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26-06-2013, 20.57.13 | #173 | |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
A questo punto mi chiedo però se la mia interpretazione della questione non sia eccessivamente arbitraria, riduttiva e ingenua. David strauss e paul11 possono illuminarmi in tal senso? |
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26-06-2013, 21.50.21 | #174 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
E' veramente un argomento difficle da argomentare, ma proverò a fare un esercizio sulla tua domanda iniziale della discussione Citazione:
Seguo le tue proposizioni. Se non sei esperienza significa che non sei nella realtà ontologica del divenire e neppure c'è un atto conoscitivo, ma è implicito che esisti per il fatto che ti poni la domanda. Ti porrei in una ontologia severiniana fatta di eterni. Non sei soggetto ad esperienza non ti poni attivamente nella realtà ontologico , ma è il mondo che di riflesso e relazionando riflette una esperienza. Ergo è il mondo che parla di te.perchè quì c'è una espeirenza seppure riflessa del mondo E' la tua storia, i tuoi conoscenti che narrano di te: infatti il tuo IO è narrazione. Nella successiva proposizione dal punto di vista logico c'è una contraddizione in termini; premetti che l'esperienza=realtà esterna, ma affermi anche che NON sei esperienza perchè sei quell'esperienza? Diciamo allora che è una affermazione esistenziale e/o ermeneutica in quanto c'è un disagio "in quell' orizzonte fra il tuo Io e il mondo esterno". Ma prosegui affermando che il tuo proceso epistemologico del conoscere la fisicità del tuo corpo e l'astrazione del tuoi pensieri non corrisponde all'identificazione con il tuo IO (hai problemi psichiatrici? sto ovviamente scherzando). Potrebbe significare che i tre domini sono slegati. Il tuo Io fenomenologico non ha riscontri con le relazioni della realtà ontologica attraverso l'atto dle conoscere che è epsitemico.Ma senza altre affermazioni ancora l'interpretazione è un Io esistenziale. Finisci rafforzando le affermazioni, perchè ti percepisci , ma non ti identifichi. Quindi è chiaro il problema dell'identità del tuo IO all'interno delle relazioni dei domini. Esisti e percepisci, ma l'atto epistemologico non lega i domini fra il tuo IO e l'ontolgia della realtà. Ma potrebbe anche essere che tu interpreti la realtà come fuori di te come oggettivazione contro il tuo soggettivismo dell'IO. La soluzione potrebbe essere far combaciare i due piani della realtà ontologica "dentro e fuori di te" cercando l'atto epistemologico del conoscere perl poterli relazionare. Fine dell'esercizio puramente interpretativo del sottoscritto. |
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27-06-2013, 00.37.00 | #175 | ||
Ospite
Data registrazione: 20-05-2013
Messaggi: 19
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Citazione:
Vedo che inizi ad entrare in argomento. Tuttavia, non ho detto che l'io sia esso stesso un sistema autoreferenziale, ma ho ipotizzato soltanto che potesse esserne parte, che non è la stessa cosa. Se invece avessi ipotizzato che l'io stesso fosse un sistema autoreferenziale, allora, come ha giustamente notato paul11, tutto il mio ragionamento sarebbe caduto in una sorta di solipsismo psicologico. Quello che voglio dire invece, è che se l'io fosse parte di un sistema autoreferenziale, allora il suo riflesso (quando penso, quando parlo, quando agisco...) avrebbe un fondamento ontologico (cioè sia realmente esistente), perchè questo riflesso coinciderebbe con tale sistema, e ciò sarebbe automaticamente la prova ontologica dell'esistenza dell'io stesso. Prendiamo ad esempio il fondamento del razionalismo moderno, cogito ergo sum. Ok. Però, vorrei chiedere al signor Cartesio, lo dici tu che pensi (e quindi esisti), ma come faccio io a saperlo? Per quanto mi riguarda sono io a pensarti, e quindi sono io a esistere. Il riflesso del mio io nell'atto di pensarti (questa benedetta esperienza che m'investe) è esso stesso la prova ontologica (della esistenza reale) del mio io. Spero di essere stato chiaro. Ciao Citazione:
Ciao maral, la tua interpretazione della questione è stata assolutamente perfetta, per nulla arbitraria, ma hai colto perfettamente il nocciolo della questione. Ripeto che la mia è solo un'ipotesi, ci sto ancora lavorando, ma se ipotizziamo che l'io sia appartente a un sistema autoreferenziale, il suo riflesso coinciderebbe con tale sistema proprio in virtù della sua stessa autoreferenzialità, perchè si riferirebbe continuamente a se stesso, cioè all'io stesso. Questo riferimento continuo a se stesso, dovrebbe essere la prova della sua esistenza. Per me non sarebbe come riflettersi in uno specchio, ma sarebbe come entrarci in uno specchio. (Ma questo per provare a dare una risposta alla domanda originaria di jeangene). Grazie per il consiglio, sono proprio curioso di saperne di più sul lavoro di Maturana e Varela. Ciao |
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27-06-2013, 10.39.41 | #176 | |||
Moderatore
Data registrazione: 30-08-2012
Messaggi: 335
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Non mi sembra.. Io ho affermato: "IO non sono esperienza." + "La 'realtà esterna' è esperienza." = "IO non sono la 'realtà esterna'." Citazione:
Molto semplicemente il punto su cui vorrei concentrare l' attentenzione è il seguente: Io esperisco, io penso, io voglio, io agisco. Il comune denominatore è sempre lo stesso e sono sempre io. La mia domanda è: Posso identificarmi? Posso identificare l' IO? Citazione:
Forse la risposta a questa domanda è semplicemente: NO. Metti pure che riesca a legare i domini fra il mio IO e l'ontolgia della realtà e che riesca a far combaciare i due piani della realtà ontologica "dentro e fuori di me", al termine di questo processo riuscirei a identificare l' IO? Ultima modifica di jeangene : 27-06-2013 alle ore 13.39.02. |
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27-06-2013, 11.25.11 | #177 | |||
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
"Cantami o diva l'ira del Pelide Achille"? Omero non dice "Mo' mi metto a cantarvi l'ira del Pelide Achille che ne ho voglia", ma invita la Musa (la divinità, e i Greci avevano molto chiaro questo concetto ispirativo apollineo o dionisiaco, inteso come possessione) a utilizzare lui, l'Aedo, per cantare. Se non fosse stato per quella possessione la volontà di Omero di cantare per sua fama sarebbe stata ridicola e insulsa, per quanto bravo lui potesse essere. Ricordi quanto diceva Michelangelo in merito al sentire e liberare con il suo scolpire le forme già presenti nel blocco di marmo che attendono solo di poter apparire? Certo, ai nostri occhi cinici magari tutto questo appare una specie di delirio fantasioso, o una finzione prodotta ad arte per meglio suggestionare, gli artisti sono imbroglioni e oltre alla loro capacità tecnica non c'è niente, al contrario di quanto sosteneva Platone (tutta l'abilità a mettere insieme dei versi non farà mai un poeta, men che meno la voglia di primeggiare per questa tecnica), eppure mi chiedo, se l'artista si mette all'opera solo per la soddisfazione di vedere un giorno il suo nome nel catalogo di un museo, ma perché diavolo un Van Gogh continuò per tutta la vita e fino al suicidio a dipingere quadri sistematicamente rifiutati dai galleristi riuscendo a venderne a prezzo stracciato solo uno? Non avrebbe dovuto piantarla lì, accettando l'esito ripetuto di quel tenta e verifica che ribadiva sistematicamente lil suo fallimento autorealizzativo come pittore? O magari aveva doti precognitive e già prevedeva quando dopo essere morto in miseria e folle sarebbe stato idolatrato come pittore e l'ultimo dei suoi quadri sarebbe stato conteso al suono di un bel mucchio di milioni? Sai che soddisfazione per l'ego defunto! Comunque resta la domanda, che non vale solo per gli artisti: Hai mai fatto qualcosa impegnandoti per veder realizzata quella cosa (per la sua bellezza, la sua funzionalità intrinseca), senza soppesare vantaggi e svantaggi per te o per altri? O ancora amato qualcuno senza pensare ai benefici e alle pene che ne ricavavi tu o questo qualcuno? Se sì allora puoi capire con il riferimento esperenziale che cerchi perché l'egoismo da solo non basta a spiegare il mondo molto meglio che attraverso le mie parole. Citazione:
Citazione:
Magari se poi chi facesse politica lo facesse per l'esigenza essenziale della gestione delle dinamiche della vita in comune della polis secondo un equilibrio armonico, qualcosa di meglio si produrrebbe, chissà. Dopotutto costruire una comunità ben funzionante non è molto diverso dal produrre un'opera d'arte. Cos'è l'Essere? Il tratto comune di tutto ciò che è proprio per come è: io, te, i quadri di Van Gogh, un martello, un tavolo... Fare qualcosa per l'essere di un singolo essente significa dunque fare qualcosa per l'universo intero, compresi i nostri ego che in qualche modo sono, ma senza volerlo fare per loro, senza volontà, solo per ontologica necessità, ossia per pura ed essenziale passione che di per sé non computa cosa conviene e cosa no, ma tutt'al più subordina questo computo alla passione valutandolo come mezzo per ciò che si fa e non come fine. |
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27-06-2013, 12.07.56 | #178 | |||||
Moderatore
Data registrazione: 30-08-2012
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Citazione:
Certo, il discorso è più che logico, ma se noi provassimo ad allargare l' orizzonte della nostra visione andando oltre l' opera e il suo autore forse riusciremmo a scorgere qualcosa che li unisce. Proviamo a chiederci: Perchè quel autore ha voluto quell' opera? Che l' abbia voluta è scontato, ma il perchè non lo è. Forse indagando il perchè riusciremo a scorgere questo qualcosa che unisce l' opera e il suo autore. Noi non siamo liberi di volere, la nostra volontà non è libera, noi vogliamo, ma cosa ha determinato cosa vogliamo? Citazione:
Certo, è importante stabilire delle priorità per affrontare insieme la situazione del momento e organizzarsi per raggiungere degli obbiettivi comuni. Per quanto riguarda l' etica e la morale l' unica cosa che per me ha senso è il rispetto delle individualità, rispettando e sentendo fino in fondo questa Regola si vive nel giusto ed ogni individualità ha la possibilità di realizzarsi. Citazione:
In questo forum ci sono molte persone più preparate di me che ti possono fornire una idea di Essere. Citazione:
Questo passaggio mi rimane ancora oscuro, ma questo è sicuramente dovuto a miei limiti e alla mia formazione. Rileggendolo più volte forse riuscirò a capire il concetto. Citazione:
Non ho mai messo in dubbio la tua chiarezza, la mia capacità di comprensione invece sì. Ciao |
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27-06-2013, 14.06.49 | #179 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Vediamo un pò: Originalmente inviato da jeangene L' io è intangibile? Se io affermo di avere esperienza e affermo anche che io non sono questa esperienza che mi investe allora chi/cosa sono? Sono ciò di cui non posso avere esperienza in quanto soggetto a cui l' esperienza è rivolta? Se io non sono la mia esperienza allora evidentemente non sono la realtà a me esterna (perchè ne ho esperienza), non sono il mio corpo (perchè ne ho esperienza), non sono i miei pensieri (perchè ne ho esperienza). Io mi percepisco nel riflesso della mia azione: quando penso, quando parlo, quando agisco.. ma io non sono quel pensiero, non sono quelle parole, non sono quella azione. Io non riesco ad identificarmi con nulla, continuo a sfuggire ad ogni sorta di identificazione. Chi/cosa sono? E' possibile rispondere a questa domanda? Questa è la tua domanda iniziale della discussione? ...Se io non sono la mia esperienza allora evidentemente non sono la realtà a me esterna (perchè ne ho esperienza), Apri con una condizione, SE, di premessa e chiudi con una deduzione conclusiva ALLORA. Se neghi che il soggetto IO non sia esperienza e deduci che questo IO non sia allora realtà , si deduce che l'esperienza = realtà e l'Io non essendo esperienza allora non è realtà. Per cui continuo ad affermare ciò che ho scritto . Devi deciderti dove sta il tuo IO prima di procedere al "suo" relazionarsi con i domini. In quale ontologia sei? Ho infatti eseguito un esercizio dove il tuo I0 può essere interpretato : 1) metafisica e ontologia "antica" 2) fenomenologia 3) narrazione alla Ricoeur 4) esistenzialismo ma potrei aggiungerci le neuroscienze e il cognitivismo e il riduzionismo materialistico . la dimostrazione è che in questa discussione si dice di tutto e di più ...senza via di uscita. Devi prima meglio definire quell'IO, perchè potrei aggiungerci la psicanalisi di Freud. In altri termini