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09-11-2013, 07.10.54 | #85 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
** scritto da 0xdeadbeef:
Citazione:
Ma è proprio perché la filosofia politica ha lasciato (adagiandosi sul relativismo) di discutere sull'inesistenza di una "verità per maggioranza" che è entrata nell'oblio. Esiste forse una vera democrazia, con una vera giustizia sociale ed una vera libertà individuale in quei paesi dove non vige la legge teocratica? Non è forse chi decide di dare a Cesare quel che è di Cesare che puntualmente, in nome di una supposta democrazia per maggioranza, non rende merito a Cesare e, pensando di farla franca, forse, dovrà renderne conto a Dio? |
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09-11-2013, 23.56.31 | #86 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Duc in altum
Io trovo invece che sia il contrario, e cioè che sia sbagliato pensare che Francesco non sia stato mosso da interesse personale. Ma perchè pensare all'interesse personale sempre e solo in termini negativi? Forse che una persona non potrebbe avere un interesse personale nell'aiutare il prossimo? Forse che pensiamo all'essere umano come, necessariamente, ad un "lupo fra i lupi"? Trovo invece che Francesco sia stato mosso da un fortissimo interesse personale, e da una straordinaria volontà di potenza. Il punto determinante è che il suo interesse, la sua volontà, coincidono con quelle dell' "Altro-da-sè". In questo consiste la "santità" kantianamente intesa: nella coincidenza perfetta dell'essere e del dover-essere. Da questo punto di vista, Francesco non ha bisogno di nessun "imperativo categorico", di nessun senso del dovere: gli basta seguire la sua intima natura. Per venire all'altro argomento, io credo che la "verità per maggioranza" la si cerchi quando manca un criterio certo di verità, ovvero quando si cerca di rimediare ad un periodo di crisi (vedi la mia risposta a Maral). Naturalmente non è sempre, solo, e rigorosamente così; ma questo mi sembrerebbe di poter individuare come, diciamo, "continuum" storico (i distinguo da fare sono comunque parecchi). Come Aristotele, io credo che ogni sistema politico porti in sè la possibilità di un suo decadimento. E questo vale anche per il sistema teocratico (come la storia dimostra). Un saluto |
10-11-2013, 17.16.40 | #87 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
** scritto da 0xdeadbeef:
Citazione:
Sinonimi più diretti del termine interesse: utilità, vantaggio, tornaconto, guadagno, convenienza, opportunismo, giovamento, profitto. Certo sostenere che Francesco d'Assisi, avrebbe aiutato il prossimo, e per di più facendo la volontà divina, col semplice aggiungere l'accezione personale a quei sinonimi, penso sia irriguardoso oltre che diabolico. Inoltre la filosofia politica sostenuta dal "trascendente", sempreverde, attuale e contemporanea, per niente obliosa, per niente noiosa, esempio la Chiesa Romana (come anche la storia dimostra) ancora deve decadere. Saluti. |
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10-11-2013, 23.56.42 | #88 | ||
Moderatore
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
E' chiaro che quando l'idea dell'individuo si estende da alcuni personaggi ritenuti eccezionali per le loro capacità eroiche a tutto il genere umano si crea una problematica molto forte ed è a questo punto che si crea il dilemma tra libertà individuale (privilegio di pochi per diritto di nascita o per merito) e uguaglianza sociale risultante di una uguale appartenenza alla condizione umana. Il problema di fatto non è mai stato veramente risolto. La stessa distinzione tra sfera pubblica e privata è sempre stata ovunque e nonostante tutte le pretese definitorie ben più teorica che reale. Le crisi poi portano sia a una frammentazione individuale che a una ricompattazione sociale molto spinta, infatti proprio in questi momenti gli individui tendono ad aggregarsi in masse in cui il senso individuale dettato dalla conoscenza effettiva di se stessi passa del tutto in sottordine. Proprio per questo si afferma la figura del tiranno che, in senso idealizzato, è quell'eroe originario che, come nella tragedia mitica, carica su di sé tutto il peso di un valore e di una coscienza individuale collettiva che omologa ogni differenza, per cui anche chi vi si era opposto dovrà finire con l'aderire al nuovo noi che si impone. Non è quindi la