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02-10-2013, 08.03.17 | #4 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
Per quel che mi riguarda non credo opportuno discutere di filosofia politica in un forum come questo perché la ritengo una materia di studio estremamente "schierata": declinabile in maniere estremamente contrastanti e conflittuali fra loro e non confrontabili pacatamente e proficuamente in un form come questo (personalmente da marxista discuterei volentieri in un forum di filosofia politica marxista, non certo con un seguace di Nietzche o anche della tradizione liberale estremistica corrente, perchè lo ritengo non costruttivo e foriero di spiacevoli incazzature). Credo che in materia solo abbondanti (o per lo meno" illuminanti") letture, frequentazioni, esperienze di vita possano portare a positivi mutamenti di opinione o anche all' acquisizione di fruttuosi insegnamenti, non "fredde" e in qualche modo "istituzionalizzate" discussioni fra posizioni e scelte troppo reciprocamente contrastanti. Ciao! |
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02-10-2013, 20.28.14 | #5 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Acquario69
Io credo (e rispondo, con questo, anche a Sgiombo) che sia sempre molto difficile fare una analisi della contemporaneità filosofico-politica. Credo anche però che se non ci prova la filosofia, allora... Ma diciamoci la verità: la filosofia non ci prova (tranne lodevoli eccezioni, che pur vi sono) perchè ormai essa è decaduta ad "accademia", ovvero ad un sapere specialistico, iper-astratto: da "laurea in" (filosofia), appunto (è la scomparsa della necessità di "scendere al Pireo", come accennavo) Ma vi è anche un altro motivo, filosofico, per cui, oggi, la filosofia non si occupa più di politica (sembra un paradosso): la volontà di potenza dominante ha individuato nella filosofia un possibile nemico, ed ha fatto in modo che essa fosse sostituita dalla scienza, che è certamente più "addomesticabile". Naturalmente, parlando di "volontà di potenza dominante" non intendo riferirmi a certo "complottismo", che vede le sorti del mondo decise a tavolino sempre e solo da pochi "intimi" (quale sollievo, e quale alibi per i più...): la volontà di potenza dominante siamo, intrinsecamente, tutti noi (che viviamo fra agi sconosciuti al 90% della popolazione mondiale - tanto che, invece di essere in giro a procacciarci il cibo, stiamo qui a discutere "amabilmente" di argomenti tutto sommato superflui). Ma tant'è: visto che abbiamo (noi "filosofi") elevato il "parricidio" ad atto fondante della nostra visione del mondo; visto che siamo dei "senza patria"; "uccidiamo" pure il pensiero che ci dà da vivere (bene), ma sempre con la consapevolezza che manca la controprova della nostra (della mia per primo) buona fede, cioè che manca la possibilità della scelta "reale" fra il benessere ipocrita ed il malessere "etico". Io credo che, innanzitutto, bisogna stabilire qual'è il significato del termine "politica". Io ho proposto questa definizione: la politica è l'insieme delle forme e dei contenuti di governo. Dunque non la politica come "dovrebbe essere", che vuol dire già spostarsi nel campo idealistico, ma la politica per come "è". Io penso che la politica sia necessaria, cioè che sia ineludibile. Perchè ineludibile è la distinzione fra chi comanda e chi è comandato. Sempre, nella storia dell'uomo, vi è stata politica. E politica è anche quella che vige fra gli animali cosiddetti "sociali": il ruolo del capobranco è un ruolo squisitamente politico. E, naturalmente, politica vi è oggi, visto (e non potrebbe essere altrimenti) che vi è una forma e un contenuto di governo: visto che c'è chi comanda e chi obbedisce. Io credo che una simile, cruda, definizione di "politica" già contribuisca non poco a sgombrare il campo da certe melliflue, ipocrite e rassicuranti definizioni (come quelle che hai riportato). E a, come dire, sbatterci in faccia la realtà. Una realtà che, è vero, ci vede sudditi; ma c'è suddito e suddito. C'è il suddito che mangia e c'è il suddito che non mangia (e, se mi permetti, non è differenza da poco...). Durante l'antica dinastia egizia (dunque qualche lustro fa...), il faraone Kety 3°, in punto di morte, fra le raccomandazione che fece al figlio successore ne sottolineò una in particolare: "ricordati che chi possiede beni non fomenta disordini". Un vero e proprio "must", diremmo oggi, per regnanti di ogni tempo (alla faccia degli ingenui che cianciano di "superamenti" e di "evoluzioni"...) ciao |
