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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-12-2011, 21.13.15   #141
arsenio
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Data registrazione: 01-04-2004
Messaggi: 1,006
Riferimento: siamo realisti: cosa esiste?

Citazione:
Originalmente inviato da benedetto
Sempre sul tema di cosa fa sì che una rosa sia una rosa.
E' difficile non riferirsi al triangolo semiotico o al differenziale semantico quando si parla di realtà, anche se magari non lo si fa in modo esplicito.
Detto ciò, vorrei narrarti uno stralcio da una specie di tema che ho scritto come esperimento per vedere se riuscivo a mettere per iscritto il mio pensiero, la mia credenza.
Il contesto è quello in cui delle scimmie o anche altri animali possano emettere spontaneamente un suono quando entrano in contatto con un nemico.

... “Prescindendo quindi dal vero significato dei suoni emessi da vari animali, se di fatto questi possono produrre determinati comportamenti negli individui (loro simili) che li odono, ovvero siano per questi ultimi significativi, sarà forse perché costoro sanno cosa succederà in prossimità di quei gesti linguistici uditi; si tratterà cioè di una questione di traduzione, di interpretazione, che, se da un lato si manifesta come interpretazione di un punto quale può esserlo un suono, un’immagine o anche un profumo, di fatto poi tale punto rappresenterebbe la battuta che dà l’incipit evocativo per qualcosa che giace nella loro memoria … è la memoria cioè la depositaria del significato di un evento e si ricordi che sempre la memoria supporta spesso la grammatica del comportamento ... Se d’altra parte possa esistere una specifica volontà a segnalare l'evento tramite un gesto linguistico (un suono), tale volontà sarebbe in subordine al fatto che l’individuo “si accorga” di sé stesso, atto che in ultima analisi potrà sempre essere implicato nell’ambito dell’interpretazione ambientale qualora si ammetta che quell’individuo si sia in fondo “accorto” che gli altri reagiscono alla sua stimolazione sonora … E’ comunque difficile dare una valutazione sull’esistenza di una specifica volontà a segnalare qualcosa in contrapposizione a quella che potrebbe essere semplicemente un’abitudine atavica sepolta nel patrimonio genetico … Nel caso però che fosse nettamente individuabile uno specifico “voler segnalare”, e sembra che in alcuni primati tale fatto si sia potuto appurare, dovremo a questo punto intravedere un barlume di consapevolezza del pensiero essendo che il soggetto può trovarsi nella condizione di scegliere o no l'esternazione di un pensiero tramite un suono di cui lui conosce le probabili conseguenze per coloro che lo odono. Vi è però ancora una buona misura tra questa condizione e quella umana, che, in seno a specie dotate di una struttura cerebrale simile alla nostra, potrebbe ...”

L'ambiente qui descritto è sicuramente un ambiente in cui vi è una grande pressione emotiva, ma non penso che un linguaggio si sviluppi con modalità diverse da quelle che fanno capo ad una funzionalità (nemico) dell'oggetto al quale viene appiccicato un segno. L'oggetto verrebbe quindi distinto, riconosciuto come esistente, non in base ad una convenzione, ma in virtù di una accettazione spontanea che si riferisce ad una certa convenienza; l'accettazione in seno ad una comunità di individui che di sicuro non sono uguali per esigenze, ma sicuramente simili.
Cosa dovrei dire circa la rosa? Forse che esiste, ma anche che non esiste.
Ciao.

La comunicazione come scambio di informazioni tramite segni è comune a uomini e animali. Ma il linguaggio animale è per natura, non si evolve,riguarda eventi immediati e concreti, quello umano è appreso, si evolve e può riferirsi a oggetti astratti mediante simboli e concetti verso una classe di oggetti. Quindi anche se gli studi etologici con il supporto delle neuroscienze dimostreranno che gli animali hanno una forma di coscienza analoga a quella umana ( un'”anima” comune), i due linguaggi possono presentare somiglianze ma non sono equiparabili, meno che meno per espansioni in altre discipline come le “realtà” in ambito filosofico
arsenio is offline  
Vecchio 04-12-2011, 19.47.22   #142
Il_Dubbio
Ospite abituale
 
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Messaggi: 1,706
Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
Un filosofo suppone, a volte sbagliando, che il suo uditorio conosca l'accezione di certi termini secondo il contesto in cui vengono inseriti. Si deve pure prevedere che non fanno parte di certe distinzioni da repertorio lessicale della persone a cui si rivolge.
Ho usato “cosa” non nel senso di oggetto utensile comune, ecc. o perlomeno non solo. Ricordo che anche in latino “res” ( = cosa) per esempio in Cartesio, viene riferito per la sua ormai superata teoria dualistica: “res cogitans” e “res extensa”, di cui conoscerai i rispettivi significati.
( i tuoi studi sono o sono stati classici o scientifici?) Anche la “cosa in sé”riguardante la realtà ha origine kantiana.
Questa è l'occasione per addentrarci nel termine “cosa” in filosofia, anche per poter continuare il discorso.
Nel linguaggio comune il termine significa:
tutto ciò che può essere pensato, abbia natura ideale o materiale,supposto esistente o non esistente, oppure si riferisce al concreto che occupa spazio: presenza che s'impone, la cui esistenza si sottrae al dubbio. In campo più propriamente filosofico si riconoscono tali significati ma talora rifiuta di accettare la “cosa” come dato, sottoponendo la credenza nell'esistenza delle cose esterne ad analisi critiche che possono condurre allo scetticismo( se noti combacia per il nostro discorso) Per Kant l'esistenza degli oggetti nello spazio fuori di noi è falsa o impossibile; per altri la “realtà” è un complesso di sensazioni. Per Heidegger le “cose” sono mezzi per … dove conta l'uso.
In campo etico “cosa” è in contrapposizione a persona, mai mezzo ma mai fine.
Sta in te discernere in quali accezioni useremo nel presente contesto il termine “cosa”

Non comprendo il motivo per cui devo "comprendere" (o discernere) con quali accezione usi il termine "cosa" invece di leggerlo direttamente da te. Questo è uno dei motivi per cui non riesco a dialogare con i forumisti (lasciamo perdere i filosofi...), in quanto si interrompe quel momento in cui si tenta di entrare nella testa dell'altro e comprendere quali sono gli elaborati neuronali che hanno prodotto tale termine. Avresti potuto benissimo dire: non lo so nemmeno io quindi non posso risponderti / ciò sarebbe stato più utile.
O forse volevi dire proprio che non lo sai nemmeno tu?



Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
L'enunciato “cos'è la realtà?” In un ambito filosofico non è in sé stesso uno pseudo-problema ( a meno che non s'intendo che sono temi risaputi) come può sembrare a un profano, come la domanda se “è vero ciò che vedo”. Pseudo problema viene considerato accanirsi a chiedere cos'è la “cosa in in sé” ( cioè quell'essenza che sta sotto il nostro mondo sensibile ( ad esempio, per farti capire, quell'ipotetico genio ingannatore di Cartesio, quello “scienziato” di Putnam, gli eventuali manipolatori di un mondo parallelo di Matrix). Perfino da “filosofi” oziosi che si dilettano con astruserie su problemi astratti.

Va bhe... ovviamente non avendo compreso cosa intendi per "cosa" è la realtà, è impossibile per me vedere differenze fra pseudo problemi e no.

Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
Qui non domando “cos'è la realtà” perché io speri che qualcuno mi riveli l'arcano o il mai esplicitato: m'interessa verificare come in genere si affrontano certi temi in un forum virtuale, e se è lecito riportare altrove qualche passo per scopi didattici. Stili da “net-filosofia” alquanto artificiosi e con una sua non -logica? In senso di contenuti coerenti e logico- consequenziali, non di motivazioni. Sempre a parer mio.

A no? Cioè la tua è una specie di domanda retorica?

Se il tuo interesse era verificare in che modo si affrontano i problemi nei forum, potresti registrare questo: io non sono più sicuro di aver compreso la domanda in quanto non comprendo il significato delle parole che usi, o meglio, non so se usi certi termini riferendoti ai significati che io do agli stessi, e prima di rispondere avrei bisogno di taluni chiarimenti.
Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
La lettura di un argomento, sia un saggio,un articolo di giornale o altro, richiede di proseguire nell'assimilare i contenuti man mano che vengono esposti ma allo stesso tempo pure ricordare il già detto, per farne una sintesi critica. A certe tue richieste quindi ho già risposto in precedenza ( ad esempio “ vari modi con cui conosco la realtà”) e se credi t'invito a percorrere a ritroso il 3d.

Vorrei che anche tu rifacessi a ritroso il percorso in quanto io ho fatto una domanda precisa e mi aspetto una risposta altrettanto precisa.
Io vorrei sapere il tuo pensiero, tuo non di altri. L'ho già scritto più volte su questo forum, anche quando io scrivo di Kant non dico mai Kant ha detto, ma dico: ciò che avrebbe detto Kant è questo...questo e quest'altro. Cioè mi sforzo di dire le cose come io le comprendo. Al limite scrivo direttamente le frasi di quel autore e metto al centro dell'esame quelle parole. Non posso invece dire Kant l'ha detto... perchè bisogna vedere cosa io ho capito di Kant, e questo posso farlo solo se espongo il pensiero di Kant non se ne faccio vedere solo la targhetta del nome.

Per questo ti ho chiesto di esporre il tuo pensiero sul termine cosa nel contesto della domanda "cos'è la realtà". Il tuo pensiero mi interessa non quello di tizio o di caio.

Questo è il modo come io faccio filosofia.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 04-12-2011, 20.05.21   #143
Il_Dubbio
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Riferimento: che cos'è la realtà?

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Non sono sicuro di aver capito che cosa intendi con l'espressione "comprendere solo cose pragmatiche".
Credo che ti rifererisci alla relazione tra 'utilità' e 'comprensione' supponendo che l'utilità (poniamo di un'azione) non implichi la comprensione (ad esempio di quello che si sta facendo o del contesto in cui si agisce); o più precisamente che la misura di utilità non sia perforza proporzionata alla misura della comprensione.

Quello che volevo dire è davvero banale, ma più sono banali e più sono difficili da spiegare.
Faccio un esempio banale: devo comprendere l'origine dell'universo. Cioè mi serve una spiegazione all'origine. Tu ti chiederai se è davvero utile. Io dico che potrebbe anche non esserlo, magari siamo assetati di sapere e vogliamo soddisfare questo desiderio. Quindi la comprensione dell'origine dell'universo è utile per soddisfare il desiderio di sapere. Fin qui credo condividerai.
Ora immaginiamo una situazione in cui mi è utile solo una certa spiegazione dell'origine dell'universo. Questa spiegazione potrebbe non essere "vera", ma mi soddisfa maggiormente.
Quello che volevo dire io è che la "comprensione" di cose non vere, ma che pragmaticamente sono più utili, non soddisfano il principio di verità, cioè un principio (non so se lo è, me lo sto inventando ora) secondo cui la verità è neutra, è quella non perchè mi è utile ma perchè è così. Al massimo soddisfa il mio desiderio di sapere, il quale è neutro rispetto alla verità.

Spero di aver spiegato meglio il ragionamento che facevo, che credo condividerai in quanto lo sento davvero banale, praticamente universale.
ciao

Ultima modifica di Il_Dubbio : 05-12-2011 alle ore 00.05.40.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 05-12-2011, 01.24.06   #144
arsenio
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

Citazione:
Originalmente inviato da Il_Dubbio
Non comprendo il motivo per cui devo "comprendere" (o discernere) con quali accezione usi il termine "cosa" invece di leggerlo direttamente da te. Questo è uno dei motivi per cui non riesco a dialogare con i forumisti (lasciamo perdere i filosofi...), in quanto si interrompe quel momento in cui si tenta di entrare nella testa dell'altro e comprendere quali sono gli elaborati neuronali che hanno prodotto tale termine. Avresti potuto benissimo dire: non lo so nemmeno io quindi non posso risponderti / ciò sarebbe stato più utile.
O forse volevi dire proprio che non lo sai nemmeno tu?





Va bhe... ovviamente non avendo compreso cosa intendi per "cosa" è la realtà, è impossibile per me vedere differenze fra pseudo problemi e no.



A no? Cioè la tua è una specie di domanda retorica?

Se il tuo interesse era verificare in che modo si affrontano i problemi nei forum, potresti registrare questo: io non sono più sicuro di aver compreso la domanda in quanto non comprendo il significato delle parole che usi, o meglio, non so se usi certi termini riferendoti ai significati che io do agli stessi, e prima di rispondere avrei bisogno di taluni chiarimenti.


