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13-10-2013, 22.29.40 | #32 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Maral
Non credi che il fine, seppur rimosso, resti per così dire sullo sfondo, quasi come un trauma infantile? Come altrimenti spiegare ciò che dice Stiglitz (se crediamo a ciò che egli dice)? Hume, come riportavo, sostiene appunto che il fine è l'utile (dell'individuo), ma dice anche che questo termine finale, l'utile, serve a: "procurare la felicità e la sicurezza conservando l'ordine nella società". Facile l'obiezione che, se serve, serve a qualcosa. Ma allora dico: se oggi l'idea fondamentale è che l'utilità del "mezzo di tutti i mezzi" (presumo tu stia parlando della tecnica) risiede nel mezzo stesso, da quale parte si annida la successiva specificazione (quella che Hume chiarifica e Stiglitz sospetta)? Voglio sperare non si risponda che questa successiva specificazione non esiste, non c'è, perchè sarebbe davvero il massimo dell' ingenuità (suvvia: basta guardarsi attorno, basta leggere un banale quotidiano per capire l'intenzione di mantenere la "sicurezza e l'ordine nella società"). Poi, se in maniera "evoluzionistica", cioè panglossiana, pensiamo che questo sia il migliore dei mondi possibili, allora, beh, non abbiamo più alcuna speranza di rimediare alla stupidità. Non ritengo che la dialettica forte-debole sia roba passata. O meglio: è senz'altro passata la "dialettica", ma non certo la distinzione. Il forte è preferito finchè è ben saldo in sella? Ma certo, finchè è ben saldo in sella è lui il forte, ed in sella egli cercherà di mantenersi (con le medesime modalità del politico che detiene il potere e cerca di mantenerlo). D'altronde ogni epoca ha avuto i suoi "Bonaparte"; individui usciti dal "nulla" che hanno avuto l'opportunità di inserirsi in un gioco di cui, però, mai hanno avuto l'intenzione di cambiare le regole. E questo vale, seppur con le moderne modalità, per gli "Steve Jobs" della contemporaneità. L'"idea vincente", null'altro che un mito pasciuto all'ombra del concetto anglosassone del "self made man", null'altro che la "bella copia" dei derelitti che affollano le sale da gioco, è solo una maschera che cela l'impossibilità, per i più, di poter cambiare una condizione che li vede irrimediabilmente nella parte di deboli. Ci sarebbe da dire che questi "più" meritano di essere in una tale condizione (lo meritano sulla base di una mia personalissima opinione), appunto perchè il loro scopo non è cambiare le regole del gioco, ma vincere allo stesso gioco che li vede, almeno fino a quel momento, perdenti. E' per questo che io giudico l'assunto di Socrate attualissimo: perchè esso vede nel debole una categoria sempiterna di cui fare l'interesse. Egli, sì, cambia le regole del gioco, sovvertendo quell'"ordine nella società" di cui parlava Hume. ciao |
14-10-2013, 10.09.07 | #33 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
il concetto dei debole/ forte attraversa trasversalmente tutte le culture ed è una base fondamentale della filosofia politica.