03-10-2013, 00.28.27 | #6 | ||||||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
Ho parlato di violenza e di soprusi non per nulla. Proprio per evitare l’equazione del comandante e del comandato Diciamo che sopravviviamo alla violenza. Ma dirmi che apriamo il di dietro è altro. E non è quello che accade a molti. Peraltro comprendo ed immagino che in realtà hai scritto ciò che hai scritto per denuncia e non per altro. Citazione:
Citazione:
Citazione:
Un attimo! Non c’è alcun suddito, alcuna sudditanza. Faremo un po’ schifo ma ancora uno straccio di carta dei diritti l’abbiamo firmata. In un momento come questo non sarà sentirci impotenti a ridarci la fiducia nella lotta collettiva!! Occhio. Se l’idealismo non serve niente lo sbandierare disfatta fa danni maggiori seppure invisibili nelle menti di chi ancora non è morto e non vuole morire. Citazione:
Citazione:
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03-10-2013, 04.22.32 | #7 | ||
Moderatore
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
si e' vero che la politica sia cosa ineludibile..io direi che per l'uomo qualsiasi scelta esercitata sia di per se "fare politica" oggi,credo,ci troviamo a discutere (o forse sarebbe meglio dire,a non trovare più la discussione,come del resto tu stesso denunci) sulla leggittimita della politica,e in ultima analisi se sia costruttiva o distruttiva..forse questa distinzione non dovrebbe nemmeno esistere poiché il termine politica proprio per la premessa fatta sopra implica di per se la scelta e questa dovrebbe essere funzionale ed in nuce proprio per la conservazione della specie (oggi come non mai messa in pericolo,e questo vale sia per i sudditi di serie a che di serie b)..dal momento in cui determinate scelte (quindi politica) deviano da questa basilare assunzione..possiamo ancora parlare di politica?…questa e' anche la domanda che mi pongo. un altra considerazione.. se avrei capito bene,dal tuo intervento dici: Citazione:
si potrebbe anche approfondire ulteriormente il concetto di cosa la politica e'..e cosa dovrebbe essere,ma tralasciando (per il momento) il secondo aspetto,proviamo dunque a chiederci che cosa e' la politica.. intanto penso che la definizione stessa abbia assunto diversi significati e interpretazioni a seconda dell'epoca..la legittimazione di cui accenno sopra e' a mio modo di vedere tutta una serie di trasformazioni per cui quelle che erano ritenute "virtù" si siano inesorabilmente trasformate in "vizi"…il vizio della politica,come possiamo ben vedere ha finito per considerare solo l'aspetto individualistico..qui inteso come assoluto,ideologico,ed utilitaristico..che pretende cioè' di dettare "legge" alla comunità,e che anzi concepisce la società in funzione di esso,quindi ribaltando completamente il senso e dunque alla politica stessa…la conseguente privazione della dimensione sociale,isolandosi dalla comunità,incardina così i suoi valori in entità estranee all’uomo stesso. dal momento che viene scardinato questo,chiamiamolo principio,che sarebbe (secondo me) alla base della politica stessa, (la fine dell'etica comunitaria?) non si entrerebbe così in una profonda contraddizione con tutte le conseguenze che noi oggi ben conosciamo? (o che si spera di conoscere) |
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03-10-2013, 22.04.23 | #8 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