Vorrei che anche tu rifacessi a ritroso il percorso in quanto io ho fatto una domanda precisa e mi aspetto una risposta altrettanto precisa.
Io vorrei sapere il tuo pensiero, tuo non di altri. L'ho già scritto più volte su questo forum, anche quando io scrivo di Kant non dico mai Kant ha detto, ma dico: ciò che avrebbe detto Kant è questo...questo e quest'altro. Cioè mi sforzo di dire le cose come io le comprendo. Al limite scrivo direttamente le frasi di quel autore e metto al centro dell'esame quelle parole. Non posso invece dire Kant l'ha detto... perchè bisogna vedere cosa io ho capito di Kant, e questo posso farlo solo se espongo il pensiero di Kant non se ne faccio vedere solo la targhetta del nome.

Per questo ti ho chiesto di esporre il tuo pensiero sul termine cosa nel contesto della domanda "cos'è la realtà". Il tuo pensiero mi interessa non quello di tizio o di caio.

Questo è il modo come io faccio filosofia.

Un discorso sulla “realtà” è complesso per chi non ha un retroterra di studi filosofici e per di più sempre aggiornato. Infatti è necessario assumere, come dicevo, l' abitus mentis peculiare alla disciplina, che per solito non appartiene al pensiero dell'uomo della strada e spesso nemmeno a un neofita. Come fare a spiegarsi se non si condividono almeno basi lessicali, esempi storici e confrontabili essenziali a cui riferirsi, la storia di termini chiave come appunto lo è la “realtà”, avere qualche cognizione di come si deve svolgere un'argomentazione dialettica in modo corretto ? La “realtà”, anche nell'attuale dibattito che impegna i massimi filosofi di ogni paese, presenta accezioni concettuali varie e anche in contrasto ( il filosofo per sua natura tollera le ambiguità).
Alla luce del nostro non riuscito precedente colloquio, sarebbe lungo e forse improduttivo spiegarti la differenza tra “intuizione realista” per cui una montagna “esiste veramente” anche se l'uomo non fosse mai comparso sulla terra e l'”intuizione ermeneutica” per una realtà descrivibile in vari modi diversi che dipendono dal linguaggio e dai concetti. Possono essere legittime ambedue le modalità, e opportuno non tralasciarne una. E' strano dire che “non è vero” che nella mia stanza ci siano libri, un computer, un televisore, ecc., eppure si può parimenti dire che ci sono solo “particelle elementari”, tenendo insieme le due versioni: realista ed ermeneutica, e attraverso tali assunzioni si può arrivare a varie forme di “realismo” che non siano troppo rigide. A te convince più l'intuizione realistica ingenua o quella ermeneutica? Oggi la tendenza è più per i fatti che per le interpretazioni, se segui in qualche misura il dibattito. E' accantonata la tendenza verso una realtà creata dal linguaggio e dai concetti: è questo il nuovo realismo che segna la fine del postmoderno. Le scelte ermeneutiche facevano dire più o meno che niente esiste se non in senso concettuale, ecc. Per esempio dire che una sedia è solo “interpretata”, che “piove solo quando piove”, ecc. Nelle vesti di “filosofi” è pur giusto dirlo, ma certo realismo metafisico o la trascendenza secondo tradizione non porta lontano, in senso epistemologico. Recentemente è stato osservato che se dico da scettico assoluto qualcosa come “la mia credenza su “p” è vera ma per quanto ne so potrebbe essere anche falsa”, in senso pragmatico è qualcosa che blocca in senso definitivo. Forse anche Popper il massimo filosofo della scienza del '900 dovrebbe revisionare la sua teoria.
Quindi ci sono credenze su cui si è certi, e altre che sono assunte per ipotesi e accertabili, ma tutto è testabile: sarebbero necessari sia il realismo pragmatico che l'idealismo trascendente. Certe congetture sono probabilmente vere, altre probabilmente false.

Non preoccuparti se non comprendi quello che scrivo, a tal punto che proietti su me tale incomprensione dicendo più o meno che sono io invece che non comprendo quello che scrivo; mi sa tanto che difendi la tua autostima o un'auto- attribuita identità filosofica. Per me è più probabile il primo caso( oggi alla maggioranza risulta difficile comprendere anche un non molto complesso articolo culturale) ma forse, senza attribuirti colpe, a tua insaputa, non avendo ancora dimestichezza con l'argomentazione dialettica e a vari testi inerenti le scienze umane, a cui io da anni sono abituato ( non è vanto, ma per significare una nostra diversità che sarebbe ben difficile superare) senza avere bisogno di frammentare un discorso per celare mie lacune. Credo che con altri nick qui presenti puoi meglio interagire, per uno stile di discussione più simile anche se di diverso profilo. Si tratta forse anche di un concorso di colpa che mi coinvolge, perché è detto che quando una comunicazione non riesce significa che l'oratore non è capace di immedesimarsi nel suo uditore, intuendo quello che sa ( e quello che non sa).

Saluti
arsenio
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Vecchio 05-12-2011, 17.44.41   #145
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

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Originalmente inviato da arsenio
Quindi ci sono credenze su cui si è certi, e altre che sono assunte per ipotesi e accertabili, ma tutto è testabile: sarebbero necessari sia il realismo pragmatico che l'idealismo trascendente. Certe congetture sono probabilmente vere, altre probabilmente false.
Quali sono quelle certe?
Dopo aver letto tutto il discorso devo dire ancora una volta di non averne colto il senso. Una volta ho scorso un testo in cui si evidenziavano criteri diversi per stabilire vari concetti: esempio - il concetto di "morte" a seconda delle discipline o branche che si riferivano a "morte" (medicina, psichiatria, biologia). Non so. Visto che la filosofia abbraccia vari aspetti della realtà, sta cercando di frammentarsi recuperando un pò qua e un pò là cosa c'è di conveniente senza buttare via nulla?
Ma forse mi faresti un piacere se mi dicessi cos'è che fa di una rosa una rosa da un punto di vista realista, visto che io associo l'esistenza della rosa (nome) ad una utilità anche non in senso strettamente materialistico (potrebbe essere un'utilità letteraria) di quell'oggetto che chiamiamo rosa.
Da pensatore di strada è ovvio che parlo l'italiano volgare.
Ciao
benedetto is offline  
Vecchio 05-12-2011, 22.03.27   #146
benedetto
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Riferimento: siamo realisti: cosa esiste?

