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05-11-2014, 15.27.47 | #73 | |
Ospite
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Citazione:
ciao... x me : semplicemente il nulla non è l'insieme vuoto.. tra l'altro se non ricordo male anche te concordavi sul fatto che il vuoto non è un nulla.. . |
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05-11-2014, 19.16.47 | #74 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
@ maral
La realtà è unica per tutti, ma per discutere su di essa (teoricamente; il livello pragmatico in questa sede -un forum di filosofia- non mi interessa) si devono usare parole che si riferiscono a qualcosa che tutti possano accettare, sulla cui constatazione ci possa essere accordo, per fare inferenze o ipotesi ulteriori che a questa base di partenza comunemente accettata devono essere ricondotte o che per lo meno con essa devono essere compatibili (meglio se necessariamente implicate). Una base comune su cui si può concordare è la logica con le sua reglole come il pr. di identità e non contraddizione. Ma essa consente soltanto di proporre giudizi analitici a priori, cioè in ultima istanza di esplicitare verità già implicitamente incluse dalle premessa da cui parte: ci dice che se la realtà è in un certo modo, se ha certe caratteristiche, allora necessariamente ha anche certe altre caratteristiche e/o che non ne ha certe altre ancora; ma non ci informa su alcuna delle caratteristiche che la realtà effettivamente presenta, così da poterne ricavare e/o escludere altre. Quindi la logica non serve ad altro che ad accordarsi sulle regole del corretto parlare (pensare linguisticamente) e sul corretto inferire ma non su che cosa inferire da che cosa circa la realtà. Per discutere sulla realtà occorre invece che la base di partenza da tutti accettata sia costituita da certi fatti reali. A questo proposito, premesso che secondo me lo scetticismo non è superabile se non ammettendo alcune tesi indimostrabili essere vere né essere false sulla realtà, mi sembra che la base di partenza da tutti condivisa circa i fatti reali meno problematica e che richiede il minimo di assunzioni arbitrarie e indimostrabili sia costituita dalle componenti materiali naturali delle esperienze fenomeniche coscienti (o, come forse tu preferisci chiamarla, la “realtà esperienziale”), assumendo indimostrabilmente (oltre all’ esistenza delle altre esperienze coscienti stesse oltre alla “propria” direttamente esperita da ciascuno) che tali componenti materiali siano intersoggettive, e cioè biunivocamente corrispondenti fra le diverse esperienze coscienti stesse. Cioé quella realtà nell’ ambito della quale, per esempio, prima che il vasaio la fabbricasse l’ anfora non esisteva, poi è esistita nella sua bottega e poi ancora a casa di Lara, nella quale noi due ci possiamo mettere a guardare da una finestra e possiamo chiederci: “vedi quest’ albero in giardino?” e risponderci: “Si, è un abete”. Bene, per quanto mi riguarda questi elementi del reale accettabili da tutti implicano con tutta evidenza il divenire (il quale fra l’ altro è logicamente coerentissimo, sensatissimo non affatto contraddittorio): con tutti quelli in grado di condividere questa base comune di partenza mi è possibile discutere su come (ulteriormente, oltre ad essa) è la realtà (e in che modo e senso nell’ ambito della più ampia realtà questa base di partenza si colloca, ovvero va intesa). Non posso invece non concludere che con chi non concorda con questo perché ritiene, a mio avviso del tutto erroneamente, che il divenire sia autocontraddittorio e non ha coscienza di alcun mutamento reale, con tutta la buona volontà e l’ eventuale dispiacere del caso, non mi è in alcun modo possibile discutere circa la realtà, ma forse per assurdo lo sarebbe solo circa la logica del discorso (si vive in mondi completamente diversi e incomunicanti e dunque comunicare reciprocamente non è assolutamente possibile: pazienza, non si può avere tutto dalla vita). La fisica non dice che è falso che si veda "un disco luminoso che sempre appare al mattino nel cielo da sotto terra, percorre un arco e a una cert 'ora sparisce sotto terra. Ho detto appare e sparisce, ma per quanto ne so potrebbe benissimo anche saltar fuori dal nulla e finire nel nulla ogni volta. Finora dal nulla è sempre tornato, ma domani chissà? Questo è quello che vedo ogni giorno, né più né meno, ovvio e immediato e, per quanto recepisco, pure condiviso". Casomai la scienza spiega come mai ciò accade; e nella sua spiegazione è perfettamente integrato (di essa fa parte integrante, e ne è un aspetto ineliminabile e ubiquitario) il divenite delle cose materiali. Senza presunzione (ma anche senza falsa modestia e soggezione) trovo che quel che dice Severino circa il divenire che non potrebbe esserci (dato che contraddirebbe il principio di identità) è palesemente, grossolanamente errato e falso: si contraddirebbe il principio