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04-05-2013, 07.08.33 | #22 |
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Domande importanti quelle poste in questo 3d.
Ci sono domande utili ad erigere visioni concettuali altre, volte a trovare il fondamento sul quale si erigono tali visioni. e quando cerchi il fondamento tu sei l’esperimento e scavi attraverso il sentire nella tua esperienza di te, nessuno può dirti dal di fuori chi e quante coscienze tu sia o tu viva, nessuno a fornirti una mappa d’indagine attraverso la quale trovare l’identità che sospetti o cerchi, perché seppure “identità” sia un termine rintracciabile sul vocabolario nessuna spiegazione contenuta in quello aderirà all’immagine personale di ciò che sospetti o stai cercando, eppure senza nome sembra siamo incapaci di avere coscienza di ciò che sperimentiamo, tutto sembra riconoscibile solo per similitudine e congruenza. Siamo spacciati. Chi siamo dunque se le parole che useremo per prendere coscienza traviseranno nell’intimo la nostra esperienza irripetibile? Il dio cristiano se l’è cavata argutamente.. “io sono colui che è”.. ed ha riposto il vocabolario. i più ossuti maestri zen colmano tazze di tè sino a rovesciarne fuori il contenuto o armeggiano coi duri bastoni su crani ermetici.. Gesù gioca d’anticipo.. “chi credete che io sia?”.. E nessuno saprà mai cosa bisbigliò all’orecchio di Tommaso.. Bisogna scegliere: ci poniamo “La” domanda o edifichiamo filosofia. La filosofia è utile, dicono, talvolta. Le domande non hanno utili e la transazione è segreta. |
05-05-2013, 19.29.28 | #23 | ||
Moderatore
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Citazione:
Grazie a te! Concordo con te, questa visione dove esperiente ed esperienza non sono altro che due faccie della stessa medaglia è a mio parere la più logica e convincente. Citazione:
Mi sono perso.. Quale sarebbe “La” domanda? "Chi sono?" forse? Vuoi forse dire che nel momento in cui mi pongo questa domanda sono costretto ad abbandonare il sentiero della filosofia? |
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06-05-2013, 07.15.27 | #24 | |
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Data registrazione: 02-02-2003
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
Anch'io.. La domanda è quella del 3d.. "l'intangibilità dell'io".. Voglio dire.. che ci sono domande utili all'immaginazione ed altre utili a entrare dentro il nostro percepire.. tutto qui.. |
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12-05-2013, 13.55.51 | #25 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Sgiombo
Questa ipotesi metafisica (che si può chiamare “monismo del noumeno, dualismo dei fenomeni”) mi sembra perfettamente in accordo con quanto acquisito dalle moderne neuroscienze. Mi trovo in perfetto accordo su questo, infatti ho già scritto più volte che le neuroscienze sembrano seguire questo tipo di interpretazione dei dati ottenuti. Ma vorrei farti una domanda per essere più preciso: credi che solo un cervello sviluppato pervenga alla coscienza e che lì si attivi il dualismo epistemico o ti pare che la coscienza sia cosa intrinseca alla materia in generale? (Mi pare che la tua posizione sia la seconda, ma vorrei sfuggire ad equivoci). Mi interessa perché vedo che altri del forum tipo jeangene sembrano convenire in questo. Mi piacerebbe poter fare di questo argomento la tesi di laurea, forse aprirò un trea apposito per puntualizzare certe cose. |
14-05-2013, 17.18.57 | #26 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Citazione:
A questa domanda, che anch’ io mi sono posto, non so rispondere e non credo si possa rispondere con certezza. Peraltro anche la credenza nella realtà delle altre coscienze umane, oltre alla “propria” direttamente esperita e vissuta, è un atto di fede indimostrabile: in teoria potremmo essere vittime di un dio malvagio o magari anche solo burlone che ci fa credere che anche a ciascuno degli altri uomini che compaiono nella nostra coscienza fenomenica ne corrisponda una, mentre potrebbero benissimo essere solo delle specie di zombi; oppure -sempre in linea puramente teorica, di principio, e senza tirare in ballo alcun ente extranaturale- non si può dimostrare con certezza assoluta che i loro -apparenti- discorsi circa le rispettive coscienze fenomeniche non siano che mere coincidenze fortuite (come talora ci si imbatte in rocce naturali o in conchiglie, gusci di molluschi o altri fossili, ecc. che sembrerebbero sculture intenzionalmente realizzate da un soggetto cosciente ma non lo sono). Credo sia “ragionevole” ritenere e di fatto ritengo (senza alcuna prova assolutamente certa di ciò) che agli altri uomini oltre un “certo grado” di sviluppo ontologico e anche agli altri animali dal comportamento “sufficientemente complesso” in cui ci si imbatte nell’ ambito delle propria esperienza