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16-09-2013, 22.51.38 | #62 |
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Riferimento: L'esistenza
Qualche tempo fa avevo iniziato un saggio su questo argomento, di cui mi permetto di postare la parte iniziale (divisa in due causa lunghezza):
Esistenza ed essere Questo è un campo battuto da sempre nell’ambito filosofico, ma è indispensabile trattarlo per chiunque si appresti a parlare di questioni metafisiche e teologiche per chiarire il proprio punto di vista su questo tema, soprattutto considerando l’enorme confusione che si è accumulata nel corso del tempo. Innanzitutto è fondamentale asserire che tutto esiste e che non vi è niente che non esista. Queste affermazioni potranno sembrare (come di fatto sono sembrate nel corso dei secoli) banali e ovvie, tanto da non essere considerate significative poiché troppo vaghe, nondimeno sono assolutamente vere poiché non si può propriamente pensare o parlare di qualcosa che non esiste. Se si pensa a qualcosa, se si parla di qualcosa, è assolutamente necessario che quel qualcosa possieda un livello di esistenza perché, se così non fosse, nulla si potrebbe dire o pensare di questa cosa. Che poi questa cosa sia un oggetto materiale, un pensiero, un’idea, un progetto, un personaggio immaginario o un’ipotesi scientifica è una questione che attiene appunto il livello di esistenza di quella determinata cosa, e dovrebbe essere cura di chi vuole parlare di qualsiasi cosa porre la discussione sul corretto livello di esistenza, per poi eventualmente passare a discuterne ad un diverso livello. Un grattacielo non ha bisogno di essere costruito per esistere, ma può esistere, ovviamente ad un particolare livello, nella mente del progettista; i presupposti perché dal progetto si possa passare alla costruzione, ovvero al passaggio da un livello di esistenza mentale ad un livello di esistenza materiale, sono che il progetto soddisfi le condizioni particolari di quel dato livello: in questo caso, ad esempio, che non abbia le fondamenta di sabbia poiché essendo sottoposto alla forza di gravità tipica della materia in generale e del nostro pianeta in particolare non resterebbe in piedi un istante; mentre ad esempio il progetto di un libro per bambini come Harry Potter non deve sottostare alle leggi della materia poiché viene “realizzato” ad un altro livello e quindi è sottoposto a limitazioni molto inferiori, tanto che nessuno si stupisce del fatto che in Harry Potter vi sia una gran profusione di magia poiché il lettore, ponendosi al livello della realtà di Harry Potter che è quello dell’immaginazione o della fantasia, ne comprende la minore limitatezza rispetto alla realtà materiale. Quindi non si può correttamente parlare, almeno per chi voglia farlo seriamente, di qualcosa che esiste e qualcosa che non esiste - del famoso “nulla”, di cui molti hanno parlato e scritto a sproposito, si può solo dire che, tautologicamente, è nulla (1) - si può farlo solo a livello di semplificazione popolare, con l’accortezza però di non trasferire questa semplificazione lessicale, utile per i discorsi da bar, ad un ambito intellettuale più elevato e con pretese di assolutezza. Si è pensato anche, per marcare la differenza fra i diversi livelli di esistenza, di introdurre i termini “reale” e irreale”, con il riferimento diretto a res, cosa, e quindi con un rimando alla sensorialità (reale è ciò che cade sotto i sensi, come le cose, irreale è tutto ciò che non può essere verificato dai sensi, ma che nondimeno esiste), ma anche questi hanno finito per diventare sinonimi di esistente e inesistente. Allora si è provato con i termini astratto e concreto, ma pare che anche questi abbiano creato problemi. Astratto infatti è diventato perlopiù sinonimo di astruso, incomprensibile e anche inutile e insensato, mentre concreto lo è di “reale” e quindi, pur se in modo più specifico, di “esistente”. Anche altri termini come fantasioso, immaginario, apparente, illusorio, fantastico, inventato, utopico