Socrate si limita alla morale ,ma non indica principi di filosofia politica. Il rapporto fra colui o coloro che governano i popoli e coloro che subiscono i destini delle azioni dei "principi" (machiavellicamente parlando) è a alla base della costruzione o meno del rapporto popolo/potere. Storicamente nell'Occidente siamo passati dalle tirannie alle monarchie assolute a quelle costituzionali, poi lo stato liberale e infine al liberal-socialismo del welfare. Da una parte c'è una discussione delle teorie dello stato(filosofia politica), dall'altra l'economia contraddistingue le epoche e il trasformarsi dei rapporti di forza fra debole/forte e dall'altra sociologicamente la suddivisione in classi sociali. La scienza politica agendo praticamente ha il compito di coniugare le tre istanze: i valori e le morali codificate dalle teorie della filosofia politica, le strutturazioni delle economie e delle forme della produzione(il passaggio dall'agricoltura all'industria, le diverse fasi del capitalismo, la globalizzazione) che cambiano le organizzazioni sociali umane e dall'altra il configurarsi e il mutare sociologicamente delle cosiddette classi sociali. Il modo e le gerarchie del come si interviene genera i rapporti di forza e la tipologia di governo ( più liberistica economicamente o più sociale se si pensa alle conseguenze delle condizioni umane). Siamo nella fase in cui il liberismo come dottrina economica ha prevaricato sul liberalismo come dottrina politica mettendo in crisi il welfare de liberal-socialismo. Significa che persino i diritti sociali sono messi in discussione e quì, se vale la distinzione per sommi capi che la filosofia politica quanto meno arrivi al diritto, deve intervenire anche la filosofia politica. Il problema quando diventa strutturale e non più congiunturale, cioè in termini temporali una crisi o un boom economico che cambia in quantità e qualità le cosiddette classi sociali e i rapporti di forza minando i diritti sociali, deve cercare di essere risolto riponendo in gioco i valori e i criteri prioritari . Purtroppo la filosofia politica "tradizionale" non sa rispondere alla modernità dove emerge il peso economico preponderante e schiacciante sulla politica. Non è più possibile costruire criteri di valori e diritto senza tener conto della generazione e distribuzione delle ricchezze in termini sociali. Ecco perchè sono gli Stiglitz ad esempio che sono economisti ha costruire critiche al sistema, laddove il compito era della filosofia politica. Questo si avverte in molte discipline come nella fisica: è lo scienziato che fa "filosofia". Il filosofo della post-modernità a mio parere si occupa troppo di minimalismo, di riduttive problematiche in troppi campi ,dove lo scienziato di fatto è sicuramente "più bravo" perchè tecnicamente più preparato. Il filosofo se nno discute per "sistemi", cioè opera una sintesi che gli vengono dalla scienza, ma dove lui ha il compito di capire il senso e i significati per costruire un futuro(cosa che le scienze non si chiedono, perchè non è loro compito), per "gettare" un progetto , non ha più senso di esistere. Ultima modifica di paul11 : 14-10-2013 alle ore 12.37.34. |
14-10-2013, 13.50.57 | #34 | ||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
Il punto essenziale è che la regola fondamentale del gioco non deve essere mai cambiata e la prima regola è che è solo lo sviluppo tecnico a dettare ogni regola, compresa ogni ideologia nella misura in cui serve, chi non si adegua esce dal gioco che lo voglia o meno, ma ancora più essenziale è che non vi sia più nemmeno la possibilità di pensare ad altri giochi a cui giocare per cui chi esce dal gioco esce senza avere altro luogo ove poter rientrare e quindi per sopravvivere deve solo fare ammaneda se ne è capace. Compito della filosofia è allora di mostrare che invece di altri giochi ce ne sono eccome! Accettando pure la derisione e l'esclusione come conseguenza di questo voler mostrare. Citazione:
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15-10-2013, 14.41.10 | #35 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
