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Vecchio 07-11-2014, 09.44.17   #81
SinceroPan
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral

E infatti nella filosofia severiniana tale contraddizione che si ripresenta all'infinito è detta contraddizione c che è sì contraddizione, ma non è autocontraddittoria. L'apparire fenomenologico è esattamente il mostrarsi del principio di identità che non può mostrarsi se non contraddittoriamente, ossia dialetticamente.



Interpretando a mio modo :
* la contraddizione C di Severino
* e la dialettica di Hegel
* e precisando che il "principio di non contraddizione" PDNC di Aristotele per me và rinominato come "principio di non AUTO-contraddizione" PDNAC x evitare equivoci tra due concetti che sono addirittura opposti.. ma complementari..

ho personalmente concluso che :
* il PDNAC dice che è impossibile che un ente sia altro da sè..
* il PDC di Hegel = Contraddizione C di Severino (secondo la mia personale interpretazione o reinterpretazione) dice che per poter far emergere le Infinite Differenze tra un ente ed il resto del tutto ci vuole un tempo OO perchè il tutto è OO in Atto (alla Cantor)..
e quindi non bastano le OO Contraddizioni che Ora Appaiono nell'Universo perchè Questo Universo pur essendo OO in Atto anch'Esso è in realtà un SottoInsieme del Tutto dei Tutti (ha Cantorianamente un Aleph inferiore) che Concretamente è Irragiungibile..
l'unica cosa che Appare Finitamente (ma all'OO nel senso che x me Appariva 1000 anni fa e CONTINUERA' ad Apparire fra altri 1000) del Tutto dei Tutti è la Sua Impossibile Raggiungibilità..
.
riassumendo : sia il PDC sia il PDNAC lavorano x creare l'Identità dell'Ente.. ma il PDC lo fa dall'Esterno dell'Ente (alla Hegel = Contraddizione C) mentre il PDNAC lo fa dall'Interno dell'Ente (alla Aristotele = Logica Formale)..
.
concludo per me : PDC <> PDNAC ... ma PDC è CONCRETAMENTE COMPLEMENTARE a PDNAC (e VICEVERSA)..
.
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Vecchio 07-11-2014, 22.56.26   #82
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da and1972rea
Al contrario, considero la verità dell'ente come parte del soggetto che percepisce, soggetto ed ente fanno parte della stessa verità, ma il punto è che ciò che dell'ente appare al soggetto, pur essendo vero in sé, non produce nel soggetto un'immagine vera di sé; allo stesso modo è possibile guardare uno di quei disegni tridimensionali e non vederne il contenuto, quel disegno entra realmente e veramente nel soggetto senziente, ma ciò che di esso appare in quel soggetto , pur essendo reale, non è colto, non è compreso, è travisato , ma è sempre parte del disegno osservato. Gli enti nel loro apparire attraversano veramente il soggetto, ne diventano parte reale, ma quest'ultimo non può dimostrare logicamente di discernere un ente dall'altro o di riconoscerne anche solo uno in particolare. Guardiamo il reale , e grazie a questa osservazione abbiamo solo una visione , non dico per forza irreale, ma non dimostratamente vera.
In realtà l'immagine del libro è fuorviante, poiché porta a considerare comunque l'ente come una narrazione sussistente fuori dal soggetto, per cui tu puoi dire che rispetto a quello che è la vera narrazione di per sé il soggetto può averne un'idea sbagliata perché ad esempio ha saltato senza accorgersene alcune righe che c'erano). In realtà la narrazione stessa narra del soggetto che la legge e di quello che la racconta, il soggetto che legge è nell'ente per come l'ente è (e non l'ente nel soggetto), il lettore distratto fa parte della narrazione e dunque il libro lo include nel suo stesso racconto, e ci sarà un altro libro in cui si narra di un altro lettore che salta altre righe con conseguenze diverse sul significato della vicenda del tutto simile e così via. Non c'è un libro in cui il lettore non sia narrato nella vicenda stessa per cui ogni libro è giusto, è sempre quello che è.

