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14-10-2013, 13.00.25 | #142 |
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Riferimento: L'esistenza
Sgiombo:
Francamente continuo a non comprendere proprio niente di niente di quanto vai sostenendo. Perché mai ogni oggetto dovrebbe essere deformato dal contesto? Perché mai si dovrebbe “adeguare” a ciò che qualcuno dice esterno a lui? Che c’ entra tutto ciò (ammesso che abbia un senso; che io non vedo) con l’ “accordo” fra le soggettività? Dal tuo punto di vista, di solito, si nota una certa separazione dei contenuti mentali tra individui; come se Io guardassi il mondo attraverso una finestra chiusa. Semplicemente stò affermando che, una volta pensato l'Io come una finestra aperta, per la necessità che esso ha di scontrarsi con una controparte per definirsi, cesserà il problema di trovare l'accordo tra le soggettività; in quanto esse dipenderebbero l'una dall'altra sarebbero già in contatto, ci sarebbe già un render conto dell'altro in ognuna di esse. Il motivo per cui la forma di un oggetto dipende dal contesto in cui è calato può essere o una semplice constatazione empira, oppure, dal mio punto di vista, una necessità logica di portata ontologica nel senso che ogni proprietà/identità/soggettività/particolarità può emergere solo se accostata ad una controparte. Il concetto stesso di particolarità prevede quello di alterità; non sarei qualcosa di particolare se non ci fosse qualcosa di diverso. Francamente non mi pare d'essere troppo oscuro se dico che un oggetto è deformato dal contesto (=> ciò che di solito si identifica come non-lui). Avevo già riportato qualche esempio; ma un'altro esempio potrebbe essere questo: il tuo corpo umano si deformerebbe una volta spostato dal luogo in cui ti trovi fin nello spazio. In questo senso il tuo corpo si "adegua" a ciò che gli è "esterno" e nello stesso senso le mie percezioni si adeguerebbero alle tue, terrebbero conto delle tue prima di tutto per essere come sono. Ho capito comunque cosa non ti è chiaro Sgiombo; passiamo dunque a qualcosa di più pratico. Prendiamo la famosa situazione di noi 2 che guardiamo un tavolo da angolazioni diverse. Quello che vedo io non è quello che vedi tu, ma questo vuol dire che il tavolo sarebbe qualcosa al di fuori della relazione con noi (cioè pure al di fuori della relazione col nostro corrispettivo fisico)? Quello che affermo con insistenza è che il tavolo, se non ci fosse il contesto delimitante di cui io e te facciamo parte, sarebbe pure diverso da sé, perché la sua forma (come mostrato precedentemente) è deformata da quelle cose. Ora se io e te usciamo dalla stanza e non osserviamo più il tavolo non accade che il tavolo sparisca perché ci sono altre entità materiali in relazione con lui e che danno modo al sistema di interazioni di reggersi. In altre parole per approssimazione sarei anche disposto a dirti che il tavolo esiste indipendentemente da me e te, ciò non toglie che la sua esistenza (cioè la sua particolare forma) sia ancora legata non a sé, ma al resto delle entità di cui è formato e che stanno fuori di lui. In questo senso non c'è bisogno che il tavolo sia qualcosa al di fuori delle relazioni che instaura con gli altri, il tavolo è queste relazioni, ed è proprio il reciproco delimitarsi a crearlo. Il punto forte dell'idealismo riposa nella comprensione che un contenuto qualsiasi (anche quello di un fatto che è un qualche fatto e basta, come a volte dici, perché se è quel fatto sarà diverso da altri fatti, che tu lo asserisca o meno, tanto è vero che potrà scontrarsi con essi, come delle rocce che si scontrano anche se non ne parliamo) deve dipendere da un "osservatore", cioè, in generale, da qualcuno/qualcosa che ne delimiti il senso; il punto debole è credere che solo gli uomini siano in grado di delimitare e dare contenuto al reale. Invece anche le particelle dell'aria e le energie della