Mi scuserai, ma sono diversi i punti del tuo ragionamento che non condivido. Innanzitutto, io credo spetti alla filosofia politica, e non alla scienza politica, di coniugare le tre istanze (teoria dello stato, teoria econonomica e teoria sociologica). Questo è, mi par di capire, anche il punto di vista di G.Sartori, che nel saggio: "Democrazia, cos'è?" definisce il ruolo della scienza politica come, appunto, quello che ha come suo oggetto specifico la teoria dello stato. Non distinguerei troppo, inoltre, il liberismo economico dal liberalismo politico. E' questo un concetto ormai "classico" della cultura italiana (la sua radice è in B.Croce), ma è un concetto che ha trovato, nella stessa Italia, fieri oppositori (mi sembra che, ad esempio, le tesi contraria di Einaudi possegga dei gran buoni argomenti). Quanto al termine "liberalsocialismo" (e pur con tutta la stima che ho per uno dei suoi padri: N.Bobbio), esso mi suscita sempre, quando lo sento, un sentimento di grande perplessità (per usare un eufemismo). Non vedo come sia possibile coniugare liberalismo e socialismo, ed il fatto che questo secondo termine non sia mai penetrato in una cultura ed in una società autenticamente liberale come quella degli USA dovrebbe, a mio parere, far riflettere (e pur se dei distinguo importanti dovrebbero essere fatti). Io non credo sia lecito distinguere fra una filosofia politica "tradizionale" ed una, si presume, "moderna". Io credo che il compito della filosofia politica sia innanzitutto quello di individuare il "dominus". Perchè se la politica "è", come dicevo, l'insieme delle forme e dei contenuti di governo, allora anche nella contemporaneità vi è un "dominus". E, siccome vi è necessariamente, allora si tratta di individuarlo al di là della cortina fumogena, per così dire, con cui esso si cela agli sguardi (una "cortina fumogena" rappresentata da quella "scientificità" dei predicati economici che trova il proprio corrispettivo in quello che era il "mandato celeste" per gli imperatori della Cina). Diciamo piuttosto che i "filosofi politici" attuali, tutti o quasi impegnati nella pura "accademia" (cioè tutti o quasi impegnati in quella che è ormai soltanto una professione fra le tante), poco si curano di quel monito che fu già di Eraclito ("è sapiente colui che sa cogliere la natura delle relazioni che si instaurano tra le cose"). Anche perchè, diciamolo chiaramente, studiarsi le varie materie costa non poco... Che, in origine, le migliori menti prediligano la scienza per una questione di opportunità lavorative? Non ci sarebbe nulla di cui stupirsi se, in seguito e proprio per il fatto di essere le migliori menti, esse comincino a fare filosofia. ciao |
15-10-2013, 20.28.20 | #36 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Maral
L'apparato tecno-scientifico è oggi quel fattore nel quale la potenza si dispiega maggiormente (dice Severino: "se domani la preghiera muovesse le montagne, la volontà di potenza abbandonerebbe l'apparato tecno-scientifico per servirsi di essa"). E' evidente però che, in quel caso paradossale, sarebbe la preghiera a diventare "tecnica"; tecnica appunto volta allo scopo di accrescere la potenza di cui si serve la volontà. Dunque è "tecnica" la stessa potenza, cioè è "tecnico" sia il mezzo che lo scopo che la volontà pone (da qui, mi pare, l'indistinzione fra mezzo e scopo che Severino afferma - e di cui, come sai, non sono convinto). Da questo punto di vista, l'ordine e la sicurezza non possono essere ritenuti valori assoluti, questo è ovvio. Tuttavia, Severino dice anche un'altra cosa interessante ai fini di un discorso "politico", come questo nostro intende essere, egli parla infatti di volontà di potenza "dominanti". E allora io dico semplicemente: l'ordine e la sicurezza sono funzionali al "dominus". Certo, Hume parlava di un ordine provvidenziale, e lasciava sottintendere che fosse la divina provvidenza a "sistemare" per il "giusto verso" i comportamenti di individui che perseguivano il proprio utile. Ai suoi occhi, presumo, ogni tentativo di cambiare il corso della "natura" era null'altro che "hybris". Il problema, per come io lo vedo, è