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01-11-2013, 14.45.10 | #72 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Maral
Il problema principale che la "politica" (qui, per "politica", intendo una sua specificazione particolare, e cioè quella riguardante il sistema di governo della democrazia) deve tentare di risolvere è, dicevo, quello della concilizazione degli interessi particolari. Questo è il problema che si pone a Solone, che è forse il primo "politico" nel senso che è il primo a porsi il problema della distinzione dell'interesse pubblico da quello privato. Fin allora il problema della "politica" era stato un problema riguardante la sfera tribale, cioè la sfera dei rapporti parentali, o comunque di "clan". Inutile dire che all'interno di tale sfera non poteva emergere il problema della politica come distinzione fra l'interesse pubblico e quello privato. E non è certo per caso che da un tale "magma", da un tale "brodo primordiale", emerga poi quella riforma che, suddividendo i territori tribali in "damoi", cioè in ripartizioni territoriali, porterà alla democrazia propriamente detta. Ancora non a caso: Solone è un "legislatore", ovvero un uomo che pone una legge cui tutti sono sottoposti. E' importante, a mio parere, capire la particolarità ateniese (naturalmente, e nello stesso periodo, altri legislatori vi sono stati). Perchè è ad Atene che si cerca di superare quel concetto di "sangue" che resta invece ben presente in altri contesti (lo stesso Mosè è un legislatore, ma non supera quel concetto). Ciò che emerge ad Atene è un concetto moderno di "politica". Un concetto moderno in quanto consapevole della necessità di una distinzione fra l'interesse pubblico e quello privato (l'interesse del "clan" è inconfondibilmente un interesse privato). Ma, e pur nella sua modernità, un concetto che riesce solo in parte nel suo intento originario, visto che l'interesse privato si ricostituisce in altre modalità (nella forma dell'interesse "corporativo"). E' nell'Atene di Solone che appare il "partito"; un partito che dunque sostituisce il clan, ma che ne riproduce sostanzialmente la tendenza a fare l'interesse proprio, cioè a fare un interesse privato. Secoli e secoli dopo, Beccaria (se ben ricordo) dà quella che per me è la più esaustiva delle descrizioni della democrazia: "la maggior felicità per il maggior numero di persone". Dunque la democrazia, nella sua massima idealità (e scevra da altre e doverose considerazioni...), è il perseguimento del massimo interesse del maggior numero di privati? Io penso che così sia. Dunque è pura utopia pensare ad un interesse veramente "pubblico", cioè di tutti (questo interesse esiste solo nelle elucubrazioni degli Illuministi francesi, che con la loro pretesa di una ragione "illimitata" fondano una "volontà generale" che si riduce, nei fatti, solo a prologo dello stato "etico", o totalitario che dir si voglia - vedi la mia discussione con Paul11). Il problema "tecnico" del potere democratico consiste allora nel fare l'interesse privato del maggior numero di persone, e null'altro. Non a caso, oggi le elezioni le vince chi promette di togliere qualche tassa... Ma questo significa che vi è un problema non-tecnico non nel potere, ma nello stesso corpo elettorale. Un problema morale di dimensioni ciclopiche, che riguarda la meschinità di troppe persone interessate solo ed esclusivamente al proprio portafoglio (e non che con questo io voglia negarne l'importanza...). Però, io dico, "interesse privato" non è necessariamente solo quello. Quanto alla classe politica, essa perseguendo necessariamente (necessariamente, come ho cercato di dimostrare) l'interesse privato del maggior numero di persone, sarà l'immagine speculare di queste persone, dei loro interessi e delle loro finalità. "Ogni popolo ha il governo che si merita", fu saggiamente detto. ciao |
02-11-2013, 00.21.03 | #73 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Citazione:
........"ma dove ognuno è libero di muovere guerra....". Finito il concetto che Dio ha dato il potere al re per "sangue",deve esistere un patto fra il ricco e il povero come il discorso di M. Agrippa nella disputa fra plebei e patrizi, o un contratto istituito fra gli individui dove ognuno perde il proprio diritto di libertà naturale e di fare giustizia da sè ed armarsi , e questa è la premessa della nascita delle Costituzioni . Ma non esiste in democrazia che si accontenti i più a scapito dei pochi, poichè i pochi hanno il diritto inalienabile della propria vita e con essa i diritti di dignità, d'identità, di appartenenza Allora esistono le secessioni e le rivoluzioni come diritto storico, come fuoriuscita dalla tolleranza ,cioè dal rispetto del margine che colui che governa deve tener conto anche delle minoranze che siano religiose, etniche storicamente e culturalmente diverse. Il concetto di maggioranza nasce per dirimere il conflitto per risolverlo nno per farlo nascere.. La regola delle democrazie liberali è che la maggioranza governa nel rispetto dei diritti dell minoranze. Chi decide il majority rule dimenticandosi dei minority rights non promuove la democrazia: l'affossa. Anche perchè l'individuo può cambiare opinione e questa ha bisogno di essere rappresentata.Quindi la minoranza ha diritto di poter diventare a sua volta in futuro maggioranza. Il meccanismo democratico della rappresentanza salta se non riesce più a convogliare le opinioni che potrebbero cambiare e a garantire le alternanze di governo. |
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02-11-2013, 00.44.33 | #74 | ||||||
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L'errata interpretazione dell'equazione possesso-identità e le sue stragi..