sono di fatto tutti sinonimi di “inesistente” ma invece dovrebbero indicare un’esistenza su piani diversi (quello della fantasia, dell’immaginazione, del progetto eccetera) mentre a regola l’unico sinonimo di inesistente dovrebbe essere “impossibile” mentre per inesistenza si possono indicare come sinonimi “impossibilità” e “nulla”. La mentalità occidentale moderna, intrisa nel profondo di materialismo “di fatto” (2) e portata a semplificare il linguaggio oltre ogni limite consentito si trova a non avere più parole adeguate per indicare concetti che lungi dal rappresentare una sorta di “optional” della vita ne sono invece l’essenza. Guardiamo ad esempio il pensiero: non si può vedere, non si può toccare, non è sottoponibile ad alcuna analisi sensoriale né ad alcun esperimento scientifico e quindi dovrebbe essere considerato astratto, irreale e, in qualche modo, inesistente. Ma il pensiero è ciò che condiziona tutta la “realtà” umana. Sulla base del pensiero facciamo quel che facciamo, ci muoviamo in una direzione o in un’altra, prendiamo decisioni differenti a seconda delle situazioni, elaboriamo teorie o ideologie che condizionano la vita concreta di milioni di individui. Se non possiamo vedere il pensiero possiamo vederne però tutte le conseguenze, prima nell’essere umano a livello neurologico e psicologico (cosa che ormai si può verificare anche strumentalmente) e poi, a seconda della forza di penetrazione di tale pensiero, nella società e nel mondo intero. È fuor di dubbio che tutto il mondo umano si muove sulla base del pensiero, ma se si vuole essere coerenti col modo moderno di considerare l’esistenza o l’inesistenza di qualcosa bisogna ammettere che per il common sense contemporaneo il pensiero non dovrebbe esistere; se lo si facesse si porrebbe però poi il problema di spiegare come qualcosa che non esiste possa condizionare tutto ciò che esiste (cosa che a suo tempo ha tentato di fare, peraltro senza successo, Cartesio). Lo stesso discorso si può ovviamente fare per tutti i concetti astratti con cui ogni giorno ci capita di venire in contatto, ma sfido chiunque ad affermare (e ovviamente dimostrare logicamente) l’inesistenza del potere, della volontà, della cultura, della democrazia oltre che di tutti i sentimenti che ognuno di noi ha avuto la ventura o la sventura di provare. Certo si può farlo, ma solo riducendo tutti questi concetti alla stregua di “istinto”, come siamo soliti fare con gli animali, perlopiù per il semplice motivo che non riuscendo a comprenderli classifichiamo banalmente i loro comportamenti come rientranti in tale nozione (3). Si può dimostrare l’inesistenza “in sé” di questi concetti solo passando ad un superiore livello di esistenza, ma di questo si parlerà in seguito. (1) Che cosa si può dire di qualcosa che per definizione non ha essenza, non ha consistenza, non ha qualità, non ha niente? Se conferiamo una qualche consistenza al nulla, tanto da potergli attribuire una qualunque caratteristica qualificativa, reale o immaginaria che sia, questo nulla diventa automaticamente qualcosa e contraddice sé stesso. Anche se, per avventura, qualcuno dovesse ipotizzare l’esistenza del nulla, nel momento stesso in cui dovesse descriverlo dovrebbe quantomeno cambiargli nome. Il non essere parmenideo non può quindi che coincidere con il nulla e di questo si può solo dire, come fece appunto Parmenide, che non è e non sarà mai: in pratica la pura e semplice impossibilità. (2) Per materialismo di fatto, a differenza del materialismo tout court che è quello filosofico e si caratterizza come ideologia, si intende un particolare modo comune di pensare che considera “reale” solo ciò che è “materiale” (a differenza del reale/razionale hegeliano) tanto è vero che la stragrande maggioranza delle persone ritiene non veri e non reali tutti quei fenomeni che non possono essere analizzati con il metodo scientifico, il quale propriamente si può applicare esclusivamente alla materia. (3) Senza contare che si porrebbe poi il problema di dimostrare l’esistenza di questo (o questi) “istinti” (segue) |