che oggi si sta letteralmente navigando a vista, per così dire. Da un lato si ragiona come Hume. Il "moderno" liberalismo economico si fonda sul motto dei Fisiocratici francesi: "laissez faire, laissez passer". Lasciate libero l'individuo dal "Leviatano-stato", e questo garantirà il massimo dello sviluppo economico (la celeberrima "mano invisibile" di A.Smith - tant'è che il modello economico più all'avanguardia è la teoria neoclassica). Dall'altro, in un impeto di pudicizia che esclude si possa parlare di "mano invisibile" (tanto è evidente che essa è solo un modo per non dire "Divina Provvidenza" - eccola, la tesi di Stiglitz), ci si è messi a delirare di una fantomatica "razionalità" che, essa, garantirebbe la coincidenza dell'utile individuale con quello della collettività. Ma insomma: è mai possibile che nessuno si renda conto che l'ordine e la sicurezza sono quelli funzionali al "dominus"? E' mai possibile che, come gonzi, crediamo che a comandare sia la razionalità? ciao |
16-10-2013, 10.59.38 | #37 | |
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Lo stesso spostamento dalla volontà del padrone- classe egemone alla mano invisibile divina o naturale che sistema ogni cosa e armonizza gli individuali egoismi in benessere universale e poi diventa pura razionalità economica (e quindi razionalità tecnica) illustra questo percorso di progressiva astrazione di un potere sempre più disumanizzato e sempre più trascendente che equivale a una potenza sempre più inscalfibile. Se infatti al padrone possiamo sempre tagliare la testa, se Dio possiamo sempre ucciderlo, se la Natura possiamo sempre violentarla e tutte le mani invisibili negarle proprio in quanto nessuno le vede, la razionalità economica chi potrà mai contrastarla essendo razionale? Solo chi è irrazionale potrebbe farlo, ma se costui è irrazionale è solo un folle, un totale perdente in partenza. Tuttavia esiste ancora la possibilità che quella razionalità economica universale appaia a qualcuno come irrazionale, dunque il passo vincente successivo è che non vi sia più alcuna razionalità, ma solo la volontà di potenza tecnica che non si cura del razionale, padrona indiscutibile di ogni destino, perché può fare di ogni ente ciò che essa vuole, perché è essa che costruisce e abbatte tutti i destini a piacere, anche quello di un rivoluzionario se è questo che serve. Essere rivoluzionario o padrone, razionali o irrazionali diventa quindi solo questione di utilità tecnica e la realtà il tecnicamente utile alla tecnica stessa. |
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17-10-2013, 00.06.48 | #38 | |
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E' mia convinzione che la storia la faccia l'uomo. L'artefice di ciò che siamo, le nostre organizzazioni sociali, le culture, le economie è solo dettata da noi. Non credo a predestini, fati e quant'altro. Questa premessa è per arrivare a dire che il compito del filosofo è soprattutto di capire l"ambiente" socio culturale in cui viviamo. Il filosofo usa il grandangolare, lo scienziato utilizza il teleobiettivo . Uno vede ben il quadro dell'insieme, l'altro vive nei particolari. Ma entrambi hanno bisogno del confronto dei punti di vista. Se lo scienziato è dentro professionalmente nelle tematiche il filosofo è meno "corruttibile" per essere più distanze , staccato. Questo pone il filosofo nella condizione di veder dal di fuori nel disincanto l'arena della bolgia politica. Ed essendo il suo pensiero prima ancora delle codificazioni e non dopo, ha il vantaggio di capire se esiste coerenza fra pensiero ed azione. Lo scienziato pensa all'efficacia dell'azione e ripensa a come renderla sempre più efficace, ma perde o ne rischia la coerenza fra diritto e azione politica. La politica si evidenzia nel cinismo del fine, il filosofo politico fonde valori e morali nel diritto e ciò che ne segue negli ordinamenti è una coerenza delle applicazioni alle teorie del pensiero fondativo. Oxdeadbeef @ Paul11 Mi scuserai, ma sono diversi i punti del tuo ragionamento che non condivido.......... Ci mancherebbe , se fossimo sempre d'accordo faremmo