Citazione:
Senti la politica come un gioco di strategie agite nella segretezza, come se non credessi possibile una reale democrazia, individui gli obiettivi ma dimentichi gli umani, gli obiettivi e gli umani sono inscindibili, non puoi scegliere l’uno a favore dell’altro senza tradirli entrambi. Il potere a cui ti riferisci non è esercizio di virtù ma abuso di facoltà. Questo mi sovviene leggendo le tue parole. Una razionalità senza sentimento (di rispetto) è priva di quella serietà indispensabile ad una visione lucida ed integra necessaria a governare. Governare è un arte non commercio di obiettivi. La disillusione è assenza di principi. Senza principi non vi sono uomini ma obiettivi senza anima, senza forza. A riparare un guasto meccanico è necessaria una capacità tecnica per riparare un’anima, per accendere un’anima è necessaria la comprensione umana. Non strategie ma comprensione profonda, visione profonda, conoscenza profonda. Governare è accedere all’armonia dell’anima umana. Non ci sono scorciatoie. Il sentiero è il medesimo per ognuno. Il capitalismo è gioco strategico, baratto dell’essere con l’avere, nessuno ne uscirà vincente. Nemmeno chi crede di avere vinto. Ha perduto se stesso. Ha mancato l’umano, ha mancato l’obiettivo. Presto o tardi troverà il deserto. Diverrà l’anima di quella morte che tanto voleva evitare. C’è un’ingenuità che è conoscenza ed una apparente ingenuità che è cecità. Il percorso della conoscenza non è breve né lungo ma quello che deve essere. Ogni apparente deviazione non può allontanarsene. Questa visione non è facile. Non lo è affatto. Citazione:
Tu non credi a questo, vero? Ti pare come tangente al discorso.. E come te, molti.. Siamo malati di disillusione questo rende più difficile il percorso. Malati di diffidenza. Malati di debolezza incapaci di discernerla dalla fragilità. Ciò che può mutare è fragile, ciò che può non mutare è debole. Se ogni conversione all’esterno non è conversione all’interno nulla è mutato, nulla è reso armonico. Politica è movimento, coscienza, realizzazione interiore. Ciò che realizziamo dentro diventa visibile fuori. Ciò che non realizziamo dentro diventa evidente fuori. Ciò che crediamo piccolo realmente è nel grande. Se ci asteniamo dalle cose più piccole non possiamo pensare di avere potere in quelle più evidenti quando ciò che si evidenzia non è che inderogabilmente la realtà più profonda. Citazione:
Questa distinzione infatti non esiste, quando “interesse” già definisce una comunicazione fra le parti. La distinzione diventa possibile solo in una visione a corto raggio. La distinzione diventa possibile laddove per “interesse” s’intende uno scopo personale e non un atteggiamento di dialogo reciproco. Là dove la trasparenza ed il dialogo non sono perseguiti la strategia ne usurpa il posto. E’ sempre la strategia che rende impossibile la democrazia. Non può esistere un interesse “privato” quando la democrazia definisce quell’interesse comune alla causa, alla realtà, umana. Non ci sono cause “private”. Ci sono menti limitate, sofferenti (coscienti o meno che siano). L’autentica democrazia vanifica il concetto privato di interesse. Ciò che serve te e che serve a te è ciò che serve e che serve ad ogni umano. Questo dialogo e questa congruenza è data dall’analisi profonda ai bisogni individuali. La proiezione verso l’esterno, l’equazione possesso-potere è all’origine dell’impossibilità di una convivenza democratica e pacifica. Non sono le strategie politiche a dover cambiare ma la mente dell’uomo che ha necessità di maturare. Allora la politica evidenzierà nella trasparenza come già è il mondo mentale umano. Citazione:
Non è una questione di numeri. Non esiste una felicità per un maggior numero di persone che possa escludere una parte di altri individui. Questo significa guardare e non vedere. Significa non comprendere affatto ciò che rende felice l’essere umano. Significa che l’equazione possesso-potere è dura da portare alla luce. Possesso ed essere fanno a botte. L’umano si distingue (forse) dagli altri animali proprio per un’evoluzione dell’esperienza del possesso come realizzazione interiore. Dove l’esperienza del possesso resta ancorata all’appropriazione e non colta come esperienza di senso (archetipo) il dialogo profondo resterà impossibile a determinarsi ed il sentimento sociale solo apparente a nascondere alleanze accordate al fine di esorcizzare la paura della morte, ovvero la paura di essere posseduti (=annientati; il ché è lo stesso!). Citazione:
Non so quale coscienza avessero gli illuministi francesi, so però che la volontà generale non è certo materia di una visione affrettata. Solo degli uomini molto saggi possono giungere ad intuirla in un lampo di tempo. E solo uomini molto saggi possono giungere ad intuire quella mente “illimitata”. Agli altri resta però l’esperienza che giunge coi tempi differenti a quella comprensione della comunione di intenti di un vivere decoroso. Citazione:
Se proprio cerchiamo un colpevole miriamo allora al significato occulto di quella spaccatura fra quello che fu il simbolo del potere della chiesa e quello temporale, quella spaccatura non è ancora stata sanata, così crediamo per davvero che esista un potere temporale che sia scisso da un potere dello spirito. La scissione senza sviluppo resta come separazione in seno al senso del percorso umano. Tanto è che la ragione viene intesa come capacità di scindere sentimento e pensiero, come se non fosse la medesima mente ad animare entrambi. Così il sentire va al servizio del pensiero e l’anima profonda della mente viene soffocata quanto più possibile. Ci si trova ad un punto in cui la ragione sembra non possedere gli strumenti utili ad una visione profonda dei moti umani e si immagina dunque impotente di fronte all’inevitabilità dei conflitti umani verso i quali pone una vista della gettata di pochi metri (frontiere di stato/durata di un mandato/ durata media di una vita). |
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02-11-2013, 17.52.42 | #75 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
Nella mia ultima risposta a Maral, accenno al fatto che nell'Atene di Solone abbiamo, forse per la prima volta (antecedenti ve ne sono, ma a mio parere non così significativi), un barlume di distinzione fra l'interesse pubblico da quello privato. Domenico Musti (recentemente scomparso, e qui colgo l'occasione per ricordare quello che è stato un grande storico della grecità) colloca la nascita dello "stato" nel 5°secolo a.c., ovvero dalla piena consapevolezza di tale distinzione. La situazione "sociale" nel cui quadro agisce Solone è sostanzialmente la stessa che tu citi a proposito del medioevo (forti contrasti fra i proprietari della terra e i coltivatori). Solone proibisce di assumere ipoteche sui propri corpi da parte dei coltivatori (pratica allora diffusissima), ed attraverso quella che è una vera e propria politica monetaria ante-litteram limita la portata dell'indebitamento. Egli però non stravolge affatto la vecchia struttura sociale basata sulla tradizione del "ghenos" aristocratico, ponendosi in tal modo in quel ruolo di "mediatore" che prefigura quello, successivo, di "politico" (nel senso della "polis", cioè nel senso di mediazione fra interessi privati contrapposti). Ed è proprio in quel ruolo di "mediatore" che, a mio avviso, è possibile riscontrare un primo, vago, sentore di un interesse "pubblico". Quindi no, lo "stato di natura", di cui già parlavano Cicerone e Seneca (sulla scia di certe teorie stoiche), e che penetra nella filosofia anglosassone attraverso Thomas Moore a Althusius, nei fatti non è mai esistito. Forse esso è solo una reminiscenza di una mitica "età dell'oro" (come in G.B.Vico); un'età cosiddetta "dei patriarchi", o degli "eroi" dai quali il "ghenos" aristocratico greco aveva la pretesa di discendere. Comunque, il periodo pre-statuale (così come nella datazione di Musti) è stato un periodo in cui gli interessi contrapposti non venivano "mediati" da leggi super-partes, ma venivano probabilmente risolti mediante codificazioni tribali o di clan (tipicamente: venivano risolti con le vendette familiari, che originavano le