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30-10-2014, 19.17.51 | #42 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Maral:
Il punto è che la realtà esperenziale non è mai pura, ossia necessita di un quadro di riferimento pre esistente per essere intesa e questo quadro pre esistente è metafisico, ma non può essere valutato esperenzialmente, proprio perché è ciò che dà significato alle esperienze con cui lo dovremmo valutare. Nel libro di Varzi non trovo che ci si appelli alla realtà esperenziale per valutare pregi e limiti delle metafisiche a rifletterli per quello che sono, ma principalmente per vedere come la realtà esperenziale appare alla luce di diversi postulati metafisici per capirne gli effetti e valutarne le difficoltà logiche. Sgiombo: Per realtà esperienziale intendo (credo senza alcun presupposto metafisico, nemmeno sottinteso, ma solo per convenzione linguistica) l’ insieme di sensazioni o percezioni che costituiscono ciascuna esperienza (fenomenica) cosciente (quella immediatamente esperita, la “propria” di ciascuno, e le altre che si possono postulare esistere). Non vedo quali presupposti metafisici preesistenti (che, se sono metafisici, non possono essere esperiti perché trascendono l’ esperienza sensibile stessa) debbano essere necessari per intenderla (né come si possano dimostrare). Non mi sento di discutere sull’ interpretazione di Varzi, ma sinceramente non colgo la differenza fra: a) appellarsi alla realtà esperenziale per valutare pregi e limiti delle metafisiche a rifletterli per quello che sono; e b) vedere come la realtà esperenziale appare alla luce di diversi postulati metafisici per capirne gli effetti e valutarne le difficoltà logiche. Maral: Sì ma così dicendo mi dici che A=A, B=B, C=C, D=D e che C e D non si mostrano fenomenologicamente veri e sono d’accordo, il pnc non è negato anche trascurando che C e D non sono fenomenologicamente veri, ma per dire che A diventa B devi dire che c’è di sicuro un momento in cui l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa dell’anfora alla sera in casa di Lara (B), ossia che è certamente possibileA=B ed è questo a contraddire il principio di identità (A e B sono diversi, ma li consideri la stessa anfora).L’espressione di Eraclito non è retorica, mostra esattamente (quasi 3 millenni or sono) l’ontologia sicuramente e inevitabilmente contraddittoria del divenire (l’essere e il non essere della stessa cosa). Sgiombo: Per dire cha A diventa B non C’ è nessun bisogno di ammettere illogicamente, autocontraddittoriamente che ci sia alcunun momento in cui l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa dell’anfora alla sera in casa di Lara (B): il mattino è un certo lasso di tempo, la sera un certo altro, diverso lasso di tempo (a parte il fatto che lo stesso pseudoproblema –ammesso e non concesso- si riproporrebbe tale e quale -solo spostato e non risolto- a proposito dell’ “apparire”: se -per assurdo- fosse come sostieni tu a proposito dell’ ente, allora anche a proposito delle sue manifestazioni fenomeniche o apparenze si dovrebbe inevitabilmente ammettere che “c’è di sicuro un momento in cui” l’ apparenza fenomenica de- “ l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa de-“-l’ apparenza fenomenica de- “-l’anfora alla sera in casa di Lara (B)”. Considerando la stessa cosa (prescindendo dall’ ipotesi della perdita del frammento) l’ anfora che al mattino é in negozio e alla sera è a casa di Lara non mi contraddico affatto perché non identifico la sua ubicazione spaziotemporale (mi contraddirei se dicessi che l’ ubicazione dell’ anfora, che é sempre quella cosa che è, al mattino in negozio è la stessa ubicazione che alla sera a casa di Lara). Su cosa intendesse Eraclito con quella frase (ricavo da Wickipedia: In che misura la dottrina eraclitea del logos si opponesse al principio di non-contraddizione risulta pertanto poco chiaro, ed era oggetto di discussione tra gli stessi antichi greci.) credo che bisognerebbe chiedere a lui… Sgiombo: Ma i sensi non possono nemmeno esperire l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede. Infatti i sensi (con la collaborazione della memoria) esperiscono benissimo il non essere più dell’ apparire di qualcosa (apparire che non si vede e non esiste, poiché la sua esistenza si identifica e si esaurisce nel suo apparire)... Maral: semplicemente Vedo che non c'è più, ossia mi accorgo che non c'è più, colgo il suo non esserci più, la sua assenza... Ma i sensi possono esperire, oltre alla mancanza di qualcosa che ricordiamo come esperito, pure la mancanza di qualcosa che sentivamo che dovesse presentarsi e non si presenta. In generale i sensi esperiscono sia la presenza che la mancanza in rapporto a una memoria o a un'aspettativa (e in fondo la memoria è ancora un'aspettativa di un ritorno), mancanza che è una non presenza, un non esserci, un non apparire, un non sopraggiungere di ciò che è atteso. Sgiombo: Certo, ma anche in questo modo i sensi non esperiscono (non possono esperire) l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede (questa sì che sarebbe un’ autentica contravvenzione del P. dio N C!). Esperiscono l’ inesistenza di qualcosa di immaginato (o ricordato o atteso, o sperato, ecc.), comunque qualcosa che si vede (quando esiste), e non l’ esistenza di qualcosa di esistente che non si vede (= percepiscono visivamente qualcosa che non si percepisce visivamente). |