monologhi allo specchio. Quindi va benissimo che vi siano osservazioni e punti di vista diversi. I "liberal" non è un concetto solo italiano, ne avrai sentito spesso parlare negli USA. Ma andiamo con ordine. Al liberalismo si rifà Montesqiueu dando un contributo fondamentale quando divide i tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario fino ad allora "incarnato" nella monarchia assoluta del re. I passaggi successivi sono le monarchie costituzionali (vedi ad es. il Risorgimento italiano) e poi le democrazie. Il liberalismo come dottrina politica rappresenta quella parte degli interessi borghesi che rispettano il diritto.E’ fondamentale nel pensiero il rapporto fra stato e diritto privato in cui il primo non deve ingerire sulla sfera privata. Il liberismo, come dottrina economica, è l'accettazione pedissequa delle regole della legge della domanda e offerta del mercato, con le relative conseguenze. Non vuole ,estremizzando il concetto, impedimenti statali, normative o "perturbazioni" impositive su quelle regole. Se potesse annichilire la dottrina dello stato e del diritto lo farebbe volentieri. Ma ha imparato, non potendola annientare a servirsene storicamente come mezzo peri suoi fini. Se sono riuscito nella succinta esposizione a farmi capire c'è una netta differenza fra liberista e liberalista. Il liberista accetta la regola della natura del più forte. Le regole dello stato invece passano nella storia dallo stato di natura allo stato sociale fino allo stato politico della modernità. Una grande parte della filosofia politica ,nel divenire storico del pensiero,ha capito che le organizzazioni umane sono il contraltare alle regole della natura. L'uomo combatte la natura che lo uccide. Invece il capitalismo nella sua essenza ha delle straordinarie doti di assimilazione delle regole della natura: è ciclica, ha cataclismi, ha momenti "pacifici", è malleabilissima intesa come fortemente adattativa, è cinica e spietata, vince il più forte e soprattutto autoregolativa. Cambia gli scenari e i contesti ma la sua essenza rimane a permearne la storia. L'omo morale è il suo nemico "naturale", perchè se il principio edonistico è paradigmatico nella regola del mercato, la morale ne contesta dalle regole nelle apriori e nelle conseguenze. La morale altera la regola del mercato perchè quest'ultima funziona nella regola della competizione, del migliore che costruisce il modello a cui riferirsi. Il liberalsocialismo.....e come pensi che siano stati conquistati i diritti sociali e civili? Le socialdemocrazie del welfare state a quale pensiero si riferiscono? In Svezia il modello socialdemocratico era già esistente nei primi decenni di un secolo fa. I partiti socialisti nascono storicamente dalle scelte di parte dell'ideale socialista che sceglie la strada della rappresentanza parlamentare contraria alla rivoluzione. Il riformismo e i rivoluzionari stanno al pragmatismo e al massimalismo storico delle correnti dell'Internazionale socialiste. Filippo Turati fondò il partito socialista italiano come fuoriuscito dal movimento anarchico italiano. Il liberasocialismo in Italia è ricondotto all’incontro fra il pensiero liberale di Gobetti e il socialismo di Rosselli, Salvemini, Rossi Mai sentito parlare del libertarismo? Del socialismo liberale ? Le radici storiche sono comuni poi ogni stato ha i suoi endemismi. Il laburismo inglese con le labour party sindacali e i il partito liberale conservatore. Il partito democratico “liberal" statunitense e i repubblicani conservatori, e via dicendo. Ma non bisogna farsi sviare tanto dalle denominazioni dei partiti" Sono le radici storiche che sono fondamentali da capire. E sarebbe molto importante capire se le spinte liberal socialiste e/o social democratiche che hanno costruito il welfare state abbiano o meno esaurito il compito storico nelle conquiste dei diritti sociali e civili. Ma è davvero così? Perché è netta da anni la difficoltà di progettazione politica . Oppure ad esempio cosa significa oggi il diritto nella globalizzazione, nella soverchiante e sfuggente(perchè regolata da ordinamenti internazionali)potenza del mercato capitalistico? Cosa significa sviluppo compatibile? Lo sviluppo senza occupazione cosa comporta nelle regole della produzione e distribuzione del reddito in relazione al valore di giustizia sociale? Le migrazioni: lo ius soli o lo ius sanguinis? In altri termini ,oggi come rapporteremmo quei valori storici, la morale, all'interno di un sistema globalizzato? C e' molto per i filosofi da riflettere. |
