto ciò se io muoio (che me ne frega che continui ad esistere qualcos’ altro di diverso da me)?
E che importanza ha tutto ciò (che me ne frega se “da altri punti di vista” non sarà percepita la fame) se io continuo a sentirne i morsi?
A me interessa il fatto che per me (e per altri viventi) la morte e la fame esistano, non l’ eventuale esistenza di “altri punti di vista” per i quali non esistono.

Non ho “ammesso” bensì ho sempre affermato autonomamente, di mia iniziativa le enormi differenze (ontologiche) fra fenomeni e noumeno, ben diversa (tutt’ altra cosa) dalle differenze nel tempo e nello spazio fra enti ed eventi fenomenici. Ma tu continui a confonderle (e io non so più cosa fare per cercare di convincerti che sbagli: mi arrendo).
La poltiglia dopo le martellate si può considerare fatta con buona approssimazione degli stessi atomi del fiore prima delle martellate. Se esiste il noumeno ciò che corrisponde a “tali cose fenomeniche” è “tutt’ altra cosa” (è “fatto di tutt’ altre cose”), che fra l’ altro esistono anche allorché nessuno vede fiore né poltiglia (e dunque tali cose fenomeniche non esistono).

Del tutto irrilevante per me, ai fini della comprensione/spiegazione (per forza ipotetica, indimostrabile) dell’ esperienza cosciente è il suo mutare (e dunque il mutare ad esso corrispondente del noumeno, se questo è reale).
sgiombo is offline  
Vecchio 04-06-2013, 18.39.04   #94
sgiombo
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ciao sgiombo.


partiamo dall'assunto che siamo in un monismo noumenico, perchè poi dovrebbe diventare dualismo fenomenolgico?

E' infatti l'errore che ti imputo quello di separare ciò che la logica ti porta a concludere (molto meglio di tanti altri) con ciò che poi invece sei.

e cioè un io.

Ma infatti il problema non sta nel noumeno, con cui concordo con te, ma quanto dal problema del rapporto tra l'io e il divenire percepito del monismo noumenico.

in questo senso, la domanda originaria viene un pò a cadere certo: se l'io è solo una parte di questo "essere".

Il problema è che tu sembri impermeabile alla differenza tra Essere ed essere.

Quello che zanzara tentava di dire lo hai subito minato alla base, tentando una definizione dei termini.

Io non sono d'accordo con zanzara per niente, la diversità non è il noumeno, ma la diversità è la categoria logica principale che noi usiamo.
la somiglianza ricordiamoci è solo un risvolto di quella.
Ma per il fatto che esista, indica una sola verità, a cui dobbiamo arrivare tramite essa (e non identificare il vero con la differenza come fa zanzara).

Fin'ora nel 3d s'è citato aristotele e husserl, da una parte e Hume dall'altra.

Si è parlato più che altro di noumeno e di stati di rappresentazione.

ma per aristotele l'io è riconducibile al noumeno?
in husserl il problema della intenzionalità come si risolverebbe senza innestare un doppio sistema di io (formale e biologico)?

tu stesso sostieni il rasoio d'occam: il compito dovrebbe essere quello di rendere il dualismo un antico orpello.

su queste cose siamo sicuri che vi siate interessati dell'essere "io"?


aspetto delle rispote (brevi per favore, ritengo di potervi capire in linea di massima) prima di passare all'uomo che più si è interrogato su questa questione, proprio da un punto di vista noumenico ossia Heidegger(copiando da san tommaso).

questo perchè vorrei dibattere, più che spare la "mia".

Io parto dall’ assunto che esistono i fenomeni, che sono le uniche cose direttamente constatabli, di cui si può star certi.
Il noumeno lo ipotizzo per spiegare l’ intersoggettività dei fenomeni materiali e una certa costanza e regolarità nell’ accadere dei fenomeni sia materiali che mentali (costanza e regolarità un po’ diverse in questi due casi): due cose che credo senza poterle dimostrare.

Che ci sia un “io” (che io esista in quanto) entità (noumenica) reale anche allorché non ho (non accadono nell’ ambito della “mia” coscienza) esperienze fenomeniche, e che sia tale che a ciascuna determinata condizione in cui tale “io” viene a trovarsi (vengo a trovarmi) corrisponde una determinata condizione della “mia”, esperienza fenomenica cosciente (“questa” immediatamente e direttamente esperita, in atto; e che potrebbe anche essere, in determinati casi, assenza di alcuna percezione fenomenica), è solo un’ ipotesi non provabile (né tantomeno constatabile).

“il divenire percepito del monismo noumenico” è un’ espressione autocontraddittoria in quanto “noumeno” = “non percepibile” (casomai qualcosa che è reale in un determinato modo allorché qualcosa d’ altro -dei fenomeni- è percepito in un determinato modo).

Per i fenomeni vige l' “Esse est percipi”,
Per il noumeno l‘ “esse est cogitari”

(spero di non aver fatto un strafalcione: non mastico latino dai tempi del liceo, quarantatre anni fa!).

Il rapporto che io ipotizzo fra queste due “cose” distinte (due diversi tipi di entità) reciprocamente trascendenti è quello di corrispondenza puntuale ed univoca.

Effettivamente fra “Essere” ed “essere” non vedo alcuna differenza (a parte quella puramente grafica, nel segno e non nel significato.

