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03-11-2014, 23.32.03 | #62 |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
Sgiombo, tento una sintesi sui punti salienti delle nostre diverse posizioni altrimenti provochiamo una moltiplicazione di botte e risposte che al confronto quella severiniana degli enti fa ridere e per di più con il rischio di innescare polemiche circolari da cui si esce solo per esaurimento (nervoso) .
Tu dici che diversi linguaggi sono ammissibili per dire le stesse cose purché abbiano una sintassi logica condivisibile, ma il problema metafisica è quello delle stesse cose. Quali sono queste cose di cui diciamo con linguaggi diversi pur rispettando la grammatica e dunque l'analisi logica? E' da qui che nasce il problema metafisico. Oltre la tautologia ontologica che è sicuramente vera (l'identità è figura logica A=A, ma anche ontologica per forza di cose), esiste qualcos'altro che possiamo giudicare vero o falso? Rispetto a cosa possiamo considerarlo tale? Tu dici rispetto alla realtà esperenziale. Ma questa è una posizione metafisica! che dice in cosa consiste la realtà a cui ci si deve attenere. Ma cosa giustifica questa assunzione agli occhi di un Platone ad esempio, per il quale la realtà esperenziale è invece inganno e ombra? Basta dire che la metafisica ideale di Platone non ci piace? Poi a quale livello percettivo assumiamo questa realtà esperenziale? Quello puramente sensoriale? quello sensoriale intuitivo? Quello mediato e setacciato dalla razionalità matematica come fa la fisica? Quello che prende a riferimento il funzionare? Capisci che il problema metafisico è tutt'altro che semplice e rischia di ridursi a una serie infinita di postulazioni che proprio in quanto tali lasciano il vuoto nella mente. Ogni ambito metafisico di senso può essere assunto senza doverlo giustificare rispetto a un altro e in quell'ambito , e solo in quell'ambito, qualcosa potrà risultare vero (ossia coerente ai significati lì ammessi) o falso (ossia incoerente) perché è l'ambito stesso a porlo come tale nella sua diversa e legittima modalità significante. Ma allora come possiamo parlare della stessa cosa? Di che cosa parliamo se non di traduzioni più o meno appropriate tra significati appartenenti a metafisiche diverse? Per questo trovo che la posizione neutra rispetto al problema della verità, quella che valuta solo le implicazioni intrinseche delle scelte metafisiche, senza prendere posizione mi pare fondamentale, fermo restando che una posizione prima o poi bisogna prenderla (e in realtà è fin dall'inizio già presa da ciò che siamo e al contrario occorre imparare a sospenderla per capire cosa implica quella posizione in rapporto ad altre e dove andare a cercare certi significati e dove no perché non li troveremmo mai). Ora, Severino parte dallo stesso indiscutibile principio di identità e lo interpreta assumendo che ciò che dell'ente si predica non è separabile dall'ente di cui si predica, nemmeno gli avverbi temporali, in quanto la concretezza dell'ente è dato dalla totalità concreta di tutti i suoi attributi (per cui l'anfora al mattino in negozio non è l'anfora / in negozio / alla mattina, ma esattamente l'anforaalmattinoinnegozio). E' evidente che questo suona assurdo a chi invece prende a riferimento la realtà esperenziale che muta di continuo, ma qui viene in soccorso la differenza fondamentale tra il divenire e ciò che Severino considera come apparire. Mentre infatti il divenire implica un diverso essere riferito allo stesso essente (ed è contraddizione se quell'essente coincide con tutti i suoi attributi), il diverso apparire implica un una diversa parzialità che appare senza che si possa mai dare la totalità reale dell'ente, pur dovendosi questa dare. Non c'è un divenire dell'apparire come tu dici, l'apparire non diviene come ogni altro ente (l'apparire dell'anfora al mattino non diventa l'apparire dell'anfora alla sera, esattamente come l'anfora al mattino non diventa l'anfora alla sera), ma c'è l' apparire dell'apparire dovuto alla sua parzialità che deve rendersi all'infinito totalità. E' il rapporto tra la molteplicità delle parti singole e il totale intero delle parti corrispondente all'ente che interessa e non quindi quello tra ente e niente che interessa il divenire /e ricordo che il significato del divenire come rapporto ente-niente mi fu dato in una delle prime lezioni di filosofia al liceo, non è per nulla roba severiniana). In entrambi i casi c'è un contraddirsi, Severino lo dice chiaramente, ma mentre nella seconda che riguarda il divenire il contraddirsi è autocontraddizione, nella prima non lo è: è una necessità (logica) che implica costantemente una necessità opposta (fenomenologica) per realizzarsi continuamente istante per istante. Se nel divenire la coesistenza degli opposti (ente e niente) implica l'annullamento dell'ente, nell'apparire la coesistenza degli opposti (identità totale dell'ente ed entità parziale) implica un continuo superamento della parzialità verso la totalità il cui destino è di apparire proprio come un processo e non come un punto di arrivo. e l'ente è fenomenologicamente