democrazia a mio avviso che si afferma in questi momenti di crisi, non fu così nemmeno nell'Inghilterra di un Oliver Cromwell, cosiddetta patria della democrazia moderna, ma il suo esatto contrario. In fondo fu proprio Cromwell e non Robespierre il primo borghese a decapitare un re. Le stesse leggi servono a ben poco, perché possono sempre diventare assai facilmente strumento antidemocratico feroce al di là di ogni intento originario di garantire a parole il diritto inalienabile di ogni individuo, mentre in realtà il concetto di individualità si verticalizza in modo sempre più astratto. Si sente cioè il bisogno impellente di individui più individui di altri (proprio come i compagni bolscevichi più compagni di altri) che nell'età della tecnica diventano pure depersonalizzazioni, princìpi di un ben funzionare a cui tutti devono sottomettersi o, se non ci riescono, andare da soli in manicomio (come dice quel grande profeta di Nietzsche). Io non credo che oggi sia stato recuperato in alcun modo il senso della democrazia, ossia del governo del demos, questo senso è solo quello originario, di individui che sentono la loro compartecipazione responsabile in quanto espressione di una medesima comunità che li ha generati e allevati. Questo senso poteva autenticamente esistere per intera solo nel villaggio neolitico, prima della scoperta delle tecniche agricole, o in una comunità fondamentalmente anarchica. Al contrario, penso che oggi si sia trovato il modo di proporre un'oligarchia sempre più spinta nelle vesti di una finzione democratica, ove gli stessi oligarchi alla fine non sono che mezzi di una volontà di potenza astratta che li ha trascesi senza scampo. Essi stessi, pur avendo il privilegio di affamare premendo un bottone miliardi di persone, pur inebriati della loro potenza sconfinata, non sono che un mezzo procedurale del tutto alienabile come quei miliardi di affamati, vittime di quel pensiero astratto dell'astratto a cui si sono votati. Certamente come dice Kant il riferimento della democrazia non può più essere il noi verginale, ma il noi che ha fatto esperienza dell'io, ma Kant viveva in un mondo ben diverso dal nostro, un mondo in cui l'io non era ancora conscio delle possibilità che la tecnica gli avrebbe dato per alienare completamente se stesso da quanto cominciava a produrre e consumare, credendo di rendersi così la vita più facile, mentre in realtà se la rendeva solo impossibile. Prima o poi l'io si sarebbe dovuto rendere conto di essere solo una maschera della volontà di potenza, una maschera del nulla, e allora sarebbe apparso normale che non vi fosse nulla da conoscere oltre la procedura, nemmeno se stessi, men che meno preoccuparsi della propria autonomia, una pura perdita di tempo questa autocoscienza a fronte di ciò che è previsto si debba fare. Oggi più che mai il politico può solo essere un Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento, ma poiché un tal personaggio non può che risultare ridicolo e il politico che ci tiene molto alla sua finzione di serietà, si limita a fare solo il proprio privatissimo interesse, perché non può essere competente di nient'altro che di questa sua illusione, alienato di lusso tra i tanti alienati. Non è certo il noi che oggi Socrate potrebbe scegliere, non c'è più spazio e tanto meno competenza per scegliere alcunché. Citazione:
E spero anche che sia possibile trovare ancora da qualche parte un Don Chisciotte disposto a battersi contro i mulini a vento e ad accettare di venire deriso da tutti i mugnai di questo mondo e i loro clienti e fornitori come un buffone. Ma di battersi non per calcolo che soppesa i pro e i contro, ma semplicemente perché non può fare altro una volta che la miseria del mondo gli è apparsa davanti. E questa è una volontà che non vuole salvare nessuno, né il proletariato, né il mondo e neppure se stessi. Per cui in essa non vi è alcuna potenza, o meglio, la potenza la sola reale dettata dall'accettazione totale della propria ontologica necessità Di spunti di riflessione come sempre me ne hai dati tanti per cui ti ringrazio di cuore e non preoccuparti se in me ha la meglio lo spirito polemico. ciao |
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11-11-2013, 01.30.05 | #89 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Per Hobbes il potere è assoluto, indivisibile e irresistibile, per Locke al contrario è limitato, divisibile e resistibile.