cosciente corrispondano altrettante diverse esperienze fenomeniche coscienti (variamente “ricche di contenuti” e “sofisticate” a seconda dei casi; comprendenti l’ autocoscienza quasi certamente solo nel caso degli uomini). Ma che significano “un certo grado di sviluppo” e “sufficientemente complesso”? Non lo saprei dire. Inoltre “qualcosa” di fenomenico-cosciente molto più elementare, “primitivo” o meglio “rudimentale” potrebbe forse corrispondere a qualsiasi altro insieme di sensazioni fenomeniche nell’ ambito della proprio coscienza (ma, oltre all’ incertezza sull’ ipotesi che ciò accada, mi è molto vago ed oscuro anche quel che si potrebbe intendere per “qualcosa di fenomenico-cosciente molto più elementare, primitivo rudimentale”. Non mi sembra però che generalmente i neuroscienziati seguano l’ interpretazione da me proposta delle loro scoperte (anche se credo queste scoperte siano da essa egregiamente spiegate). Mi sembra che i neuroscienziati cadano per lo più nel monismo materialistico, identificando, secondo me a torto, la coscienza e il pensiero con la materia crerebrale o con qualche suo aspetto funzionale (fisiologico, oppure più astrattamente algoritmico), mentre secondo me si tratta di due generi di (insiemi di) entità (o di eventi) fra loro ben diversi, sebbene entrambi fenomenici (esse est percipi!), fra loro soltanto “puntualmente ed univocamente corrispondenti”; e che se casomai esiste (come sono propenso a credere) un “qualcosa” di unico e tale da poter essere “all’ origine di” entrambi i tipi di percezioni fenomeniche (da poter essere percepito “dall’ interno” come pensiero e “dall’ esterno” come cervello), allora questo “qualcosa” non è (non può essere, pena la caduta in contraddizione) né l’ una né l’ altra “cosa” fenomenica (né cervello né pensiero cosciente), bensì “qualcosa di reale in sé”, e dalle (pur corrispondenti) percezioni fenomeniche distinto, qualcosa di noumenico (a la Kant; ovvero una sostanza distinta dai “suoi” attributi, a la Spinoza). Grazie per l’ interesse a quanto da me proposto. |
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17-05-2013, 10.23.53 | #27 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Sgiombo
Non mi sembra però che generalmente i neuroscienziati seguano l’ interpretazione da me proposta delle loro scoperte (anche se credo queste scoperte siano da essa egregiamente spiegate). Alcuni sembra di si; il prof della mia facoltà ha spiegato la teoria che Giulio Tononi (con cui ha lavorato) ha elaborato assieme a Gerald Edelman nei termini di una identificazione di coscienza e materia, o, al massimo, come se la coscienza fosse cosa intrinseca alla materia. Nei testi di questi scienziati poi tutto è un pò più ambiguo, si parla di proto-sé, Io storico ecc., ma queste distinzioni mi pare servano a classificare e studiare aspetti diversi dell'Io più che a dividere effettivamente tra elementi funzionali alla coscienza ed elementi non funzionali. Tanto che, e di questo sono certo, essi non hanno identificato nessuna caratteristica qualitativa particolare che permetta l'ermergere della coscienza tra quelle possedute dai moduli cerebrali, piuttosto, poiché la coscienza sarebbe connessa alla complessità di un sistama (e con ciò alla interazione dei suoi elementi), alcune aree cerebrali adibite all'interazione delle varie informazioni che pervengono al cervello, sarebbero le aree più responsabili dell'emergere della coscienza ma non le uniche a possedere requisiti unici affinché la manifestazione della coscienza emerga. Non c'è una "ghiandola pineale", un elemento del tutto particolare che permette alla coscienza di emergere. La mia posizione è più o meno questa: l'unico modo in cui una sostanza come la coscienza (che però identifico con il "sentire" in generale) può cogliere altra coscienza è attraverso il fenomeno "materiale". Nel senso che se Io sono un centro di percezione non posso percepire ciò che altri centri di percezione avvertono, altrimenti non sarei questo centro di percezione, così l'avvertire dell'altro mi si presenta come un oggetto esterno (materiale) e non come la sua esperienza diretta. In altre parole non posso vedere quello che tu vedi perché non sono te, ma posso guardarti vedere e così, nella mia testa, renderti materiale, cioè renderti l'oggetto della Mia esperienza (cervello, ossa ecc.). Quando un insieme di sistemi complessi si organizza in modo tale da dar luogo ad un ente che supera in complessità quello dei suoi costituenti a noi pare di assistere alla “vita” (per esempio la complessità del sistema topo è superiore di quella delle cellule che lo costituiscono), quando questo non avviene, per esempio nei sassi, parliamo invece di materia morta. Le cellule sembrano vive al confronto con gli elementi chimici che le compongono. Ogni corpo risponde ad imput esterni, questo processo