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Non è quindi con lo studio storico e filosofico che comprendo il significato di realtà o di verità. Tali concetti non sono "elaborazioni" mentali con un ordine cronologico interno.
In definitiva questi ragionamenti ( storici) risultano incompleti ed è per questo che risultano campati per aria.

Perfettamente d'accordo se intendi mettere in crisi l'essere umano come sedicente depositario di una sapienza superiore agli altri esseri; che è anche il mio pensiero in generale. Poi si può discutere di tutto, arte dialettica.
Come amo dire spesso, ogni intelligenza basta a sé stessa
Ciao
benedetto is offline  
Vecchio 05-12-2011, 22.27.51   #147
arsenio
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

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Originalmente inviato da benedetto
Quali sono quelle certe?
Dopo aver letto tutto il discorso devo dire ancora una volta di non averne colto il senso. Una volta ho scorso un testo in cui si evidenziavano criteri diversi per stabilire vari concetti: esempio - il concetto di "morte" a seconda delle discipline o branche che si riferivano a "morte" (medicina, psichiatria, biologia). Non so. Visto che la filosofia abbraccia vari aspetti della realtà, sta cercando di frammentarsi recuperando un pò qua e un pò là cosa c'è di conveniente senza buttare via nulla?
Ma forse mi faresti un piacere se mi dicessi cos'è che fa di una rosa una rosa da un punto di vista realista, visto che io associo l'esistenza della rosa (nome) ad una utilità anche non in senso strettamente materialistico (potrebbe essere un'utilità letteraria) di quell'oggetto che chiamiamo rosa.
Da pensatore di strada è ovvio che parlo l'italiano volgare.
Ciao


L'esempio che ho riportato sopra può essere applicato anche alla “rosa” con un linguaggio semplice e senza incorrere in fraintendimenti: la “rosa” in senso realistico esiste con le sue tipicità anche se nessun uomo fosse mai comparso sulla terra a interpretarne l'apparire ai suoi occhi.
Viceversa la “rosa” secondo intuizione ermeneutica ( ermeneutica si riferisce a interpretazione) viene interpretata secondo l'espressività di un linguaggio concettuale.
Per una reale e certa verità dobbiamo riferirsi alla filosofia della scienza. Sono tali specialisti che ne verificano gli enunciati anche dal punto di vista della correttezza linguistica, talora apportando migliorie al linguaggio. In particolare figura di spicco per il '900 è Popper , filosofo ed epistemologo famoso per la teoria del “falsificazionismo” che disconferma il metodo empirico induttivo a favore del solo deduttivo. Per esempio la psicoanalisi ha il limite di essere una scienza dello spirito e non della natura, interpretativa, non falsificabile-confutabile: finora non esiste nessuna possibile verifica che suffraghi, ad esempio, l'esistenza dell'inconscio che forse esiste, ma finora è solo supposto. Forse un domani con strumentazioni tecnologiche potremmo perfino visualizzarlo, o dimostrare senza dubbio che non c'è. Ma ora non ci sono prove,solo qualche insufficiente successo clinico. Così dire che “tutti i cigni sono bianchi” rimane allo stato di congettura provvisoria, finché non si trova un cigno nero, sia pure fra cento anni, e nemmeno sarebbe sufficiente: si dovrebbe spiegare perché è nero, a differenza degli altri. Questo fa capire che nella scienza non c'è posto per gli assoluti ( come per i dogmi religiosi), ma solo il concetto “verificato” provvisorio, per adesso. “Certezza” con riserva che si riveli un giorno congettura.
Alla fine Popper mitigò tale sua linea rigida e fece qualche concessione alla “verosimiglianza”, nel senso che ci sono migliori approssimazioni al vero. E sorprendente, diede un certo valore alla dimensione metafisica e alla metafora poetica, perché poteva far balenare un'ispirata idea luminosa anche a uno scienziato.

saluti
arsenio
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Vecchio 06-12-2011, 02.38.30   #148
z4nz4r0
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

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Originalmente inviato da arsenio
Un discorso sulla “realtà” è complesso per chi non ha un retroterra di studi filosofici e per di più sempre aggiornato. Infatti è necessario assumere, come dicevo, l' abitus mentis peculiare alla disciplina, che per solito non appartiene al pensiero dell'uomo della strada e spesso nemmeno a un neofita. Come fare a spiegarsi se non si condividono almeno basi lessicali, esempi storici e confrontabili essenziali a cui riferirsi, la storia di termini chiave come appunto lo è la “realtà”, avere qualche cognizione di come si deve svolgere un'argomentazione dialettica in modo corretto ? La “realtà”, anche nell'attuale dibattito che impegna i massimi filosofi di ogni paese, presenta accezioni concettuali varie e anche in contrasto ( il filosofo per sua natura tollera le ambiguità).
Alla luce del nostro non riuscito precedente colloquio, sarebbe lungo e forse improduttivo spiegarti la differenza tra “intuizione realista” per cui una montagna “esiste veramente” anche se l'uomo non fosse mai comparso sulla terra e l'”intuizione ermeneutica” per una realtà descrivibile in vari modi diversi che dipendono dal linguaggio e dai concetti. Possono essere legittime ambedue le modalità, e opportuno non tralasciarne una. E' strano dire che “non è vero” che nella mia stanza ci siano libri, un computer, un televisore, ecc., eppure si può parimenti dire che ci sono solo “particelle elementari”, tenendo insieme le due versioni: realista ed ermeneutica, e attraverso tali assunzioni si può arrivare a varie forme di “realismo” che non siano troppo rigide. A te convince più l'intuizione realistica ingenua o quella ermeneutica? Oggi la tendenza è più per i fatti che per le interpretazioni, se segui in qualche misura il dibattito. E' accantonata la tendenza verso una realtà creata dal linguaggio e dai concetti: è questo il nuovo realismo che segna la fine del postmoderno. Le scelte ermeneutiche facevano dire più o meno che niente esiste se non in senso concettuale, ecc. Per esempio dire che una sedia è solo “interpretata”, che “piove solo quando piove”, ecc. Nelle vesti di “filosofi” è pur giusto dirlo, ma certo realismo metafisico o la trascendenza secondo tradizione non porta lontano, in senso epistemologico. Recentemente è stato osservato che se dico da scettico assoluto qualcosa come “la mia credenza su “p” è vera ma per quanto ne so potrebbe essere anche falsa”, in senso pragmatico è qualcosa che blocca in senso definitivo. Forse anche Popper il massimo filosofo della scienza del '900 dovrebbe revisionare la sua teoria.
Quindi ci sono credenze su cui si è certi, e altre che sono assunte per ipotesi e accertabili, ma tutto è testabile: sarebbero necessari sia il realismo pragmatico che l'idealismo trascendente. Certe congetture sono probabilmente vere, altre probabilmente false.