gravità, la terra ecc. sono in grado di porsi a contro-parte per la definizione di un ente quale può essere un tavolo. Per questo anche se noi umani non guardiamo il mondo esso può esistere allorché non esistano oggetti di per sé pieni di contenuto/peculiarità/soggettività, ma che devono trarre peculiarità dalla dipendenza nei confronti del contesto. Io credo si possa tracciare anche una connessione con le moderne scoperte scientifiche, perché non sembra che certe particelle abbiano un contenuto obbiettivo prima del contrapporsi ad altre reltà. Finché una particella elementare viaggia in uno spazio pressoché "vuoto" si crea l'interferenza, ma quando essa si scontra col rilevatore si ricompatta come ente definito. Alcuni hanno pensato che era l'osservazione dell'uomo a creare la realtà sub-atomica, io credo che sia il semplice scontro/contrapposizione con un alterità abbastanza delineata per definirla (il vuoto rappresenta solo una rarefazione di complessità/contenuto in uno spazio). Inutile dire che tenendo per buone queste asserzioni (apparte l'ultima fantasiona digressione), come faceva notare pure Maral, si avrebbe un dispiegamento necessario del molteplice dall'uno. |
14-10-2013, 17.33.37 | #143 |
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Riferimento: L'esistenza
Originalmente inviato da sgiombo:
La (tua propria) esperienza cosciente non è unicamente mentale ma anche materiale; in essa ci sono (accadono) due tipi di sensazioni (entrambe fenomeniche: esse est percipi!): quelle esteriori materiali, comprendenti fra l’ altro gatti, cavalli senza ali, animali diversi dai cavalli e con le ali; non ippogrifi), e quelle interiori di pensiero (o mentali), comprendenti concetti, le idee (e predicati circa concetti e idee); inclusi i concetti o idee particolari concreti che si riferiscono a oggetti costituiti da insiemi di sensazioni materiali effettivamente accadenti o accadute (come determinati particolari gatti, determinati particolari cavalli, ecc.) o anche solo immaginari, magari erroneamente ritenuti essere accaduti ma non accaduti (come certi determinati ippogrifi); e inclusi anche idee o concetti generali astratti ricavabili (appunto per astrazione) da più insiemi concreti di sensazioni materiali, magari anche “combinabili fra loro con un certo arbitrio” (come l’ i concetti di gatto, di cavallo e magari anche di ippogrifo). La differenza principale fra i due tipi di sensazioni (“tipo cogitans” e” tipo extensa”) è che se si ammettono alcuni assunti indimostrabili (e innanzitutto l’ esistenza reale stessa di altre esperienze fenomeniche coscienti) quelle esteriori materiali divengono intersoggettivamente, cioè in maniera analoga e non arbitrariamente (soggettivamente) determinabile ad libitum (sia pur relativamente) nell’ ambito di diverse esperienze fenomeniche. Maral: Non capisco cosa significa esperienza cosciente materiale, esperienza cosciente materialmente descritta o esperienza cosciente di cose materiali? Sgiombo: La seconda che hai detto! (Comunque sempre "cose" meramente fenomeniche: esse est percipi!). Maral: Ossia di cose che mentalmente pregiudico materiali a seconda delle sensazioni che mi danno? Il punto è che siamo sempre lì e non ne veniamo fuori. Se poi è vero che il materiale è sicuramente reale e il mentale è incerto, il discorso che sopra hai fatto è mentale o materiale? Sgiombo: Non “pregiudico” ma definisco “materiali” le sensazioni coscienti percepite attraverso i cinque o sei sensi del mio corpo; esse, contrariamente alle altre (quelle “mentali” o di pensiero) a certe condizioni indimostrabili possono essere considerate intersoggettive. Il grado di certezza del materiale e del mentale è assolutamente lo stesso: in entrambi i casi si tratta ugualmente di (diversi tipi di) sensazioni fenomeniche coscienti: esse est percipi! Il discorso di cui sopra é (anche) materiale in quanto l' ho scritto; ma