se non sono chiare le premesse della discussione le conclusioni non possono essere che infinite. Metti pure che riesca a legare i domini fra il mio IO e l'ontolgia della realtà e che riesca a far combaciare i due piani della realtà ontologica "dentro e fuori di me", al termine di questo processo riuscire a identificare l' IO? Sì, perchè la realtà(ontologia) saresti tu(fenomenologia) . Ma ciò che regge l'impianto è la relazione epistemologica, cioè la conoscenza. Noi siamo realtà quando coscienza e conoscenza coincidono, siamo perfettamente armonici nel dentro di me e fuori di me e mi identifico in questa armonia dei domini, ne ho piena coscienza. Se proviamo a riflettere noi i domini della realtà e dell'IO non possiamo dominarli , perchè non ne siamo artefici . Noi possiamo intervenire sul piano della conoscenza e la storia dell'umanità è un continuo tentativo non tanto di trasformare la realtà o il suo "destino" quanto di com-prenderlo e conoscerlo. Ma quando la realtà ci sfugge perchè la conoscenza dell'epistemologia riporta la dis-armonia del "riflesso", il rapporto fra realtà e Io, l'Io entra in crisi . Noi andiamo in crisi quando eventi della vita ,sia fisici che "sentimentali" non riusciamo a capirli a comprenderli fino in fondo. Non perchè ci sono avversi, non ci sono utili, ma perchè non ne capiamo il senso e i significati. Se sappiamo conoscere , sappiamo persino accettare l'avversità. La nostra vita è un continuo susseguirsi di momenti in cui tentiamo di collegare la realtà alla conoscenza da parte dell'Io e tanto più ne siamo lontani e tanto più questo IO entra in crisi , o viceversa. Ma il problema potrebbe anche essere... il linguaggio della logica è attinente o il solo per trovare una soluzione all'IO? |
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27-06-2013, 20.50.43 | #180 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Quindi se intraprendo qualcosa lo faccio perché, in qualche modo, so che mi dà e mi darà soddisfazione…magari nel perseguimento della mia autorealizzazione…che, comunque, costituisce un valore per me e per coloro con cui entro in relazione. E infatti, il mio perseguire, per mia soddisfazione egotica una mia esigenza, un mio progetto, può portare anche vantaggi e benefici per altri… anche benefici enormi…come in effetti è accaduto nel continuo evolvere della civiltà promossa dai più o meno grandi uomini del passato…pur intenti a soddisfare le loro personali esigenze. Può anche essere che il perseguire la mia soddisfazione sia, nel contempo, di danno per altri, ma reclamo egualmente il diritto di farlo:…se sono sportivo, infatti, e mi mantengo in ambito cavalleresco…comunque nell’ambito della morale e delle leggi vigenti: altri poteva e potrebbe fare la stessa cosa, per sua soddisfazione e vantaggio nei miei confronti, con pieno diritto. Se non lo fa è per scarsa sua capacità o mancanza di iniziativa e di intraprendenza. Magari nel mio intellettualismo invento qualcosa e mi affretto a brevettarlo impedendo che altri lo faccia prima di me e potrò io sfruttare il mio trovato… brevetto: è un diritto etico e non mi pare vi sia alcunchè di brutale, meschino ed ossessivamente avido in questo. Anzi è proprio il mio desiderio “pur sempre egoistico” di realizzare un mio vantaggio, che mi spinge a studiare, inventare, realizzare...incrementando la conoscenza ed un miglior vivere economico ed affettivo per me e per la mia cerchia parentale o amicale…al limite una miglior vita economica, culturale o spirituale per la comunità…la società…l’umanità intera. C’è forse qualcosa di spregevole e meschino in questo? Credo sia vero, in effetti, che, col darmi da fare per la mia autorealizzazione, contribuisco all’incremento di “valore” per la comunità di cui faccio parte…più estesamente, al limite, per l’umanità. Se, al contrario, deviando dal naturale egoismo…cedessi ad un perverso impulso di altruismo e donassi ai diseredati i proventi del brevetto, farei un’opera santa, ma assolutamente sterile: invece di impiantare e sviluppare una impresa per il lavoro di molti con ulteriori progressi, disperderei al vento i saperi e le ricchezze mie ed insieme quelle della società in cui vivo. Ovvio che qulcosa si puo' sempre dare...magari per sfuggire alle