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17-10-2013, 12.23.05 | #39 | |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
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A mio avviso le puoi condividere solo se ti metti in causa in prima persona. Ho espresso alcuni punti del mio pensiero, quelli che reputo principali, per condividerli o meno è necessario porsi direttamente le questioni evitando proprio di rapportarsi per schemi interpretativi od ottiche che allontanano il mondo dalla nostra capacità di entrarne in diretta relazione non preventivamente mediata dunque. La realtà preventivamente mediata dall’ottica interpretativa della nostra mente cancella ogni possibile diretta esperienza dei problemi, in questo caso il nostro atteggiamento, la nostra politica, diventa virtuale poiché il rapporto non è fra la nostra capacità di risolvere il problema ed il problema ma tra la nostra visione culturale del problema e l’altrui. Questa posizione che sembrerebbe in un primo tempo a noi vantaggiosa poiché ci consente una sorta di riparo crea inequivocabilmente una distanza insanabile fra noi e l’esterno e fra noi e ciò che consideriamo un problema. La conoscenza del pensiero altrui deve servirci come confronto e sprone per conoscere criticamente la nostra e non sostituirsi mai alla diretta messa a fuoco del problema, differentemente invece di fare uso dell’intelletto è l’intelletto come bagaglio di visione a usare noi e ciò si risolve in una virtualità di rapporto coi problemi e con l’altro da noi. Non sto dicendo che bisogna avere una mente vergine di visioni ed ottiche, una sorta di tabula rasa oltre che impossibile è solo metro di totale apatia ma che il rischio di rapportarsi ad una virtualità del reale e dei rapporti diviene in tale modo incalcolabile poiché ulteriormente nascosto. Non spieghi comunque perché mai ciò che ho negli altri interventi affermato è condivisibile solo presupponendo che l’oggetto sia creazione del soggetto. E non rispondermi che lo è in quanto tale si intende per minimi termini la visione idealista. Io amerei il confronto tra opinioni dirette le cui visioni si evidenziano da sole senza necessità di preporle, allora si potrà o meno essere d’accordo su di un punto o su mille punti ma tutto risulta in chiaro ed il confronto è fra interiorità e non fra presunte, preposte o peggio ancora assodate visioni. Se poi il tuo confronto desidera passare attraverso la critica o l’approvazione del pensiero di filosofi che non conosco la discussione di sicuro intellettualmente stimolante è però differente da una diretta e personale messa in discussione di ciò che avvertiamo come problemi. Altro è l’elaborazione di pensieri che troviamo utili al fine della risoluzione di ciò che sentiamo come problema e desideriamo valutarne possibili risoluzioni. E’ importante che la conoscenza di pensieri altrui non crei una barriera fra la nostra capacità di metterci in gioco in prima persona e l’acquisita conoscenza teorica, allora potremo andare fieri poiché di ciò che abbiamo conosciuto tramite pensieri altrui ne abbiamo fatto realmente tesoro vivendolo in coscienza nella nostra diretta esperienza interiore. Allora a nostra volta non siamo più al di fuori della storia del pensiero umano ma siamo entrati a farne parte, poiché per davvero l’abbiamo voluta ed accolta dando vita in coscienza ad un suo seguito completamente nostro, pertanto fra noi ed il reale viene a cadere qualunque separazione perché nel mondo ci andiamo interi. Ultima modifica di gyta : 18-10-2013 alle ore 09.25.55. Motivo: e>è |
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17-10-2013, 13.46.10 | #40 | |
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