faide). Senonchè, lo accennavo, la filosofia anglosassone assume lo "stato di natura" come uno stato reale. Perchè? Il perchè mi sembra evidente. Se una "norma" giuridica assume, per forza di cose, valenza universale (essa vale per tutte le "parti": è super-partes, al di sopra delle "parti"), essa non può essere fondata da una ragione "limitata", come è quella intesa dagli anglosassoni (qui ci sarebbero da evidenziare ulteriori "passaggi", quali ad esempio il recupero che, in chiave riformista, Moore effettua di una ragione "umana" messa a dura prova dal "machiavellismo", ma almeno per il momento lo eviterei). Che la nascente classe borghese abbia, come dire, "detto la sua" nella stesura degli elementi fondamentali dello stato anglosassone è cosa pressochè certa. Non mi sono indifferenti certe analisi che fa Fromm in "Fuga dalla libertà" a proposito della Riforma protestante; come, del resto, non mi è indifferente l'analisi di Marx a proposito della struttura economica che determina, essa, la sovrastruttura ideologica. Tuttavia, io credo, commetteremmo un errore a ridurre l'idea di stato degli anglosassoni a mera riproduzione degli interessi privati della classe borghese. In realtà, io credo, i differenti sbocchi dell'Illuminismo inglese e francese sono dovuti in parte alla situazione preesistente; una situazione che vede, in Francia, una monarchia di tipo assolutistico, mentre in Inghilterra, come accennavo, sono presenti strutture sociali, politiche ed economiche che ricordano quelle del periodo "comunale" (soprattutto italiano). L'idea della "libertà", insomma, vi è ben radicata. E dunque non c'è bisogno di una vera e propria "rivoluzione" (non dimentichiamo che la rivoluzione francese è essenzialmente una rivoluzione "borghese"). Una rivoluzione che, per attuarsi, non può che appoggiarsi anche su quegli strati non-borghesi della popolazione (da qui, ritengo, l'idea di "egalité"; una idea certamente non-borghese, e che infatti avrà vita breve...). ciao (è questa la risposta al tuo post precedente l'ultimo, che non ho ancora letto). |
03-11-2013, 00.18.34 | #76 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
Affermando: "non esiste in democrazia che si accontentino i più a scapito dei pochi, perchè i pochi hanno il diritto inalienabile alla propria vita, e con essa i diritti di dignità, d'identità e di appartenenza", non fai che riaffermare il diritto "naturale", cioè quel diritto che è alla base del costituzionalismo anglosassone. Resta da vedere su quale base lo affermi (il necessitarismo stoico? La teologia cristiana? La ragione "geometrica" di Grozio o la fattualità dello stato di natura di Locke?), ma questo affermi. Ovvero: a mio modesto parere sei molto distante dalla "volontà generale" di Saint Just, che piuttosto traeva le proprie radici "politiche" da certi costumi in voga nei monasteri medievali, ove si prendevano sì le decisioni "democraticamente", ma ove erano pressochè sconosciuti i concetti di maggioranza e di minoranza (le decisioni venivano prese all'unanimità - con esilaranti aneddotti sul "come" tale unanimità veniva raggiunta). Ma è proprio per questo che io sostengo (e pur non senza atroci dubbi...) che la "libertà" viene meglio garantita dal modello anglosassone. ciao |
04-11-2013, 20.33.43 | #77 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Gyta
Il "dover-essere" presuppone il "poter-essere": questa è la grande lezione che ci viene dall'empirismo. Nello specifico, mi dovresti spiegare come poter fare gli investimenti necessari alla scuola, alla sanità, al "welfare" in genere. Mi dovresti spiegare dove trovare i soldi per poter finanziare la cassa integrazione in scadenza, o più in generale per rimettere quattro spiccioli nelle tasche delle categorie più svantaggiate (perchè, fra i grandi problemi di questo paese vi è una domanda interna praticamente azzerata - quindi quello che accenno è sì un problema di giustizia sociale, ma è anche un problema di razionalità economica). Io ho giusto accennato (come evidente) qualche proposta. Condivisibili? Non condivisibili? Discutiamone, ma