Ma sì, era proprio questa la discussione che volevo sollevare. Finalmente, potrei dire, si parla di filosofia politica... Il mio intento era appunto quello di "sbattere in faccia la realtà": di descrivere la politica per come "è", non per come "dovrebbe essere" (ma con uno scopo "nobile", che verrà fuori se, come mi auguro, questa discussione proseguirà). In politica, cara Gyta, si dice che prima della fase propositiva è necessaria una profonda disamina della realtà. E la mia disamina è essenzialmente quella che ho descritto. Machiavelli, che era un gran conoscitore di cose politiche, diceva una cosa netta: "le lettere seguon sempre drieto all'arme". E' questo quello che io definisco "peccato originale" della politica: la necessità di assumere il potere PRIMA di poter proporre alcunchè (foss'anche la più "francescana" delle proposte). La politica è necessariamente "sporca" proprio per questo (non a caso, nel dialogo platonico, Socrate "scende" al Pireo dall'alto dell'Acropoli - quale mirabile metafora...). E' necessario comprenderne l'intrinseca "sozzura", o altrimenti si è destinati a rimanere per sempre in un astratto ed etereo "iperuranio": è fondamentale capire la necessità della "discesa". T.W.Adorno pone una domanda che mi è particolarmente cara: "davanti ai vagoni piombati diretti ad Auschwitz avreste voltato lo sguardo?". Ecco, l'aut-aut davanti al quale è impossibile fuggire. Ecco l'ineludibilità della politica, perchè sia che si volti lo sguardo sia che non lo si volti si assume una posizione politica. E' vero, qualche volta può esservi una "terza via" (l'esempio di Gandhi è forse il più pregnante), ma come tu stessa riconosci essa è, troppo spesso, limitata. E limitata sia nei mezzi che negli scopi, oltre che dipendere da momenti storici ben definiti (Gandhi, che pur prende il potere, nulla avrebbe potuto contro la bestia nazista). Sulla questione dei "sudditi" riprenderei ancora Machiavelli. Per lui il "principe" deve prendere il potere usando qualsiasi mezzo (anche il più atroce). Una volta preso il potere, però, egli deve saper usare la clemenza e la magnanimità. Ma non tanto perchè egli si sia trasformato in "giusto", ma allo scopo di mantenere il proprio potere (il debole, dice Machiavelli, può sempre avvelenare o pugnalare alle spalle il forte). Questo è esattamente l'intendimento di Kety 3°, al quale preme innanzitutto il mantenimento del potere alla propria dinastia. In realtà, del celebre detto machiavelliano: "il fine giustifica i mezzi" se ne è sempre data una interpretazione distorta. Il mezzo, così come inteso da Machiavelli, cambia a seconda del fine; cioè se il fine è la presa o il mantenimento del potere. Certo, potremmo dire che è preferibile il mezzo di Machiavelli e di Kety 3° che non quello di Hitler o di Settimio Severo (che dice al figlio: "onora i soldati e disprezza tutti gli altri"), ma questo non cambierebbe alcunchè nella nostra analisi circa la genealogia del potere politico (anche se, cosa non certamente disprezzabile, renderebbe maggiormente praticabile quella "terza via" di cui si parlava). Oggi viviamo in una fase nella quale il potere politico si è stabilizzato. Alla fase di presa del potere (che è individuabile, almeno per quanto riguarda l'occidente, nella Seconda Guerra Mondiale) è seguita una fase che, per nostra fortuna, somiglia più a quella descritta da Machiavelli che non a quella di Settimio Severo. Abbiamo avuto un periodo (dall'immediato dopoguerra fino al crollo del socialismo reale) nel quale il grado di democraticità (personalmente preferisco parlare della democrazia come di un processo) è stato piuttosto alto. Il crollo del socialismo reale ha però avuto delle ripercussioni profonde, e non immediatamente comprese nella loro eccezionale portata. Il grado di democraticità è andato progressivamente abbassandosi, fino ai livelli attuali (che considero minimi). Io credo che il fattore che ha determinato l'abbassarsi del grado di democraticità sia individuabile nella globalizzazione; che, provocando un calo del potere politico "nazionale", ha determinato appunto l'abbassarsi del livello di "decisionalità" insito nel sistema politico che tale potere nazionale esprime (la democrazia, appunto). Insomma (e tanto per parlar chiaro): dimmi tu se, quando voti, non hai l'impressione di votare per la pappa o per il pan cotto (come si dice dalle mie parti)... Insomma ancora: io non so se sia o meno il caso di parlare di "sudditi". Ho però l'impressione di sapere che il "grado di sudditanza" stia aumentando in maniera esponenziale. ciao |
03-10-2013, 23.38.25 | #9 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Ho una domanda semplicissima da farvi: come mai nessuno parla più di filosofia politica?...............
