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28-10-2013, 15.00.22 | #63 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
GIUSNATURALISMO Nasce con Grozio(1625). e termina circa nel periodo della grande codificazione napoleonica, poiché da quest’ultima nascerà la scienza giuridica,soprattutto in Germania dove apparirà la Scuola storica del diritto. Si pone con Hegel la fine del giusnaturalismo con uno scritto che lo criticherà. Mentre per i i giuristi filosofi del diritto naturale comprendono il diritto privato e quello pubblico (molto più il primo del secondo), per Hobbes ,Locke, Rousseau per i quali si può parlare di diritto pubblico moderno ,contrapposto a quello medievale ed antico, l’argomento delle loro opere è quasi tutto improntato sul diritto pubblico:sul fondamento e sulla natura dello Stato. Gli uni appartengono alla storia delle dottrine giuridiche, gli altri a quello delle dottrine politiche. Accade che per la prima volta nella storia viene adottata una metodologia dimostrativa sulla condotta umana riducendola dalla morale e dal diritto. Ciò che scaturisce nel suo complesso non è tanto l’oggetto(la natura) ma il modo di affrontarla (la ragione), non un principio ontologico che presuppone una metafisica comune che di fatto non c’è mai stata, ma un principio metodologico. Hobbes un empirista parte da una analisi psicologica della natura umana, Kant e Fichte erano formalisti che deducono il diritto da una idea trascendentale dell’uomo, tant’è che si indico come diritto razionale quello kantiano. Al di là delle divergenze ,tutti tentarono una costruzione di una etica razionale distaccata dalla teologia nacque anche per l’epoca del libertinaggio per dare un’etica che la teologia non sapeva più rispondere e per la fiducia nella ragione che già in alcune discipline scientifiche aveva dato frutti. Hobbes riteneva che la sofferenza umana nascesse dall’assenza di un modello matematico nella condotta umana, per cui il suo intento era cercare una rigorosa morale attraverso il mutamento del metodo. Questo poiché a lungo era invalso il concetto aristotelico secondo cui la matematica dimostra mentre da una proposizione di un oratore non si può dare che una interpretazione di probabilità che sia vera. A quei tempi i giuristi erano studiosi di topica, cioè la dialettica o arte del disputare e alla retorica , arte de persuadere. Questa è sola la premessa minima di base di un periodo fondamentale della cultura e storia umana, quell'Umanesimo che supera il medioevo, in cui le religioni cominciano a perdere quel "potere" di condizionamento teologico, culturale, sulla condotta umana. Appare Galileo si, si comincia a dare importanza alla ragione umana, alla possibilità che il destino umano sia nelle nostre mani e non la forza di un destino dettato da un dio. Per cui sono le metodologie che mutano profondamente il modo di approcciarsi al fenomeno e alla sua descrizione, la stessa cosa cerca di essere portata nelle scienze umane che culminerà nell'Illuminismo , negli enciclopedisti, ecc. E' molto importante il liberalismo che nasce dagli empiristi inglesi. Ma tratta soprattutto del diritto privato come ho scritto sopra. E' fondamentale tenerne conto, perchè si capisce la radice di quel pensiero che vuole meno Stato e più privato, cioè quella dialettica storica fra cittadino e Stato che tende a normificare il rapporto fra sfera privata e sfera pubblica e quindi fin dove lo Stato può prescriver obblighi e fin dove il privato può determinare il suo diritto. Fai bene quindi ad evidenziarlo: è molto importante nno solo come concetto liberalistico. Le dottrine sociali (ma quì stiamo già correndo) sono quelle che tendono come aspetto democratico a dare importanza allo Stato come una grande "coperta" protettiva sulle problematiche economico-sociali, ma spesso perde di vista la sfera del diritto privato. Quì sta quella dialettica storica fra più libertà e meno uguaglianza o viceversa, che determineranno nelle loro estremizzazioni, il sistema capitalistico dei privilegiati e delle classi sociali, o il sistema del tutto uguali , ma succubi della volontà dello Stato, con pochissimo o nulla come diritto privato, Dal post rivolto a Gyta in riferimento alla Costituzione italiana, si deve tener presente che l’italia uscì sconfitta dalla Seconda guerra mondiale, insieme a Germania e Giappone. I vincitori furono ovviamente a favore dell’istituzione di repubbliche , ma il timore che i “germi”culturali potessero rinascere, queste costituzioni erano “bloccate”. Per cambiare articoli fondamentali dell’ ordinamento costituzionale repubblicano ci vogliono maggioranze parlamentari schiaccianti e per formare governi ci volevano coalizioni di più partiti( il sistema proporzionale come forma elettiva) Tutto questo garantiva dalla possibilità che ci fosse una partito “forte” che potesse minare i principi democratici (oltre alla ricostruzione del partito fascista , temevano il partito comunista ). |