Riporto un intervento che feci sul gruppo di filosofia di anobii, poiché mi pare attinente [sarei curioso di provare se resiste alla vostra attenzione critica poiché contiene delle convinzioni che ho da un po’ e di cui non riesco a liberarmi (in particolare sul fatto che quella che delineo sia una strada cognitivamente appetibile)]:

[~ INTRODUZIONE]
Proviamo qualcosa di più suggestivo.
Cerchiamo di rispondere a una domanda ingenua (che talvolta capita di trovare formulata in un modo o nell'altro):
"Qual'è la componente ultima della materia*?" (o della realtà per includere la questione posta dal neopositivismo logico).
Vediamo se riusciamo a trovare la risposta dopo una serie di ingrandimenti successivi (corrispondenti, in altre parole, alla graduale concentrazione della nostra attenzione/immaginazione su 'spazi' via via più piccoli): ordunque, alla nostra scala ci sono oggetti macroscopici che intuiamo in maniera precisa e dettagliata*. Di questi 'oggetti macroscopici' ce ne sono di più e meno complessi (e organizzati) dai minerali agli animali 'superiori'. Immaginiamo di esplorare uno di questi ultimi (per aggirare coinvolgimenti e problemi morali possiamo pensare ad un volontario che abbia offerto il suo corpo alla scienza): aprendolo in due possiamo vedere che è composto e in esso possiamo distinguere 'tessuti' ed 'organi' se li osserviamo con l'aiuto di un buon microscopio riusciamo a distinguere delle 'cellule' e ingrandendo ancora riusciamo a distinguere, all'interno di esse, degli altri oggetti che chiamiamo 'organuli', se il nostro microscopio è molto potente forse riusciamo anche a vedere che neanche questi organuli sono fatti di un materiale omogeneo, ma è come se fossero fatti di tanti piccoli oggetti un po' sfocati che chiamiamo 'proteine' (macromolecole) ma neppure queste sono omogenee e poiché disponiamo di un microscopio elettronico possiamo fare un ultimo ingrandimento e forse riusciamo a malapena a distinguere delle palle molto sfocate che chiamiamo 'atomi'. L'esistenza di questi pallini era stata teorizzata in maniera convincente dai fisici teorici anche prima di averne una rappresentazione visiva (peraltro poco utilizzabile).
[~/INTRODUZIONE]

Ideando esperimenti (realizzati poi dai fisici pratici) e segnandosi gli output osservati (nuovi stimoli per l'immaginazione), i teorici hanno modo di elaborare [frase obsoleta]una rappresentazione/modello anche di[/frase obsoleta]** oggetti (=intuizioni) irrilevanti per la 'funzione cosciente' dal punto di vista strettamente biologico (e pur rivelatesi piùttosto utili per il nostro progresso in quanto ‘specie’ e per l’ulteriore estensione del nostro fenotipo***)

Comunque... tutta questa opera d'immaginazione (nel senso di percezione, intuizione, rappresentazione o concezione in qualche modo funzionante) finisce con la meccanica quantistica, che tratta di un 'ambiente' in cui la 'realtà' è così lontana dalle 'competenze' della nostra coscienza da risultarci estremamente antintuitiva, tanto che, come base, non si riesce che a teorizzare non meglio definite 'fluttuazioni energetiche' 'quantizzate' e casuali.

Di cosa si occupano dunque i fisici teorici? In ultima analisi, io direi che si occupano di immaginare/elaborare la realtà presso gli estremi della nostra intuizione (del nostro interesse, della nostra utilità, presso gli estremi residui di competenza della nostra funzione mentale) (su scala astronomica il discorso è un po' diverso ma sostanzialmente analogo: abbiamo enormi difficoltà ad immaginare i possibili sviluppi evolutivi che si susseguono in ‘tempi astronomici’); dunque lavorano su intuizioni piùttosto vaghe. [Intuire (ovvero disporci nei confronti di...; adattare il nostro sistema concettuale a....) quella realtà della cui immaginazione o manifestazione non compete alla funzione mentale nostra dal ‘punto di vista biologico’].
Come limite inferiore della complessità si può porre l'omogeneità (o meglio: 'concetto limite' che corrisponde in tutto e per tutto al concetto di 'nulla'), tenendo presente però che è un limite puramente ideale e non corrisponde a qualcosa di reale: è un limite inferiore ma non un minimo; non c’è un minimo per quanto riguarda la complessità; ammettere che ci sia un minimo significherebbe ammettere proprio quelle concezioni pluraliste che qui tento di screditare. [chi è completamente a secco di concetti matematici veda i concetti di "estremo (superiore o inferiore)" e di "massimo o minimo"].
Come condizione necessaria invece si deve porre l'eterogeneità o diversità (variabilità, cambiamento, differenza, alterità, o, o, ...,o. Cerco una varietà di sinonimi nel tentativo di suggerire qualcosa nella vaghezza di questo concetto che propongo come il concetto metafisico per eccellenza). Contingenti sono le sue specificazioni (in articolati alberi ‘filogenetici’). Ma, ancora, necessario è che di fatto ce ne siano.


E poi ci sono questi due punti:
1) L'esistenza di una 'particella ultima' omogenea/imperscrutabile è filosoficamente inaccettabile.
2) Il regresso all'infinito è filosoficamente inaccettabile.