16-09-2013, 23.04.34 | #63 |
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Riferimento: L'esistenza
(seguito)
Conseguentemente alla nozione di esistenza già esposta, bisogna dire che l’Essere, che solitamente identifica tutto ciò che è, è un concetto onnicomprensivo dal quale quindi nulla si può escludere. Certo l’etimologia di “essere”, che significa stare fuori (ex stare) non aiuta molto poiché presuppone anche uno stare dentro, ma se coerentemente si pensa il “non essere” parmenideo come coincidente con il nulla (4) non si può che convenire che l’Essere è l’idea più universale che si possa pensare. Tale Essere quali caratteristiche ha? Ovviamente tutte e nessuna, poiché ogni attribuzione che caratterizza l’Essere esclude tutte le possibili altre e quindi ne costituisce un limite (5); l’Essere può essere identificato solo con sinonimi, il principale dei quali è infinito, o con attributi preceduti dal segno negativo (6). Non definire l’Essere (o infinito) è l’unica operazione possibile, poiché “definire” vuol dire, etimologicamente, “tracciare dei limiti”. Ma tracciare dei limiti a qualcosa che per sua stessa natura non ne ha è una operazione evidentemente illegittima. Certo nella storia del pensiero occidentale, a differenza di quello orientale, il concetto di infinito è stato interpretato in maniera perlopiù scorretta, mancando di adeguarsi a ciò che la parola stessa intende indicare. Infinito significa infatti “senza limite”, quindi un altro sinonimo è “illimitato”; è estremamente importante, ai fini di una corretta comprensione di tale concetto, conformarsi a ciò che intende indicare la parola stessa: se l’infinito è ciò che non ha limite, ogni limitazione attribuita a tale concetto è necessariamente arbitraria ed errata. Quindi dire, ad esempio, che esistono più infiniti (o addirittura un’infinità di infiniti) è una scorrettezza poiché ognuno di questi sarebbe il limite di tutti gli altri e contraddirebbe la definizione di infinito come “ciò che non ha limite”. Infinito non può essere un attributo dell’essere, ma dire essere e dire infinito è la stessa cosa: se si parlasse di “Essere infinito” si potrebbe parlare, per contrapposizione, di “Essere finito” che sarebbe qualcos’altro (7), ma siccome si è detto che fuori (o al di là) dell’Essere (o infinito) non vi può essere altro non bisogna considerare il termine “infinito” come aggettivo ma come sostantivo. Anzi, per essere più chiari, bisogna affermare che l’aggettivo “infinito” logicamente non esiste, poiché qualunque sia il soggetto a cui tale aggettivo venisse attribuito, il solo fatto di essere definito in quanto soggetto determinato costituisce una limitazione, e quindi l’aggiunta dell’attributo infinito sarebbe una contraddizione poiché non si può arbitrariamente aggiungere un aggettivo totalmente indeterminativo ad un sostantivo che contiene già in sé la propria (o le proprie) limitazioni (8). Quindi sono grammaticalmente scorrette e ontologicamente assurde poiché contraddittorie tutte le proposizioni che utilizzano la parola “infinito” come attributo di qualcosa. Bisogna invece correttamente utilizzare al suo posto il termine “indefinito”, che identifica qualcosa di limitato ma i cui limiti ci sfuggono per le più svariate ragioni, pur essendo evidentemente presenti. Coloro quindi che affermano esistere un’infinità di infiniti sbagliano e dovrebbero coerentemente con quanto detto adeguare il proprio linguaggio e affermare, più propriamente, che esiste un numero indefinito di indefiniti. L’infinito, nonostante si debba caratterizzare, per poterlo comunicare correttamente in forma discorsiva, di attributi negativi, è in effetti l’idea più affermativa che esista: infatti nominare l’infinito come “realtà senza limiti” significa negare ogni limitazione a tale realtà. E siccome ogni limite è di per sé una negazione (poiché esclude, e quindi