richiede che si apporti un impressione negli aggregati, questa impressione (ma anche proprio il ricevere-rispondere) è al contempo esperienza avvertita dall'oggetto secondo me, a qualsiasi livello. Potremmo poi discutere del significato di "presenza". Ho letto un saggio in cui Gadamer scrive di una lezione in cui Heidegger interpreta il termine "essere" (usato nell'epoca antica) come un "darsi", "manifestarsi", "rendersi presente" (la vela di una nave che compare all'orizzonte). Io mi chiedo in che senso un ente possa dirsi "presente" senza che sia oggetto di esperienza. Non nego di propendere per una visione in cui la coscienza sia un vero "spazio"/"luogo" degli enti, il piano in cui le cose acquistano consistenza (ma voglio qui ragionare, per capire fino a che punto questa interpretazione della realtà è efficace, elegante o coerente). Ci tengo subito a precisare che una simile posizione non si scontra con la solita critica: "se non guardo la luna la luna non esiste"; perché non nego che la luna sia oggetto di esperienza per i corpi che si ritiene incoscienti o inanimati solitamente (compresi quegli stessi che formano la luna) e che invece avrebbero esperienza della luna anche se Io non la sto guardando, rendendola sempre e a tutti gli effetti "presente". Alfredo Brancucci: Una novità apportata dall’approccio di Tononi ed Edelman allo studio del NCC (neuronal correlates of consciousness) è quella di aver fatto massiccio uso, accanto alle evidenze emerse dalla neurofisiologia, di metodologie prettamente matematiche, dall’effettuazione di semplici calcoli per misurare l’attività dei neuroni alla generazione di complicate simulazioni dell’attività cerebrale al computer. Secondo la loro teoria, la coscienza è misurabile, e in un qualsiasi oggetto può essercene tanta o poca. Per la precisione, la coscienza presente in un sistema equivale alla sua complessità, dove complessità, che è un termine matematico ben definito, sta ad indicare in quanti modi diversi, all’interno di un sistema composto da n elementi, la metà di quegli n elementi può rispondere a tutte le informazioni provenienti dall’altra metà. |
17-05-2013, 21.51.46 | #28 |
Ospite abituale
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
@ Aggressor
Di Edelman, che da medico conosco anche per le sue geniali scoperte sull’ immunità anticorpale, ho letto Sulla materia della mente. La sua teoria del darwinismo neurale mi sembra una interessante e promettente ipotesi di lavoro nel campo della neurofisiologia del sistema nervoso centrale; in particolare dei correlati neurologici della coscienza. Ma questo concetto di “correlato” mi sembra ben diverso da quello di “identificazione” o di “intrinsechezza” (se così si può dire) della coscienza alla materia. Un conto è dire che c’ è una necessaria correlazione o corrispondenza fra coscienza e cervello, un' altra cosa ben diversa è sostenere che la coscienza si identifica con la materia (il cervello) o che è qualcosa di intrinseco ad essa (come lo sono, per esempio, la massa o la quantità di moto). In accordo con quest’ ultima concezione, che non condivido, mi sembra si collochi la (secondo me pretesa) misurabilità della coscienza. Quello che si può misurare in termini di complessità non è la coscienza, bensì il corrispettivo neurologico della coscienza. Come fa notare il filosofo della mente australiano David Chalmers, anche sistemi fisici di grande complessità come il cervello umano potrebbero benissimo esistere e funzionare esattamente così come esistono e funzionano senza essere “accompagnati da” o correlati o corrispondenti a una esperienza cosciente (non esiste modo di verificare o falsificare questa ipotesi in quanto non si può avere esperienza cosciente che della propria esperienza cosciente e non di alcun altra). Si può misurare la complessità del cervello, cioè di un organo costituito di neuroni, assoni, sinapsi, ecc. , a loro volta costituiti di membrane, molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, ecc.; ma tutto ciò non è le percezioni e i pensieri propri dell’ esperienza cosciente che pure senza il rispettivo cervello vivo e funzioante non può esistere e che a quanto accade nel rispettivo cervello necessariamente corrisponde o è correlata. Tu dici: “La mia posizione è più o meno questa: l'unico modo in cui una sostanza come la coscienza (che però identifico con il "sentire" in generale) può cogliere altra coscienza è attraverso il fenomeno "materiale". Nel senso che se Io sono un centro di percezione non posso percepire ciò che altri centri di percezione avvertono, altrimenti non sarei questo centro di percezione, così l'avvertire dell'altro mi si presenta come un oggetto esterno (materiale) e non come la sua esperienza diretta. In altre parole non posso vedere quello che tu vedi perché non sono te, ma posso guardarti vedere e così, nella