Dunque vogliamo arrestare il regresso pur negando l'esistenza di una 'componente prima' o 'intuizione ultima' introducendo un postulato minimo**** o concetto primo, trascendente, metafisico per eccellenza: 'diversità' (forse i fisici direbbero 'energia'. Ma volendo un concetto assolutamente astratto, semplice, generale, slegato da qualsiasi accezione particolare io dico ‘diversità’).
Diversità, indipendentemente da COME si immagina, rappresenta, manifesta o ‘appare’; indipendentemente da qualunque particolare concezione, intuizione, percezione. La manifestazione fenomenica è fondamentalmente casuale (o perlomeno tale è la sua base) ma acquista una causalità nel suo evolvere.

Alla fine di questo percorso l'ingenua domanda iniziale si è trasformata in una più genuina (ovvero: qual'è il concetto più generale? Ne esiste uno che lo è assolutamente?) che ha trovato risposta. Mi sembra.

*In quanto è la scala su cui è tarato il fulcro della nostra coscienza, l'ambito in cui il nostro livello più cosciente ha una funzione adattiva piuttosto PRECISA: distinguere blocchi di complessità, confezionare pacchetti di informazione, ovvero, elaborare disposizioni macroscopiche dell'organismo, ovvero, rappresentare l'ambiente; in un certo senso, forse, elaborare una approssimativa ma agile 'interfaccia' (una scorciatoia relazionale) tra l'organismo complessivo e l'ambiente.
**Lascio cadere qualuque distinzione tra ‘oggetti’ e ‘intuizioni’
***Nel senso che ne da Richard Dawkins nel suo libro “The extended phenotype”: in parole povere gli effetti secondari che il nostro genotipo ha nel mondo: come ‘fenotipo’ indica le caratteristiche fisiche del corpo, ‘fenotipo esteso’ include tutti gli artefatti; ad esempio, per quanto riguarda noi umani: utensili, abitazioni, libri, musica etc…
****Qualcosa che è impossibile non dare per scontato (il ‘minimo postulabile’).

Cosa ne pensi? (…sempre nel caso che io sia riuscito a comunicare qualche vaga intuizione.)
z4nz4r0 is offline  
Vecchio 06-12-2011, 09.57.14   #149
Il_Dubbio
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
Un discorso sulla “realtà” è complesso per chi non ha un retroterra di studi filosofici e per di più sempre aggiornato. Infatti è necessario assumere, come dicevo, l' abitus mentis peculiare alla disciplina, che per solito non appartiene al pensiero dell'uomo della strada e spesso nemmeno a un neofita. Come fare a spiegarsi se non si condividono almeno basi lessicali, esempi storici e confrontabili essenziali a cui riferirsi, la storia di termini chiave come appunto lo è la “realtà”, avere qualche cognizione di come si deve svolgere un'argomentazione dialettica in modo corretto ? La “realtà”, anche nell'attuale dibattito che impegna i massimi filosofi di ogni paese, presenta accezioni concettuali varie e anche in contrasto ( il filosofo per sua natura tollera le ambiguità).

Su questo discorso ho già abbondantemente risposto. Non vorrei assecondare un disco rotto. Preferisco parlare di altro (a questo punto).


Citazione:
Originalmente inviato da arsenio
Alla luce del nostro non riuscito precedente colloquio, sarebbe lungo e forse improduttivo spiegarti la differenza tra “intuizione realista” per cui una montagna “esiste veramente” anche se l'uomo non fosse mai comparso sulla terra e l'”intuizione ermeneutica” per una realtà descrivibile in vari modi diversi che dipendono dal linguaggio e dai concetti. Possono essere legittime ambedue le modalità, e opportuno non tralasciarne una. E' strano dire che “non è vero” che nella mia stanza ci siano libri, un computer, un televisore, ecc., eppure si può parimenti dire che ci sono solo “particelle elementari”, tenendo insieme le due versioni: realista ed ermeneutica, e attraverso tali assunzioni si può arrivare a varie forme di “realismo” che non siano troppo rigide. A te convince più l'intuizione realistica ingenua o quella ermeneutica? Oggi la tendenza è più per i fatti che per le interpretazioni, se segui in qualche misura il dibattito. E' accantonata la tendenza verso una realtà creata dal linguaggio e dai concetti: è questo il nuovo realismo che segna la fine del postmoderno. Le scelte ermeneutiche facevano dire più o meno che niente esiste se non in senso concettuale, ecc. Per esempio dire che una sedia è solo “interpretata”, che “piove solo quando piove”, ecc. Nelle vesti di “filosofi” è pur giusto dirlo, ma certo realismo metafisico o la trascendenza secondo tradizione non porta lontano, in senso epistemologico. Recentemente è stato osservato che se dico da scettico assoluto qualcosa come “la mia credenza su “p” è vera ma per quanto ne so potrebbe essere anche falsa”, in senso pragmatico è qualcosa che blocca in senso definitivo. Forse anche Popper il massimo filosofo della scienza del '900 dovrebbe revisionare la sua teoria.
Quindi ci sono credenze su cui si è certi, e altre che sono assunte per ipotesi e accertabili, ma tutto è testabile: sarebbero necessari sia il realismo pragmatico che l'idealismo trascendente. Certe congetture sono probabilmente vere, altre probabilmente false.

Lungamente ho già affrontato (a modo mio) questi problemi anche su questo forum.
Riporto, dal contesto, la tua domanda: A te convince più l'intuizione realistica ingenua o quella ermeneutica?

A me piace sottolineare i dettagli. In questo senso il termine "convincente" è un dettaglio che va sottolineato. Quello che "è" // è convincente. Se quello che è non mi convincesse allora entrerei in conflitto con la realtà.
Questo discorso è lapalissiano.

Come posso superare questo problema? Questo problema potrebbe essere superato con una precisa teoria della conoscenza.
Ho già affrontato su questo forum il problema e ho detto che la migliore teoria della conoscenza è quella "descrittiva". E' la migliore ma non precisa. L'imprecisione è data dalla natura della nostra percezione cosciente.
Come hai detto anche tu (facendo alcuni esempi), non è vero che nella mia stanza ci sono libri, è vero che ci sono particelle.
In una conoscenza descrittiva il problema viene risolto, anche se non in modo perfetto, descrivendo in modo maniacale quel che c'è nella stanza. Possono essere fatte, per esempio, anche misurazioni spaziali e possono essere divise le particelle in modo che, grossolanamente, siano distinti i libri dal computer e così via.
Perchè questa procedura non è perfetta? Non lo è perchè la descrizione maniacale degli oggetti non restituisce in modo completo il prodotto finito (l'oggetto ) il quale è invece immediatamente "colto" dalla coscienza.

