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26-11-2014, 19.24.34 | #101 | |
Moderatore
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Citazione:
https://www.youtube.com/watch?v=aZ63FSfLydo Molto azzeccata l'idea interpretativa di Sini su Severino del divenire (e del pensiero della morte) come malattia immaginaria a cui, noi, come i malati immaginari della commedia della vita, siamo tanto affezionati. E molto pertinente anche la messa in luce del profondo significato politico del pensiero di Severino. La contrapposizione con Heidegger penso che sia invece più sottile di come la indica Sini. E' vero che Heidegger si muove per Severino nella tradizione nichilista del pensiero occidentale, ma ci si muove, a differenza di Nietzsche, illudendosi di trovare una cura, un riparo (la pregnanza del linguaggio poetico ad esempio), quindi rallenta occultandolo dietro un mascheramento curativo di una malattia immaginaria, quel manifestarsi pieno della contraddizione nichilistica che per Severino deve necessariamente accadere per venire superata. |
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28-11-2014, 19.29.02 | #106 |
Ospite
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Non avendo trovato un post specifico sulla TECNICA metto qui questo link di Limes sugli Stati Uniti scritto da un manager di imprese tecnologiche che mi pare illuminato pur non essendo un filosofo.. e che si avvicinano molto al pensiero di Severino senza saperlo..
http://temi.repubblica.it/limes/dopo...cnologia/67482 e copio ed incollo una parte dell'articolo che ritengo significativa.. xxxxxxxxxxxxx Nei decenni scorsi, la grande questione della tecnologia è stata se questa dovesse svilupparsi dentro o fuori la dimensione economica. Se, insomma, dovesse accettare l’abbraccio (mortale?) del capitalismo. Esiste tuttavia una "terza via" in cui quest'ultimo diventa uno strumento della tecnica. Un capovolgimento tra mezzi e fini, con l’economia come mezzo e la tecnologia come fine ultimo. Nella già citata intervista al Financial Times, Page si chiede: perché mantenere un’economia fondata sul lavoro - cioè sull’uomo - quando il computer può fare di più e meglio? La tecnologia offre un nuovo codice d’appartenenza e una qualche forma di fede non tanto nel progresso tecnologico in quanto tale, quanto nella possibilità di inarrestabile potenza. In sostanza, un’economia fondata sul computer (software) è più efficace. Anche una medicina fondata sulla tecnologia allunga la vita dispiegando tutta la sua potenza. Una biologia fondata sulla tecnica dà da mangiare a tutti. Infine, una conoscenza basata sulla tecnologia trasforma il cosmo in una dimensione cognitiva. Conclusione È possibile che la tecnologia offra un giorno quella leadership così urgentemente richiesta dal paese? È possibile che dal mondo tecnologico emergano le idee, le prospettive, le soluzioni e anche le risorse umane che guideranno gli Stati Uniti nel XXI secolo? Avremo un giorno - per sintetizzare - un Mark Zuckerberg candidato alla presidenza degli Stati Uniti? Ebbene, è possibile. Se nei prossimi vent’anni si rendesse autonoma dalla Difesa e arrivasse a dominare il capitalismo, la tecnologia può diventare - nel vuoto creato dalla crisi di politica e religione - la forza egemone, o quantomeno la fonte di leadership degli Stati Uniti. Perché questo avvenga occorre un ulteriore elemento: che la tecnologia si doti di un'autocoscienza (come si sarebbe detto nell'Ottocento). La tecnologia deve produrre una nuova Weltanschauung. Oggi la tecnologia si propone già in una versione ludica - tecnologie per il buon vivere - e salvifica - per sconfiggere la morte e il dolore. Si è dunque proposta di ridisegnare non soltanto l’umano ma anche il cosmologico. È proprio grazie a questa crescente autodefinizione intellettuale che essa potrebbe avere la possibilità di guidare l’America nei prossimi decenni. |
29-11-2014, 09.51.29 | #108 | |
Moderatore
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Citazione:
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29-11-2014, 11.43.20 | #109 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Grazie per la risposta Maral.