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28-10-2013, 22.42.39 | #64 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
Il marcio è OVUNQUE vi sia politica. Perchè la politica ha la necessità primaria di prendere, o mantenere, il potere (quello che definisco, post addietro, "peccato originale"). Non esiste un partito che non aspiri al potere (magari solo quello del "sottobosco", delle presidenze di enti etc.). Non sarebbe neppure logico esistesse, perchè un partito nasce come espressione di certi interessi ben precisi; interessi che sono, appunto, quelli della sua "parte". E questo fin da quando il "partito" emise i suoi primi vagiti, vale a dire nell'Atene di Solone. Un partito democratico (non "il"...) non può essere nulla di diverso dalla espressione di un interesse di una certa "parte", o "fazione". E l'interesse della propria parte lo si fa bene quando si comanda. I partiti che si presentano in coalizione, o che non vi si presentano, lo fanno sulla base di una precisa strategia. Ad esempio, alle ultime votazioni i partiti della cosiddetta "sinistra radicale" (per i quali io esprimo da sempre il mio voto) non sono stati ammessi in coalizione con il centro-sinistra, ma essi lo avrebbero voluto eccome. L'alleanza comunque continua imperterrita a livello di enti locali (dove le strategie e le tattiche rispondono a logiche diverse). Sulla "violenza di stato", suvvia. Violenza è quella che avviene in certi paesi (vedi l'Egitto, dove il legittimo governo dei Fratelli Musulmani è stato rovesciato con un colpo di stato senza che nessun "democratico" nostrano abbia fiatato), non certo quella all'acqua di rose della nostra polizia. Vorrei, infine, dire anch'io le cose che tu dici sulla "liberazione", ma non lo posso fare. Dalle mie parti era attiva una Brigata Partigiana, la quale (parole del suo comandante, morto da non molti anni) era in possesso di ben 10 (dieci) fucili. Inutile dire che non è così che si vincono le guerre... Per concludere, no, non sono anarchico. Ritengo anzi l'anarchia impossibile (come potrebbe "essere"?). Che gli anarchici mi siano simpatici però è vero (diciamo che li ritengo degli "improbabili sognatori"). ciao (diciamo anche che mi spiace dirti le parole che dico, ma la colpa è della filosofia, che mi impone sempre di dire la verità ) |
29-10-2013, 19.34.29 | #65 | |||||
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La filosofia senza filologia è monca philos senza sofia.
Citazione:
Perdonami, ma questo è rispondere coi paraocchi e non essere critici e propositivi. Allora che scopo avrebbe questa tua discussione? Quella di lamentarsi di ciò che sentiamo non funzionare? Quella di fare una bella foto di interpretazione storica ? Una bella foto di un presunto marcio congenito ? Congenito a che? Questa la reputi una analisi propositiva? Oppure per “analisi” intendi lo stilare una sequenza di fotogrammi evidenziandone senza alcuna indagine propositiva le radici marce? Citazione:
La politica -se ci togliamo i paraocchi e i paraorecchi– ha la necessità primaria di definire i diritti ed i doveri di una comunità. Il potere con il ruolo della politica non c’entra nulla. Il potere che entra nel ruolo della gestione di una comunità -sia questa per numero di individui tribù o stato- denuncia il tradimento stesso del concetto di comunità e il travisamento del concetto di amministrazione del bene pubblico. Il termine potere che così tanto trafughiamo come prezzemolo in cucina altro non va che a indicare un rafforzativo delle mansioni relative alla gestione di ciò a cui si riferisce. Abbiate la cortesia di seguirmi in questa accademica noiosa ma tanto utile ricostruzione.. Prendiamo un semplice vocabolario per renderci conto del significato oggettivo del termine pulito dai significati aggiunti della sfera emozionale esperienziale del contesto educativo [ =>“educativo” che qualcuno chiama culturale]: Citazione:
Letto questo ci risulta chiaro che ciò che più spesso erroneamente chiamiamo “potere” dà significato a tutt’altro vocabolo. Irrompe dal senso di autorizzare sconfinando alla radice prossima di tutt’altro termine, quello di autorità. Allora andiamo a vedere pure questo: Citazione:
Finalmente svelata l'origine dello sconfinamento! Ad un certo punto la facoltà di esercitare per competenza si associa al significato o più propriamente al sentimento di influenza e ne determina l’alone virtuale di ciò che da originaria definizione di azione diventa possesso -inteso non più come abilità, preparazione o virtù- ma come un avere. Non più un esercitare per competenza ma un avere. Qui l’avere si appropria dei significati aggiunti di possesso e, travisato, di diritto: possedimento di un avere per diritto. Quale avere? L’avere competenza, l’avere esercizio. Non più l’esercitare competenze ma rappresentare l’anima virtuale del possesso (non di competenze) dell’esercizio di competenze! Citazione:
L’esercito contro una minoranza non mi pare faccia parte dei piani garanti della pace in un presunto stato democratico. Eccolo il “tuo” Machiavelli, quello dedito a scattare fotogrammi senza prendersi la briga di esaminarli per davvero. Case disabitate da decenni lasciate marcire e folle di sfrattati che si mobilitano ad occuparle facendo turni di sorveglianza per non essere colti nel sonno da un mitra puntato alla testa non mi pare certo la risultanza di una gestione democratica dei mandati politici del governo di uno stato democratico. Per non parlare anche solo dello sciopero regolamentato fallendo così ogni originaria ragione di scopo. Perché non ci stiamo riferendo ad una oligarchia come forma politica se non erro ma sino ad ora ci stiamo riferendo a ciò che sulla carta viene inteso come democrazia politica. O sbaglio? Ultima modifica di gyta : 30-10-2013 alle ore 00.29.57. |
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29-10-2013, 20.25.54 | #66 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
Trovo che le concezioni di diritto "naturale" e di diritto "positivo" abbiano una storia molto più lunga di quella che indichi. Già negli antichi Greci esse erano presenti come distinzione di "physis" e di "nomos", e presenti sono tutt'ora. Diciamo che, in Grozio, il diritto naturale perde la sua connotazione teologica, per diventare: "evidente anche se, cosa empia, Dio non esistesse". E non finisce certo con la codificazione napoleonica, visto che esso è presente in quella "costituzionalità" che è di derivazione anglosassone (cos'altro è, una costituzione, se non un insieme di norme volte a tutelare principi ritenuti immutabili?). Io penso che fra Hobbes, Locke e Rousseau vi siano profonde differenze, tanto che vedrei molto problematico l'assommarli assieme come fautori di un non ben definito "diritto pubblico moderno". Per Hobbes, l'uomo è libero di fare, non di volere. Egli dice sì che il diritto naturale è un dettame della ragione (come per Grozio), ma la sua è una ragione limitata (appunto dalla non-libertà di volere). Locke si muove sulla stessa riga. Per lui libertà e ragione sono limitate, e dunque fallibili. Diverso è il punto di vista francese, e dunque anche di Rousseau, per il quale la ragione è illimitata. Ma qual'è l'esito "concreto", cioè filosofico-politico, di questo diverso modo di intendere la ragione? E' chiaro che sia Locke che Rousseau fanno propria la teoria del cosiddetto "stato di natura", nel quale la libertà politica è la libertà di non sottostare ad altra legge se non quella stabilita per consenso dai membri della comunità. Però, ed è questo il punto, per Locke e per la filosofia empirista inglese lo stato di natura è uno stato "reale", mentre per Rousseau è "ideale". E' facile individuare il perchè si giunga a questa differenziazione: se la ragione è intesa come limitata (e questo avviene praticamente in tutte le teorie necessitaristiche), allora lo stato di natura, per poter assumere carattere normativo, non può che essere inteso come realmente esistito. Al contrario, una ragione illimitata potrà porre, essa, l'idealità come avente carattere normativo (è questo che fa dire a Voltaire: "se volete buone leggi, bruciate tutte quelle che avete" - parole che mai potremmo sentire dai "necessitaristi" inglesi). E' per questo che ti dicevo dell'importanza del punto in questione. Un punto nel quale, a mio avviso, si rende evidente il sorgere di quella che sarà la successiva distinzione fra la democrazia costituzionale inglese e la democrazia assoluta (detta "giacobina") francese. La democrazia costituzionale, o liberaldemocrazia, ponendo come sue basi fondative gli accordi che individui liberi stipulano fra di loro (e che consistono sostanzialmente in una cessione parziale di questa loro libertà originaria in cambio di una maggiore sicurezza), non potrà allora che ri-produrre come "costituenti", cioè come immutabili, quegli stessi diritti naturali di cui Grozio decretava l'evidenza (cambiandone l'origine, ovvero trasmutandoli dalla ragione infallibile di Grozio alla