senza dimenticare il "primum", cioè che se si pagano 80 miliardi di euro all'anno di interessi sul debito non rimane il becco di un quattrino per fare nulla di nulla. La mia non mi sembra una proposizione "tangente al discorso": mi sembra IL discorso (viceversa, sono le tue proposizioni ad apparirmi "tangenti al discorso"). E non credere che le tue argomentazioni mi siano indifferenti. Tempo fa leggevo dei saggi economici di A.Fanfani: quale acutezza; quale lungimiranza... Certo, oggi la politica (i politici) ha perso quelle capacità. Oggi può esservi acutezza, ma manca drammaticamente qualunque lungimiranza. Eppure, anche Fanfani ha dovuto decidere cosa fare nei cinque minuti successivi. E oggi questa è una scadenza (che fare fra cinque minuti?) di eccezionale gravità, perchè questo paese è messo così male che ogni ritardo, ogni tentennamento, ha conseguenza catastrofiche. Prendere provvedimenti drastici è improcrastinabile, o andiamo tutti a gambe per aria (personalmente sono convinto che la situazione sia così compromessa da non poter quasi più esservi via d'uscita). E' curioso, passando ad altro, come il tuo sostenere l'indistinzione fra l'interesse pubblico e quello privato sia il medesimo concetto che sorregge (che ne costituisce il fondamento) l'ideologia liberista (anche se al termine "liberismo" io preferisco "mercatismo"). E' infatti all'interno del pensiero anglosassone che matura l'idea per cui all'individuo basta seguire il suo personale interesse per fare, con esso, anche l'interesse della collettività. Ora, mi rendo certamente conto che il "dialogo reciproco" non è da te inteso alla stregua dell'"interesse". Ma allora ti chiedo: cos'è per te il "bene"? Perchè è del "bene", in fondo, che stiamo parlando, non trovi? E allora: cos'è "bene" per l'individuo? E cos'è "bene" per la collettività? A questa domanda gli anglosassoni hanno risposto (soprattutto Hume) che il "bene" è il piacere (e dunque l'interesse). Altri hanno risposto che il "bene" è un qualcosa di dato una volta e per tutte (di "rivelato", quindi). Insomma: a quale tipo di "bene" dovrebbe portarci il dialogo reciproco (il discorso è lungo, ma anche molto interessante)? Per venire infine all'ultimo argomento, come puoi parlare di "mancato sviluppo mentale"? Ti rendi conto che un simile concetto ci riporta dritti a certe teorie neopositivistiche che hanno poi avuto gli sviluppi che hanno avuto (dalle aberranti teorie psicosomatiche di C.Lombroso a quelle - infinitamente più aberranti - di certe teorie "elitiste" o razziste)? Ora, siccome so bene che certe cose non ti appartengono, ti inviterei però ad una riflessione sul "merito" della democrazia. Perchè, come viene giustamente detto: "in democrazia i voti si contano, non si pesano". La democrazia, come ogni sistema di governo di tipo "egualitario", si sviluppa in contesti storici particolari. Pensa, ad esempio, ai consigli degli anziani presso certe società; pensa a "come" la democrazia abbia sostituito, nella Grecia classica, il potere del "ghenos" aristocratico (cioè un potere basato sull'aristocrazia del "sangue"). La democrazia è "figlia" diretta del dubbio. Essa nasce e si sviluppa laddove non vi è più la "certezza" rappresentata dai costumi della tradizione (di cui il "sangue" è parte), o della religione (di cui la dinastia assolutistica è parte). Non è possibile, politicamente, pensare ad una parte dell'elettorato come ad una parte che: "manca di una comprensione interiore di sè". In democrazia, in altre parole, la maggioranza ha sempre ragione (anche quando non ce l'ha, come ci insegna Kant...). Non ho ben compreso, infine, la disquisizione che fai a proposito del potere temporale e di quello spirituale. ciao |
05-11-2013, 01.31.35 | #78 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
La tesi di tutti i giusnaturalisti è che dallo stato di natura bisogna uscire e perché sia utile (Hobbes e Locke) e necessario (Spinoza) o doveroso (Kant) istituire lo stato civile. Che lo stato di natura sia uno stato di guerra è fondamento hobbesiano e anche di Spinoza.
