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Vecchio 26-11-2014, 19.24.34   #101
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da green&grey pocket
Capisco sempre di più cosa intende Sini parlando di Severino quando parla di Religione degli enti.
Ho trovato su youtube un breve e interessante commento di Sini sul pensiero di Severino (ma non penso sia quello a cui ti riferisci) con un accenno alla forte contrapposizione tra il pensiero di Severino e quello di Heidegger:
https://www.youtube.com/watch?v=aZ63FSfLydo
Molto azzeccata l'idea interpretativa di Sini su Severino del divenire (e del pensiero della morte) come malattia immaginaria a cui, noi, come i malati immaginari della commedia della vita, siamo tanto affezionati.
E molto pertinente anche la messa in luce del profondo significato politico del pensiero di Severino.
La contrapposizione con Heidegger penso che sia invece più sottile di come la indica Sini. E' vero che Heidegger si muove per Severino nella tradizione nichilista del pensiero occidentale, ma ci si muove, a differenza di Nietzsche, illudendosi di trovare una cura, un riparo (la pregnanza del linguaggio poetico ad esempio), quindi rallenta occultandolo dietro un mascheramento curativo di una malattia immaginaria, quel manifestarsi pieno della contraddizione nichilistica che per Severino deve necessariamente accadere per venire superata.
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Vecchio 26-11-2014, 23.49.44   #102
green&grey pocket
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Appena finito di ascoltare...Come al solito è un piacere ascoltare Sini.

E infatti se vai a rileggere quello che scrivo (a cui non hai risposto), io leggo Severino a partire da una domanda sulla pratica filosofica, appunto sul mio fare che si sviluppa temporalmente, e a cui la domanda Severiniana "assiste" con il suo terribile prospettivismo dialettico-formale, non tanto relativo all'ente degli enti come ente, quanto all'ente degli enti come necessariamente contradditorio rispetto alla pratica stessa del filosofare razionale, e cioè temporale.

In questo video la critica sul fantasma (che Sini eredita da Lacan e seguaci, e di cui mi interessa parecchio) di morte ( che nella psicologia viene chiamata, come il girare a vuoto della filosofia, il cerchio insignificante simbolico dell'uroboro, il significante che mangia il suo significato) secondo me non è del tutto vero per Severino.

Probabilmente perchè Sini non coglie la preponderanza dell'aspetto formale su quello storico.
Eppure l'aspetto storico in Severino d'altronde c'è come anche Sini riconosce. (anche se diviene mera tecnica e non pratica della tecnica)

In questo video Sini si concentra su quel serpente uroborico, che sta nel concetto di salvezza Severiniano, tema che ancora non abbiamo affrontato, o che semplicemente ci guardiamo bene dall'affrontare.

Se l'ente è semplicemente uno degli enti, allora anche il suo significato è semplicemente uno dei suoi significati.
Ma in questo (non so se Sini abbia ragione) c'è la sordità di Severino al domandarsi di quel significato che va a prendere di volta in volta la pratica del filosofare. (è quello che chiamo impropriamente significato storico, non tanto etico, che quello in Severino c'è. quanto proprio di senso).

La moltiplicazione degli enti (pazienza devo ancora caricarlo) non è dunque solo un problema riguardante il rasoio di occam, ma è anche una questione che una sovrabondanza di significati si perde in una banalizzazione del qui e ora, a favore di concetti astratti come destino e illusione, oltre ovviamente che alla metafisica salvezza.
Se tutto vale tutto, allora tutto vale niente.(a me suono così).

Rimane il fatto che lo scandalo del PNDC contraddetto, permane in maniera virale, è come se invece l'ombra il fantasma diventasse la stessa pratica del mio e di Sini filosofare.

La mia crisi profonda è infatti che mi sembra di vivere a cavallo di due discorsi ossessivi paranoici (accezione lacaniana), ognuno dei quali rischia di essere il fantasma e l'altro il reale.

D'altronde lo scandalo del PNDC è che non possono infatti essere entrambi veri.(è questa la mia domanda ancora più radicale rispetto al prospettiva fenomenologica, in ballo c'è molto di più.
E allora la filosofia o è pratica o è illusione.

In questo senso i 2 amici-nemici mi sembrano i 2 maestri a cui riferirsi per i prossimi decenni.

Su Heideger ti sbagli invece, anche la cura non è da intendersi come salvifico, ma come tecnica, come necessità della pratica umana (etica più che metafisica).