nega, tutto ciò che entro tale limite non è racchiuso) negare un limite significa negare una negazione (9): e la negazione di una negazione è, logicamente, un’affermazione. L’infinito quindi, negando nella sua stessa definizione qualsiasi limite è di conseguenza quanto di più affermativo si possa pensare; per questa ragione l’infinito si può chiamare anche, in una accezione positiva, Tutto. L’idea dell’infinito così concepita non è in alcun modo discutibile o contestabile, poiché non contenendo in sé alcunché di negativo non può racchiudere alcuna contraddizione. È anche logicamente necessaria, perché la sua negazione sarebbe contraddittoria. Infatti considerando questo “tutto” illimitato e onnicomprensivo, è evidente che potrebbe essere negato o limitato solo da qualcosa di esterno ad esso; ma se esistesse un qualcosa di esterno il “tutto” non sarebbe più tale. (4) Non bisogna considerare il non essere come l’opposto dell’Essere, poiché dall’Essere nulla è escluso. Se lo si facesse vorrebbe dire che il “non essere”, o “nulla”, è qualcosa che si oppone all’Essere, ma ciò sarebbe assurdo perché dire che il “nulla” è “qualcosa” è una evidente contraddizione. (5) Se si dice infatti che qualcosa, ad esempio, è rosso, automaticamente si afferma anche che non è giallo, bianco, verde eccetera. (6) Dire infatti che qualcosa non è rosso, non è automaticamente affermare che è di tutti gli altri possibili colori, ché sarebbe assurdo, ma sottolineare solo che non possiede solo questa caratteristica particolare. La stessa cosa vale per tutti gli altri attributi possibili, per cui affermare che l’essere “non è questo” o “non è quello” vuol dire solo che non bisogna formarsene un concetto particolare, poiché significherebbe in tal modo limitarlo. (7) oltre a rappresentare una contraddizione perché se l'Essere è sinonimo di infinito sarebbe come dire "infinito finito". (8) Se si afferma che il tempo è infinito, per ciò stesso si esprime una contraddizione poiché gli si toglie qualunque determinazione, anche quelle che lo caratterizzano come tempo. In pratica è come se si dicesse che il tempo non è limitato nemmeno dal suo proprio essere tempo e non, ad esempio, spazio, o pensiero, o materia. A rigore l’unico soggetto a cui si può attribuire l’aggettivo “infinito” è proprio l’infinito (l’infinito è infinito) ma farlo sarebbe una inutile e fuorviante tautologia. (9) Appare quindi evidente che Melisso di Samo, il discepolo di Parmenide che riteneva di aver evidenziato una contraddizione nella visione parmenidea dell’essere che veniva identificato con l’infinito e quindi considerato illimitato, sbagliava. Infatti Melisso considerava il limite come affermazione e non come negazione e quindi per lui la negazione di un limite equivaleva ad una negatività, a un non-essere. Di conseguenza l’illimitato in assoluto era l’assoluto non-essere. Una sciocchezza che ci portiamo dietro ancora oggi. |
17-09-2013, 04.43.31 | #64 |
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Riferimento: L'esistenza
Quindi il presupposto perché una cosa esista - secondo questa concezione - è che abbiamo pensato che può servire ... non può esistere prima
Mi sembra un sistema.. molto utile! Almeno non ci accapiglia.. La cosa diventa un po' più complessa se la situazione la devi gestire.. con il "gatto dei quanti".. |
17-09-2013, 09.32.51 | #65 |
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Riferimento: L'esistenza
Mi trovo in accordo con gli argomenti di donquixote. Anche io stò scrivendo una tesina su questo argomento, ma in essa ho aggiunto che non ha alcun valore dire "questo esiste", perché, come dicevi, l'essere non può distinguersi dal non-essere e non c'è aspetto particolare degli oggetti che ci permetta di affermarlo in modo discriminante. Dopotutto se non ha senso dire "questo non esiste" allora non ha senso nemmeno dire "questo esiste", o almeno si deve escludere che l'esistenza sia un attributo e così evitare pure di utilizzarlo in quel modo.