Ciao Oxdeadbeef Alla domanda dell’oblio della filosofia politica hai risposto; oggi si studiano le scienze politiche. Non darei ancora dei giudizi di valore si ciò sia giusto sbagliato, ma semplicemente capire che cosa è accaduto. La filosofia politica dovrebbe avere capacità di sintesi delle varie discipline divenute scientifiche, dalla sociologia ,alla macro economia e alla politica appunto. Ma la politica del “buon governo” ha necessità a sua volta di riuscire a chiarire cosa intenda per giustizia, organizzazione struttura dello stato, poteri in democrazia, metodi elettorali, libertà, uguaglianza,ecc. Oggi è in crisi persino la teoria dello stato, intesa come struttura che organizza il bene comune dal punto di vista sociale ed economico e il rapporto con le libertà private. Insomma la politica interessa molte definizioni sociali . Una premessa propedeutica fra la diversità della filosofia politica e delle scienze politiche è che la prima cercava di costruire degli”apriori”. I termini di coscienza sociale e morale ad esempio sono in disuso, sono divenute immagini retoriche da “tromboni”. Ma è stata proprio la scienza con i suoi metodi a dubitare della coscienza e della morale. Il risultato è che le scienze politiche si studiano con lo stesso metodo della sociologia e della economia, per modelli statistici con incroci di indici . Ciò che propongono i centri studi del Cnel, del Censis e di enti anche privati giuridicamente è lo stesso di enti economici di mercato o della Banca d’Italia, Nomisma, ecc. Noi viviamo in mezzo a statistiche e dati perché studiano gli effetti:quì sta uno dei problemi. Per l‘economia di mercato il focus è il consumatore, per la politica è l’elettore.La costruzione e le condizioni per “accalappiare” il consumatore o l’elettore è la capacità non più di analizzare le motivazioni aprioristiche in quanto non scientificizzabile, bensì verificare se una offerta di mercato, una propaganda elettorale, siano riusciti a muovere efficacemente il consumatore e l’elettore. E’ lo strumento del consenso economico e politico che ormai è importante non quello in cui crediamo o siamo. Guardiamo ad esempio l’importanza negli USA dello scontro finale in diretta tv fra i candidati presidenziali:è decisivo per mantenere gli indici o sopravanzare il contendente. La scienza della comunicazione, la “visual” del prodotto ( il suo confezionamento come si presenta) come i lifting del candidato, la politica dell’immagine: tutti strumenti psico-sociali Le motivazioni sono molto più focalizzate sugli interessi economici, sulle gratificazioni sociali, sugli status corporativi, sui poteri forti. La politica è divenuta quindi molto simile all’economia nel momento in cui si sono disfatte storicamente le ideologie.Tutti si assomigliano , la democrazia vota …per non cambiare nulla. Nelle democrazie è fondamentale il ruolo dei partiti e dei sindacati . Il loro “dovere” di rappresentanza delle istanze civili e sociali in termini di diritto dovrebbe muoversi trasversalmente e verticalmente nella società civile. L’allontanamento da questo ruolo ha costruito “la cittadella del potere”, l’incapacità di dialogo fra istanze civili e rappresentanza politica che nel Parlamento democratico dovrebbe avere il luogo della discussione e della decisone. Oggi il potere quindi si autoreferenza . Se la filosofia politica è divenuta scienza politica così come le discipline umanistiche , lo stesso iter lo ha subito la filosofia in generale. Abbiamo perso dalla filosofia ciò che era “la grande cultura” con i suoi paradigmi universalistici. La sua frammentazione nelle innumerevoli discipline scientifiche da una parte ha causato l’incapacità, essendosi persa nei rivoli sottili del “micro”, di non riuscire più a dare quel grande respiro culturale che generalmente determina “lo spirito di un tempo”: oggi mancano i referenti paradigmatici. Dall’altra però le scienze hanno avuto il pregio di analizzare , anche se a loro modo, gli argomenti i linguaggi che apparivano “monoliti” nella filosofia e orami distanti dalla società, dall’uomo, dalla vita comune e dal linguaggio ordinario. Oggi il “filosofare” è visto dall’uomo comune come un solipsismo elucubrativo. I mass media hanno contribuito moltissimo a mandare in soffitta il filosofo , lanciando gli opinion maker e gli imbonitori . Perchè tanto più è resa superficiale e banale la personalità umana e tanto più è prevedibile e condizionabile negli effetti. |
04-10-2013, 13.53.24 | #10 | |
Moderatore
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