Infatti il discorso sulla cura viene meno nel secondo Heideger quando capisce che non basta un discorso sulla tecnica per recuperare il senso dell'originario.

Per Severino anche questo voler recuperare il senso originario è parte del nichilismo, se viene inteso come salvezza, in realtà lo stesso Severino si accorge che Heideger questa cosa non la dice mai con sicurezza, è per questo che Severino un paio di volte l'ho sentito dire che nel caso non ci fosse il pensiero di salvezza, allora sarebbe d'accordo con il tedesco.

In questo senso la malattia severiniana non è una reale malattia...ma appunto è questione formale (tecnica non logica).(idem per Heideger)

E Sini intende se parli(scrivi) di malattia (formale?) , come malattia (della prassi della tecnica), rimane il significato di malattia (come presupponente una cura). (e cioè vi è una illusione segnica, semiotica, più radicalmente di prassi) E questa illusione non è a sua volta metafisica? aggiungerei in finale io (e penso anche Sini).


Le domande restano tutte. (non sono capace ancora di intenderle nella loro vastità di implicazioni e di echi diatribici)


green&grey pocket is offline  
Vecchio 27-11-2014, 13.44.08   #103
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Tornando al principio di non contraddizione in senso hegeliano (e severiniano) esso non cancella semplicemente la contraddizione, ma la supera riproponendola e proprio qui sta il punto di collegamento tra il principio formale e la storia fenomenologica che è storia di un sempre diverso apparire della contraddizione da superare. Quando Severino risolve l'antinomia di Russell dicendo che la classe di tutti i sistemi normali appartiene a se stessa come elemento eterogeneo del proprio insieme risolve la contraddizione riproponendola come quell'elemento a mezzo del quale la classe può venire definita e può venire definita come omogeneità solo a mezzo di una eterogeneità compresa.
La problematica del PDNC sta nell'improvviso apparire dell'altro (il NON A che A nega di essere e di cui il principio di identità ignora l'esistenza), da dove salta fuori questo altro che io nego di essere? E' forse solo necessità del formalismo logico o è nella fenomenologia stessa della cosa? Io credo che Severino superi queste 2 posizioni tra loro contraddittorie leggendo nel formalismo logico la necessità di un continuo apparire (sopraggiungere e tramontare) degli enti e nel loro continuo apparire la necessità del loro eterno esserci che non nasce né muore mai (e dunque non è mai nulla).
L'aspetto uroborico della filosofia di Severino è, se vogliamo, quello della tautologia che è espressa dall'inalterabile principio di identità, che muove i suoi passi con il PDNC e torna all'identità originaria a mezzo del principio del terzo escluso che dà ragione della molteplicità originariamente iscritta nell'identità stessa. Ciò che è uno nel PDI ora appare come molti, ma questi molti sono ancora quel medesimo uno per cui ogni ente pur essendo diverso e contrapponibile a ogni altro ente non è da nessun altro ente separato. L'unità originaria è in ogni ente pur non potendo coincidere nessun ente nel suo apparire a quella unità originaria che si esprime superando continuamente la propria contraddizione, Uroboro-tautologia che divora se stesso con la contraddizione che gli presenta l'altro, ma divorandosi si rigenera.
Per quanto riguarda Heidegger non sono io che lo leggo così (figuriamoci!), ma Severino (ne affronta spesso il tema ed è sempre molto critico rispetto alla filosofia di Heidegger che vede come una fase regressiva rispetto al necessario sviluppo del nichilismo inaugurato da Nietzsche, proseguito da Leopardi in modo ancor più radicale e da Gentile). D'altra parte sempre la cura è in primo luogo tecnica di cura, il punto è capire se la malattia è reale o immaginaria, Severino ritiene che sia illusione e in tal caso l'unica cura sarà mostrare l'illusione proprio in quanto illusione. Chiaro che la posizione di Sini è diversa, poiché se la morte è impossibile viverla, dunque è solo una proiezione fantasmatica nel sentire dell'io, la consapevolezza di morire (di diventare prima o poi niente per gli altri che ci sopravvivono) resta nel significato più profondo e reale del vivere umano ed è essa stessa la sola vera cura.
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Vecchio 28-11-2014, 10.04.28   #104
paul11
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Mi ha colpito molto nell’intervista di Sini il concetto di malattia e quindi di morte che mi pare condivida con Severino, probabilmente la divergenza fra i due è il come si passa culturalmente, filosoficamente, attraversandoli. E’ un concetto molto forte.
Ha perfettamente ragione quando antropologicamente fa l’esempio che con la sepoltura del cadavere l’uomo inizia il linguaggio, cioè il proiettare la propria intelligenza nella morte e l’immagine che si dà all’intelligenza, insomma la riflessione sulla morte e il tentativo di dare un senso a quella morte e alla propria vita.
La finitezza infatti diventa una contraddizione del divenire e vincere la morte attraversandola culturalmente significherebbe includerla, non una antitesi alla vita, per cui si esorcizza con un aldilà, accettare la nichilistica fine per ricreare in un altro dominio, in un’altra dimensione la continuità della vita, cioè chiudere nel nulla un senso per riaprirlo in un altrove dal nulla(mi interessa qui prettamente l’aspetto culturale, logico filosofico, non spirituale)