Faccio un esempio: noi chiamiamo albero quel che distinguiamo dal cespuglio. Potevamo anche invertire i termini, allora l'albero sarebbe stato il cespuglio e il cespuglio l'albero. I termini quindi possono non corrispondere esattamente a quel che vediamo. Per distinguere quel che vediamo abbiamo bisogno di una descrizione. Quando avremo una descrizione completa di albero e di cespuglio, chiameremo albero quello che corrisponde alla descrizione di albero, e cespuglio quel che corrisponde alla descrizione di cespuglio. Ora, immaginiamo di aver distinto, con le nostre descrizioni, i due oggetti. Ritorniamo indietro, prima di descrivere due oggetti distinti, abbiamo bisogno di distinguerli in modo immediato, ancor prima che esista una descrizione, altrimenti non potremmo rilevare la distinzione.
Questi due momenti, in un sistema perfetto, dovrebbero essere simmetrici.
Ovvero con una descrizione perfetta, l'immagine precedente, prima della descrizione, dovrebbe essere inutile, ovvero con la sola descrizione dovremmo "vedere" con gli occhi della coscienza la differenza fra i due oggetti, ma così non è. Viceversa, se la nostra visione cosciente fosse il risultato della descrizione che ci apprestiamo a fare, non ci sarebbe bisogno di descrivere gli oggetti per distinguerli (cioè per conoscerli). Quest'ultima è più vicina a quel che succede, ma non in modo perfetto. Come infatti noi non distinguiamo (coscientemente) le singole particelle fra loro, queste sono però contenute nella descrizione.
Vengo più o meno alla tua domanda.
Quel che chiami ermeneutica io la chiamo soltanto "problema della coscienza". Problema non risolto, e che andrebbe affrontato perchè si abbia una teoria della conoscenza più precisa. Affrontando questo problema (e non emarginandolo a problema secondario) e risolvendolo, la realtà non sarà più il solo prodotto di una descrizione monca di ciò che in "realtà" noi vediamo.
Non è questione di "cosa" è in sé la rosa. La rosa è una descrizione + la nostra visione cosciente. La nostra visione cosciente è attualmente fuori dalla descrizione, ma non dovrebbe esserlo in una completa teoria. Per questo c'è una visione spettrale della realtà, dualistica (ancora oggi) li fuori tra i filosofi, ma anche tra scienziati.

Uno pseudo problema è continuare a fare domande del tipo: ti convince piu quello o piu quell'altro? Non devo convincermi di niente. Rispetto alle mie convinzioni, la realtà è sempre quella, devo solo trovare la via per incontrarla in modo da non farmi sfuggire qualcosa di importante che invece i filosofi (o scienziati) tendono a escludere dalla loro indagine.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 06-12-2011, 15.21.13   #150
arsenio
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Riferimento: Domanda iniziale: che cos'è la realtà?

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Riporto un intervento che feci sul gruppo di filosofia di anobii, poiché mi pare attinente [sarei curioso di provare se resiste alla vostra attenzione critica poiché contiene delle convinzioni che ho da un po’ e di cui non riesco a liberarmi (in particolare sul fatto che quella che delineo sia una strada cognitivamente appetibile)]:

[~ INTRODUZIONE]
Proviamo qualcosa di più suggestivo.
Cerchiamo di rispondere a una domanda ingenua (che talvolta capita di trovare formulata in un modo o nell'altro):
"Qual'è la componente ultima della materia*?" (o della realtà per includere la questione posta dal neopositivismo logico).
Cosa ne pensi? (…sempre nel caso che io sia riuscito a comunicare qualche vaga intuizione.)

Grazie, ma come mi risulta qui non c'è molta familiarità con i linguaggi troppo settoriali e per articoli dove manca un' essenziale chiarezza su cui poter confrontare i vari pareri agganciati a reali ricerche e non a chimere. Più padronanza ha uno scienziato, più riesce a rendere un concetto conciso, chiaro e accessibile anche a non specialisti.

E' vero che le nostre categorie si sono formate filogeneticamente e ontogeneticamente sul mondo che vediamo e tocchiamo, mentre oggi il dominio della microfisica fa parte della nostra epoca: elettroni, microfisica, microbiologia. Chi parlava una volta solo di anatomia, di tessuti, di organi, di fisiologia, oggi parla di biomolecole, di legami, di salti quantici. La fisica atomica e subatomica ( vedi “neutrini”) non è più un territorio remoto. Si vorrebbe, e dovrebbe, essere in grado di parlare chiaramente di quelle cose sapendo di cosa si parla. Un giorno, come ho detto, forse saremo capaci di cambiare il nostro sistema di categorie tanto da poter parlare di particelle elementari senza ambiguità, ma in modo coerente, preciso, sensato. Secondo me quel momento non è ancora arrivato.

Volendo posso anch'io proporre ottime lezioni a cui nella mia città, nei primi posti per livelli culturali, ho spesso occasione di assistere. Ad esempio
“La verità nell’interazione tra reale e virtuale”. (Giuseppe O. Longo – Teoria dell’informazione – Università di Trieste)
Fa parte dei dodici incontri su “Forme di verità”. Ne riporto una sintesi della prima.

La dualità contrassegna ogni antinomia della scienza e ogni dialettica della conoscenza, ogni interdipendenza circolare: reale e virtuale, mente e corpo, donna e uomo, passione e raziocinio, ecc.
Si è sempre alla ricerca della soluzione dell’enigma che spieghi la decodificazione universale, o un principio primo unificatore quale oltre-realtà, anche nel campo delle giustificazioni di senso filosofiche.

La verità è un concetto metafisico che oltrepassa le apparenze, una realtà sotto la realtà. La scienza si propone di cercare una realtà sottostante, ma certe speculazioni sono sorrette solo dall’immaginazione, dal ragionamento ipotetico - deduttivo oppure argomentativo.
Già Democrito distinse tra ciò che viene percepito come realtà apparente e che può essere oggetto solo di opinioni. Come la sensazione di freddo e caldo. Secondo il filosofo l’unica verità era determinata dagli atomi e dal vuoto.
Un’Intelligenza potrebbe conoscere tutte le forze della natura, analizzarne tutti i movimenti, avvenire e passato, non per una verità statica, ma per un processo dinamico evolutivo. Fu ipotizzata da Laplace che rispose: “Dio? Non ho bisogno di questa ipotesi” a una domanda di Napoleone sul suo senso religioso.