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Originalmente inviato da SinceroPan
l'unica cosa che Appare Finitamente (ma all'OO nel senso che x me Appariva 1000 anni fa e CONTINUERA' ad Apparire fra altri 1000) del Tutto dei Tutti è la Sua Impossibile Raggiungibilità..
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riassumendo : sia il PDC sia il PDNAC lavorano x creare l'Identità dell'Ente.. ma il PDC lo fa dall'Esterno dell'Ente (alla Hegel = Contraddizione C) mentre il PDNAC lo fa dall'Interno dell'Ente (alla Aristotele = Logica Formale)..
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concludo per me : PDC <> PDNAC ... ma PDC è CONCRETAMENTE COMPLEMENTARE a PDNAC (e VICEVERSA)..
Io chiamerei il PDNAC semplicemente principio di identità PDI, identità dell'ente a se stesso che non può essere negata altrimenti l'ente contraddice sé stesso annientandosi. In tal senso la tua interpretazione mi sembra giusta, l'identità riguarda l'in sé dell'ente, mentre la contraddizione che la rispetta riguarda gli infiniti altri dell'ente che dall'esterno lo definiscono completamente. Di questa completezza può dunque solo apparire la sua irraggiungibilità, ma forse non solo, a quanto ci dice Severino, appare anche la Gloria del Destino dell'ente, ossia, in termini più prosaici l'infinito necessario del suo percorso che diventa Gioia della Gloria considerando che di essa (che è di ciascun ente) tutti gli infiniti enti (gli infiniti infiniti) partecipano.
Mantenendo il linguaggio matematico se la Gloria del Destino è l'aleph (infinito parsiale della totalità) la Gioia della Gloria è Ω, il Destino che appare, la totalità di tutti gli infiniti e appare come forse apparve a Cantor che impazzì tentando di darne ragione matematica.

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
La mia impressione é che o viviamo in mondi diversi e incomunicanti oppure più verosimilmente parliamo lingue diverse e difficilissimamente traducibili (tanto da farmi ritenere inutili ulteriori sforzi).
No, non credo che viviamo in mondi diversi, magari ne diamo significato metafisico diverso. Non credo sia tanto una difficoltà di linguaggio, le difficoltà di linguaggio per quanto complesse si superano sempre, basta trovare utili convenzioni, ma proprio di significato metafisico dell'esistente. Ma alla fine possiamo benissimo mettere tra parentesi questo significato metafisico e continuare a convivere nello stesso mondo, magari condividendo anche delle posizioni su di esso come è pure capitato. Non è la fine del mondo avere significati metafisici diversi, c'è pur sempre una necessità in questa nostra complementare diversità, almeno dal mio punto di vista.
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Vecchio 08-11-2014, 14.39.55   #83
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral
Per capire tento di tradurre in termini più discorsivi la logica booleana di cui usi la simbologia(e di cui peraltro conosco poco). Faccio riferimento alla simbologia qui riportata http://it.wikipedia.org/wiki/Algebra_di_Boole annotando tra parentesi che la contraddizione (di cui il PDNC è la negazione) e il PDTE si trovano rappresentati nel significato delle 2 formule che indicano l'esistenza del complemento (a AND non a (complemento di a) è 0; a OR non a è 1) . Tu dici (e correggimi se sbaglio) l'unità originaria (1) che "nega da sè" (MENO), nel senso di rende complemento a sé il soggetto, dà come risultato qualcosa (un dato x) che è una dualità (oggetto+ soggetto). Allo stesso modo e complementariamente l'unità originaria che nega da sé l'oggetto produce una dualità complementare alla prima (soggetto+oggetto) (in grassetto ciò che appare come altro) che potremmo indicare come !x. A questo punto il prodotto (x).(!x), essendo prodotto di 2 complementi, seguendo la logica booleana è 0, ossia x AND !x= 0 che è il risultato della contraddizione che pertanto per ritrovare l'ente va sottratta (nel senso di resa complementare) all'unità. L'ente è pertanto l'unità meno la contraddizione che gli è complementare. E questa è esattamente la posizione della logica dialettica.