proprio questo continuo eterno procedere a cui tutti gli enti concorrono, restando tuttavia nella totalità di ciascuno sempre ciò che sono, perché questo è il modo in cui l'identità appare). Di questa totalità dell'ente ne possiamo parlare solo nei termini di un apparire che non si esaurisce mai via via che procede da un campo di senso a un altro (ossia, in linguaggio severiniano, da un cerchio dell'apparire a un altro), Si noti che l'apparire è apparizione di significati, nient'altro ed è proprio di questi significati che si parla con i nostri linguaggi, è solo dell'apparire che si può parlare, non dell'ontologia, perché l'ontologia parla per fenomenologia. PS a proposito della nave di Teseo che dici essere sempre la stessa nonostante tutte le assi e i chiodi siano stati sostituiti per una sorta di continuità formale, Hobbes complicò il paradosso considerando che qualcuno avrebbe potuto prendere quelle assi e quei chiodi sostituiti ma ancora in buono stato per costruire una seconda nave di Teseo formalmente identica e in più con i pezzi originali montati nel medesimo ordine. Tutte queste navi (adesso ne abbiamo 3) saranno la sempre identica nave di Teseo? Oppure ce ne sarà solo una come in origine? Le navi di Teseo si moltiplicano e le conseguenze paradossali pure: http://news-town.it/component/k2/444...-di-teseo.html |
04-11-2014, 21.03.39 | #65 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Per me il nulla é dicibilissimo e sensatissimo (anche se ovviamente, dal momento che siamo qui a discutere, il nulla non accade realmente; ma dire che l' affermazione "non esiste alcunché" = "é il nulla" é falsa é diverso dal dire che é insensata e indicibile. Anzi proprio il fatto che possiamo dirne che é falsa implica necessariamente che sia dicibilissima e sensatissima (se non lo fosse non potremmo dirne alcunché, né che é vera, né che é falsa). Dire che il nulla é il nulla é una tautologia, e dunque non dice nulla su ciò che é reale e ciò che non é reale. Esattamente come qualsiasi altra tautologia, comprese "qualcosa é qualcosa", ciò che é é ciò che é", "l' essere é l' essere" Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2014 alle ore 08.19.05. |
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04-11-2014, 21.33.40 | #66 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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04-11-2014, 23.08.47 | #67 | ||||||
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Cosa significa "1" nella formula? L'unità originaria dell'ente? Citazione:
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05-11-2014, 01.14.16 | #68 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Formalmente o sensatamente? (che ti succede amico? sono 2 cose diverse!) Sensatamente ne possiamo anche parlare, ma cadremmo nel dilemma del milese, infatti non possiamo parlare di qualcosa che è non-ente. Ma se io formalizzo il non-ente come l'insieme vuoto degli enti, probabilmente comincia ad avere senso. Mentre ovviamente il non-ente come insieme vuoto dell'ente non avrebbe senso, in quanto l'ente non ha insieme, in quanto onnipervasivo. inoltre di quell'insieme vuoto degli enti, rientra a mio parere tutta la problematica contemporanea sul soggetto. |
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05-11-2014, 01.17.47 | #69 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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Sì e allora la shoà sarà spiegabile tramite qualche digressione... Ma non è proprio una delle critiche che si fa a Severino? Comunque a rigor di logica ci sta. |
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05-11-2014, 01.37.55 | #70 | |
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana
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No l'unità originaria MENO il soggetto farà un dato x (soggetto, più una parte dell'unità sottratta ossia l'oggetto) che moltiplicato (con l'oggetto che si sottrae all'unità come escluso, potrebbe essere la Cosa kantiana?) più una parte y dell'unità sottratta, che sono gli oggetti "altri" che permetto di riconoscere il soggetto e l'oggetto come tali. l'ente originario perciò è qualcosa che NON è l'unità (x per y non farà MAI 1, questo proprio matematicamente), ma qualcosa che si va ricostruendo all'indietro come apparente unità. qualcosa di resistente, qualcosa che permane di sfondo al nostro vivere in queste relazioni cosali: a me torna alla grande. Assomiglia molto all'essere Heideggerinao. E se mi dici Severino parla di ricostruzione (e non costruzione unitaria alla Hegel) possiamo anche trovare che la pensi in maniera simile. Quello che più mi piace è che finalmente il problema del sentire il tutto, che è impossibile a partire dalla parte (se non postulandolo), si risolve in una partecipazione dell'ente originario a questa fenomenologia del distacco dall'uno-tutto. il punto è che non è un tutto, ma un 1, immagino proprio nel senso aritmetico di unità (primitiva?) disponibile all'apparire umano. Di commisurazione, o semlicemente di commisurabilità, di possibilità fenomenica. |
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