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14-12-2013, 04.59.44 | #127 | |
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Data registrazione: 02-02-2003
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Non c’è una sola cosa che non sia stata creata (dall’uomo) attraverso la cooperazione fra uomini.
Anche la guerra.. quando si è ciechi e spaventati. La prova l’abbiamo davanti e dentro i nostri occhi tutti i giorni. Dal neonato che non può sopravvivere senza madre all’adulto che non può nemmeno coltivare la terra se non avesse a disposizione gli arnesi costruiti dai suoi simili per dissodarla. Nemmeno la distruzione è possibile senza cooperazione. Mi sembra che la prova che cerchi sia più che evidente. E se ben valutiamo non si limita al solo genere umano ma all’intero ecosistema. Dal più semplice ossigeno che senza la vegetazione non ci consentirebbe la vita sul pianeta. Ciò che determina la violenza fra gli animali è la natura dei predatori la loro necessità di sopravvivenza e difesa ed anche fra loro la cooperazione è indispensabile. Noi esseri umani possediamo un intelletto capace di cogliere molto al di là di ciò che ci appare. Abbiamo il dono di un’intelligenza che ricerca una soddisfazione che non è mera sopravvivenza. Abbiamo gli strumenti per cogliere il nesso di ciò che lega fra loro le cose. Un nesso che ci appare solo se siamo disposti a vedere non solo la superficie delle cose e delle lotte. Quel nesso è che senza gli altri la nostra vita non sarebbe assolutamente possibile. Quale chiarezza maggiore ci occorre per vedere che è nella nostra natura di essere legati a doppio filo l’uno all’altro? Se questa chiarezza non è sufficiente per comprendere che la cooperazione è la legge profonda che segnala il percorso, la legge profonda dalla quale nessuno può sottrarsi, significa semplicemente che la paura ancestrale animale ancora presiede alla nostra facoltà intellettiva. Citazione:
Mira ai passi compiuti, mira dentro di te le forze contrarie, guarda ed ascolta dove vogliono portarti, ma soprattutto il perché vorrebbero andarci. Scoprirai allora molto di più sul perché delle difficoltà umane, allora comprendere la storia sarà vedere negli altri quelle stesse tue difficoltà a.. conoscerti. Ma non è uno sguardo dall’alto che ti consegna tutto questo. E nemmeno uno sguardo da dentro se il peso del dolore irrisolto ancora ci accompagna. Spero di essere stata più chiara.. |
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14-12-2013, 15.31.08 | #128 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Maral
Cerco di affrontare l'argomento dal punto di vista economico e politico (quindi dirò anche dove, a mio parere, si cela l'ideologia - direi addirittura l'aspetto metafisico). Dicevo che il pensiero di F.A.Von Hayek è fondamentale per comprendere la contemporaneità. Non capisco perchè questo pensatore sia ancora così (relativamente) poco conosciuto, perchè è alle sue teorie che bisogna guardare se si vuole capire cosa sta succedendo (altrimenti si finisce ai "forconi", e al grido giusto ma fuorviante di "politici ladri!"). Von Hayek è il principale esponente della Scuola Marginalista, cioè di quella corrente di economisti che, per primi, riconoscono il valore di un bene economico come valore di scambio fra gli attori economici (è qui che la teoria classica del valore come valore-lavoro viene destrutturata). Ma egli è molto di più che un economista. Il suo pensare spazia infatti ben oltre l'economia, tanto che non è certamente errato chiamarlo "filosofo". Von Hayek sostiene che l'"entità collettiva" è null'altro che un'idea. La scienza sociale non può prendere avvio da un'idea, ma dal "dato" che quest'idea origina: l'individuo (nota come la base di partenza di questa riflessione sia proprio il concetto di "valore economico" come valore che al bene attribuiscono gli individui). Senonchè, e qui già comincia a far capolino l'ideologia (la metafisica, su cui ogni ideologia si fonda), Von Hayek parla di un "ordine" che emerge come risultato dell'azione degli individui (come ti accennavo nella precedente risposta). Naturalmente lui, che è pensatore profondo, si guarda bene dal definire quest'ordine come "giusto". Così non faranno certi suoi ammiratori ed epigoni (Friedman e la Scuola di Chicago in primis), per i quali l'ordine hayekiano sarà anche "giusto" (non indifferente vi è, trovo, la concezione necessitaristica dell'etica protestante). Dunque l'ordine che emerge dall'azione degli individui è sempre e comunque un ordine giusto. Von Hayek si rivolterà nella tomba davanti a tanta superficialità (lo stato per