Conosco poco (sempre da quei tempi ahimè lontani del liceo) sia Aristotele che Husserl, in quanto non hanno mai destato un vivo interesse da parte mia (per quel che allora ne ho compreso; o magari frainteso). Men che meno Hegel e ulteriormente meno Heidegger.

Su diversità/uguaglianza l’ unica cosa che riesco a capire da quanto scrivete sia tu che Zanzara è cje “omnis determinatio est negatio” (Spinoza); e questo nell’ ambito della nostra considerazione delle cose, del pensiero, della conoscenza.

Il rasoio di Ockam taglia supposizioni in eccesso rispetto a quanto basta per comprendere i fatti e risolvere i problemi. Non mi pare il caso della distinzione fra fenomeni e noumeno (ipotetico).

Spero di essere stato abbastanza breve; per lo meno mi sono sforzato).

Ciao!
sgiombo is offline  
Vecchio 05-06-2013, 11.45.24   #95
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jeangene:
Penso che la coscienza permarrà, ma non in questa forma.. Se così non fosse dovrei avere memoria di un tempo che precede la mia "nascita" in questa forma.
Tutte le esperienze di cui ho memoria (sia "oniriche" che "reali") sono legate alla presenza di questo mio corpo e quindi penso che la mia attuale forma sia legata ad esso.


E' questa anche la mia posizione, cioè quella in cui confido di più.



jeangene:
Tutto è Uno, lo penso anch' io, ma dove è tutto è Uno non ha senso parlare di io, coscienza, esperienza, forma.. Queste parole acquisiscono senso solo a livello fenomenico e a questo livello anche le parole corpo e confine acquisiscono un senso.

Questo passaggio lo trovo invece più ostico, se la verità fosse un Uno compatto non si capirebbe da dove i fenomeni trarrebbero le loro modalità.



green&grey pocket:
io ti raggruppo in quelli che ritengono il noumeno una forma senza contenuto.
ma lo stesso husserl che lo teorizzava (la forma sono gli universali kantiani apriori) lo univa con il lato interno dell'io quello biologico, che sembri trascurare.
certo il noumeno è il sempre altro, come dici tu, e si può capire solo relativamente alla funzione delle parti.
ma i problemi che non elenchi sono quelli che aristotele, kant e husserl si ponevano.
per aristotele era l'inizio...se è vero che ogni cosa non è mai in sè, ma relata ad altro come giustifichi il principio delle cose?
per kant il problema era quello del noumeno, se noi formalizziamo mentalmente l'oggetto nello spazio-tempo, l'oggetto in sè dove si colloca?
per husserl il problema è se io vedo una casa in fuoco che non è mia e chiedo al prorietario cosa "sente" perchè le risposte sono diverse pur essendo la funzione "spettatore-oggetto" la medesima formalmente?

la domanda che faccio a tutti è comunque un altra: quella heideggeriana...in che relazione è l'io con il noumeno?


Non sono proprio uno di quelli che considera il noumeno una forma senza contenuto, cioè, solo per chiarire, considero le "cose in sé" (quindi pure il noumeno) prive di forma, cioè prive di contenuto (già prima di un possibile approccio conoscitivo indirizzato ad esse) e in quanto tali anche impensabili. La cosa in sé è priva di forma perché nulla può delimitarla cioè pure contestualizzarla delimitandola.
Hai perfettamente ragione a dire che ho trascurato i motivi per cui si dovrebbe ipotizzare una cosa del genere, ma li ho trascurati consapevolmente perché il discorso sembrava non necessitare quel tipo di argomenti.
In generale si richiede un principio che non di penda da altro, ma questa dipendenza è problematica a livello temporale, mentre la dipendenza delle forme dal loro limite non è di questo tipo. Il motore di Aristotele, che muove senza essere mosso, è pur sempre un motore, cioè esso è qualcosa di particolare e distinto da altro, percui possiederà una forma come tutti gli altri. Anche i problemi di Kant e Husserl possono essere aggirati se essi sono tali quali li hai presentati (ma le cose non stanno proprio così), o, più che altro, non è ipotizzando una cosa in sé che possono risolversi, se si accetta che "l'ente in sé" è indeterminato.


La posizione di Sgiombo è chiara, si parla (1) di un tavolo mio, (2) un tavolo tuo, e (3) un tavolo in sé. Ora, da un lato mi sono preoccupato (forse senza troppo successo) di spiegare che descrivere questo terzo tavolo come "una realtà in sé" confonde le idee; infatti, oltre a possedere una forma (quindi a doversi realizzare in contrapposizione a qualcos'altro), quello è pure composto di vari elementi più piccoli. Dall'altro lato non credo che la realtà, per essere spiegata coerentemente, abbia bisogno di un simile substrato obbiettivo, "super partes"; semplicemente il mondo pottrebbe essere costutiuto dai vari punti di vista soggettivi. Il motivo del loro "accordo" risiederebbe nella loro sussistenza effettiva, percui essi devono influenzarsi a vicenda nel modo imposto dalla loro forma. Per "punto di vista" designo qualsiasi sistema di coordinate, foss'ache non osservato o incoscente, infatti qualsiasi sistema avendo un contenuto potrà, in caso, essere osservato.
La cosa che mi fa strano è che un punto di vista particolare, quello noumenico, debba fare da substrato per gli altri. E' vero che la mia posizione sembra quelle delle vacche di Shelling, ma la mia indistinzione tra noumeno e fenomeno si basa sulla comunanza del loro possedere un contenuto (o forma, cioè pure un inquadramento all'interno di un sistema); che poi il noumeno sia causa dei fenomeni (come se fosse un fenomeno più importante, una "forma" o contenuto primario) se ne può parlare (e sopra ho scritto cosa ne penso).



