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25-10-2013, 13.55.23 | #53 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
"Quando una nazione sbaglia, è nostro dovere e compito correggerla". Riporto ancora e integralmente questa frase, perchè in essa c'è tutto ciò che c'è da discutere (una sintesi mirabile, senza alcun dubbio...) a proposito del contesto di cui stiamo discutendo. Comprenderai bene come questa frase potrebbe benissimo essere il motto di un qualche "gendarme del mondo". La vedo bene nella bocca di G.W.Bush e della sua cricca di Neocon, ai tempi in cui essi "fabbricavano" le prove contro quei paesi accusati di connivenza con il terrorismo. La vedrei bene persino sulla bocca di Hitler, se non fosse che lui avrebbe preferito un gergo certamente più netto e guerresco. La vedo comunque molto bene sulla bocca di qualsiasi "educatore"; naturalmente riferita non ad una nazione. Dalla tua precedente risposta, presumo che tu ti fossi riferita non ad una "nazione", ma ad una società (la nostra nella contemporaneità). Ti faccio comunque notare come la frase possa prestarsi benissimo a, diciamo, visioni molto più allargate che non quelle meramente sociologiche... No, non trovo che il buonsenso di migliaia di persone ("che si sentono trasformate in macchine per far soldi") dica che questa è una società sbagliata. O meglio (e pur dicendolo anch'io...): vi sono altre migliaia di persone che pensano che questa sia la migliore delle società. E allora: che si fa? In democrazia si è usi votare per un partito che, più di altri, rappresenti l'opinione di coloro che lo votano. Trovo ridicolo dire, come fanno in tanti, che non si è rappresentati da nessun partito: bastano 500.000 firme per fondarne uno. C'è una ed una sola alternativa alla risoluzione pacifica delle controversie che offre, o che dovrebbe offrire, la democrazia: la presa del potere politico mediante l'uso della forza. Questi due sono gli unici modi che le migliaia di "io" hanno a disposizione per determinare un qualche cambiamento (un qualche cambiamento, intendo, che sia della società e del suo governo). "Tertium non datur", come disse qualche antico saggio. Aspetto tue considerazioni. ciao |
25-10-2013, 15.11.47 | #54 | |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
E già.. e per dirlo con le parole di Marx : “ Il salario? Volete essere schiavi del salario??? Cosa rende l’uomo schiavo? Il salario!! Io vi voglio liberi!!! Non c’è niente di meglio della libertè ..tranne forse la fraternitè e l’egalitè.. E vi voglio solidali! Uno per tutti e tutti per me.. “ * (Groucho, però) |
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25-10-2013, 19.52.59 | #55 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
"Le rivoluzioni si compongono di due ingredienti. Uno varia secondo i gusti (l'ideologia che le anima); ma uno è invariabilmente fisso: la pancia vuota. Le rivoluzioni si sono sempre fatte rigorosamente a stomaco vuoto". Oxdeadbeef (modestamente ), in risposta ad un vecchio e caro anarchico scomparso ormai da tempo. ciao |
25-10-2013, 20.06.39 | #56 | ||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
rifiutandosi di sostenere -per l’appunto- il binomio potere e amministrazione pubblica. Questo binomio lo si spezza solo attraverso il dissenso individuale. Allora possiamo cominciare a parlare di égualité ancor più che di democrazia. Non è la nascita di ulteriori partiti la risposta ma la ferma determinazione a mutare quel volontario sottostare al potere. Logico che questa strada difficilmente sarà seguita da chi ha una casa ed intende tenersela o da chi teme di perdere quel poco di pace apparente sulla quale trascina la propria vita. Ecco perché spesso rammento ‘ciascuno secondo capacità ed i propri tempi’. Questa strada non si percorre sino alle sue ovvie conseguenze dall’oggi al domani, serve una preparazione, una maturazione profonda nelle persone allora sarà possibile iniziare ognuno coi propri tempi a percorrerla. Citazione:
Ultima modifica di gyta : 26-10-2013 alle ore 12.52.00. |
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25-10-2013, 21.51.35 | #57 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
A mio parere, sottovaluti troppo una storia, quella inglese, che ha grandi tradizioni in fatto di "libertà" (individuale). In questo paese il cattolicesimo "romano" (e prima lo stesso impero), con la sua pretesa di universalità, non attecchisce come invece avviene in altri paesi. In Inghilterra il sovrano non è mai "assoluto" (il fenomeno del feudalesimo, complici anche certe tradizioni degli Angli e dei Sassoni, caratterizza tutto il medioevo ed anche oltre). La "Magna Charta", così celebrata dagli Inglesi - ma la cui importanza non vorrei esagerare - è il primo documento "scritto" (!) in cui il sovrano si impegna a garantire la "libertà" dei baroni a lui sottoposti. Fondamentale vi è l'apporto dell'Ordine dei Francescani, prudentemente fuggiti dal "continente", che con la loro visione peculiare della teologia contribuiscono non poco a creare il "sostrato" da cui si originerà