30-10-2014, 19.36.32 | #43 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Maral:
Il mutamento appare realmente, ma apparendo mostra la sua contraddizione ed è questa che va spiegata (non negata). Noi esistiamo nel mondo dell’apparire, proprio perché appariamo a noi stessi e secondo le regole di questo apparire, questo è vero. Ma è diverso voler dare realtà ontologica a questo apparire, perché questa realtà ontologica contraddice la logica dell’identità. Beninteso, ce ne può sempre fregare della logica dell’identità, ma questo renderebbe insensato qualsiasi discorso. Sgiombo: Il divenire non mostra alcuna contraddizione. Mostrerebbe casomai una contraddizione il pretendere che il divenire si identifichi con la fissità o non-divenire. Se l’ apparire è (reale in quanto tale: apparire), come tu dici, allora negargli “realtà ontologica” (in quanto tale, ovviamente) significa violare il P di N C., ovvero fregarsene della logica dell’ identità e fare un discorso insensato. Maral: Ma allora come fai a dire che la questa mela acerba è maturata se A=A e B=B? La mela acerba è mela acerba, non può mai essere mela matura che è mela matura. Come fai a credere logicamente che la mela acerba e la mela matura sono la stessa mela? Una è acerba e l’altra è matura non possono diventare la stessa cosa (ossia non ci potrà mai essere un tempo o un luogo in cui la mela acerba è la mela matura, se non voglio contraddirmi!) Sgiombo: E’ lo stesso discorso dell’ ubicazione del vaso: accanto ad alcune caratteristiche che ne fanno “quella determinata mela” in ogni stagione in cui è esite, ve ne sono anche altre in primavera e non in autunno che ne fanno una mela acerba ed altre ancora in autunno e non in primavera che ne fanno una mela matura. Sgiombo: (poiché il mutamento c’ è, è necessario usare i diversi tempi dei verbi, non ci vedo niente di male; altrimenti perché le grammatiche di tutte le lingue ne sono dotate?) Maral: Perché le lingue parlano dell'apparire e non dell'essere, non possono fare altro. Il passato e il futuro sono dimensioni dell'apparire e i tempi mostrano appunto il sopraggiungere e l'oltrepassare degli enti nei cerchi dell'apparire e non dell'essere Sgiombo: Per ragionare non abbiamo che le lingue. Ergo ciò che tu chiami “apparire” è tutto ciò di reale (in quanto tale: tutto ciò che é) di cui possiamo ragionare. Dovrei dedurne che di quello che chiami “essere” non è possibile parlare, ragionare: si deve (dovrebbe) tacere Maral: La tautologia dice ciò che è senza contraddizione e presentano implicazioni che vanno svelate perché spesso non sono implicazioni indifferenti. Se come dici l’apparenza parziale dell’ente è apparenza parziale dell’ente questo significa che essa non potrà mai essere mostrata come totalità dell’ente, cosa che invece volentieri e costantemente accade. Sgiombo: Altra tautologia che non dice nulla circa la realtà (ma solo qualcosa circa il corretto parlare della (pensare la) realtà. Concordo (ma non vedo che ci azzecchi) che capita che si faccia confusione (anche, fra l' altro) fra parzialità e totalità; sul "costantemente" e il "volentieri" non sono d' accordo. Sgiombo: Perché l’accadere fenomenologicamente, se realmente accade, non è forse un fatto reale? Maral: Non ho detto che non è un fatto reale, lo è sicuramente!, ho detto che non basta da solo a esaurire il reale. Non basta ciò che appare, che si mostra e si rappresenta a dire che il reale è tutto lì. Insieme a questo essere per noi c’è pur sempre necessariamente un essere in sé che non è nulla. Sgiombo: Non necessariamente. La realtà può benissimo esaurirsi in ciò che appare (= il pensarlo non contraddice il P di N C); e se altro comprende che non appare (non è contraddittorio il pensarlo, dunque è possibile pure questo) non può essere dimostrarlo (né men che meno constatato). Sgiombo: l’ interezza o parzialità delle percezioni degli oggetti non ha nulla a che vedere con il loro mutare o (per assurdo, ammesso e non concesso) meno. Maral: Solo della parzialità può apparire il mutare. Sgiombo: Ovvio (e secondo me del tutto irrilevante), dal momento che per i nostri