Sgiombo:
Non ho “ammesso” bensì ho sempre affermato autonomamente, di mia iniziativa le enormi differenze (ontologiche) fra fenomeni e noumeno, ben diversa (tutt’ altra cosa) dalle differenze nel tempo e nello spazio fra enti ed eventi fenomenici. Ma tu continui a confonderle (e io non so più cosa fare per cercare di convincerti che sbagli: mi arrendo).

So che vorresti arrivare a questa grande differenza ontologica, ma effettivamente non mi pare che ci riesci. Dici solo che il tempo noumenico, il suo divenire, il suo essere è diverso da come lo cogliamo, ma tante cose, a seconda del punto di vista, sono diverse da come le cogliamo. Dici poi che i contenuti delle soggettività dipendono dal noumeno e questo è già un argomento.



Sgiombo:
ma che importanza ha tutto ciò se io muoio (che me ne frega che continui ad esistere qualcos’ altro di diverso da me)?

Ciò che non capisco è il tuo principio di identità, dici che non te ne frega niente se esiste qualcos'altro diverso da te, allora potrai anche ucciderti adesso, visto che tra poco cambierai forma, seppure lievemente, diventando a tutti gli effetti diverso da te. Ma se credi che, anche cabiando aspetto, sarai ancora te stesso, mi devi dire perché un tavolo percepito da qualcn'altro non può essere lo stesso tavolo, o perché, invece, il tavolo che perepisco io, anche se cambia aspetto, può essere lo stesso tavolo.


In ogni caso stiamo discutendo di cose complesse, ma in tutta tranquillità!

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Vecchio 05-06-2013, 15.23.20   #96
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Originalmente inviato da sgiombo
Per i fenomeni vige l' “Esse est percipi”,
Per il noumeno l‘ “esse est cogitari”

Il rapporto che io ipotizzo fra queste due “cose” distinte (due diversi tipi di entità) reciprocamente trascendenti è quello di corrispondenza puntuale ed univoca.

Effettivamente fra “Essere” ed “essere” non vedo alcuna differenza (a parte quella puramente grafica, nel segno e non nel significato.

Su diversità/uguaglianza l’ unica cosa che riesco a capire da quanto scrivete sia tu che Zanzara è cje “omnis determinatio est negatio” (Spinoza); e questo nell’ ambito della nostra considerazione delle cose, del pensiero, della conoscenza.

appunto se l'io è una parte dei fenomeni, e se l'io conosce tramite negatio, forse tramite il rasoio di occam potresti da subito capire che il monismo che tu ipotizzi puntualmente coincidente è la verità stessa dello svelamento del noumeno.

andiamo per gradi, l'io è la forma delle nostre percezioni storicamente determinate, ma la conoscenza è ciò che ordina quel fenomeno che è la nostra memoria.

la nostra conoscenza è sì in grado di formalizzare principi che escludono il terzo escluso(matematicamente), ma la nostra biologia, e l'evento non lo fanno.

questo puntuale applicazione del terzo escluso (indimostrabile) si ordina tramite il principio di inferenza come dice anche Hume.(non è stato il primo ma ne è l'esponente più famoso)

il punto principale dell'argomentazione è che questa inferenza avviene, e dunque è.

dal momento stesso che noi la usiamo essa esiste.

ma se esiste deve anche esistere una memoria che la raccolga, hume anticipò pesantemente la teoria darwiniana, poi verificata.

e cioè esiste anche una inferenza biologica, sono già due indizi radicali.

questa inferenza biologica per Peirce è portata all'infinito ciò che garantisce la veridicità del concetto di Dio. Cioè dell'Essere.

Aristotele ne aveva capito la portata semplicemente riflettendo sul movimento.

se qualcosa muove qualcosa, cosa è quel qualcosa che muove qualcosa per primo?

Aristotele pensava ad un motore immobile, Berti e i neoaristotelici pensano ad un motore "mobile".

E cioè "l'energheia"(il movimento) pura è inferenza di qualcosa.

la puntualità a cui ti riferisci è dunque contenuta essa stessa nel pensiero, poichè si muove esattamente come il noumeno (dal passato al presente) ne abbiamo tre prove radicali.

ma allora lo stesso movimento è il noumeno monista. (fine del dualismo)


per quanto riguarda husserl e heidegger, che sposano le tue stesse conclusioni (più o meno riletti), però il punto non sta tanto nel derimere il dualismo cartesiano (in cui in fin dei conti è difficile liberarsi) quanto in quale rapporto si situa il fenomeno e l'evento con l'io.

quello che mi chiedo è come mai non ti ponga filosoficamente questo quesito.
il rischio è che poi una volta esclusa la domanda ti ritrovi ad appoggiare sistemi scientisti.