Ma come è possibile vincere la contraddizione logica per Severino, filosofica e antropologica ,della morte attraversandola?
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Vecchio 28-11-2014, 18.30.20   #105
SinceroPan
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Epicuro: quando la morte c'è noi non ci siamo e viceversa.. Nessuno mai vedrà la propria morte.. il poeta Sanguineti dice: non mi pre-occupa la Morte ma il Morire cioè il Soffrire.. aggiungo io: la Propria Morte sarà pure un Fantasma Trascendente ma il Proprio Morire è una Certezza Immanente.. questa Realtà Immanente ahimè non lo possono negare neppure Sini e Severino.. ed è per questo che (a mio parere) il Tragico Rimane Qui ed Ora sia con le Religioni sia con il Consumismo/Tecnica (delle attuali Masse Occidentali) sia con la Filosofia dell'Essere di Heidegger sia col Destino Glorioso di Severino.. Tutti abbiamo una TECNICA di Cura dall'Angst del Proprio Morire (anche Severino e Sini).. quel che varia è solo la Modalità..
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Vecchio 28-11-2014, 19.29.02   #106
SinceroPan
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Non avendo trovato un post specifico sulla TECNICA metto qui questo link di Limes sugli Stati Uniti scritto da un manager di imprese tecnologiche che mi pare illuminato pur non essendo un filosofo.. e che si avvicinano molto al pensiero di Severino senza saperlo..

http://temi.repubblica.it/limes/dopo...cnologia/67482

e copio ed incollo una parte dell'articolo che ritengo significativa..

xxxxxxxxxxxxx

Nei decenni scorsi, la grande questione della tecnologia è stata se questa dovesse svilupparsi dentro o fuori la dimensione economica. Se, insomma, dovesse accettare l’abbraccio (mortale?) del capitalismo. Esiste tuttavia una "terza via" in cui quest'ultimo diventa uno strumento della tecnica. Un capovolgimento tra mezzi e fini, con l’economia come mezzo e la tecnologia come fine ultimo.

Nella già citata intervista al Financial Times, Page si chiede: perché mantenere un’economia fondata sul lavoro - cioè sull’uomo - quando il computer può fare di più e meglio? La tecnologia offre un nuovo codice d’appartenenza e una qualche forma di fede non tanto nel progresso tecnologico in quanto tale, quanto nella possibilità di inarrestabile potenza. In sostanza, un’economia fondata sul computer (software) è più efficace. Anche una medicina fondata sulla tecnologia allunga la vita dispiegando tutta la sua potenza. Una biologia fondata sulla tecnica dà da mangiare a tutti. Infine, una conoscenza basata sulla tecnologia trasforma il cosmo in una dimensione cognitiva.

Conclusione

È possibile che la tecnologia offra un giorno quella leadership così urgentemente richiesta dal paese? È possibile che dal mondo tecnologico emergano le idee, le prospettive, le soluzioni e anche le risorse umane che guideranno gli Stati Uniti nel XXI secolo? Avremo un giorno - per sintetizzare - un Mark Zuckerberg candidato alla presidenza degli Stati Uniti? Ebbene, è possibile.

Se nei prossimi vent’anni si rendesse autonoma dalla Difesa e arrivasse a dominare il capitalismo, la tecnologia può diventare - nel vuoto creato dalla crisi di politica e religione - la forza egemone, o quantomeno la fonte di leadership degli Stati Uniti. Perché questo avvenga occorre un ulteriore elemento: che la tecnologia si doti di un'autocoscienza (come si sarebbe detto nell'Ottocento). La tecnologia deve produrre una nuova Weltanschauung.