Però se intendi l'1 in questo modo (unità primitiva che non è un tutto) ti poni su un'ottica hegeliana piuttosto che severiniana per la quale l'ente non può mai non essere la totalità che è e anche se appare parzialmente è sempre la totalità del suo apparire. Ma mi pare che se a venire sottratta è la contraddizione (e non il principio di non contraddizione!), è 0 che si sottrae, per cui alla fine del percorso di sottrazione (complementarizzazione) è sempre e solo l'unità originaria che ritroviamo, niente di più e niente di meno.

Mi si è cancellato il papiro di risposta....

allora siccome non ho le forze faccio un riassunto.

1. Hai ragione questo è Hegel.

2. Il niente di Severino è un niente anche dei singoli enti.

3. Per Boole passando a Frege per arrivare a Peano, invece è un ni-enti. (e infatti mi è sovvenuto che Severino critica Frege)

4.Non digerisco il fatto che però Severino usi proprio Hegel per parlare del paradosso di Russel (vedi i post prima della estate).

5. Rimane il paradosso che per Severino il PNDC è SIA (a questo punto) dell'Ente che degli enti.

6. Ma allora il vero apparire non è questa contradizione, piuttosto che quello legato alla successione degli infiniti enti simili e mai uguali?

7. Capisco sempre di più cosa intende Sini parlando di Severino quando parla di Religione degli enti.

sorry avevo scritto di più...che disdetta!

spero si capisca lo stesso.
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Vecchio 08-11-2014, 14.48.20   #84
green&grey pocket
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da SinceroPan
Interpretando a mio modo :
* la contraddizione C di Severino
* e la dialettica di Hegel
* e precisando che il "principio di non contraddizione" PDNC di Aristotele per me và rinominato come "principio di non AUTO-contraddizione" PDNAC x evitare equivoci tra due concetti che sono addirittura opposti.. ma complementari..

ho personalmente concluso che :
* il PDNAC dice che è impossibile che un ente sia altro da sè..
* il PDC di Hegel = Contraddizione C di Severino (secondo la mia personale interpretazione o reinterpretazione) dice che per poter far emergere le Infinite Differenze tra un ente ed il resto del tutto ci vuole un tempo OO perchè il tutto è OO in Atto (alla Cantor)..
e quindi non bastano le OO Contraddizioni che Ora Appaiono nell'Universo perchè Questo Universo pur essendo OO in Atto anch'Esso è in realtà un SottoInsieme del Tutto dei Tutti (ha Cantorianamente un Aleph inferiore) che Concretamente è Irragiungibile..
l'unica cosa che Appare Finitamente (ma all'OO nel senso che x me Appariva 1000 anni fa e CONTINUERA' ad Apparire fra altri 1000) del Tutto dei Tutti è la Sua Impossibile Raggiungibilità..
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riassumendo : sia il PDC sia il PDNAC lavorano x creare l'Identità dell'Ente.. ma il PDC lo fa dall'Esterno dell'Ente (alla Hegel = Contraddizione C) mentre il PDNAC lo fa dall'Interno dell'Ente (alla Aristotele = Logica Formale)..
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concludo per me : PDC <> PDNAC ... ma PDC è CONCRETAMENTE COMPLEMENTARE a PDNAC (e VICEVERSA)..
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Appunto riprendendo questo paradosso ma tu come fai a giustificare il PDNAC, che a me pare tra l'altro la stessa cosa del PDNC.

Infatti stai facendo una operazione semplicemente linguistica ossia sta utiliazzando l'universale negativo al posto di quello positivo.

Ma questa complementarità degli enti, come fa a essere nello stesso tempo quella dell'ente originario?

l'introduzione dialettica del'infinito in atto di cantor lo capisco, ma non credo risolva nulla del paradosso, non è infatti solo una modalità di quel essere complementare?
Il punto è che all'infinito appunto avremmo di nuovo la contradizione di avere una complementarità che è una unità originaria.
Il che è impossibile logicamente.