Una nota a parte della discussione.Per Sgiombo.


lo scientismo per te, che pur meglio lo intendi, è proprio questo relegare la posizione dell'io in una soglia sconnessa con il fenomeno.

che poi esso cozzi contro la sua stessa pretesa, come spesso ricordi, di intendere il fenomeno a partire dal fenomeno, è solo una parte del problema (e in questo parte tu sei un attento critico, e per questo ti stimo) ma ciò non basta seondo me....ciò non toglie infatti che se l'io è confuso come un fenomeno orizzontale e deduttivo, allora qualsiasi potere politico pre-ordinato definirà i suoi parametri non in gloria di dio, della scienza o degli uomini ma solo dei potenti.

spesso litigo con i miei amici sul fatto che è meglio un buon medico arido ad uno più empatico ma scarso.

il fatto è, mi sembra, che si voglia mettere "contro" due istanze del pensiero inferente.

io non ce l'ho con la scienza ma con i suoi rappresentanti "politici".
(te lo dico perchè so che ce l'hai con gli "antiscientisti a tutti i costi",certo ho ben presente alcuni di essi....non fanno che oscurare ancor di più i reali problemi)

ora se il pensiero fenomenico è oggi ottimamente (nei geni) e discretamente bene (da tanti altri) inteso dal metodo scientifico, il pensiero della relazione tra io e fenomeno è invece drammaticamente indietro.

tanto che da gehelen a heidegger all'inizio del novecento molti facevano loro il monito di anders: l'uomo è antiquato.
antiquato rispetto alle scienze (e alla potenza del loro domandare, che vorrei ricordare è relegato a delle macchine).

perciò riformulo ancora a te la domanda che faccio a tutti.

dualisti, realisti o monisti che siate.

quale è la relazione tra l'io e gli infiniti eventi del noumeno???

se volete la domanda un pò più complicata è che relazione c'è tra il fenomeno io e i fenomeni tout court?

provocazione.
vogliamo veramente relegarli su due piano diversi come verità distinte come fanno i realisti?
eppure la realtà è una e una solo ed è quella che viviamo.
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Vecchio 05-06-2013, 22.21.30   #97
sgiombo
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La posizione di Sgiombo è chiara, si parla (1) di un tavolo mio, (2) un tavolo tuo, e (3) un tavolo in sé. Ora, da un lato mi sono preoccupato (forse senza troppo successo) di spiegare che descrivere questo terzo tavolo come "una realtà in sé" confonde le idee; infatti, oltre a possedere una forma (quindi a doversi realizzare in contrapposizione a qualcos'altro), quello è pure composto di vari elementi più piccoli. Dall'altro lato non credo che la realtà, per essere spiegata coerentemente, abbia bisogno di un simile substrato obbiettivo, "super partes"; semplicemente il mondo pottrebbe essere costutiuto dai vari punti di vista soggettivi. Il motivo del loro "accordo" risiederebbe nella loro sussistenza effettiva, percui essi devono influenzarsi a vicenda nel modo imposto dalla loro forma. Per "punto di vista" designo qualsiasi sistema di coordinate, foss'ache non osservato o incoscente, infatti qualsiasi sistema avendo un contenuto potrà, in caso, essere osservato.
La cosa che mi fa strano è che un punto di vista particolare, quello noumenico, debba fare da substrato per gli altri. E' vero che la mia posizione sembra quelle delle vacche di Shelling, ma la mia indistinzione tra noumeno e fenomeno si basa sulla comunanza del loro possedere un contenuto (o forma, cioè pure un inquadramento all'interno di un sistema); che poi il noumeno sia causa dei fenomeni (come se fosse un fenomeno più importante, una "forma" o contenuto primario) se ne può parlare (e sopra ho scritto cosa ne penso).

Sgiombo:
Secondo me del noumeno, se reale, si può dire ben poco e anche questo in maniera vaga trattandosi di enti e/o eventi non percepibili: si può dire che è in rapporto di corrispondenza con i fenomeni delle varie esperienze coscienti e dunque che come questi, “parallelemente” ad essi, per così dire, diviene e che come essi anche istantaneamente (in qualsiasi momento) presenta una certa “varietà” di elementi o costituenti.
Di più non si può dire.
In particolare non può avere alcuna “forma, poiché questa è una caratteristica dei fenomeni materiali (“res extensa”).
Come ho già ammesso (questo sì che l’ ho ammesso!) nel corso di questa discussione in alternativa alla corrispondenza con la realtà in sé o noumeno la relativa costanza e ordine nella successione dei fenomeni e l’ intersoggettività di quelli materiali nel loro ambito (verità indimostrabili ma ammissibili ipoteticamente e credibili fideisticamente) potrebbe spiegarsi anche senza ricorrere all’ ipotesi del noumeno bensì ipotizzando una sorta di leibniziana armonia prestabilita (che contro Leibniz credo si potrebbe anche ipotizzare indipendentemente dalla divinità sommamente buona e provvidente).
Non credo invece che possa spiegarsi in termini di “punti di vista” che sono caratteristiche o aspetti dei soli fenomeni materiali nell’ ambito di ciascuna esperienza cosciente e dunque non hanno senso fra diverse (e reciprocamente trascendenti) esperienze coscienti.
La comunanza nel fatto di possedere un (reciprocamente diverso) contenuto o forma non rende indistinte due cose diverse (perfino all’ interno della medesima esperienza cosciente: per esempio sia una sfera sia un cubo hanno una forma, ma ciò non li rende certo la stessa cosa; ma la differenza fra fenomeni e noumeno è ben più radicale)



Sgiombo:
Non ho “ammesso” bensì ho sempre affermato autonomamente, di mia iniziativa le enormi differenze (ontologiche) fra fenomeni e noumeno, ben diversa (tutt’ altra cosa) dalle differenze nel tempo e nello spazio fra enti ed eventi fenomenici. Ma tu continui a confonderle (e io non so più cosa fare per cercare di convincerti che sbagli: mi arrendo).