Oggi la tecnologia si propone già in una versione ludica - tecnologie per il buon vivere - e salvifica - per sconfiggere la morte e il dolore. Si è dunque proposta di ridisegnare non soltanto l’umano ma anche il cosmologico. È proprio grazie a questa crescente autodefinizione intellettuale che essa potrebbe avere la possibilità di guidare l’America nei prossimi decenni.
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Vecchio 29-11-2014, 09.21.40   #107
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da paul11
Ma come è possibile vincere la contraddizione logica per Severino, filosofica e antropologica ,della morte attraversandola?
Per Severino la morte è il superamento stesso di ogni contraddizione ed essendo la contraddizione dolore e lacerazione, la morte è l'incontro con la gioia, ossia con la verità eterna del destino di di ciò che si è. In tal senso morire è l'apparire radicalmente diverso del significato della terra isolata che si manifesta non più nell'isolamento che la getta nel dolore delle sue contraddizioni, ma come gioia immancabile per ogni ente che non può non giungere ad apparire per ciò che è. Questo tema Severino lo sviluppa soprattutto nell'ultimo suo testo teoretico: "La morte e la terra".
In tal senso il discorso di Sini mi sembra molto diverso: morire non è qui il momento luogo immancabile dell'incontro autentico con se stessi, del riconoscimento definitivo, ma è una sorta di punto virtuale nella cui prospettiva si attua l'accettazione del limite che ci impedisce di essere ciò che siamo, anche se proprio a mezzo della accettazione consapevole di questo limite mentre viviamo (e solo mentre viviamo qui e ora) ci riconosciamo per quello che siamo, sappiamo di non poter sapere e siamo liberi proprio perché sappiamo di quanto siamo condizionati e vincolati.
Dunque mentre per Severino la morte assume un valore assoluto come luogo dell'incontro con la verità immancabile di ogni ente e per tutti gli enti, per Sini è solo una prospettiva che non vivremo mai, ma alla luce della quale possiamo autenticamente vivere mentre esistiamo nel riconoscimento della verità dell'errore in larga misura sempre inevitabile.
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Vecchio 29-11-2014, 09.51.29   #108
maral
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Originalmente inviato da SinceroPan
Non avendo trovato un post specifico sulla TECNICA metto qui questo link di Limes sugli Stati Uniti scritto da un manager di imprese tecnologiche che mi pare illuminato pur non essendo un filosofo...
L'articolo è molto interessante, perché mette in luce l'immancabile destino del nostro tempo, quello di assumere sempre più come fine proprio quella tecnologia che originariamente era mezzo. E questo si attua proprio con l'assunzione di un'autocoscienza della tecnologia che in nome della propria unica efficacia ed efficienza si impone come fine a se stessa, si riflette in se stessa, acquisisce auto coscienza e detta la sola visione del mondo possibile e lecita. E l'uomo (e tutto quanto riguarda la visione umana: religione, morale, politica, filosofia, la scienza stessa intesa come processo umano di conoscenza) a questo punto è immolato e felice di suo doveroso immolarsi alla volontà di potenza tecnologica che tutto può in linea di principio risolvere.
maral is offline  
Vecchio 29-11-2014, 11.43.20   #109
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Grazie per la risposta Maral.

Sto approfondendo la logica e il suo cammino storico e ci vedo alcune incongruenze con quanto scrivete, o così mi pare,se sbaglio correggete pure.

La logica nasce semplicemente come corretto ragionare.
E la filosofia nasce fra ragione ed esperienza.
Il vero principio logico su cui praticamente si basa tutto lo svolgimento logico è il principio di non contraddizione. Il terzo escluso ad esempio è rifiutato dalla filosofia intuizionista.
Il principio d'identità utilizzato da Severino è il tentativo di tener fermo la proprietà di un ente nell'eternità e il principio di non contraddizione svolge il ruolo di correttezza nella logica proposizionale e predicativa.
Ne emerge una realtà complementare ovviamente e quindi totalmente negativa proprio perchè il principio originario è quello di identità.Diventa ovvio che la morte sia il ritorno al principio d'identità originario,finisce il mondo delle apparenze che era complementare e negativo., per Severino.