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17-09-2013, 09.43.21 | #66 | |
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Riferimento: L'esistenza
Citazione:
Invece secondo me proprio il gatto dei quanti è un esempio in cui questa concezione permette di uscire in modo elegante dal paradosso. Fino a che non "misuriamo" come è la situazione non abbiamo motivo di decidere in un senso o nell'altro: "Chiederci come siano le cose là fuori indipendentemente da quanto possiamo osservare (chiederci se il gatto sia vivo o morto prima che la gabbia venga aperta) è privo di senso. Il paradosso del gatto può essere risolto soltanto attraverso questo cambio di prospettiva" https://www.riflessioni.it/scienze/gatto-quantistico.htm |
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17-09-2013, 09.45.56 | #67 |
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Riferimento: L'esistenza
Sperando di favorire la discussione, come suggeritomi da Albert, riporto qui il mio intervento nella discussione sulla libertà di pensiero in merito alla sua proposta di considerare l'esistenza il risultato di una disponibilità a scommetterci sopra:
"Se l'esistenza è una scommessa basata sulla convenienza o meno dell'ente mi chiedo quanto saresti/sareste disposti a scommettere sull'esistenza o meno di Dio, oppure sull'esistenza dei miracoli, o magari sull'esistenza dei numeri immaginari, o su quella di Sherlock Holmes tanto per valutare quanto queste siano entità più o meno stravaganti. Forse dovremmo anche capire in che senso questi eventi devono verificarsi o meno: basta il solo esame percettivo? un numero immaginario come lo percepisco? Mentre un miracolo per quanto improbabile, se accade posso certo percepirlo (in uno spazio tempo infinito poi accade di sicuro), dovrei concludere che su un miracolo posso scommettere di più che su un numero immaginario (la radice quadrata di -1 per intenderci... eppure funziona!)? Per quanto riguarda Dio, nonostante le argomentazioni di Pascal e la grande difficoltà a percepirlo, c'è chi ci scommette tantissimo e chi niente e capita che i diversi scommettitori si prendano a botte l'un l'altro forsennatamente sulle quote che ritengono doveroso scommettere. Temo che il discorso di una scommessa sui dati percettivi, per quanto meravigliosamente semplificatorio e per quanto sembri lasciare almeno apparentemente al soggetto una certa libertà (e responsabilità) di valutazione dell'esistente, alla fine lasci il tempo che trova con tutte le complessità in cui poi ci si ingarbuglia. " |
17-09-2013, 11.01.05 | #68 | |
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Riferimento: L'esistenza
Citazione:
L'esistenza di Dio? Davvero non ci vorrei entrare. E' un argomento che riguarda le convinzioni profonde di ognuno. Soprassediamo L'esistenza dei miracoli? Se li intendi come "eventi paranormali", secondo me non esistono I numeri immaginari? certo che esistono, ci sono utilissimi in molti calcoli che trovano abbondante corrispondenza nella realtà Sherlock? Non esiste come persona realmente vissuta, esiste come personaggio letterario Apprezzo le tue argomentazioni, ma secondo me non è detto che ci si ingarbugli ... o almeno si può provare a sviluppare il concetto cercando di evitare gli ingarbugliamenti. Secondo me è una strada interessante |
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17-09-2013, 14.30.56 | #69 |
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Riferimento: L'esistenza
ciao Albert.