tasse! Del resto, per semplice esempio, perché si tenderebbe a frequentare la scuola anche oltre il livello dell’obbligo? E’, in prevalenza, per puro amore della cultura che si tende ad acquisire un diploma o una laurea…o non è forse per l’egoistico desiderio di avere una marcia in più nella futura vita sociale e di lavoro?...magari togliendo lavoro a chi ha meno studiato? (...Del resto è etico che chi lavora sia il più possibile efficace!) Credo prevalga la seconda ipotesi che ho detto! Infatti, non appena la crisi economica ha evidenziato che il possedere una laurea non dava migliore accesso lavorativo, le iscrizioni universitarie sono drasticamente cadute. Per gran parte, chi ancora resiste è perchè aspira al vantaggio di trovare lavoro all’estero…ove porterà il valore che qui, anche a nostre spese, ha acquisito. Confermo ancora che una eclatante vita sociale e civile (per sè e per tutti) non la si costruisce senza la incentivazione della esigenza atavica, insita nel nostro DNA, di ciascuno e di tutti insieme, di tendere sempre a portare l’acqua al proprio mulino, tanto meglio se in una ampia visione strategica a lungo termine. Anche il cosiddetto altruismo è spesso strategico per il proprio vantaggio: vendansi la ONG…che pure hanno, in genere, una loro utilità..a volte anche eclatante. Del resto, è per impulso egoistico che si è affermata la vita fin da primordi lasciando il codice di una tale prevalente pulsione nel DNA del vivente. In un suo famoso discorso, il presedente Kennedy dovette evidenziare che tutti preferiscono chiedere e chiedersi cosa lo stato possa fare per noi…piuttosto che chiedersi: cosa posso fare io, con mio vantaggio, per lo stato!..la qual cosa evidenzierebbe un più strategico egoismo etico. Infatti, che i più facciano il necessario per lo stato è problematico da ottenere…e tanto più in un periodo di crisi come l’attuale ove tutto sembra inutile. Occorre creare le condizioni culturali, se non costrittive e fiscali, che vincano l’intimo gretto egoismo evidenziando i possibili vantaggi conseguenti, ad esempio, al sopperire alle esigenze del fisco. Ne consegue che il vero egoismo da cui ottenere vantaggio si manifesta nello spendersi per la società…non nel sottrarsene. E’ qui che può esercitarsi l’abilità dei leader: rendere evidente la strategia che il vero egoista deve perseguire, in primis, per il vantaggio proprio…ma derivante dal rendere efficace e ricca la società cui si appartiene. Quindi se da un lato “un moderato e civile egoismo” è un valore che, riconoscendone i vantaggi, spinge gli uomini all’impegno ed alla intraprendenza …dall’altro è senz’altro un disvalore quando costituisce avida ossessione corruttiva o quando, mal perseguito e privo di strategie, cedendo allo sconforto, spinge alla rinuncia ed al rifiuto del partecipare…comunque a non intraprendere. Per fare un banale esempio, credo che Steve Jobs non avrebbe sollecitato e sfruttato le sue capacità e posto il suo impegno nel rendere grande Apple, se non avesse avuta la visione di fare cosa grandemente utile…innanzi tutto per sè…e, nel contempo, come sottoprodotto, utile per Apple e per il mondo intero…che non gli ha lesinato ricompense. All’origine c’era comunque la volontà in Steve Jobs (che non credo tanto altruistica e pervasa d’amore) di agire per sé… e, solo in un secondo tempo, per gli altri…ai quali, forse per altruismo, ha insegnato poi ad essere sempre più egoisti: siate folli…nell’intrapresa…diceva! Più in generale, nessuno, in campo economico e mercatistisco, avvia una qualunque impresa se non intravede speranza di guadagno….o di maggior guadagno: ecco quindi che occorre creare prospettive vantaggiose (costruire la strada) che la naturale tendenza egoistica possa perseguire. Se non esiste pulsione egoistica le prospettive, vantaggiose o meno che siano, vanno a ramengo. Infine la cosa sembra complessa, ma l’egoismo che pongo a base dei nostri comportamenti, in genere, non è l’egoismo animalesco, personale ed avido degli antichi umani ancora non temperati dalle organizzazioni sociali, ma quello moderato dalla evoluzione culturale come pulsione essenziale per lo sviluppo economico, sociale e civile delle moderne società. |
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