Ma vengo alla questione inizialmente posta: come mai la filosofia politica risulta oggi e soprattutto in questo forum piuttosto trascurata? In realtà di filosofi che si occupano di politica e scendono al Pireo ce ne sono ancora tanti, anche se si avverte di sicuro un progressivo tramonto della filosofia politica insieme a tutto il resto della filosofia, risultato di quella fine della filosofia che ben conosciamo e di cui ci ha parlato il secondo Heidegger. Il motivo è evidente, la filosofia passa la mano alla scienza e anche la politica diventa questione scientifica, ossia di tecnica economica da un lato e di tecnica retorica per gestire il consenso dall'altro, entrambe fini a se stesse, come ogni tecnica che si rispetti. Lontanissimi sono i fasti della filosofia politica dell'illuminismo o del Leviatano di Hobbes che assegnano alla filosofia politica un'epoca di trionfi storici tali da protrarsi e moltiplicarsi per tutto l'800 con l'idealismo Hegeliano, il romanticismo anarchico fino ad arrivare al genio filosofico politico economico di Marx, che peraltro già sentiva il bisogno di ancorare la questione politica a qualcosa di ben più fondamentalmente scientifico: l'economia appunto. Anni luce sembrano separarci poi dalle utopie politiche di un Campanella o di un Tommaso Moro. Forse paradossalmente ci resta ancora vicino Machiavelli, con il suo Principe così funzionante per la volontà di potenza sola capace di tenere in piedi qualsiasi struttura sociale In realtà, come per tutto il resto filosofico, il vero iniziatore della filosofia politica fu proprio Platone con quel dialogo fondamentale (e non certo solo in senso politico) che è "La Repubblica". La filosofia politica nasce con Platone come arte di guidare la polis affinché non si sfaldi sconquassata dall’ hybris degli interessi contrapposti nella gestione di quel surplus prodotto dalla rivoluzione tecnica dell'agricoltura e dell'allevamento (certamente la più grande rivoluzione compiuta dall’uomo). La filosofia sottrae così la gestione sociale del villaggio diventato città ai riti ispirati dalla mitologia allo scopo di mantenere razionalmente e quindi con presa ben più salda l'armonia nella società umana ed evitare con giustizia il travalicamento dei limiti. La politica è dunque per il greco antico come l'arte medica. Come nella preservazione del corpo fisico il medico ripristina l’equilibrato interagire di vari organi, così i bravi governanti della città devono saper costruire a mezzo della razionalità l’armonia delle parti sociali e i filosofi, con la loro visione d’assieme ispirata dal logos paiono proprio i più adatti a farlo, sono loro i competenti a quel fine supremo che è appunto il buon governo che opera con giustizia. L’idea di Platone ha suggestionato e continua a suggestionare tutto l’Occidente, ma sappiamo che poi non è andata così, anzi, con la rivoluzione tecnologica industriale, l’hybris ha finito per essere considerato la vera e sola forza propulsiva del sistema sociale la cui capacità di sostenersi è stata identificata con la volontà di un continua crescere senza limite delle parti in continuo confronto competitivo, da cui in virtù del miraggio di una sorta di legge cosmica il migliore alla fine vince ai danni del peggiore e tutto va per il meglio. In tal modo del filosofo, della sua razionalità volta all’armonia equilibrata non c’è davvero più bisogno, mentre c’è bisogno del tecnico che fornisce le migliori armi per vincere nella competizione continua e del retore esperto nel persuadere al consenso. E questa è storia del 900 in cui la tecnica ha sottratto la politica alla filosofia come prima la filosofia aveva sottratto la gestione del villaggio alla ritualità mitologica Così la filosofia è diventata perdita di tempo a meno che non faccia da serva alla tecnica fornendole suggestioni e strumenti di potenza e il filosofo un perditempo sempre più consapevole di esserlo, mentre il buon governo è solo questione di crescita del bilancio economico e peggio per chi si ferma o scende che va inesorabilmente, per legge di natura, a finire all’inferno. Però la constatazione che anche il promesso paradiso del vincente si rivela alla fine sempre un inferno ove demoni in giacca e cravatta pungolano con i loro forconi e sono a loro volta senza sosta pungolati in attesa di crepare per l’eternità ci fa auspicare in un ritorno dei filosofi, ma io direi (o almeno spero) non per costituire un governo di filosofi che decidano chi comanda chi, ma per trovare il modo di convivere senza che nessuno comandi se non se stesso, per una questione di umano elementare rispetto, un po’ come fanno i Nuer che non sopportano ordini di nessun tipo e sanno vivere di pochissimo ma si ritengono ricchissimi essendo quel pochissimo tutto ciò che a loro serve e il resto lo ritengono disprezzabile, al contrario di noi che pur essendo ricchissimi ci sentiamo sempre in uno stato di estrema penuria, e le montagne di cose che abbiamo finiscono subito per non servire a nulla mentre sempre più ci disprezziamo reciprocamente e disprezziamo volentieri anche noi stessi. Chissà magari un colpo di zagaglia in risposta a chi ritiene lecito e opportuno dare ordini in nome di sacre istituzioni fa sempre meno male del finire autocolpevolizzati nella discarica sociale dei non funzionanti. Chissà, anche la zagaglia è progresso. Ultima modifica di maral : 04-10-2013 alle ore 22.11.33. |
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