mia testa, renderti materiale, cioè renderti l'oggetto della Mia esperienza (cervello, ossa ecc.)” Sono sostanzialmente d’ accordo (ma non direi "nella mia testa", bensì "nella mia coscienza". Ma allora ciò che tu vedi nella “tua” coscienza (il mio cervello senziente, fatto di cellule e membrane, fatte di atomi, ecc.) è correlato a ciò che io sento nella “mia” coscienza (fatto di pensieri, ragionamenti, anche di qualia materiali, come per esempio il fogliame verde di un albero che sto vedendo), e che non si identifica con quelle cose ben diverse e intrinseche al mio cervello che sono i “miei” neuroni, sinapsi, circuiti nervosi variamente funzionanti nella “tua” coscienza: senza gli uni di tali insiemi di sensazioni non possono darsi gli altri, però ciascuno nell’ ambito della rispettiva esperienza fenomenica cosciente, essendo reciprocamente correlati o corrispondenti ma diversi, non identificantisi. "Se non guardo la luna la luna non esiste" Secondo me “la luna” in quanto insieme di sensazioni (qualia) materiali (biancore, luminosità, rotondità, ecc.) presente nella “mia” esperienza fenomenica cosciente non esiste allorché non la vedo (queste parole significano esattamente, precisamente: “non esiste allorché non esiste”). Se anche esiste nell’ambito di altre esperienze fenomeniche coscienti (di altri uomini o animali che la guardano, senza ipotizzare oscure e assai dubbie coscienze correlate a diversi corpi che si ritiene incoscienti o inanimati solitamente e che invece avrebbero coscienza (non lo nego né lo affermo, ma mi sembra qualcosa di molto vago e problematico, oltre che di molto incerto), si tratta di un’ altra cosa (sia pure perfettamente correlata o corrispondente alla luna nella “mia” coscienza”); di un’ altro insieme di eventi fenomenici e non di quelli della luna “vista da me”: è autocontraddittorio affermare che parti di insiemi fra loro integralmente diversi, separati, distinti, parti di “cose” diverse (come la luna nella mia coscienza e la luna nella coscienza di qualsiasi altro senziente) sono “la stessa cosa”. Se una stessa, unica cosa c’ è, corrispondente o correlata al cosiddetto (impropriamente) “stesso” oggetto (per esempio la luna) in coscienze diverse (a fondamento dell’ intersoggettività delle osservazioni del mondo materiale naturale, e dunque della conoscenza scientifica), allora questa unica “cosa” non può essere nessuno degli oggetti fenomenici propri di ciascuna esperienza cosciente (né l’ insieme dei qualia che costituiscono la luna nell’ ambito della mia coscienza quando la vedo, né l’ insieme dei qualia che costituiscono la luna nell’ ambito della tua coscienza quando la vedi), che sono “cose” fra loro diverse (pur se correlate), ma casomai qualcosa di congetturabile (noumeno) dai fenomeni (tutti, propri di tutte le coscienze) distinto e ad essi corrispondente o correlato. Infatti anche tu dici: "non posso vedere quello che tu vedi perché non sono te, ma posso guardarti vedere"; infatti non puoi vedere la luna che vedo io, bensì la luna che vedi tu, alla mia (e a "qualcosa di nuomenico"; unico per la "mia" e per la "tua" luna, ciascuna nell' ambito della rispettiva coscienza fenomenica) correlata o corrispondente. Grazie per l’ attenzione. |
18-05-2013, 13.02.40 | #29 | ||
weird dreams
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
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Citazione:
Dal punto di vista di un'altro la tua 'identità' è data dalla storia della sua esperienza di te. Per quanto possa cambiare l'interpretazione del tuo passato e il tuo modo di percepirlo e ricordarlo, la storia delle tue esperienze corrisponde a quanto di 'fissato' ti riguarda; rappresenta la tua 'formazione'. Il modo in cui ti sei formato è ciò che non cambia e dunque l'unico punto di riferimento a te medesimo. |
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20-05-2013, 08.37.57 | #30 |
Moderatore
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO
Vorrei esporre in questa discussione alcune domande che mi sono posto nella speranza di riuscire a giungere a delle risposte grazie al vostro aiuto:
Che differenza c' è fra un oggetto (ad esempio una penna) e una emozione o un pensiero? Nonostante la loro apparente radicale differenza si può pensare che tutti e tre siano dei fenomeni fisici presenti in diverso modo e forma alla coscienza? Esperienze interne ed esterne sono in definitiva fenomeni fisici ed è solamente grazie al modo e alla forma in cui questi fenomeni si presentano alla coscienza che li percepiamo come esperienze interne o esterne? Si può affermare che ad ogni oggetto di esperienza (oggetti, emozioni, pensieri) corrisponda una controparte fisica? Ho parlato di fenomeni fisici e controparte fisica, forse è possibile (e più corretto) sostituire questi concetti con noumeno. Grazie a tutti per l 'attenzione. |