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Vecchio 08-11-2014, 21.37.18   #85
and1972rea
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral
In realtà l'immagine del libro è fuorviante, poiché porta a considerare comunque l'ente come una narrazione sussistente fuori dal soggetto, per cui tu puoi dire che rispetto a quello che è la vera narrazione di per sé il soggetto può averne un'idea sbagliata perché ad esempio ha saltato senza accorgersene alcune righe che c'erano). In realtà la narrazione stessa narra del soggetto che la legge e di quello che la racconta, il soggetto che legge è nell'ente per come l'ente è (e non l'ente nel soggetto), il lettore distratto fa parte della narrazione e dunque il libro lo include nel suo stesso racconto, e ci sarà un altro libro in cui si narra di un altro lettore che salta altre righe con conseguenze diverse sul significato della vicenda del tutto simile e così via. Non c'è un libro in cui il lettore non sia narrato nella vicenda stessa per cui ogni libro è giusto, è sempre quello che è.
Quindi, il soggetto non può che esperire logicamente l'ente come distinte percezioni ed associare queste all' alterità e alla pluralità di enti illusori al di fuori di lui, generando per sé l'idea che l'Uno , comprensivo di ogni ente e soggetto senziente,sia distinto nello spazio, quindi molteplice, e distinto nel tempo, quindi mutevole. Sarebbe questo l'unico modo per conciliare gli attributi della molteplicità ed del divenire con quello dell'immutabilta e dell unicità che noi associamo all'essere in sé ,perché i primi li constatiamo tutti nel nostro esperire e i secondi sono gli unici logicamente coerenti con l'idea dell'Essere. Quindi, noi non potremo mai conoscere il Tutto semplicemente esperendo la sommatoria di tutte le sue parti attraverso il tempo e lo spazio, ma possiamo conoscere ed esperire il Tutto osservandolo anche solo attraverso una delle sue innumerevoli sfaccettature, poiché esso è sempre e tutto quanto concentrato in ogni sua più piccola apparente e mutevole parte;come per un bellissimo immaginario oggetto di trasparentissimo cristallo, possiamo immaginare di cogliere la sua forma esteriore e tutte le parti che lo compongono non già manipolandolo dall'esterno e facendolo roteare fra le mani, ma guardandoci dentro , noi possiamo sempre cogliere attraverso ognuna delle sue sfaccettature la bellezza di tutte le altre nel loro insieme pur rimanendo esse distinte fra loro. Tutto l'universo , secondo questa visione, risiederebbe interamente in ogni sua parte esperibile, compreso chi lo osserva;ogni sua parte rimarrebbe legata in una immediata relazione con ogni altra parte prima di ogni idea di spazio e di tempo.
Il passato sarebbe relazionato al futuro a prescindere da qualsiasi catena di causalità, e così un punto dello spazio rispetto ad un altro...ma qui si entrerebbe in un campo di considerazioni molto complesso che riguardano i paradossi di natura quantistica ed il nuovo concetto fisico di vuoto quantistico...
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Vecchio 09-11-2014, 12.49.08   #86
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da green&grey pocket
Mi si è cancellato il papiro di risposta....

allora siccome non ho le forze faccio un riassunto.
Capisco la frustrazione e la rabbia quando simili eventi tecnici accadono. Un ente troppo velocemente finito oltrepassato nella meccanica del suo apparire...

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2. Il niente di Severino è un niente anche dei singoli enti.
Perché anche dei singoli enti? E' niente proprio del singolo ente, nessun singolo ente può mai venire a mancare diventando esso niente, alla molteplicità infinita di tutti i singoli enti non può essere sottratta nessuna infinitesima singolarità.