Per potere assoluto si intende il “legibus solutus” ,che il sovrano sia sciolto dalle leggi civili, cioè dalle stesse leggi che lui stesso ha il poter di creare.L’assolutezza del potere è circoscritta a Dio. Il patto sociale dà al corpo politico un potere assoluto su tutti i membri, questo potere assoluto è diretto dalla volontà generale ed è detto sovranità. Che il potere sovrano sia sciolto dalle leggi civili non vuol dire che sia senza limiti, vuol dire che i limiti del suo potere sono limiti non giuridici, di fatto o derivati da quello imperfetto,cioè incoercibile che è il diritto naturale.. Questo concetto Spinoza lo spiega meglio di tutti. Significa che quello conta alla fine è il rapporto fra ragionevolezza del sapere governare equivalente al consenso dei sudditi.. In quanto quel diritto imperfetto e di natura è il diritto a ribellarsi al potere costituito.. I fautori del poter sovrano indivisibile sono Hobbes e Rousseau; quelli del poter divisibile sono Kant, Locke, Montesqieu.. La problematica e la trasversalità delle tesi tocca ad esempio in quel tempo la divisione degli organi(re, camera dei pari, camera dei comuni) e le tre diverse funzioni(legislativo, esecutivo, giudiziario) . Tutti sono accomunati nel trovare soluzioni per non avere i due estremi:il caos e il dispotismo:Hobbes è attento alla salvaguardia del primo, Locke per il secondo. Il problema più difficile per una teoria razionale dello Stato è conciliare obbedienza e libertà. Per Kant e Spinoza è il dovere di obbedienza nelle azioni e la libertà nel pensiero. Per Locke l’obbedienza non è assoluta, ma relativa in quanto condizionata al rispetto da parte del sovrano di limiti prestabiliti al suo potere supremo. Hobbes era per un modello monarchico,Spinoza e Rousseau per un modello democratico, Locke e Kant per un modello costituzionale rappresentativo. Kant era molto più statalista di Locke; Hobbes era conservatore; Spinoza Locke e Kant erano liberali; Rousseau era rivoluzionario. Così la teoria dello Stato separerà la giurisprudenza dalla teologia e il giusnaturalismo segna il tentativo della predominanza degli interessi sulle passioni come molla del vivere sociale, ma l’interesse individuale, interesse sociale, utile immediato , utile mediato non eliminerà mai l’antitesi , da cui la teoria razionale dello Stato ha preso le mosse, fra passione e ragione. Il giusnaturalismo sfocia nella teoria della razionalità dello Stato nel quale l’uomo realizza pienamente la propria natura di essere razionale. Così i due soggetti del diritto, gli individui il cui diritto privato è imperfetto in quanto naturale e il diritto positivo che è quello dello Stato. Poi la riduzione del diritto statale a diritto legislativo da cui nasceranno le grandi codificazioni,specialmente quella napoleonica che pretenderà attraverso l’eliminazione delle fonti del diritto di assicurare la certezza del diritto contro l’arbitrio e il privilegio, insomma lo stato di diritto contro il dispotismo. La fine del giusnaturalismo corrisponde agli scritti di Hegel che vi si contrappone in quanto i giusnaturalisti avevano teorizzato lo Stato per come sarebbe dovuto essere ,non per come fosse in realtà. Hegel riprende il modello aristotelico per arrivare allo Stato passando per la società civile .Se i giusnaturalisti hanno immaginato la società civile come un’associazione volontaria di individui, mentre lo Stato è un’unità organica di un popolo secondo Hegel e darà una concezione storica della nascita di un popolo che è arrivato allo Stato. La