Sto approfondendo la logica e il suo cammino storico e ci vedo alcune incongruenze con quanto scrivete, o così mi pare,se sbaglio correggete pure. La logica nasce semplicemente come corretto ragionare. E la filosofia nasce fra ragione ed esperienza. Il vero principio logico su cui praticamente si basa tutto lo svolgimento logico è il principio di non contraddizione. Il terzo escluso ad esempio è rifiutato dalla filosofia intuizionista. Il principio d'identità utilizzato da Severino è il tentativo di tener fermo la proprietà di un ente nell'eternità e il principio di non contraddizione svolge il ruolo di correttezza nella logica proposizionale e predicativa. Ne emerge una realtà complementare ovviamente e quindi totalmente negativa proprio perchè il principio originario è quello di identità.Diventa ovvio che la morte sia il ritorno al principio d'identità originario,finisce il mondo delle apparenze che era complementare e negativo., per Severino. Ma rispetto a ciò che scrivete negli ultimi post sulla tecnica (Sincero Pan e Maral) il percorso storico è stato: procedimento elenclatico della dialettica fino alla logica aristotelica, matematica e infine informatica. Intendo dire che è stata proprio la logica a creare le scienze e partorire i software, in altri termini quella tecnica biasimata è all'interno del procedimento storico della ragione che c'era già nella cultura greca.. La cosiddetta filosofia dialettica mutuata da Hegel e poi di nuovo originalmente cambiata da Severino, è comunque all’interno di quel linguaggio logico. Dove semmai si è cercato di ovviare alle contraddizioni della logica stessa? Creando metalinguaggi e teorie paraconsistenti, perchè la logica non riesce a rispondere totalmente al linguaggio proposizionale comune che utilizziamo quotidianamente. In altre parole la logica, se la filosofia è il tentativo di armonizzare ragione ed esperienza, ha dei limiti nel proprio linguaggio e proprio rispetto all'esperienza quotidiana della nostro vivere e comunicare.. Da qui nascono tutte le problematiche fra epistemologia ed ontologia del Novecento. Esemplificando: se il principio di non contraddizione costituisce la base delle tavole logiche della verità attraverso i connettivi logici, sappiamo che la costruzione delle premesse e conclusioni cioè il procedimento ad esempio inferenziale, può falsare la realtà. Cioè la correttezza logica non necessariamente corrisponde alla realtà.. Tutto questo non significa buttare a mare la logica, bensì sapere che questo formidabile linguaggio della ragione è da utilizzare ...ma conoscendo le controindicazioni. Questo è il motivo fondamentale per cui la metafisica che è propria del linguaggio logico, a mio parere è da prendere con le pinze . Dai vostri scritti non mi pare sia emersa questa conoscenza sui limiti linguistico logici e mi piacerebbe capire cosa ne pensate. |
29-11-2014, 17.53.21 | #110 |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Paul11, la logica dialettica è diversa dalla logica formale (da cui deriva la concettualità matematica) nel senso in cui ne abbiamo già discusso con riferimento al testo di Berto che se vuoi puoi scaricare anche da internet (lo trovi con il titolo SEVERINO E LA LOGICA DIALETTICA), si potrebbe dire che la comprende rispettando completamente il principio di non contraddizione che costituisce base comune (la logica dialettica non è infatti una logica para consistente che indebolisce tale principio). Il principio della logica dialettica, parafrasando Hegel dichiara che per dire il vero la contraddizione è momento necessario e il toglierla diventa continua comprensione del contraddire (trovandosi qualsiasi ente definibile dalla totalità del suo contraddittorio). In tal senso la logica dialettica si estende oltre la logica formale e ne supera le antinomie (come quella di Russell) pur comprendendola.
In questo senso penso che la logica dialettica apre la filosofia a un discorso ermeneutico (classicamente riservato ai testi religiosi e giuridici) che trova in Gadamer il suo massimo esponente. Il discorso perde il carattere di giudizio apofantico (sull'essere vero o falso dell'enunciato) per farsi problema interpretativo che deve tener conto dell'interprete che pone il senso del discorso che presenta. La posizione di Gadamer è a mio avviso molto interessante, proprio per il richiamo esistenzialistico che attua sul logos e che mi pare sia la questione che poni con la tua considerazione (la sto approfondendo e magari troveremo il modo di discuterne sul forum). La posizione di Severino non va comunque in questa direzione, mantiene la completa oggettività teoretica del discorso logico e lo risolve in termini dialettici del tutto originali (la sua è una dialettica che si riconduce a una pura tautologia) in cui il percorso fenomenologico (ciò che ci appare e ci appare in contrasto paradossale con il principio fermissimo di non contraddizione) non è altro che il continuo apparire dell'identità originaria stessa al cui significato è sempre ricondotto e questo apparire è appunto l'eterna Gloria dell'ente. Severino non prende la metafisica con le pinze, ma la rivoluziona completamente con la sua assoluta negazione ontologica del divenire che si trova ad essere eterno apparire dell'identità. L'ermeneutica invece sospende ogni lettura metafisica mettendo in luce l'esigenza di una continua lettura interpretativa relativizzata alla comprensione dei significati che includono gli interpreti che li presentano. |