limiti umani qualunque cosa che ci appare ci appare parzialmente. D’ altra parte anche se ci fosse (ammesso e non concesso) qualcosa di fisso e non mutevole (in assoluto “eternamente”, sempre e non per un più o meno lungo ma finito lasso di tempo), comunque ci apparirebbe parzialmente anch' esso. Sgiombo: (Anche se molte cose di me bambino sono in gran parte immutate nel mio corpo attuale: per esempio le successioni dei tipi di aminoacidi -non gli aminoacidi- delle mie proteine, le strutture proteiche e lipoproteiche di molte membrane e degli organuli di molte mie cellule, in particolare cerebrali; non le molecole lipoproteiche e proteiche di cui erano e sono costituiti: "il muro", non "i mattoni") Purtroppo la mia identità non solo mi appare ma anche è invecchiata (sarei pazzo, o per lo meno ridicolo, se credessi di sembrare vecchio mentre realmente sono esattamente, integralmente -e non solo parzialmente- lo stesso che in gioventù). Pretendere di sembrare vecchi ma essere realmente giovani, alla mia età, sarebbe una patente dimostrazione di volontà di potenza (o delirio di onnipotenza). Maral: No, anche quei mattoni sono altri, non sono gli stessi (se non in senso del tutto astratto, come dire che tutti i mattoni sono parallelepipedi). Tu sei lo Sgiombo vecchio di adesso che non è in alcun modo lo Sgiombo bambino di allora, ma ha nella memoria l’immagine di uno Sgiombo bambino che attribuisce come tale (e non come memoria a se stesso) e pure questa memoria cambia. L’ente che in ogni istante appare è esattamente se stesso, ma non è lo stesso ente dell’istante precedente o successivo, resta sempre identico a se stesso, è un altro che appare, a meno di non considerare che l’ente è la sua stessa storia fin dall’inizio che via via mostra nei suoi aspetti la sua completa identità ontologica, un po’ per volta. Hai presente la storia della nave di Teseo? Si dice che essa sia stata conservata ad Atene per secoli sostituendo le assi che andavano usurandosi con nuove assi identiche. Ma alla fine come possiamo dire che la nave di Teseo fosse sempre quella? Sgiombo: Quei "mattoni" sono altri e non gli stessi, in senso del tutto concreto, esattamente come il fasciame della nave di Teseo. Alcune parti di me (alcune membrane, alcune sinapsi, alcuni organuli di alcuni neuroni) sono sempre quelle di quando ero da bambino esattamente nello stesso senso in cui la nave di Teseo era sempre la nave di Teseo nei secoli in cui è esistita. Sgiombo: se dico che una mela è una mela non do nessuna informazione sul mondo reale a nessuno: potrebbero esserci qui davanti a me un milione di mele o nessuna mela, cosa che comunque ignorerei e che non comunicherei a nessuno. Maral: E cos’è una mela se non esattamente la mela che è? Diverso è dire per informare che cosa significa essere quella mela che è la mela che è e questo è un problema metafisico a cui ogni metafisica presenta (lascia apparire) risposte diverse. E la totalità delle risposte aventi senso (che va chiarito) sono esattamente la mela che è. Le tautologie esprimono quindi l’ontologia della mela che implica una specifica problematica metafisica che ne consente la fenomenologia. Sgiombo: Ogni, qualsiasi cosa (del tutto indefinitamente) è esattamente quella cosa che é. Questa è una tautologia; infatti ora che l’ ho scritta e pensata (o meglio: da quando ne sono al corrente) so qualcosa di come si parla correttamente, ma non so nulla del mondo reale. "Una mela é una mela" e "un ippogrifo é un ippogrifo" sono entrambe tautologie ma non ci dicono nulla sul fatto reale che le mele esistono e gli ippogrifi non esistono: non é per il fatto che una mela é una mela che le mele esistono, poiché esattamente allo stesso modo (tautologico) anche gli ippogrifi sono ippogrifi, e però non esistono. Dunque le tautologie non sono conoscenze circa il reale, non esprimono alcunché, non dicono nulla della realtà (ontologia compresa): e infatti sul fatto che una mela sia una mela e non una pera sono perfettamente d’ accordo materialisti, idealisti, dualisti, (per riferirci a Varzi: moltiplicatori e unificatori, tridimensionalisti e quadridimensionalisti), e chi più ne ha più ne metta, non avendo le tautologie alcuna implicazione metafisica: non dicendo nulla, né di metafisica, nè di alcun altro argomento. Ultima modifica di sgiombo : 31-10-2014 alle ore 15.07.38. |
31-10-2014, 00.10.10 | #44 | |||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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be' anche per me non mi riesce proprio di non vedere innanzi a noi,solo scenari apocalittici… ma a parte questo,credo ci porterebbe lontani dall'argomento in discussione Citazione:
ed e' punto questo che non si dovrebbe cadere nell'errore di considerare il parziale come l'intero..mi sembra,(per una volta almeno ) che così che si e' arrivati alla stessa "conclusione" del ragionamento che mi era venuto di stimolare attraverso il bel libro di Flatlandia Citazione:
Si,infatti. ad ogni modo la sfera rimane sfera,sempre e comunque..indipendentemente da come lo vede il quadrato. ..e da qui (da tutto questo) secondo me si potrebbero cominciare ad aprire scenari,che consentirebbero un radicale cambiamento,e una possibile svolta in tutti i sensi e in tutti gli ambiti. non sarebbe male riprenderlo da qui e svilupparne un argomento a parte.. |
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31-10-2014, 15.09.31 | #45 | |
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... mi scuro x errore: ho invertito Accelererebbe con Decelererebbe e viceversa tra periferia e centro.. cmq il senso del discorso non cambia -- i punti di vista parziali de-formano la realtà.. o meglio: sono un'altra realtà della realtà.. entrambe vere ma diverse.. . |
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01-11-2014, 20.05.08 | #46 | |||||||
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[quote=sgiombo]
Sgiombo: Per realtà esperienziale intendo (credo senza alcun presupposto metafisico, nemmeno sottinteso, ma solo per convenzione linguistica) l’ insieme di sensazioni o percezioni che costituiscono ciascuna esperienza (fenomenica) cosciente (quella immediatamente esperita, la “propria” di ciascuno, e le altre che si possono postulare esistere).[quote] Bà, ma se quello che dici è solo una convenzione linguistica nulla vieta di cambiarla con pari valore di verità (ossia 0), di che stiamo a discutere? Se è solo convenzione tutti hanno sempre ragione e torto allo stesso tempo. Citazione:
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01-11-2014, 20.09.29 | #47 | |
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01-11-2014, 20.30.57 | #48 | |||||
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Sgiombo: (Anche se molte cose di me bambino sono in gran parte immutate nel mio corpo attuale: per esempio le successioni dei tipi di aminoacidi -non gli aminoacidi- delle mie proteine, le strutture proteiche e lipoproteiche di molte membrane e degli organuli di molte mie cellule, in particolare cerebrali; non le molecole lipoproteiche e proteiche di cui erano e sono costituiti: "il muro", non "i mattoni") Purtroppo la mia identità non solo mi appare ma anche è invecchiata (sarei pazzo, o per lo meno ridicolo, se credessi di sembrare vecchio mentre realmente sono esattamente, integralmente -e non solo parzialmente- lo stesso che in gioventù). Pretendere di sembrare vecchi ma essere realmente giovani, alla mia età, sarebbe una patente dimostrazione di volontà di potenza (o delirio di onnipotenza). Citazione:
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01-11-2014, 22.21.33 | #49 | ||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Tornando all'esempio del quadrato, il quadrato ha visto una storia fatta di cerchi e forse è arrivato a chiamare questa storia "sfera", per il quadrato quindi la sfera non è un oggetto tridimensionale, ma una storia che procede per cerchi discontinui in un determinato modo che ne restituisce il senso di continuità, ma a un certo punto potrebbe chiedersi: e se tra un cerchio e l'altro qualcosa di importante mi fosse sfuggito? Qualcosa che non era un cerchio per cui la storia che ho chiamato sfera non aveva il senso di una sfera? Io ritengo che questo dubbio possa essere risolto rendendosi conto che in realtà quadrato e sfera appartengano alla stessa realtà-ente che necessita di apparire. Ossia che l'apparire dell'ente ha una necessità ontologica intrinseca che non può tradirne la metafisica (ciò che esso è), altrimenti sarebbe contraddizione (che non può fare apparire nulla). Il senso della storia completa è esattamente l'ente che la storia rappresenta al quadrato per come il quadrato la intende, l'ete è dato da questa unione nel modo in cui tale unione si realizza e la sfera è comunque sfera per il quadrato. La sfera ha in se stessa il quadrato che la conosce, non fuori di sé. Non so se sono riuscito a spiegarmi, perché mantenendo questa metafora è piuttosto difficile, ma se leggo "I tre moschettieri" e mi sfuggono alcune parole, quel libro con quelle parole che mi sono sfuggite sarà esattamente l'ente ""i tre moschettieri letto da me" con il senso che gli è proprio e che sarà ente diverso da "I tre moschettieri letto da te" a cui quelle parole non sono sfuggite (ma magari ne sono sfuggite altre) E qui riprendo anche l'osservazione di jeangene: Citazione:
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02-11-2014, 09.30.38 | #50 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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