Lo stato di natura è caratterizzato per un verso da pace e per un altro causa di infelicità per due caratteristiche contraddittorie umane e quindi uno stato negativo: una è l’amore di sé (ma Rousseau sarà contrario ritenendolo positivo e lo distinguerà definendolo amor proprio con il “buon selvaggio”) che lo spinge a preoccuparsi esclusivamente della propria conservazione e l’altra è la debolezza ,cioè l’insufficienza fisica della propria forza che lo spinge a unire i propri sforzi a quelli degli altri. Già da Platone si pensava che gli uomini si uniscono in società per la necessità della divisione del lavoro. Locke perseguì per tutta la vita l’ideale di una etica dimostrativa e credeva che lo stato naturale fosse di pace, però essendo gli uomini senza raziocinio incapaci quindi di vivere senza obbedire a qualcosa, si degradava nella guerra. Kant ritiene che l ostato di natura sia provvisorio, instabile, mentre quello civile è perentorio. La posizione di Rousseau e più complessa in quanto lo stato di natura è felice e pacifica ,ma non poteva durare soprattutto a causa della proprietà privata che degenera nella società civile dove avviene ciò che Hobbes indica invece nello stato di natura, cioè conflitti continui e distruttivi per il possesso dei beni che progresso tecnico e divisione del lavoro tendono ad esasperare.(notare che avevano già capito gli andamenti evolutivi storici). Tutti i giusnaturalisti concordano che lo stato di ragione è preceduto da un ostato negativo. Per Kant vi è il diritto naturale che coincide con il diritto privato e il diritto civile che coincide con il diritto pubblico (non accetta il concetto di diritto sociale in quanto società poteva esserci anche nello ostato di natura). Il diritto positivo nasce dal diritto pubblico. Nel contratto si viene a costituire un obbligo diverso da quelli storici (il figlio verso il padre, lo schiavo verso il padrone) quello del suddito verso il sovrano. Ma a differenza degli altri obblighi ha bisogno che la propria autorità sia acconsentita per essere legittimata. Kant riteneva che il potere supremo fosse imperscrutabile per il popolo , per cui il sovrano regge lo Stato come se ci fosse stato un contratto originario e debba rendere conto del modo con cui lo esercita ai suoi sudditi. E’ opinione comune degl istudiosi di diritto pubblico che vi debbano essere due convenzioni per dare origine ad uno Stato:il “pactum societario” in base al quale una pluralità di individui decide di comune accordo di vivere in società; il “pactum subiectionis”per cui gli individui in società si sottopongono ad un potere comune.Nel primo patto vi è il passaggio dalla “moltitudo” al “populus”; il secondo dal “populus” al “civitas”. Hobbes riteneva che per le forme dell’aristocrazia e della monarchia ci dovessero essere i due patti, invece per la democrazia bastava il primo, il patto sociale, in quanto il popolo nno aveva bisogno di un patto di sottomissione: Hobbes era a favore della monarchia. Spinoza era di parere simile a Rousseau che credeva nella democrazia , in cui a suo parere bastava solo un contratto quello dell’associazione. Le varie teorie contrattualistiche si distinguono in base alla qualità e quantità di diritti naturali a cui l’uomo rinuncia per trasferirli allo Stato. E qui veniamo ad una distinzione importante. Per Rousseau l’uomo nello stato di natura non è libero anche se è felice perché obbedisce non alla legge ,ma ai propri istinti.; nella società civile, fondata sulla disuguaglianza l’uomo non è libero perché obbedisce a leggi non poste da lui, ma sopra di lui. Per gli altri filosofi lo Stato ha il compito di proteggere l’individuo, per Rousseau di trasformarlo..Nella società civile , per Rousseau gli istinti vengono sostituiti dalla giustizia e le azioni diventano morali, Secondo tutti gli autori del giusnaturalismo il patto che sancisce lo Stato diventa nullo nel momento in cui viene negato il diritto alla vita. Sia Hobbes che Spinoza ritengono che allo Stato gli si debba obbedienza cieca. Secondo Locke l’individuo cerca lo stato civile per avere un giudice imparziale, quindi rispetto allo stato di natura rinuncia al diritto di fare giustizia da sé..Il diritto iirunciabile nello Stato è la proprietà. Rispondo ad Oxdeadbeef la differenza