Il tuo “esercizio” può funzionare su linguaggi logico deduttivi, ma l’intuizione ti farà porre delle domande”astratte” che servono a strutturare anche quella conoscenza non ontica, ma dell’“esiste solo ciò che è utile”. Questa per me è la vera differenza fra un computer e il cervello umano. C’è già innata una istruzione della strutturazione degli “argomenti” anche solo percettivi in un R.Crusoe. Ma ammesso anche che fosse possibile, si perde in efficienza ed in efficacia. In efficienza perché ci vuole più tempo perché le conoscenze siano strutturate e ritarate qualora si trovino istruzioni o prive di senso o con denotazione falso. Frege criticò gli empiristi, quando progettò la linguistica analitica, quanto gli apriori di Kant. Ciò che guadagneresti nel togliere le elucubrazioni metafisiche del porsi “vane” domande (una ridondanza non utile pragmaticamente), lo perderesti nei più frequenti tentativi di strutturazioni di verità proposizionali ed enunciative. In efficacia perché rischieresti con maggiori probabilità di non più esistere, mancandoti l’aiuto delle istruzioni del fare e non fare” di altri sistemi esperti” di confronto, cioè rischieresti troppo tardi ,dopo un’azione, che quella cosa nno doveva essere fatta. Insomma, il confronto e la socializzazione a mio parere sono efficaci ed efficienti . Forse il sistema migliore è quello a “compensazione”. Cioè essere sia pragmatici che astratti. Leggere le istruzioni, argomentazioni pragmatiche anche attraverso l’astrazione e quelle astratte in modo pragmatico e utilizzare il rasoio di Occam, cioè tagliare laddove non porta utilità alla nostra conoscenza,esistenza,ecc. Quindi laddove gli enunciati non possono avere una verificazione/denotazione e /o prive di senso. |
17-09-2013, 15.23.53 | #70 | |
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Riferimento: L'esistenza
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L'esistenza di Dio... peccato però non scommetterci, è una scommessona! Forse la scommessa di tutte le scommesse, ma è vero, è ancora molto rischiosa, forse troppo, dunque lasciamo che ognuno se la cavi da solo a suo rischio e pericolo. I miracoli non esistono come eventi paranormali (magici?), però possono pur sempre verificarsi come eventi anomali e imprevedibili, ma di grande impatto (il famoso cigno nero che ti cambia la vita). Ma tutto sommato non è proprio questa la magia? qualcosa che si presenta inspiegabilmente e del tutto inatteso, non previsto. Poi quando riusciamo a spiegarlo, a ricondurlo a una probabilità sia pure marginale del caso o a una catena fin qui non vista di cause ed effetti , il miracolo non è più miracolo, ma solo un'implicazione logica che ci era sfuggita oppure un evento statisticamente spiegato lontano dalla mediana consueta della normalità. Ecco che allora però sorge un'altra serie di domande:sulle spiegazioni statistiche (e sul caso, l'altra faccia di Dio, un Dio che se ne frega di tutto) vale la pena di scommettere? Esistono spiegazioni statistiche o sono false spiegazioni? E ancora esiste qualcosa la cui ragione se ne sta nascosta? Qualcosa che esiste proprio in quanto la concatenazione che porta alla sua causa logica di esistere non appare? I numeri immaginari esistono di certo anche se non fanno odore, non si vedono (se non come segni a cui diamo tale significato), non si sentono, non si toccano e non hanno alcun sapore. Esistono solo per la loro utilità e questo basta, esistono perché noi li vogliamo e ci vengono comodi a far di conto. Si potrebbe dire però la stessa cosa di Dio (anche se non ci abbiamo scommesso sopra), dei miracoli e della statistica. A questo punto tutto può esistere se riesce a farci comodo e basta pensare che certamente ci fa comodo che certamente esiste, al massimo è solo un problema tecnico trovarlo, ma i problemi tecnici sono prima o poi tutti risolvibili. Sinceramente però non mi piacerebbe l'idea di esistere solo perché faccio comodo a qualcuno (o questo qualcuno esiste solo perché fa comodo a me e a qualcun altro), fortunatamente non mi sento un numero immaginario, deve esserci qualcosa di enormemente diverso tra la mia esistenza e quella di un numero immaginario e penso che bisognerebbe capirla bene questa differenza. Sherlock Holmes... a me pare che Sherlock esista, come dire, di rimando, esiste mediato da qualcos'altro, un derivato di un'altro gruppo di esistenze (la fantasia di Conan Doyle, le pagine dei libri in cui si racconta di lui, chi li ha stampati, comprati, letti e via dicendo). Forse qui è più facile: l'esistenza richiede almeno per cominciare a essere considerata un immediato darsi di chi esiste (anche se poi può venire messo in dubbio come ingannevole immediatezza e la faccenda si complica). Comunque Sherlock non è un numero immaginario, ma solo un personaggio immaginario e questo lo rende assai meno impegnativo sotto il profilo dell'utilità. Ma non si sa mai, magari da qualche parte c'è qualcuno che è sicuro di essere Sherlock Holmes e a dirgli che Sherlock Holmes non esiste e non intendiamo scommetterci sopra un solo centesimo rischiamo che davvero ci prenda per matti! |
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