Aggressor
:
So che vorresti arrivare a questa grande differenza ontologica, ma effettivamente non mi pare che ci riesci. Dici solo che il tempo noumenico, il suo divenire, il suo essere è diverso da come lo cogliamo, ma tante cose, a seconda del punto di vista, sono diverse da come le cogliamo. Dici poi che i contenuti delle soggettività dipendono dal noumeno e questo è già un argomento.

Sgiombo:
A me invece sembrano argomenti che bastano e avanzano.
Il “divenire” del noumeno (se c’è) non può essere per definizione colto da alcun “punto di vista”, ché altrimenti non sarebbe noumeno ma fenomeno: solo cose fenomeniche materiali (nemmeno i fenomeni mentali) possono essere colte da punti di vista diversi e conseguentemente essere diverse).
Da quando in qua il fatto che qualcosa dipenda da qualcos’ altro fa sì che tali due cose si identifichino?
Per esempio il fatto di (vivere e conseguentemente) pensare dipende dal fatto di mangiare ma il pensare non si identifica col mangiare: si possono mangiare cose estremamente simili e pensare cose estremamente diverse e viceversa.



Sgiombo
:
ma che importanza ha tutto ciò se io muoio (che me ne frega che continui ad esistere qualcos’ altro di diverso da me)?

Aggressor:
Ciò che non capisco è il tuo principio di identità, dici che non te ne frega niente se esiste qualcos'altro diverso da te, allora potrai anche ucciderti adesso, visto che tra poco cambierai forma, seppure lievemente, diventando a tutti gli effetti diverso da te. Ma se credi che, anche cabiando aspetto, sarai ancora te stesso, mi devi dire perché un tavolo percepito da qualcn'altro non può essere lo stesso tavolo, o perché, invece, il tavolo che perepisco io, anche se cambia aspetto, può essere lo stesso tavolo.

In ogni caso stiamo discutendo di cose complesse, ma in tutta tranquillità!

Sgiombo:
In realtà degli altri me ne frega non poco (non mi frega niente per quanto riguarda il desiderio di non morire -relativamente a questa aspirazione- del fatto che il mio cadavere esisterà ancora e che anche dopo la sua putrefazione i suoi atomi esisteranno ancora diversamente organizzati, mentre io con la mia esperienza cosciente, non ci sarò comunque più).
Non so tu, ma io vedo una differenza enormissima (licenza pseudopoetica) fra il fatto che fra pochi secondi qualcosa in me sarà cambiato e il fatto che dopo la morte non ci sarò più (e se invece tu non vedi una grande differenza, allora potresti essere piuttosto tu a suicidarti: per te a quanto pare la morte cambierebbe ben poco o addirittura nulla, mentre per me sarebbe probabilmente il cambiamento più importante che mi dovrà capitare!).
Ho l’ impressione che a questo proposito tu faccia dei semplici giochi di parole (suicidarmi perché cambierò, magari in meglio?!?!?!).

Uno “stesso” (così impropriamente detto) tavolo nella mia esperienza cosciente è un fatto (fenomenico); se (non posso averne certezza, lo posso credere solo arbitrariamente, “per fede”) esistono altre esperienze coscienti, allora in esse è un altro fatto (fenomenico): parti di due diversi insiemi di “cose” o di eventi (come sono due esperienze fenomeniche) non possono essere la stessa cosa.
Che poi il tavolo in ciascuna esperienza cosciente cambi aspetto e sia ancora chiamato tavolo per comodità (altrimenti non si potrebbe ragionare di nulla, sapere di nulla, comunicare con altri di nulla, discutere di nulla) mi sembra tutt’ altra questione, del tutto irrilevante circa l’ identità o meno (meno! Meno!) fra lo “stesso” tavolo in due diverse esperienze coscienti.
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Vecchio 05-06-2013, 22.28.03   #98
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appunto se l'io è una parte dei fenomeni, e se l'io conosce tramite negatio, forse tramite il rasoio di occam potresti da subito capire che il monismo che tu ipotizzi puntualmente coincidente è la verità stessa dello svelamento del noumeno.

andiamo per gradi, l'io è la forma delle nostre percezioni storicamente determinate, ma la conoscenza è ciò che ordina quel fenomeno che è la nostra memoria.

la nostra conoscenza è sì in grado di formalizzare principi che escludono il terzo escluso(matematicamente), ma la nostra biologia, e l'evento non lo fanno.

questo puntuale applicazione del terzo escluso (indimostrabile) si ordina tramite il principio di inferenza come dice anche Hume.(non è stato il primo ma ne è l'esponente più famoso)

il punto principale dell'argomentazione è che questa inferenza avviene, e dunque è.

dal momento stesso che noi la usiamo essa esiste.

ma se esiste deve anche esistere una memoria che la raccolga, hume anticipò pesantemente la teoria darwiniana, poi verificata.

e cioè esiste anche una inferenza biologica, sono già due indizi radicali.

questa inferenza biologica per Peirce è portata all'infinito ciò che garantisce la veridicità del concetto di Dio. Cioè dell'Essere.