lui era necessario, e non tutto poteva risolversi nel mercato), ma tant'è: nessuno si ricorda più di queste sue precisazioni, e tutti celebrano la parte del suo pensiero che gli fa buon pro (a cominciare dagli insopportabili articoli di Ostellino e Panebianco sul "Corriere della Sera"). Ora, il discorso è vastissimo ed anche discretamente complesso. Mi limito qui a ricordare come una grossa parte vi gioca la teoria dell'equilibrio dei mercati. Come già fece notare K.Menger (un altro esponente della Scuola Marginalista) il presupposto fondamentale della teoria dell'equilibrio è un interesse individuale sempre identico (tutti sono interessati alle stesse cose). Non solo, anche, dice Menger, l'onniscienza e l'infallibilità dell'uomo in fatto di cose economiche. In realtà appare chiara l'analogia che sussiste fra la teoria dell'equilibrio perfetto dei mercati e la meccanica classica (che ritiene di avere un punto privilegiato d'osservazione), eppure siamo ancora a fare i conti con essa. Cioè siamo ancora a fare i conti con "verità" affermate come se la relatività non fosse mai stata scoperta (e come se il relativismo riguardasse la sola sfera della religione). E' agevole, pur nella complessità d'insieme, notare come quel "giusto ordine" di cui dicevo prima possa, come dire, "saldarsi" alla teoria dell'equilibrio perfetto dei mercati. In realtà l'ordine che emerge è "giusto" per lo stesso motivo che la teoria dell'equilibrio dei mercati è "perfetta": vi è sempre sullo sfondo un ordine "naturale"; delle leggi "eterne" e necessarie. Hai dunque perfettamente ragione a parlare di "feticci". Come d'altronde hai perfettamente ragione a definire l'"altro": "negazione fondante dell'io". Ma allora ha ragione Levinas quando parla della riduzione del tutto all'"io" come "malattia mortale dell'occidente"? Ma come fare, se così è, a coniungare tutto questo con la "volontà di potenza"? Mi è già capitato di dire che l'occidente avrà, sì, "ucciso Dio"; ma lo ha ricostituito in altre forme (dice Severino che l'Inflessibile si ricostituisce sempre). Non è forse di un altro Inflessibile che si sta parlando quando si parla di questo ordine naturale, delle leggi eterne e necessarie che governano la storia (nota anche il rifiuto radicale di esse da parte di A.Camus ne: "Il mito di Sisifo")? E dunque, ancora, è all'ontologia dell'occidente che è rivolto il "j'accuse" di Levinas; a questa "reductio ad unum" di cui sembra non si possa fare a meno. Come l'"io" non riconosce l'"altro" come sua negazione fondante, così il mercato non riconosce ciò che non è mercato come l'elemento che, solo, può qualificarlo come tale (molto profonda e condivisibile questa tua riflessione). E' per questo che un pensatore "vero" come Von Hayek avvertiva che non tutto può essere mercato, e che vi è una sfera nella quale il mercato non può entrare. ciao |
14-12-2013, 15.50.44 | #129 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
Va bene, ma tu parli dell'interazione dandone sostanzialmente (e necessariamente) un significato positivo. Ti dicevo appunto che concordo sull'uomo come "zoon politikon", cioè come essere che ha una natura politica e sociale, ma ti chiedevo se la tua visione dell'interagire dell'uomo considerasse la guerra come parte di tale interagire. Specificamente, mi interessava sapere se tu consideri la guerra come un "turbamento dell'ordine naturale delle cose". Naturalmente dicevo così perchè tutto, nella tua precedente risposta, mi faceva pensare ad una tua considerazione delle cose del mondo come "naturalmente ordinate", ed ordinate per il meglio. Devo dire che il tuo accenno alla guerra nell'ultima risposta ("quando si è ciechi e spaventati") mi conferma l'impressione che avevo avuto. Aspetto tue considerazioni |
14-12-2013, 22.45.54 | #130 | |
Moderatore
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Oxdeadbeef, nel tuo come sempre interessante intervento, ci sono diversi spunti di discussione e commento, in particolare leggo:
Citazione:
E cos'è poi questo individuo che si vuole dato di partenza per ogni ragionamento sul valore? Non è forse anch'esso un'idea presa a segno astratto di una molteplicità reale di essenti? di una collezione di entità che appaiono nel segno astratto di un io che certo non riesce ad esaurirne la molteplicità? Quanti individui quell'individui astratto che chiamo io? E allora cosa significa perseguire il proprio individuale interesse, se l'individuo è solo un segno astratto di una molteplicità (molteplicità di pensieri, di propensioni, di intendimenti spesso in contrapposizione tra loro)? Perché l'individuo deve prevalere sul collettivo se l'individuo stesso è un collettivo e i suoi valori sono pertanto inevitabilmente contraddittori e riescono a malapena a volte a sussistere insieme? Quali sono i valori dell'individuo? Cosa lo fa stare davvero bene? Siamo sicuri che il suddetto individuo abbia più reale consapevolezza del suo bene rispetto a quella di un gruppo sociale? O che ogni bene fermamente tenuto saldo da un io tirannico e ipertrofico non si risolva all'interno dell'individuo stesso nel suo disfacimento schizofrenico che non vuole assolutamente comprendere la contraddizione che lo abita ma solo cancellarla, rimuoverla? E il santo mercato che non comprende ciò che lo contraddice, ma lo rimuove, non rischia forse la stessa fine? Sotto questa assunzione dell'individuo come dato sento tutta la pretesa di un neopositivismo logico in stile Carnap in cerca di dati elementari da assumere come punto di partenza senza peraltro mai trovarli, perché ogni volta che pensa di averli trovati essi si rilevano in tutta la loro complessità inter relazionale che non può essere cancellata senza perdere ogni significato. Atomi che non possono essere atomi, particelle elementari che come in fisica si moltiplicano indefinitamente su se stesse senza trovare alcun semplice punto di partenza. Non c'è nessuno allora che può prefissare il proprio interesse se non nell'orizzonte di una contraddizione che sempre si ripete abbattendo ogni inflessibile che è un'astrazione presa in astratto avente già in sé il germe della propria rovina, mercato compreso, ove il germe è proprio la sua stessa pretesa di inflessibilità. L'interesse individuale sempre identico non può in alcun modo sussistere a dispetto di quanto vorrebbe Menger, neppure entro l'individuo stesso, a meno di non farne un feticcio, una mera finzione per la quale si possa sostenere "l'onniscienza e l'infallibilità dell'uomo in fatto di cose economiche" che, alla luce degli attuali esiti economici mondiali, sembra una battuta da teatro dell'assurdo. Ma questi signori non vogliono certo passare per clown e tentano allora di rimediare invocando una maggior purezza, una maggior presa dell'astratto dell'intelletto sul concreto della ragione, rendendosi così solo più penosi e un clown penoso, se non è un tiranno che riesce a illudere del suo taumaturgico potere, sempre più difficilmente lo si può sopportare. La volontà di potenza è la volontà che vuole dire il falso del vero e il vero del falso, mostrando così a se stessa che tutto le è possibile, basta saper indurre a crederci. La volontà di potenza vuole che la parte che ha estratto e isolato dall'intero per farla apparire come incontrastato assoluto sia superiore all'intero stesso, vuole un io al di sopra della complessità esistenziale dell'ente, vuole un mercato al di sopra della complessità concreta delle relazioni di scambio e un valore interamente leggibile come profitto monetario, vuole infine il niente come essenza di tutto. vuole la stessa contraddizione che vuole negare e per questo costruisce continuamente feticci a cui sacrificare l'esistente, per poi essa stessa abbatterli e sostituirli affinché solo essa resti incontrastabile ed eterna. Ma se solo essa resta è niente che resta, perché le viene a mancare la base fondante dell'altro da sé. La volontà di potenza, parafrasando il pensiero gnostico, è la volontà del demiurgo che dice di essere l'unico dio suscitando l'ilarità di tutti gli altri eterni essenti. Il feticcio del mercato crollerà, come sta crollando il feticcio dell'io, in corrispondenza della sua apparente apoteosi (della sua "Domenica delle Palme" e non prima), è la stessa volontà di potenza che lo vuole perché essa essenzialmente è solo il nulla che vuole di fronte a se stessa, vuole quindi essere il nulla che è, la propria sola totale auto contraddizione che per questo non può riconoscere la reale contraddizione fondante della presenza dell'altro, di ogni altro da sé. P.S. una postilla importante per chiarire che la volontà di potenza comunque è e non può a sua volta venire rimossa. Se essa è volontà di mentire, volontà di far apparire il falso è a sua volta l'orizzonte indispensabile per l'apparire del vero, essa è positivamente l'altro fondante dell'apparire del vero. Ma la volontà di potenza così compresa nel vero, alla luce di ciò che è, pur dicendo il falso è vera ed è proprio ciò che determina il costante diverso vero apparire di ciò che appare per come appare, ossia come un eterno contraddirsi che viene via via a togliersi. Ultima modifica di maral : 15-12-2013 alle ore 08.54.13. |
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