realtà di un fatto storicamente verificatosi). E dunque no, non credo che dall'empirismo inglese si origini soprattutto il Diritto privato. Quella inglese e quella francese sono due distinte visioni del medesimo oggetto: lo stato (non due visioni di due oggetti differenti). Il problema è semmai nella visione per certi versi diametralmente opposta che assume lo "stato" inglese e quello francese (a mio parere è il caso di dire "europeo-continentale"). Nella visione inglese l'individuo "precede" lo stato, che appunto si origina dall'accordo fra gli individui. E l'individuo rimane preponderante SULLO stato (spesso definito "male necessario). Mentre in quella europeo-continentale è lo stato a precedere un individuo inteso come "cittadino" (con ogni evidenza: cittadino DELLO stato, ovvero parte di un "tutto" che lo sovrasta qualitativamente). Non a caso lo stato diverrà, in Hegel, "Iddio reale", cioè diverra "stato etico". Ma questo è il motivo per cui la libertà "autentica" (che è quella dell'individuo) la ritroviamo solo nel modello inglese di stato. ciao |
30-10-2013, 20.25.52 | #67 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
Benissimo, eccoti allora un paio di proposte (le principali di cui, credo, abbia bisogno il nostro paese). 1) Abbattimento del debito pubblico (attraverso vari strumenti, come la vendita del patrimonio pubblico; la lotta all'evasione; la razionalizzazione della spesa etc.), perchè se si continuano a pagare 80 miliardi di euro all'anno di interessi ogni discorso sulle politiche di risanamento è vano. 2) Ripensare, dopo decenni in cui non si è fatto, alle politiche economiche (istruzione, tecnologie, supporto alle imprese, piani industriali etc.), perchè questo paese soffre di gravissimi problemi, ma fra questi il più grave in assoluto è una economia che non ha retto l'urto della globalizzazione, e ha perso progressivamente competitività. Ora, vorrei sia chiara una cosa: se io fossi un politico (ti confido di esserlo stato per diversi anni, anche se solo a livello locale), per attuare questo programma avrei PRIMA DI TUTTO bisogno di una cosa: vincere le elezioni, cioè prendere il potere politico. Stessa identica cosa dicasi per finalità politiche apparentemente più "alte e nobili" di quelle da me citate (ma senza MAI dimenticare che, come dicevano gli empiristi anglosassoni, PRIMA di "dover-essere" si deve "poter-essere" - chi ha orecchie per intendere intenda...): è sempre necessario, come primo passo, prendere il potere politico (io lo dico con estrema crudezza, ma è per far intendere che non è di "melodie armoniose" che parliamo quando parliamo di politica). Non mi sembra che le definizioni di "potere" che riporti dicano altro da quanto da me affermato: se io voglio realizzare quei punti devo avere la possibilità di farlo. Ovvero devo "poterli" realizzare. E li posso realizzare mettendomi nella condizione di poterlo fare, ovvero assumendo il "potere". Non mi sembra che la voce riguardante l'"autorità" aggiunga niente di significativo, essendo quella dell' "autorità" una categoria molto più vasta di quella del "politico" (qualsiasi usurpatore del potere politico, qualsiasi "golpista" che si sia visto nella storia ha sempre rivendicato per se l'attributo di "auctor"). Aspetto tue considerazioni (trovo interessante discutere con te ). ciao |
30-10-2013, 22.37.33 | #68 | ||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
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Poi mi viene da pensare che oltre all'essere e al dover essere c'è anche il poter essere che forse è ciò che appartiene alla dimensione politica. L'agire politico come costante apertura alle potenzialità che offrono i vari contesti sociali, una potenzialità che va oltre sia alla presa d'atto della situazione esistente pur considerandola come punto di partenza e che rifiuta ogni imprescindibile dovere dettato da un comandamento o da un'utopia. Mantenere l'apertura alle potenzialità di un sistema significa non precludere mai nulla, nemmeno ciò che è minoritario, significa non tanto realizzare compromessi, ma individuare percorsi che riducano al minimo ogni esclusione, significa che il vero politico non può essere l'uomo forte e deciso che crede di vedere chiaro come stanno o devono stare le cose, un trascinatore di folle in cerca di guida, ma all'esatto contrario, colui che sa intuire percorsi di reciproco equilibrio tra tutte le forze contrastanti. Forse è questa la vera virtù politica, se ancora può averne uno. |
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31-10-2013, 00.00.36 | #69 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
ciao 0xdeadbeef.