fondamentale fra gli inglesi e il francese Rousseau è che quest'ultimo è un antesignano ,se lo si legge bene fra le righe, del pensiero che diverrà socialista e democratico almeno come ispirazione. Ritiene che la proprietà e quindi la disuguaglianza sarà un problema anche nella società civile per cui non potrà esistere libertà. Gli inglesi invece ritengono la proprietà un fondamento del diritto e in quanto tale inalienabile verso lo Stato. In Rousseau e quindi nell'ispirazione della rivoluzione borghese francese, c'è una segreta speranza che lo Stato aiuti l'individuo ad emanciparlo, (da quì probabilmente quella volontà popolare sovrana). Sono d'accordo con te che le storie di Inghilterra e Francia hanno determinato frangenti diversi, ma ritengo che in Inghilterra sia stata più una aristocrazia nobiliare che la nascente borghesia a fare da cuscinetto fra aspirazioni della nuova classe emergente e monarchia e questo ha permesso alla monarchia seppur grazie già ad antichi codici pre costituzionali firmati ad avere un clima interno pacifcio, ma grazie anche all'enorme potenza imperiale economica che aveva . Mi trovo ancora d'accordo con te, la tradizione liberale e il valore di libertà è soprattutto veicolato dalla cultura inglese. Ad esempio noi in Italia, per varie vicessitudini storiche, la conosciamo poco e soprattutto non è mai stata praticata. Dobbiamo andare al Risorgimento per avere qualche intellettuale , ma dopo con il fascismo che ha eliminato intellettuali di primo piano, dopo la guerra e con la nascita delle Repubblica, la contrapposizione dei concetti confessionali cristiano sociali e la cinghia di trasmissione del comunismo sovietico, non ha assolutamente aiutato il popolo a crescere: è sempre stato usato. Noi viviamo più che altrove grosse contraddizioni storiche e poca maturità del diritto. Il comportamento dello Stato anche nelle leggi è addirittura a volte vessatorio e di sudditanza rispetto al popolo e poco di cittadinanza. Questo fa sì che non essendoci una cultura civili del diritto a livello di popolo, ci sia poca indignazione sul diritto e invece di più quando si tocca la sfera economica privata. Ma noi siamo una strana società corporata, eredità storica dei fasci e in qualche misura accettata a suo tempo dal neo contrattualismo di scuola confessionale (si veda la strutturazione dei sindacati ). |
05-11-2013, 19.43.00 | #79 | |||||||||
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
Per ora solo un accenno ad alcuni punti sollevati.
Citazione:
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Citazione:
Se ci si domanda sulla filosofia politica ci si domanda sulle possibili differenti gestioni di uno stato democratico. Fra cui il prendere in considerazione l’errata politica capitalista e/o totalitaria (=apparente abolizione della proprietà privata: resta il concetto di proprietà che passa in mano allo stato. Per farla breve.) Altro è domandarsi quali alternative per mutare un sistema capitalista in perdita con una politica economica basata su di una differente gestione dei beni. Il ché presuppone prima di risolvere i casini interni a questo sistema di gestione. Il ché senza una prospettiva di differente politica economica e teoria su quali siano i beni ed a chi appartengano/se appartengono significa nient’altro che dare seguito al serpente che si morde la coda. Citazione:
Citazione:
anche Hitler era vegano come la sottoscritta però la sua scelta partiva da tutt’altre consapevolezza di salute e non per una particolare ripugnanza verso l’uccidere. E probabilmente amava pure i cani o altri animali. Come vedi una singola direzione non è sufficiente a scattare una fotografia fedele di una coscienza. Citazione:
[argomento che cercherò di riprendere quanto prima] Citazione:
Citazione:
Per nulla differente al “non sanno quello che fanno” affermato da Gesù (e non solo lui). Citazione:
* Cosa non affatto facile perché non più scissa dal concetto di frontiera di stato. |
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06-11-2013, 21.19.10 | #80 |
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica
@ Paul11