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4.Non digerisco il fatto che però Severino usi proprio Hegel per parlare del paradosso di Russel (vedi i post prima della estate).
Perché non lo digerisci? Severino risolve il paradosso di Russell facendo appello alla logica dialettica hegeliana (l'elemento eterogeneo va ammesso nell'insieme per definirne la regola di omogeneicità), ma critica Hegel per la sua concezione essenzialmente evolutiva della dialettica. Non mi pare sia illecita né l'una né l'altra operazione, possono coesistere.

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5. Rimane il paradosso che per Severino il PNDC è SIA (a questo punto) dell'Ente che degli enti.
E' sempre dell'ente (ossia di ogni ente proprio in quanto tale).

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6. Ma allora il vero apparire non è questa contradizione, piuttosto che quello legato alla successione degli infiniti enti simili e mai uguali?
Non ho capito la domanda.

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7. Capisco sempre di più cosa intende Sini parlando di Severino quando parla di Religione degli enti.
Interessante, mi puoi dire dove Sini parla di Severino?
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Vecchio 09-11-2014, 13.06.21   #87
maral
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Originalmente inviato da and1972rea
Quindi, il soggetto non può che esperire logicamente l'ente come distinte percezioni ed associare queste all' alterità e alla pluralità di enti illusori al di fuori di lui, generando per sé l'idea che l'Uno , comprensivo di ogni ente e soggetto senziente,sia distinto nello spazio, quindi molteplice, e distinto nel tempo, quindi mutevole. Sarebbe questo l'unico modo per conciliare gli attributi della molteplicità ed del divenire con quello dell'immutabilta e dell unicità che noi associamo all'essere in sé ,perché i primi li constatiamo tutti nel nostro esperire e i secondi sono gli unici logicamente coerenti con l'idea dell'Essere. Quindi, noi non potremo mai conoscere il Tutto semplicemente esperendo la sommatoria di tutte le sue parti attraverso il tempo e lo spazio, ma possiamo conoscere ed esperire il Tutto osservandolo anche solo attraverso una delle sue innumerevoli sfaccettature, poiché esso è sempre e tutto quanto concentrato in ogni sua più piccola apparente e mutevole parte;come per un bellissimo immaginario oggetto di trasparentissimo cristallo, possiamo immaginare di cogliere la sua forma esteriore e tutte le parti che lo compongono non già manipolandolo dall'esterno e facendolo roteare fra le mani, ma guardandoci dentro , noi possiamo sempre cogliere attraverso ognuna delle sue sfaccettature la bellezza di tutte le altre nel loro insieme pur rimanendo esse distinte fra loro. Tutto l'universo , secondo questa visione, risiederebbe interamente in ogni sua parte esperibile, compreso chi lo osserva;ogni sua parte rimarrebbe legata in una immediata relazione con ogni altra parte prima di ogni idea di spazio e di tempo.
Il passato sarebbe relazionato al futuro a prescindere da qualsiasi catena di causalità, e così un punto dello spazio rispetto ad un altro...ma qui si entrerebbe in un campo di considerazioni molto complesso che riguardano i paradossi di natura quantistica ed il nuovo concetto fisico di vuoto quantistico...
Attenzione però, la molteplicità degli enti per Severino non si annulla assolutamente nell'UNO. Mentre il divenire è autocontraddizione, non così è la molteplicità, altrimenti avremmo Severino=Parmenide e Essere=niente.
Il non essere di A NON A non dà luogo a una contraddizione, anzi è negazione della contraddizione e la contraddizione (tra A e NON A) sussiste ripresentandosi all'infinito per poter essere sempre dialetticamente negata. Tutto l'universo è quindi in ogni sua parte, ma in una modalità specifica di quella parte, quindi in una modalità che è parziale anche se re invia alla totalità delle modalità che via via necessariamente appare, ma sempre poter mai essere ridotta a quella singola parzialità.
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Vecchio 09-11-2014, 17.35.53   #88
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Originalmente inviato da maral
Attenzione però, la molteplicità degli enti per Severino non si annulla assolutamente nell'UNO. Mentre il divenire è autocontraddizione, non così è la molteplicità, altrimenti avremmo Severino=Parmenide e Essere=niente.
Il non essere di A NON A non dà luogo a una contraddizione, anzi è negazione della contraddizione e la contraddizione (tra A e NON A) sussiste ripresentandosi all'infinito per poter essere sempre dialetticamente negata. Tutto l'universo è quindi in ogni sua parte, ma in una modalità specifica di quella parte, quindi in una modalità che è parziale anche se re invia alla totalità delle modalità che via via necessariamente appare, ma sempre poter mai essere ridotta a quella singola parzialità.
Per poter mantenere intatto il tessuto logico di tali considerazioni , però, non è possibile non affermare che ogni parte del tutto rimane totalmente contestualizzata nel tutto, se il tutto muta , quindi,muta insieme ad ognuna delle sue parti e viceversa, se una sola delle parti muta, muta insieme a tutto l'Assoluto. Solo in questo modo la molteplicità non si contraddice nel non essere e l'essere monolitico non si annulla in sé stesso;nella pratica delle cose questo vuol dire che se un mio capello si muove in questo istante, insieme ad esso tutto l'universo, in modo "sincronicamente" non temporale e non causale, si modifica in ogni altra parte ed in ogni altro tempo.
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Vecchio 09-11-2014, 19.26.08   #89
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E' sempre dell'ente (ossia di ogni ente proprio in quanto tale).