la filosofia empirista (G.D'Ockam, sostanzialmente, "libera" la filosofia dal dogma religioso). Nel medesimo periodo storico, Enrico VIII d'Inghilterra rivendica la propria "libertà" dal potere papale, mentre Enrico IV di Francia, di fede ugonotta, dice che: "Parigi val bene una messa" pur di regnare indisturbato. Credi, insomma, sia per un caso che l'Inghilterra è stata sempre meta di esuli di ogni tipo (ricordo solo Mazzini e Marx)? Io non lo credo un caso. L'Inghilterra è sempre stato un paese in cui la "libertà" ha potuto contare su solide strutture; prima filosofiche, poi politiche, giuridiche e financo sociali. Ma veniamo un attimo (l'argomento è di una vastità sconcertante, e credo tu convenga nel ritenere impossibile una sintesi almeno "decorosa") a quello che a mio parere è un momento storico-filosofico davvero dirimente: il 700 e l'Illuminismo. Proprio Montesquieu, e pur essendone ammiratore, sostiene l'impossibilità di trasferire il modello filosofico- politico inglese ad altre culture. Ma perchè Montesquieu afferma questo? A mio avviso la radice del motivo va cercata nel differente approccio religioso. E' infatti, lo accennavo, il concetto di "provvidenza" che porta Locke a teorizzare (mutuandolo da Grozio) una libertà limitata da certi diritti "naturali", cioè immutabili. Non è così per il pensiero europeo-continentale, al quale il concetto di "libero arbitrio" dà quella "problematicità" che è invece esclusa dal pensiero inglese. Nell'Europa continentale, il diritto naturale (che costituisce, nel pensiero inglese, il primo "grumo" della costituzionalità) non è immutabile, ma è "posto" (giuspositivismo) da una ragione, essa, illimitata e dotata di arbitrio libero (e quindi da una libertà illimitata nel suo arbitrio). E' qui, in questo preciso "punto" che nasce la democrazia "giacobina" (cioè priva di costituzione). Ma non solo, è qui che nasce la concezione politica di Voltaire ("se volete buone leggi, bruciate tutte quelle che avete"), così anti-tradizionalista. Che saldandosi a quella di Rousseau ("Il contratto sociale") darà il "là" a quell'idea di "io comune" che porterà alla esplicitazione politica di Saint Just circa la "volontà generale". Il resto lo farà la filosofia hegeliana (la sua teoria dello stato come "Iddio reale"), che guarda caso non penetra in Inghilterra (anche se ormai è il caso di parlare di "paesi anglosassoni" sui generis). Ed è curioso il come, da un presupposto (il libero arbitrio) che farebbe pensare a sviluppi diversi, si sia poi sviluppata quella forma di stato che chiamiamo "etico", e che è negatore di qualsiasi libertà individuale. Questo è il motivo per cui, nonostante tutto, è ai paesi anglosassoni che bisogna guardare quando si parla di "libertà" (che è sempre intesa come individuale, o altrimenti si chiamerebbe "diritto" - come in Montesquieu, il quale parla di una libertà che è garantita dalla legge - e non, essa, garante della legge come in Locke - e di un individuo che egli chiama "cittadino"). ciao |
26-10-2013, 18.22.11 | #58 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
I principi costituzionali non sono norme piovute dal cielo. Stendiamo un velo pietoso sui nostri "nonni", che tanto appoggiarono ardentemente il regime fascista quanto, nel momento in cui le cose cominciarono ad andare diversamente da come si pensava andassero, si sfaldarono moralmente. Pochi furono i partigiani, e pochissimi quelli che combatterono con la RSI. Onore a questi, ma la stragrande maggioranza pensò solo alla pellaccia (ma non vorrei aprire una polemica su questo). La nostra Costituzione, hanno ragione quelli che lo dicono, è "bellissima". Ma è il chiaro frutto di un compromesso (fra vari attori politici). Ne è risultato un insieme di norme assai "propositive", ma molto poco "prescrittive" (essa non è per nulla rigorosa, e questo è un grave difetto). Tant'è, ed è uno scandalo, che essa è facilmente modificabile mediante quelli che vengono definiti "colpi di maggioranza". Sto cercando di comprendere il tuo punto di vista sull'impegno individuale. Lo condivido; ma tu, che sei chiaramente persona intelligente, non puoi fingere di non capire la "crudezza" del mio ragionamento. "Nella storia si son sempre viste o repubbliche o principati", diceva Machiavelli. Ed aveva ragione. Il potere politico si esprime in due soli modi. O esso è democratico (secondo vari gradi di democraticità), o esso è autocratico, cioè è un potere che si auto-nomina (generalmente in virtù della "forza", secondo vari significati di questa). Non è mai esistita, non esiste e non esisterà mai una terza opzione. L'impegno individuale serve, e serve molto. Ma "ad un certo punto", questo impegno si trova necessariamente ad un bivio. Il medesimo bivio in cui ad un certo punto si trova il cosiddetto "movimento", costretto a scegliere se essere democraticamente un partito o se essere una fazione extraparlamentare. La storia è piena di esempi di questo tipo, a cominciare dalla vicenda della Chiesa Cattolica, quando (con Gregorio Magno) si trovò davanti al "problema" del potere politico. ciao |