Ma rispetto a ciò che scrivete negli ultimi post sulla tecnica (Sincero Pan e Maral) il percorso storico è stato: procedimento elenclatico della dialettica fino alla logica aristotelica, matematica e infine informatica. Intendo dire che è stata proprio la logica a creare le scienze e partorire i software, in altri termini quella tecnica biasimata è all'interno del procedimento storico della ragione che c'era già nella cultura greca..
La cosiddetta filosofia dialettica mutuata da Hegel e poi di nuovo originalmente cambiata da Severino, è comunque all’interno di quel linguaggio logico.

Dove semmai si è cercato di ovviare alle contraddizioni della logica stessa? Creando metalinguaggi e teorie paraconsistenti, perchè la logica non riesce a rispondere totalmente al linguaggio proposizionale comune che utilizziamo quotidianamente. In altre parole la logica, se la filosofia è il tentativo di armonizzare ragione ed esperienza, ha dei limiti nel proprio linguaggio e proprio rispetto all'esperienza quotidiana della nostro vivere e comunicare..
Da qui nascono tutte le problematiche fra epistemologia ed ontologia del Novecento.
Esemplificando: se il principio di non contraddizione costituisce la base delle tavole logiche della verità attraverso i connettivi logici, sappiamo che la costruzione delle premesse e conclusioni cioè il procedimento ad esempio inferenziale, può falsare la realtà. Cioè la correttezza logica non necessariamente corrisponde alla realtà..
Tutto questo non significa buttare a mare la logica, bensì sapere che questo formidabile linguaggio della ragione è da utilizzare ...ma conoscendo le controindicazioni.

Questo è il motivo fondamentale per cui la metafisica che è propria del linguaggio logico, a mio parere è da prendere con le pinze .

Dai vostri scritti non mi pare sia emersa questa conoscenza sui limiti linguistico logici e mi piacerebbe capire cosa ne pensate.

paul11 is offline  
Vecchio 29-11-2014, 17.53.21   #110
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Paul11, la logica dialettica è diversa dalla logica formale (da cui deriva la concettualità matematica) nel senso in cui ne abbiamo già discusso con riferimento al testo di Berto che se vuoi puoi scaricare anche da internet (lo trovi con il titolo SEVERINO E LA LOGICA DIALETTICA), si potrebbe dire che la comprende rispettando completamente il principio di non contraddizione che costituisce base comune (la logica dialettica non è infatti una logica para consistente che indebolisce tale principio). Il principio della logica dialettica, parafrasando Hegel dichiara che per dire il vero la contraddizione è momento necessario e il toglierla diventa continua comprensione del contraddire (trovandosi qualsiasi ente definibile dalla totalità del suo contraddittorio). In tal senso la logica dialettica si estende oltre la logica formale e ne supera le antinomie (come quella di Russell) pur comprendendola.
In questo senso penso che la logica dialettica apre la filosofia a un discorso ermeneutico (classicamente riservato ai testi religiosi e giuridici) che trova in Gadamer il suo massimo esponente. Il discorso perde il carattere di giudizio apofantico (sull'essere vero o falso dell'enunciato) per farsi problema interpretativo che deve tener conto dell'interprete che pone il senso del discorso che presenta. La posizione di Gadamer è a mio avviso molto interessante, proprio per il richiamo esistenzialistico che attua sul logos e che mi pare sia la questione che poni con la tua considerazione (la sto approfondendo e magari troveremo il modo di discuterne sul forum).
La posizione di Severino non va comunque in questa direzione, mantiene la completa oggettività teoretica del discorso logico e lo risolve in termini dialettici del tutto originali (la sua è una dialettica che si riconduce a una pura tautologia) in cui il percorso fenomenologico (ciò che ci appare e ci appare in contrasto paradossale con il principio fermissimo di non contraddizione) non è altro che il continuo apparire dell'identità originaria stessa al cui significato è sempre ricondotto e questo apparire è appunto l'eterna Gloria dell'ente.
Severino non prende la metafisica con le pinze, ma la rivoluziona completamente con la sua assoluta negazione ontologica del divenire che si trova ad essere eterno apparire dell'identità. L'ermeneutica invece sospende ogni lettura metafisica mettendo in luce l'esigenza di una continua lettura interpretativa relativizzata alla comprensione dei significati che includono gli interpreti che li presentano.
maral is offline  

 



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