Se guardiamo alla ricerca storiografica, essa ci dice sostanzialmente che la rivoluzione agricola determina una vera e propria cesura. Prima di essa, la ricerca archeologica ci dice che le capanne erano a pianta rotonda, e solo in concomitanza di essa, e dopo di essa, le capanne diventano a pianta quadrata. Questo, secondo autorevoli fonti, potrebbe essere un indizio della necessità di fortificarsi contro i nemici esterni. E questo è probabile, anche visto che è con la rivoluzione agricola che si viene a formare quel "surplus" alimentare che, presumibilmente, attira i predoni. Inoltre, è in questo periodo che sorge la necessità di quelle opere di contenimento e di incanalamento delle piene alluvionali che sono indispensabili allo scopo di coltivare le terre. Naturalmente, allo scopo di difendersi contro una minaccia esterna, ed allo scopo di organizzare le tecniche di coltivazione, si rende necessaria una classe di "tecnici". La quale, e in virtù della propria indispensabilità, comincerà a rivendicare per se stessa un ruolo dominante. Di particolare interesse, a me pare, è la distinzione fra la regalità dei popoli agricolo-stanziali e quella dei popoli nomadi. Dalla monumentalità delle sepolture sembrerebbe possibile ipotizzare che nei primi il "potere" assume caratteristiche molto più marcate che non nei secondi (anche la logica, a me pare, conduce al medesimo rilievo). C'è, infine, da ricordare la tendenza degli antichi a retrodatare avvenimenti tipici del loro tempo (almeno fino a Tucidide non esiste una vera e propria "storiografia" così come oggi l'intendiamo). Insomma, tutto ciò vuol dire che, da un punto di vista storiografico, la distinzione fra un "pactum societario" e un "pactum subiectionis" non sussiste (probabilmente non sussiste neppure una tale idea di "patto"). Da questo punto di vista, a me sembra che le posizioni di Kant e di Rousseau siano ben più "realistiche" di quelle dei filosofi anglosassoni. Essi, infatti, parlano del "patto" come di una idealità, mentre i filosofi anglosassoni credono che esso sia un vero e proprio momento storico. E su esso fondano la loro visione filosofico-politica. Non c'è da meravigliarsi se Rousseau arriva alle conclusioni che citi. In lui la ragione è illimitata, e dunque in grado di fondare QUALSIASI idealità. Ma, e proprio in virtù del suo essere illimitata, la ragione è in grado di fondare ANCHE qualsiasi realtà (l'"io" fichtiano, ritengo, è già presente in Rousseau, e con esso anche il concetto di un ideale che è anche reale, come in Hegel). E' quindi chiaro che, in Rousseau, la ragione (fattasi "stato") può operare qualunque "trasformazione" (intendo qualunque trasformazione del reale - dunque anche dell'individuo - in vista di una concezione del "bene" inteso come finalità perfetta. Diversissime sono le basi della filosofia anglosassone, e quindi diversissime ne sono le conclusioni. Qui la ragione è limitata, e dunque limitata è anche la possibilità di fondare una qualsiasi idealità. Il necessitarismo che permea tutta la cultura anglosassone impedisce fermamente di pensare ad una realtà che possa essere potenzialmente diversa da quella che è. Lo stato non è dunque frutto della ragione, ma è frutto di determinati e necessari passaggi storici i cui "momenti" vengono conservati (come sempre succede nel necessitarismo); e in quanto conservati fungono da determinanti per i successivi passaggi. Uno stato siffatto non può operare nessuna trasformazione del reale (ecco quindi il motivo dell'assunzione del "patto" originario come momento storico reale - e quindi determinante per tutti i successivi passaggi storici). Perciò anche il "bene" dell'individuo, che nel punto di vista europeo-continentale è considerato come una finalità perfetta, viene inteso come quel qualcosa che l'individuo "desidera". Insomma: mi sembrerebbe chiarissimo che la "libertà" (che è quella individuale, e da non confondere col "diritto") viene meglio garantita da un sistema politico che considera il "bene" come quel qualcosa che l'individuo desidera. Che poi tale libertà (ci tenevo a dirlo da un sacco di tempo...) non abbia SEMPRE E SOLO caratteristiche positive è un altro discorso. Quanto al nostro paese, su di esso stenderei un velo pietoso (questo paese, a mio avviso, non merita più neanche che vi si sprechino parole, tanto è abbruttito e miserabile). ciao (diciamo anche che taglio corto, perchè sennò non mi fermerei più...) |