27-10-2013, 17.49.27 | #59 | |||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
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Differentemente sarei maggiormente d’accordo più che sul progettare la fondazione di un nuovo partito politico fondato su quei valori umani cercare di portare quei valori umani per davvero centrali nel programma politico di quel partito che sento maggiormente poterli rappresentare. E a questo punto che una conoscenza approfondita delle normative in materia di finanza, economia, costituzione ed accordi internazionali 'mi' necessita fondamentale: qui la maturità umana e la conoscenza profonda politica devono proseguire strettamente unite -come polmoni e cuore di un medesimo corpo- difficilmente allora il programma mancherà di realtà o cozzerà nella pratica contro quelle necessità umane fondanti quei medesimi valori non virtualmente umani. Qui necessita quella preparazione della filosofia politica, dell’economia finanziaria, del diritto e delle normative internazionali come unico corpo di preparazione dei politici responsabili alla presentazione ed alla correzione del programma di partito. In tale senso ho trovato controproducente la direzione presa verso la mancanza di un finanziamento pubblico ai partiti che in tale caso con difficoltà possono contare su di una reale accuratezza di indagine e coerente sviluppo nei tempi dei piani proposti. I responsabili curatori del programma di partito necessitano poi di un linguaggio fra loro e verso i sostenitori e presunti tali che non sia il burocratese od il politichese per non addetti : questo punto è centrale ed è al contempo l’altra faccia di quel cuore di autentica maturità che abbisogna di condivisione e non di condivisione apparente. Sulla presa del potere politico con violenza non sono d’accordo poiché semplicemente tradisce nel nocciolo quel suo medesimo proposito di portare liberazione: è il concetto di potere che va ad ogni livello combattuto. Altro è l’inviolabilità dell’individuo. Citazione:
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27-10-2013, 20.01.53 | #60 | |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
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La volontà di potenza non è tanto volontà sopraffazione, dice bene Adler, è un concetto assai primitivo e inefficace questo della sopraffazione, ma è piuttosto volontà di usare ogni ente come mezzo ad essa dedicato, ovviamente selezionando i mezzi più funzionali allo scopo e per questo la competitività diventa un tratto essenziale: il mezzo che si dimostra più competitivo è quello più efficace, più degno per lo scopo autoreferenziale della potenza. Non per me, ma per il mio gruppo, per la mia società, per il progresso, per l'ideale, per la missione e via dicendo, ma soprattutto non per me, ma per la potenza in sé che via via si incarna nei vari idoli in cui l'uomo la incarna, finché morti tutti gli idoli che uno dopo l'altro si rivelano impotenti, non resta che il niente, solo allora la potenza è perfetta, sopra di tutto, perché tutto, essendo niente, è qualcosa solo per volontà della volontà di potenza che non è certo la volontà di un singolo uomo, fosse pure l'imperatore del mondo intero. Questo è il grande senso del percorso di Nietzsche che certo vuole abbattere ogni idolo, ogni morale, per ricondurre ogni idolo e ogni morale all'uomo che, l'ha originato e che rinascendo come super uomo, si riappropria di quanto gli è stato alienato, ma così facendo proprio quel super uomo non può che ritrovare dinnanzi a se stesso la più radicale impotenza, perché misconosce quella struttura astratta a cui ogni potenza per funzionare effettivamente deve continuamente riferirsi per continuamente abbatterla fino alla pura idea di potenza per la quale alla fine anche il super uomo è solo un burattino. L'apice del pensiero di Nietzsche è proprio in quell'eterno ritorno che come assoluta necessità cancella definitivamente ogni possibilità, ad esso il super uomo si adegua, si adegua per volontà, dice Nietzsche, una volontà quanto mai tragica, una volontà che è un urlo disperato, come se esistesse ancora una possibilità di scelta, mentre non ve ne è più alcuna e dopo quel grido può esserci solo la radicale insignificanza della follia, apoteosi della potenza stessa: il niente a cui il superuomo viene da se stesso a sacrificarsi. Perché non c'è alcuna volontà di potenza che non culmini proprio in questo niente, in questa totale alienazione che più di tutto vuole. Il superuomo è solo l'ultima vittima sacrificale, dopo restano solo i sottouomini, i mezzi per la realizzazione del niente che vivono senza accorgersi la loro quotidiana follia come assoluta e imprescindibile normalità. I sottouomini che ad esempio sanno far funzionare altrettanto bene un campo di sterminio come una fabbrica di caramelle, non perché lo vogliono, ma perché sanno che il far funzionare bene è tutto ciò che ad essi compete, siano direttori o semplici manovali, essi sono i mezzi multiuso perfetti. |
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