Alla fine dell’’800 la scienza s’illuse di aver illuminato la realtà, ma ancora non erano state nemmeno considerate la meccanica quantistica, la Teoria dell’informazione e la pseudo teoria della complessità. Si comprese come erano importanti non tanto le domande ma come venivano poste; a diverse loro formulazioni corrispondono differenti risposte. G. O. Longo riporta l’aneddoto dei due monaci scozzesi. Entrambi fumatori, si chiedono se sia lecito farlo mentre pregano. Pongono la domanda a Roma, ma risulta che per uno la risposta è favorevole, per l’altro invece negativa. Perché uno chiese se mentre pregava poteva fumare, l’altro se mentre fumava poteva pregare, e così ottenne il consenso.

Per la meccanica quantistica il disvelamento modifica la realtà dell’oggetto, non c’è separabilità. Come toccando un bicchiere d’acqua si verifica un lieve passaggio di temperature, senza che ce ne sia una determinata. Nessuno finora ha capito tale teoria, anche a fronte di risultati precisi l’interpretabilità è ardua.

Per la teoria dell’’informazione conta soprattutto il destinatario, perché l’informazione sta nell’orecchio di chi ascolta: ci sarà una diversa interpretazione per ogni ascoltatore, che reagisce e recepisce in maniera sua propria, a seconda della sua storia fatta di esperienze e vissuti personali. Da cui il relativismo della verità sempre pluralistica, non unica, non assoluta,non conoscibile, ma parziale, storica, negoziabile, costruibile attraverso il dialogo collaborativo, che può portare a un progresso ma anche a una retrocessione. La scienza non si ritiene destinata a ignorare, ma è fiduciosa di prima o dopo conoscere, anche se la verità non sarà mai afferrata.

La complessità appartiene a tutto ciò che ci riguarda, oggetti, eventi, sistemi; non esiste una linearità, trattandosi sempre di sottoinsiemi e scambi interattivi. Per cui se raddoppio una causa non ottengo contemporaneamente il raddoppio di un effetto. Si riporta il noto esempio della
farfalla che sbatte le ali presso il Mar della Sonda provocando un uragano nel Golfo del Messico. Le piccole cause portano a grandi effetti, certi eventi insignificanti hanno conseguenze inimmaginabili. Un cavallo perse un chiodo della ferratura facendo cadere il re che lo cavalcava, ecc, ecc. Per un chiodo può cadere un regno!
Oggi i computer possono affrontare la complessità di certi sistemi, dei quali tuttavia non si può dare un’unica definizione.
Si riporta anche la storia dei tre ciechi che toccano un elefante: uno percepisce un albero, l’altro una montagna, il terzo una coda, sono tre definizioni su tre sistemi diversi che richiedono di essere unite. Qual’’è la verità, se ognuno ne dà un’interpretazione diversa? Sempre a seconda di ciò che sa, da ciò che intende, da ciò che vuole spendere per una ricerca, ecc. I totalitaristi affermano che la loro verità è unica, riferendosi a un’ingiustificata mentalità fondamentalistica, da cui si può dedurre un opportuno invito alla tolleranza. Del resto ognuno ha la tendenza all’atteggiamento univoco e non ambiguo. Ma le descrizioni della realtà sono necessariamente ambigue perché è così il nostro rapporto con essa. Anche le personalità se sono ambigue disturbano e sono ritenute negative, ma non è detto che siano così per propria volontà, sono i problemi della vita che ci rendono ambigui, e la pretesa di chiarezza urta con la realtà dei fatti.

Qual è il rapporto tra scienza e realtà? Può essere vera l’ipotesi cartesiana per cui uno spirito maligno ce la rappresenta? La realtà è inaccessibile, è sempre un’interazione derivata dai nostri sensi limitati che la filtrano . Ad es. gli ultrasuoni, i raggi ultravioletti, ecc. non sono percepiti, o lo sono in modo distorto.
Con i marchingegni della realtà virtuale visiva e tattile si percepisce qualcosa che non esiste: vedi il film Matrix, ma anche “1934” di Orwell come realtà storica continuamente aggiornata alle direttive del Grande Fratello. La manipolazione della realtà e l’esistenza di effetti illusori percorre tutta la civiltà, a partire da Democrito che sconfessò le percezioni soggettive considerate opinioni, fino alle attuali possibilità tecnologiche.
Anche la realtà reale è virtuale? Il mondo che ci è dato è una costruzione? Secondo un realista “c’è” un tavolo perché lo vedo, lo tocco, lo annuso; secondo l’idealista sono balle, è tutto nella nostra mente, è il diavolo cartesiano che ci sta ingannando.

M c’è una terza ipotesi costruttiva: la realtà è un processo senso –motorio dove sono coinvolti movimento e percezione, mente e corpo sono tutt’ Uno, non c’è divisione e il cervello funziona come un computer. Il tavolo è così come si offre in quel preciso momento al mio tocco, le situazioni cambiano, movimento e percezione sono mutevoli. Quindi va messa in evidenza la facoltà della struttura senso-motoria del percettore. Per es. una rana muore di fame se la mosca è morta perché percepisce solo l’insetto in movimento. Esiste un accoppiamento mondo-oggetto: esistono più modalità sensoriali che dipendono da come siamo costruiti. Ad es. un gattino a lungo al buio rimarrà cieco per sempre.
La realtà non è un dato definitivo, il percettore è inseparabile dal mondo percepito, sebbene certe percezioni siano abbastanza simili tra loro e condivise, sempre anche ricordando che ad es. a ogni lingua corrisponde una visione diversa della realtà,

C’è un complesso rapporto tra reale e virtuale, la verità è un concetto percettivo e dialogico. In tale senso ricadrebbe anche la verità morale, pur non oggetto del presente discorso.

La conoscenza è un dilemma: più si sa e più si soffre, eppure c’è bisogno di un Io unificante sebbene fittizio, per ricuperare una verità sia pure mai unica, sempre relativa all’unione delle cose osservate e gli osservatori. Per tante verità intersoggettive che invitano alla tolleranza etica.

saluti
arsenio
arsenio is offline  

 



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