Aristotele ne aveva capito la portata semplicemente riflettendo sul movimento.

se qualcosa muove qualcosa, cosa è quel qualcosa che muove qualcosa per primo?

Aristotele pensava ad un motore immobile, Berti e i neoaristotelici pensano ad un motore "mobile".

E cioè "l'energheia"(il movimento) pura è inferenza di qualcosa.

la puntualità a cui ti riferisci è dunque contenuta essa stessa nel pensiero, poichè si muove esattamente come il noumeno (dal passato al presente) ne abbiamo tre prove radicali.

ma allora lo stesso movimento è il noumeno monista. (fine del dualismo)


per quanto riguarda husserl e heidegger, che sposano le tue stesse conclusioni (più o meno riletti), però il punto non sta tanto nel derimere il dualismo cartesiano (in cui in fin dei conti è difficile liberarsi) quanto in quale rapporto si situa il fenomeno e l'evento con l'io.

quello che mi chiedo è come mai non ti ponga filosoficamente questo quesito.
il rischio è che poi una volta esclusa la domanda ti ritrovi ad appoggiare sistemi scientisti.


Una nota a parte della discussione.Per Sgiombo.


lo scientismo per te, che pur meglio lo intendi, è proprio questo relegare la posizione dell'io in una soglia sconnessa con il fenomeno.

che poi esso cozzi contro la sua stessa pretesa, come spesso ricordi, di intendere il fenomeno a partire dal fenomeno, è solo una parte del problema (e in questo parte tu sei un attento critico, e per questo ti stimo) ma ciò non basta seondo me....ciò non toglie infatti che se l'io è confuso come un fenomeno orizzontale e deduttivo, allora qualsiasi potere politico pre-ordinato definirà i suoi parametri non in gloria di dio, della scienza o degli uomini ma solo dei potenti.

spesso litigo con i miei amici sul fatto che è meglio un buon medico arido ad uno più empatico ma scarso.

il fatto è, mi sembra, che si voglia mettere "contro" due istanze del pensiero inferente.

io non ce l'ho con la scienza ma con i suoi rappresentanti "politici".
(te lo dico perchè so che ce l'hai con gli "antiscientisti a tutti i costi",certo ho ben presente alcuni di essi....non fanno che oscurare ancor di più i reali problemi)

ora se il pensiero fenomenico è oggi ottimamente (nei geni) e discretamente bene (da tanti altri) inteso dal metodo scientifico, il pensiero della relazione tra io e fenomeno è invece drammaticamente indietro.

tanto che da gehelen a heidegger all'inizio del novecento molti facevano loro il monito di anders: l'uomo è antiquato.
antiquato rispetto alle scienze (e alla potenza del loro domandare, che vorrei ricordare è relegato a delle macchine).

perciò riformulo ancora a te la domanda che faccio a tutti.

dualisti, realisti o monisti che siate.

quale è la relazione tra l'io e gli infiniti eventi del noumeno???

se volete la domanda un pò più complicata è che relazione c'è tra il fenomeno io e i fenomeni tout court?

provocazione.
vogliamo veramente relegarli su due piano diversi come verità distinte come fanno i realisti?
eppure la realtà è una e una solo ed è quella che viviamo.


L’ “io” se c’è (oltre il fluire dei contenuti di coscienza) esiste anche allorché dormo senza sognare.
Dunque non è “una parte dei fenomeni" (che non esistono allorché esso esiste).

Né è “la forma delle nostre percezioni storicamente determinate”, o “ciò che ordina quel fenomeno che è la nostra memoria”

La questione del terzo escluso e della biologia purtroppo non l’ ho capita (va beh l’ esigenza di brevità, ma qui mi sembri decisamente ellittico).
In particolare non capisco cosa sia questa inferenza “biologica” (e inche cosa differisca dall’ inferenza in generale).

Anche su rapporti fra Hume e Darwin (due scrittori che trovo affascinantissimi; Hume per me personalmente è uno dei tre o quattro grandissimi, ma non vedo come possa ritenersi un precursore di Darwin) ti trovo decisamente ellittico e non ti capisco.

Pierce è un’ altra delle mie tante lacune filosofiche: purtroppo “la scienza è lunga e la vita è breve” (Galeno-?-).

Secondo me l’ energia è qualcosa che è sempre esistita (non creata da alcun dio) che da sempre e per sempre si trasforma (in altra energia e/o in massa, comunque materia) secondo proporzioni definite, universali e costanti.

Il “contenuto del pensiero” (ciò che è pensato) non si identifica con il pensarlo, né con “altri, diversi contenuti del pensiero” (in generale); dunque il noumeno non si identifica (in particolare) con il movimento (dei fenomeni materiali) solo per il fatto che entrambi possono essere pensati: lunga vita al dualismo!

Mi sembra di collocare i fenomeni su un piano ontologico diverso ma diveniente “parallelamente”, corrispondentemente rispetto all’ io (noumenico).