di identità dicendo che il divenire è fisso, che la realtà materiale è fissa e diviene, o che nello stesso tempo accade “A” e accade “B” (e “A” é diverso da “B”), non che “A al tempo t1" diventa “B al tempo t2" (e t1 è diverso da t2). E infatti concordi che vediamo continuamente e solo cose mutare. La distinzione di Severino fra apparenza e realtà del divenire la trovo un escamotage sofistico per tentare (inutilmente) di salvare, di fonte alla realtà inemendabile del divenire, e il suo errato preconcetto circa la pretesa contraddittorietà del divenire stesso: per poter continuare a sostenere che il divenire è contraddittorio, e dunque non può essere nemmeno pensato sensatamente (figurarsi reale!), e dunque che reale è il non diveniente, la fissità, l’ immutabilità, mentre invece é reale il divenire, è costretto a chiamare “apparenza” il reale che diviene. Ma in questo modo non fa che spostare il (presunto; inesistente) problema senza risolverlo affatto (ovviamente, trattandosi di uno psudoporblema!): se il divenire non potesse essere reale, non potrebbe essere reale di alcunché, nemmeno dell’ apparenza (la quale, in quanto tale -apparenza- è per forza reale anche nelle argomentazioni di Severino (altrimenti non potrebbe sostenere che c’ è -realmente: o in che altro senso?!- una apparenza del divenire). Se il divenire non é contraddittorio dell’ apparenza (che non è apparentemente apparenza, bensì è realmente apparenza; ma se anche fosse apparentemente apparenza sarebbe realmente apparentemente apparenza e così via all’ infinito senza mai poter arrivare a un apparenza che non sia in ultima istanza reale perché ciò comporterebbe la non esistenza reale dell’ apparenza, comporterebbe che in realtà non si dà apparenza, e dunque il crollo di tutta l’ elucubrazione severiniana) …se divenire non é contraddittorio dell’ apparenza non si vede perché mai non lo potrebbe essere anche della realtà (la realtà altra, di diversa natura rispetto a quella apparente, rispetto all’ apparenza che sarebbe reale in quanto tale). Quello che dici su ippogrifi e giraffe mi sembra un’ eccellente esemplificazione delle virtuosistiche arrampicate sugli specchi dialettiche, delle contorsioni verbali cui costringe l’ accettazione del pregiudizio fissistico severiniano se si vuol cercare di far quadrare la realtà innegabile dei fatti (le giraffe sono animali reali, gli ippogrifi animali immaginari e non reali; solo realmente immaginari, se vuoi, che comunque è ben diversa cosa!) con il pregiudizio stesso. Delle cose che elenchi alcune sono attualmente inesistenti (ma esistite o che esisteranno in altri tempi, a conferma del divenire, come la fetta di torta mangiata l’ anno scorso), altre ipoteticamente esistenti (potrebbero eventualmente esistere a certe condizioni, come il tuo volto per me), altre (l’ attuale re di Francia -essendo sottinteso che la Francia attualmente è una repubblica- o la rotondità del quadrato) pseudoconcetti autocontraddittori e dunque senza senso, meri flatus vocis (o meglio: sequenze casuali di caratteri tipografici). Il niente è il concetto di ciò che (teoricamente, come ipotesi coerentemente, sensatamente pensabile) potrebbe esserci, di come potrebbe essere la realtà, ma di fatto non è (e quindi il predicarne la realtà è falso; e non assurdo!). Nell’ ipotesi circa le ultime volontà di Teseo, la mia risposta è che dovremmo chiederlo a lui. Se non ha previsto tutta la faccenda per cui ci sarebbero state due navi pressocchè identiche sarebbe come se uno avesse chiesto di essere sepolto in Georgia senza precisare se intendeva lo stato americano appartenete agli USA o quello asiatico formalmente indipendente (ma ugualmente dominato dagli USA): non si potrebbe avere certezza di come adempiere correttamente alle sue ultime volontà (salomonicamente si potrebbe forse dividere la salma in due). |
05-11-2014, 22.19.56 | #75 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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06-11-2014, 12.24.26 | #76 | ||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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06-11-2014, 13.03.23 | #77 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Concordo in gran parte con quanto scritto da Sgiombo. Il problema è l’assioma di partenza fondato sul principio di non contraddizione e di identità. Se lo svolgimento logico permette di avere una coerenza interna e quindi di validarne i contenuti questo non significa necessariamente che sia vero, in quanto autoreferente al proprio dominio e in contrasto con una verosimile(e non certa) verità di quella che viviamo. In altre parole non ci aiuta a spiegare la realtà quotidiana. Se sbatto la testa contro il muro, avrei fatto a meno di chiamarlo dalla cerchia delle apparenze e farmi male. Il principio di non contraddizione serve a verificare le correlazioni, il principio di identità non è assolutamente risolto. Il problema