Permettimi di chiarire alcuni punti fondamentali, preferisco "andare piano", prima di entrare nei concetti da te espressi. Anche i diversi punti di vista dei vari autori nel giusnaturalismo moderno( certo vi era anche nell'antichità e per certi versi sopravvive tutt'oggi), probabilmente se riesco li tratterò Le grandi dispute metodologiche che avevano diviso i tradizionalisti dagli umanisti, era sul diritto privato.. Seppure anche nel diritto romano c’è il diritto pubblico questo viene separato dal diritto privato. Mentre il diritto privato si era evoluto quantomeno nella sua interpretazione, il diritto pubblico moderno era nato da conflitti di potere sconosciuti alla società antica.: innanzitutto il conflitto fra potere spirituale e potere temporale e poi il conflitto fra”regna” ed “imperium” o tra “regna” e “civitates”. Questo embrione di diritto pubblico che si era giovato dalle categorie del diritto privato permetteva di analizzare il potere del sovrano attraverso la scomposizione e la ricostruzione dei diritti dei proprietari e dei diritti reali in genere (reali intesi come “res” cioè cosa) e soprattutto alla teoria del “pactum” che dovevano servire per spiegare i rapporti fra sovrano e sudditi e avevano permesso di studiare il problema fondamentale dell’obbligo, dell’ubbidienza alle leggi da parte dei sudditi (sarà poi chiamato obbligo politico). Lo Stato come prodotto della volontà razionale come quello a cui si riferisce Hobbes, non è mai avvenuto, è una pura idea intellettuale; nella evoluzione delle istituzioni da cui è nato lo Stato moderno è avvenuto il passaggio dallo Stato feudale allo Stato dei ceti alla Monarchia assoluta allo Stato rappresentativo. Il modello costruito sulla base di due elementi fondamentali: lo stato o società di natura e lo stato o società civile , è dicotomico. L’uomo si trova a vivere o nell’una o nell’altra parte e non contemporaneamente. Lo stato naturale è lo stato non politico e viceversa. Lo stato politico sorge come antitesi allo stato naturale e quest’ultimo risorge quando lo stato politico viene meno allo scopo per cui è nato.La contrapposizione è che nello stato naturale gli elementi sono gli individui come singoli isolati e non associati, se pure associabili, che agiscono non secondo ragione, ma per passione, istinti, interessi.; nello stato civile c’è l’unione degli individui isolati in una società perpetua che permette una vita secondo ragione. Il passaggio dell’una all’altra nno avviene per forza di cose,, ma mediante una o più convenzioni cioè mediante uno o più atti volontari . Lo stato civile è uno stato “artificiale”, prodotto di una cultura e nno di natura. .Nella società naturale l’uomo può trovarsi a vivere indipendentemente dalla sua volontà,come nella società familiare o padronale; il principio della legittimità nella società politica è il consenso. Il concetto di stato di necessità è aristotelico, quando questi spiega che le evoluzioni delel società sono espresse nelle logiche naturali dello sviluppo quantitativo e non qualitativo, cioè per aumento della popolazione, per estensione del territorio, così che lo Stato invece di essere concepito come “homo artificialis” non è meno naturale che la famiglia.. In questo quadro il principio di legittimazione della società politica non è più il consenso, bensì lo stato di necessità o la natura sociale dell’uomo. Queste concezioni diverse portano alla fondamentale teoria dello Stato:origine, natura, struttura,fondamento,legittimi tà e il potere politico in relazione a tutte le altre forme di potere dell’uomo sull’uomo. Nei due modelli, aristotelico e giusnaturalistico hobbesiano(ad esempio) nel primo all’inizio c’è la società familiare, nel secondo l’individuo. Nel giusnaturalismo quindi l’inizio è l’individuo al di fuori