Appoggerei senza battere ciglio sistemi scientisti se li ritenessi veri (o almeno mi sforzerei di farlo; ma li ritengo tutti falsi; e irrazionalistici, o per lo meno non conseguentemente razionalistici).

Perché lo scientismo dovrebbero essere “proprio questo relegare la posizione dell'io in una soglia sconnessa con il fenomeno”?

E perché “se l'io è confuso come un fenomeno orizzontale e deduttivo, allora qualsiasi potere politico pre-ordinato definirà i suoi parametri non in gloria di dio, della scienza o degli uomini ma solo dei potenti”. Non capisco.

Cerco di essere un medico empatico e per quanto possibile ferrato, ma anch’ io in un medico (e non solo) preferirei la preparazione all’ empatia, se dovessi per forza scegliere (solo in una donna “mia”, forse, preferirei l’ empatia).

Si, ce l’ ho, oltre che con gli scientisti, anche con gli antiscientisti “a tutti i costi” (irrazionalistici pure loro).

Se intendi dire (non sono sicuro di comprenderti bene) che c’ è troppo sapere scientifico acriticamente accettato (e solo in quanto tale eccessivo) e troppo poco sapere critico-filosofico, sono proprio d’ accordo.

Risegnalo la mia ignoranza di Heidegger e di Gehelen. Anders l’ ho letto (l’ uomo è antiquato e altri due scritti minori) con entusiasmo e soddisfazione.

Risposta (già ricavabile da qui sopra) alle domande finali:

Per me fenomeni e noumeno sono su due paini distinti, separati, trascendenti; e l’ io (soggetto di esperienza fenomenica cosciente; e possibile oggetto nell’ ambito di altre coscienze fenomeniche coscienti -come cervello- e della propria -come pensiero-) fa parte del noumeno. La relazione fra noumeno e fenomeni è di corrispondenza “puntuale ed univoca”.

L’ unica realtà di cui c’è certezza è quella che viviamo, la nostra esperienza fenomenica; questo non ci impedisce di credere all’ esistenza di altre esperienze fenomeniche e di una realtà in sé (ma dovremmo essere consapevoli dell’ infondatezza o ”arbitrio fideistico” di queste credenze; almeno se vogliamo essere -come io personalmente voglio essere- razionalisti conseguenti); le quali però non possono non essere su piani ontologici diversi (correlati da una corrispondenza fra i rispettivi divenire -o dovrei dire “diveniri”?-).

Ti ringrazio e ricambio per la stima che hai espresso nei miei confronti.
sgiombo is offline  
Vecchio 06-06-2013, 10.30.12   #99
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Sgiombo:
Ho l’ impressione che a questo proposito tu faccia dei semplici giochi di parole (suicidarmi perché cambierò, magari in meglio?!?!?!).

Uno “stesso” (così impropriamente detto) tavolo nella mia esperienza cosciente è un fatto (fenomenico); se (non posso averne certezza, lo posso credere solo arbitrariamente, “per fede”) esistono altre esperienze coscienti, allora in esse è un altro fatto (fenomenico): parti di due diversi insiemi di “cose” o di eventi (come sono due esperienze fenomeniche) non possono essere la stessa cosa.
Che poi il tavolo in ciascuna esperienza cosciente cambi aspetto e sia ancora chiamato tavolo per comodità (altrimenti non si potrebbe ragionare di nulla, sapere di nulla, comunicare con altri di nulla, discutere di nulla) mi sembra tutt’ altra questione, del tutto irrilevante circa l’ identità o meno (meno! Meno!) fra lo “stesso” tavolo in due diverse esperienze coscienti.


Macché giochi di parole! Ci mancherebbe! Io dico sul serio e tu infatti non hai risposto alla mia domanda, non mi hai detto su cosa basi il tuo principio di identità (ed è la seconda volta che te lo chiedo). Se dici che il chiamare un oggetto con lo stesso nome per somiglianza non ha rilevanza per una cosa del genere, allora mi pare che non identifichi un oggetto con ciò che gli somiglia. Forse credi che esistano degli istanti temporali in cui la materia è disposta in un certo modo (il noumeno) e che, cambiando aspetto, ogni parte dell'universo non è mai ciò che era l'istante prima? Magari poi ammettendo che però tu rimani te stesso in virtù della coscienza o di qualcosa di animoso.


Dici sempre che il noumeno non ha una forma, ma se questa parola designa il possesso di una modalità di essere (come ho sempre specificato) non puoi negargliela. Infatti tu stesso dici che il noumeno "diviene", ma se non fosse in alcun modo, non potrebbe nemmeno modificarsi. Ancora se non fosse in alcun modo non potrebbe derivare puntualmente ciò che traiamo da esso, e nemmeno potrebbe esistere una struttura ordinata che permetta il mio "sentire", ovvero ciò che creerebbe i fenomeni.