di coesistenza di un oggetto fenomenico nei diversi passaggi, attimi di tempo, non è spiegabile dalla scienza e a mio parere non è risolvibile dalla logica, se non entrando in contraddizione con il domino della realtà percepita. O diciamo che sopravviviamo per pura fortuna e casualità ogni giorno perché quello che ci appare non è vero, o diciamo che le costruzioni logiche essendo autovalidate nel proprio domino spiegano la realtà in cui viviamo e ci sono quindi di aiuto e utili, per cui stiamo in realtà vivendo in un mondo assolutamente immaginario come in un sogno… logico. L’appello della convalida sulla correlazione dei due domini, non può che farlo il principio…”del buon senso”. Trovo che questo sia un problema di tutti gli assiomi(cioè di premesse che non accettano altre premesse) solo nei propri domini autoreferenziali, dalla matematica alla fisica ,alla teologia, alla filosofia. Ecco perché anch’io ritengo che la posizione pragmatica, empirica e gnoseologica dello scettico sia ancora la migliore, proprio perché la logica stessa e le matematiche entrano in contradizione palese ed evidente se correlati ad altri domini. Oppure gli altri domini accettano assiomi a loro funzionali scartandone altri, ma non perché le teorie le abbiano superate, ma solo per utilità. Allora il prodotto teorico di quegli assiomi diventa importante se ci servono in utilità e funzionalità. Gli interrogativi epistemologici, del come si conosce e ontologici, del cosa è, rimangono ancora aperti come non mai. |
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06-11-2014, 14.10.45 | #78 | ||||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Tutto questo per dire che la posizione di Severino sull'immutabilità degli enti non è assurda sul piano fenomenologico (data la premessa che ho detto prima dell'inseparabilità degli attributi per stabilire l'identità). Poiché Severino ci dice che il mutamento delle cose (che mutando vengono a essere altre cose pur essendo le stesse) è un vero apparire, esattamente come è vero l'apparire del sole che ruota intorno alla terra, ma non è un vero accadere e non perché gli gira così, ma perché se così fosse verrebbe contraddetto il PDI. Ossia ci dice che il mutamento è qualcosa che appare e perché appaia, alla luce della eternità ontologica e non contraddittoria degli enti ce lo spiega, esattamente come la scienza ci spiega (nel suo linguaggio) perché ci appare veramente un sole che ruota attorno alla terra che pare uscire ogni mattina dal nulla, proprio come quell'anfora che reputi essere nulla prima che il vasaio dia quella forma a un pezzo di creta. Nessuno dice che il divenire è fisso, ma che è l'apparire degli enti di per sé eterni, il mutamento è il loro necessario apparire esattamente come il sole che ruota attorno alla terra spuntando ogni mattina all'orizzonte per rientrarci alla sera è il necessario apparire del sole. Non c'è nessun escamotage sofistico, a meno che non si consideri escamotage sofistico anche la descrizione dei moti planetari nel sistema solare. L'apparire del mutamento (e dunque della contraddizione che esso presenta) è reale (infatti solo così l'ente si presenta) e il principio di identità dell'ente completo è vero (altrimenti nulla si potrebbe dire), dunque l'appare del mutamento non è altro che il mostrarsi dell'ente proprio per come completamente è (e il nostro parlare è parlare proprio e solo di questo apparire facendolo significare). Di falso c'è solo il fatto di voler affermare che un momento di questo apparire corrisponda all'ente intero, che oltre questo momento l'ente non significhi più nulla, abbia finito di significare, o meglio, significhi solo il suo essere nulla. Quindi abbiamo un criterio molto preciso e chiaro per distinguere il vero dal falso. Sugli ippogrifi e le giraffe dopo tutto ho detto solo che per trovare gli ippogrifi (come per trovare le giraffe) occorre solo andarli a cercare dove sono. Dove sta l'arrampicata sugli specchi dialettici? Citazione:
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06-11-2014, 14.41.46 | #79 | ||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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06-11-2014, 18.32.17 | #80 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Mi sembra che siamo proprio arrivati alla moltiplicazione di botte e risposte (sempre le stesse risposte alle stesso botte) da cui si esce solo per esaurimento (nervoso). Per evitare questo esito mi astengo dall’ opporre un’ altra volta gli stessi miei argomenti agli stessi tuoi argomenti (prima o poi bisognava per forza trovare il coraggio di farlo). La mia impressione é che o viviamo in mondi diversi e incomunicanti oppure più verosimilmente parliamo lingue diverse e difficilissimamente traducibili (tanto da farmi ritenere inutili ulteriori sforzi). Ultima modifica di sgiombo : 07-11-2014 alle ore 18.04.04. |
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