Interessante, mi puoi dire dove Sini parla di Severino?

e no! l'ente è originario, non l'ente di tutti gli enti.

Cioè il PNDC dell'originario è assurdo rispetto al PNDC degli enti.

Ragionaci!

E' un grosso problema.

domanda 2.

Era su un video dell'user Amoretto...noto con piacere che hanno tolto tutti i quasi mille video...che bestie!

Aspetta che te lo carico...quando ho tempo.
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Vecchio 11-11-2014, 18.58.15   #90
SinceroPan
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Appunto riprendendo questo paradosso ma tu come fai a giustificare il PDNAC, che a me pare tra l'altro la stessa cosa del PDNC.

Infatti stai facendo una operazione semplicemente linguistica


questo post riguarda il contenuto che io assegno alle parole (potrei usar Pluto e Paperino).. diversamente da voi e dai molti..

PDNAC = Non AUTO (con Sè) Contraddizione = è Necessariamente ed Eternamente Vero

PDNC = Non Contraddizione (con l'Altro da Sè) = è Necessariamente ed Eternamente Falso

PDC = di Contraddizione (con l'Altro da Sè) = è Necessariamente ed Eternamente Vero (= Hegel)..


per me Aristotele, id suoi interpreti ed il 99,9% degli appassionati di filosofia ? dimenticano inconsciamente la parola AUTO nel formulare il Principium Firmissimum di A... dicono un assurdo.. un falso..

IL PDNC è FORMALMENTE LA NEGAZIONE DEL PDNAC cioè un IMPOSSIBILE CHE SI AUTO-NEGA DA SE'..
mentre il PDC NON SOLO NON E' LA NEGAZIONE DEL PDNAC MA BENSI' LA SUA COMPLEMENTARE NECESSITA' CHE SI AVVERA X INTENSIFICAZIONE ALL'OO...

si può discutere se PDC SENZA N (Hegel) ed il PDNAC siano due nomi della stessa cosa (come intendi te) o due forze diverse.. una che spinge dall'Interno dell'ente e l'altra dall'Esterno per crearne l'Identità (il PDI di Maral)..

mentre invece mi sembra un errore di logica linguistica chiamare PDNC il Principium Firmissimum.. forse è per questo che Severino critica la manualistica filosofica laddove essa afferma che Hegel/Dialettica/PDC NEGANO il Firmissimum di Aristotele..

diciamo che il mio è un tentativo di Chiarificazione del Linguaggio alla Wittgenstain prima maniera.. probabilmente a livello di contenuti su questo punto siamo d'accordo..
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