filosofia di Hegel sara antitesi , ma anche sintesi poiché il giusnaturalismo viene incluso e superato e non dalla teoria dello Stato, ma dalla teoria della società secondo cui i problemi della vita associativa vanno cercati non nel sistema politico , bensì in quello economico. Da ciò nascerà una filosofia della storia capovolta che vedrà il progresso storico che procede dallo Stato alla società senza Stato Spero di aver aiutato a capire alcuni punti fondamentali della cultura giusnaturalista che si esprime soprattutto nel liberalismo . La trasversalità delle tesi e anche scontri dei grandi pensatori e filosofi di quel perido storico. Sarà il modello hegeliano , ma soprattutto hegelo-marrxiano ma che vedrà alla fine contrapposti entrambi, a superare il concetto giusnaturalista. Questi passaggi saranno fondamentali per capire i modelli di liberalismo, fino al liberal-socialismo, ma passando dallo stato di natura allo stato civile che era il modello giusnaturalista a quello hegelo-marxiano di stato civile allo stato politico. |
11-11-2013, 21.13.48 | #90 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Duc in altum
Hai presente quello spot pubblicitario nel quale la Chiesa invita a donare ai poveri? Mi riferisco a quello che dice (press'a poco, perchè non ricordo benissimo): "sii egoista, fai qualcosa per gli altri (e ti sentirai meglio). Ecco, questo è esattamente ciò che penso io. Anzi: quello spot fotografa alla perfezione ciò che io sto cercando di dirti (dico questo anche a seguito di mie personali percezioni). Voglio premetterti che io cerco di ragionare in termini filosofici, non religiosi. Per me la religione "rivelata" è un qualcosa di cui ho il massimo rispetto, ma non posso accettarla se non nei limiti della sola ragione, come dice Kant. Come Hume, io penso che l'uomo "parta" dalle sensazioni di piacere e di dolore. Come Nietzsche, io penso che all'origine del valore morale vi sia la volontà di potenza (come Kant, io posso solo "sperare" che non ogni cosa sia riducibile al mero meccanicismo...). La figura di Francesco mi affascina. In lui io vedo attuata l'autentica "santità", che per me è la perfetta coincidenza di essere e dover-essere. Pochissimi sono stati, nei secoli, gli uomini capaci di una simile perfezione. Presumibilmente, come ben affermi, in Francesco l'andare "verso" i poveri è stata conseguenza, non causa (naturalmente: conseguenza dell'abbraccio totale del messaggio evangelico). Eppure, io credo, non vi è estraneo un "piacere"; ed è superfluo, trovo, interrogarsi se questo piacere sia determinato da Dio o dai poveri. Non penso, filosoficamente, che possa esservi stato in lui dolore per aver fatto ciò che ha fatto (presumo dirai che non può esservi dolore nell'abbraccio del messaggio evangelico; ma io, ripeto, è più all'aspetto filosofico che sono interessato). Dal mio punto di vista, la questione veramente determinante è la coincidenza del piacere di Francesco e del piacere, o dell'interesse, dei poveri (preferisco parlare in termini di "sè" e "altro-da-sè"). Leibniz dice che questo è ciò che veramente dirime: quando l'interesse del "sè" è "per sè" non è come quando l'interesse del "sè" è per l'"altro-da-sè". Ovvero, si può essere egoisti, provare piacere, nella sopraffazione dell'"altro-da-sè" e si può essere egoisti, provare piacere, nel fare l'utile dell'"altro-da-sè": gli effetti che questa causa comune provoca sono diametralmente opposti. Naturalmente avrei molto altro da dire, ma preferisco sentire le tue considerazioni. ciao |