Nemmeno ti sei preoccupato di commentare un'altro punto centrale della mia questione, il fatto che chiami il noumeno "casa in sé". Se ogni ente noumenico ha un modo di essere (sei stato tu stesso a dire che non ammetti la sua indeterminatezza intrinseca -con questo intendo una indistinzione interna, nessun contenuto-, ammetterai, immagino, una sua indeterminatezza rispetto alle nostre facoltà) allora deve trarre la sua apecificità in relazione a quella di un'altro (non potrà dunque essere alcunché di sensato nell'assoluta solitudine, nell'autoreferenzialità, nell'in-sé). Quale senso avrebbe dire che una cosa è particolare se non ci fosse niente di diverso a fondare questa specificità? Dopotutto è un discorso che si capisce bene se non ha senso dire, per esempio, che sono alto, al di fuori di un metro di paragone (questi sistemi di paragone li chiamo pure contesti). Potrai pure dire, quando ne hai voglia, che non si può parlare del noumeno e così chiudere il discorso, ma poi, quando ti fa comodono ne parli, dicendo che non è una sorta di Uno plotiniano, ad esempio (hai ammesso che è diversificato al suo interno), e che diviene; ma allora permettimi di discorrere sulle cose che derivano da queste caratteristiche che gli additi, altrimenti mi pare che non ci sia onestà intellettuale.



Per quanto riguarda la domanda di green&grey pocket, mi piacerebbe che fosse espressa in modo più specifico, non riesco bene a delimitarne l'ambito. In ogni caso posso dire che l'Io è un fenomeno osservato in prima persona e che pertanto esso instaura con gli altri fenomeni il tipo di relazione proprio di questi oggetti in generale. Esso modifica e contestualizza in continuazione l'ambiente in cui è inserito (insieme di fenomeni), ricevendo e donando contenuto alle cose esistenti. L'Io, poi, non sarebbe delimitato dal resto del cose in senso assoluto ma solo per approssimazione, stessa cosa che accade relativamente agli oggetti di studio di tutte le scienze, percui esso sconfina nel resto degli enti e può essere identificato con il complesso di quelli. In realtà se avessi una idea più precisa circa ciò che è minimale (possibile mattone del reale), sui quanti, potrei riflettere meglio sulla parzialità delle cose, sul loro limite, ma non sono così in grado adesso.
Il continuo relazionarsi dei fenomeni, il reciproco determinarsi, giustificherebbe la somiglianza dei loro contenuti, la possibilità di un confronto tra essi. Non si tratta di finestre chiuse alla Leibniz, la materia e la coscienza sarebbero l'emergere dei rapporti. Se vuoi chiederti da dove escono fuori questi elementi che istaurano una relazione io ti rispondo che questi elementi in relazione non sono che sintesi di altri rapporti (altre relazioni). Come quando due uomini parlano, perché questi manifestano all'altro (realizzando il dialogo, cioè un relazionarsi) ciò che il loro Io ha tratto dall'esterno per il tramite del rapporto tra la sua forma e quella esterna. Che poi l'Io stesso fosse già il risultato di un rapporto, come pure l'elemento esterno, è proprio ciò che, seppur strano, mi pare di riscontrare in natura.
Su questa apparente caduta all'infinito stò riflettendo, per questo un discorso sui quanti, penso, possa aiutarmi.



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Vecchio 06-06-2013, 11.52.26   #100
jeangene
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ma che importanza ha tutto ciò se io muoio (che me ne frega che continui ad esistere qualcos’ altro di diverso da me)?

Aggressor:
Ciò che non capisco è il tuo principio di identità, dici che non te ne frega niente se esiste qualcos'altro diverso da te, allora potrai anche ucciderti adesso, visto che tra poco cambierai forma, seppure lievemente, diventando a tutti gli effetti diverso da te. Ma se credi che, anche cabiando aspetto, sarai ancora te stesso, mi devi dire perché un tavolo percepito da qualcn'altro non può essere lo stesso tavolo, o perché, invece, il tavolo che perepisco io, anche se cambia aspetto, può essere lo stesso tavolo.

In ogni caso stiamo discutendo di cose complesse, ma in tutta tranquillità!

Sgiombo:
In realtà degli altri me ne frega non poco (non mi frega niente per quanto riguarda il desiderio di non morire -relativamente a questa aspirazione- del fatto che il mio cadavere esisterà ancora e che anche dopo la sua putrefazione i suoi atomi esisteranno ancora diversamente organizzati, mentre io con la mia esperienza cosciente, non ci sarò comunque più).
Non so tu, ma io vedo una differenza enormissima (licenza pseudopoetica) fra il fatto che fra pochi secondi qualcosa in me sarà cambiato e il fatto che dopo la morte non ci sarò più (e se invece tu non vedi una grande differenza, allora potresti essere piuttosto tu a suicidarti: per te a quanto pare la morte cambierebbe ben poco o addirittura nulla, mentre per me sarebbe probabilmente il cambiamento più importante che mi dovrà capitare!).
Ho l’ impressione che a questo proposito tu faccia dei semplici giochi di parole (suicidarmi perché cambierò, magari in meglio?!?!?!).

Io penso che al momento della mia morte questa mia specifica "forma", questo pensare, questo ricordare esperienze di cui ho momoria alle quali solitamente associamo la nostra identità si dissolverà.
Resta comunque la possibilità che io "nasca" nuovamente in una nuova "forma" (anche completamente differente) con nuove esperienze sia "fisiche" che "mentali" che possono essere completamente diverse da quelle che esperisco ora.
Quello che voglio dire è che resta comunque la possibilità di "rinascere" come IO avente esperienza.
jeangene is offline  

 



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