da qualsiasi organizzazione sociale in uno stato di libertà e uguaglianza e indipendenza reciproca, ed è a questo stato che guarda l’ipotesi contrattualistica. Nello stato di natura libertà e uguaglianza sono naturali, nello stato aristotelico sono naturali la dipendenza e la disuguaglianza. Questo stato di natura con i suoi diritti naturali individuali è il punto di riferimento della nascente classe borghese. E qui fondamentali diventano i seguenti argomenti. Essendo lo stato di natura governato dai rapporti più elementari, la sfera politica è distinta da quella economica come quella privata è distinta da quella pubblica., cioè il fondamentale passaggio dalla società feudale in cui viene a cessare la confusione fra potere politico ed economico. La sfera dei rapporti economici è retta da proprie leggi di esistenza e di sviluppo che sono leggi naturali; rappresenta l’emancipazione di una classe borghese che diventa dominante. Nello stato in cui gli individui sono singolarità in contatto o in conflitto fra loro per il possesso o scambio di beni, lo stato di natura riflette la visione individualistica della società e della storia che diventa distintiva della concezione del mondo e dell’etica borghese. La teoria contrattualistica cioè la concezione di uno Stato fondato sul consenso degli individui rappresenta la tendenza di una classe che si muove verso l’emancipazione politica oltre che economica e sociale cioè ideologicamente dominante che deve conquistare il potere politico e quindi creare lo Stato a sua immagine somiglianza. La tesi che il potere è legittimo solo in funzione del consenso è tipico di coloro che nno hanno ancora il potere |
31-10-2013, 01.21.09 | #70 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Maral
Se l'osservato dipende dall'osservatore (principio di indeterminazione), allora no, non è possibile un discorso che non implichi in modo più o meno sottinteso dei giudizi di valore. Tuttavia, io credo che se vogliamo evitare che una qualunque enunciazione abbia il medesimo valore di una qualsiasi altra enunciazione, allora un distinguo è da fare. Come afferma D.Shapere ("Reason and the search for knowledge"), gli insiemi di informazioni che originano i problemi, pur essendo variabili storicamente, presentano una connessione razionale. Una connessione razionale che è, per forza di cose, contingente, visto che comunque non può esistere un modello assoluto di esperienza e di verità. Detto ciò, ribadisco che la dimensione politica, in quanto distinta da quella privata, nasce (nell'Atene di Solone in maniera evidente) e si sviluppa come tentativo di conciliazione di interessi particolari. In realtà, quel che emerge è soltanto una tensione "verso" questa conciliazione (quante volte avrai sentito dire: "sarò il presidente, o il sindaco, di tutti"). Ma resta a mio avviso indubbio che la "parte" politica vincente fa soprattutto l'interesse dei propri sostenitori ("elettori", nel caso della democrazia). Questo è quello che quotidianamente verifichiamo (nel governo delle "larghe intese", il PdL incassa l'abrogazione dell'IMU e il PD il finanziamento degli ammortizzatori sociali). Probabilmente, il molto discutere di argomenti filosofici ci fa perdere di vista queste evidenze... Parlare di "homo, homini, lupus" o del suo contrario ritengo sia fuori luogo. Nelle democrazie costituzionali vi sono (o vi dovrebbero essere) norme che tutelano gli individui e le minoranze da ogni tipo di arbitrio delle maggioranze (ne parlo in questo stesso post con Paul11). Per quanto riguarda il "poter essere" poni l'accento su un punto fondamentale, ma di cui già accenno in risposta a Gyta. "Poter essere" e "dover essere" sono, per me, l'equivalente di quelle etiche (della responsabilità e del valore) di cui parlava Max Weber. ciao |