innanzitutto é mentale perché innanzitutto l' ho pensato. Maral: A parte che non è detto: uno potrebbe benissimo avere la percezione di un ippogrifo che chi non ce l'ha chiamerebbe allucinazione e potrebbe pure non avere la percezione del gatto e considerarla un'allucinazione degli altri. Sgiombo: E fin qui non vedo dove starebbe il problema… Maral: A parte che l'intersoggettività non dimostra nulla in merito alla realtà: è stato pressocché totalmente intersoggettivo fino a pochi secoli fa il fatto che la terra fosse ferma e il sole le girasse attorno, corroborato da evidentissime sensazioni materiali parimenti condivise, eppure pare che non sia vero. Sgiombo: No, guarda che casomai è stato ed é intersoggettivo vedere il sole sorgere sull’ orizzonte e tramontare all’ orizzonte; intersoggettive sono le sensazioni materiali come immediati contenuti di coscienza, sui quali si possono costruire le più svariate teorie (per esempio quella geocentrica e quella eliocentrica). Maral: Il punto è che noi interpretiamo, interpretiamo sempre, pure quando vediamo un cavallo, un gatto, una penna sul tavolo, ma anche un orecchio del cavallo, un pelo del gatto, la punta della penna, perché tutte queste cose hanno un significato per poter apparire e il significato è dato solo dal nostro interpretare, di qualsiasi significato si tratti. Non esiste né mai è esistita una materia pura in nessuna parte dell'universo, se non nella mente di chi vuole assolutamente che esista per ottenere da essa pure certezze del tutto analoghe a quelle che si ottengono dai puri spiriti. Sgiombo: Ti ho già mostrato che non predichiamo sempre e necessariamente circa le sensazioni fenomeniche che viviamo (esperiamo). Nemmeno le interpretiamo necessariamente; lo facciamo casomai se e quando predichiamo a proposito di esse (quando cammino immerso nei miei pensieri vedo la montagna davanti a me ma non ne do alcuna interpretazione; se poi mi fermo o anche senza fermarmi smetto di rimuginare i pensieri che mi frullavano nella mente, la guardo (con una certa attenzione; non mi limitiìo a vederla) e dico: “ecco il monte Bianco, il più alto delle Alpi”, allora e solo allora sì che ne do un’ interpretazione (oltre che un giudizio). Il significato ce l' anno i concetti delle cose non le cose (non quella roba là nel prato ma la parola "sasso" che denota quella roba là nel prato). Maral: Dunque, estremizzando: il mio postulato è che la conoscenza della cosa non è separabile dalla cosa stessa e ti ho dimostrato che è proprio così (nessuno e nessuna argomentazione infatti potrà mai farmi credere che esiste una montagna che non vedo) tu postuli invece che la conoscenza della cosa è sempre separabile dalla cosa consciuta Sgiombo: Non hai dimostrato proprio nulla: esistono montagne che vedi e che non sai di vedere (basta che non pensi “sto vedendo una montagna”, che è l’ unico modo possibile di sapere che stai vedendo la montagna: sapere = dire che è reale qualcosa di reale =/= l’ esistere di qualcosa di reale). Infatti io rilevo che la conoscenza della cosa è sempre distinguibile dalla cosa conosciuta; tant’ è vero che può darsi il secondo caso senza che si dia il primo: prima di pensare, ma addirittura prima di vedere la montagna, la montagna era reale; lo sarà anche dopo che sarò morto e non la vedrò più (che queste affermazioni siano considerabili vere solo a determinate condizioni non dimostrabili ma credute da tutte le persone normali di mente lo so benissimo). Maral: e dici che pertanto una montagna può benissimo esistere senza sapere niente di essa. A me pare che nella tua affermazione ci sia una contraddizione: come faccio, senza sapere niente della montagna, a sapere che la montagna esiste? Sgiombo: Infatti non lo sai: dove sarebbe mai la contraddizione ?!?!?! Maral: Lo so solo quando e mentre vedo che esiste, no? Sgiombo: Eh no! Lo sai solo se e quando, oltre a vederla, inoltre pensi anche “esiste la montagna” (questo predicato e solo esso é la tua conoscenza: senza di esso non ci sarebbe conoscenza delle sensazioni costituenti la montagna ma solo le sensazioni stesse). Maral: Di nuovo, se non so di vederla, come posso dire di vederla? Sgiombo: Di nuovo: infatti non lo dici affatto, ti limiti avederla. Maral: Ovviamente per te è facile vederla, sei quello che descrive l'esempio e che collochi uno Sgiombo che cammina pensando ad altro ai piedi di una montagna che tu vedi benissimo, mentre quello Sgiombo dell'esempio la montagna non è che non sa di vederla (sei tu che sai che lui non la vede), ma proprio non la vede. per lui non esiste, mentre per te esiste. Sgiombo: La vede eccome se (come è ovviamente inteso nell’ esempio) non è cieco, guarda davanti a sé e davanti a sé c’ è la montagna (solo che non pensa –non predica- che esiste la montagna, e dunque per definizione non lo sa). Sgiombo: Il mondo (se oltre alla mia esperienza cosciente è reale qualcos’ altro, come credo non potendolo dimostrare) non implica sempre (né necessariamente) il mio esserci: c’ era anche prima che nascessi e ci sarà anche dopo che sarò morto. Maral: E come fai a esserne sicuro? Chi verrà a dirtelo dopo che sarai morto? Sgiombo: Dopo che sarò morto ovviamente nessuno potrà venire a dirmelo, ma non importa perché il monte Bianco (oltre a tantissime altre montagne) continuerà ad esistere alla mia facciaccia per moti altri millenni. Maral: Come fai a essere sicuro che esista anche proprio una tua esperienza cosciente? Sgiombo: In questo momento ne sto constatando immediatamente l’ esistenza (che tu ci creda o no, vedo il computer, sento il ticchettio dei tasti, penso a ciò che sto scrivendo, ecc., ecc. , ecc.). Maral: Come ho già detto il solipsismo è negato dall' autocontraddizione che genera da se stesso (l'impensabile come tale è sempre pensabile se voglio pensarlo), non dalla fede nell'esistenza del mondo. Sgiombo: Ma quale autocontraddizione?!?!?! Che c' entra l' impensabile col solipsismo? Posso benissimo pensare che esiste solo questa “mia” esperienza cosciente e nient’ altro e nulla può né mostrarmi (tutto ciò che mi è mostrato per definizione è nella mia coscienza), né dimostrarmi che non è così (lo credo per fede, indimostrabilmente come tutte le persone normali). |
14-10-2013, 17.40.31 | #144 |
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Riferimento: L'esistenza
Volevo poi parlare un attimo di questa montagna non percipita e pertanto non reale. Questa montagna che dici non essere percepita avrà ripercussioni su ciò che conosco e sulle percezioni, in questo senso io ti dirò che è conosciuta anche se non so che c'è. Per fare un esempio questa montagna potrebbe fare ombra sui miei funghi, pertanto io vedrò i funghi grigi, cioè avrò iplementato nella mia conoscenza/visione dei funghi quella della montagna inconsciamente. Potresti dirmi che se guardo direttamente la montagna allora io conosco proprio la montagna, invece, in ogni caso, soprattutto se vuoi operare una differenza tra cosa in sé e fenomeno, quello che vedrai degli oggetti sarà sempre un effetto, un ombra, più che esso stesso.
Così proprio non capisco che differenza ci sarebbe tra conoscere la montagna "direttamente" o "inconsciamente"/"indirettamente" (in ogni caso non vedo la vera montagna, ma un effetto di essa). |
14-10-2013, 18.09.28 | #145 |
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Riferimento: L'esistenza
Aggressor:
Dal tuo punto di vista, di solito, si nota una certa separazione dei contenuti mentali tra individui; come se Io guardassi il mondo attraverso una finestra chiusa. Semplicemente stò affermando che, una volta pensato l'Io come una finestra aperta, per la necessità che esso ha di scontrarsi con una controparte per definirsi, cesserà il problema di trovare l'accordo tra le soggettività; in quanto esse dipenderebbero l'una dall'altra sarebbero già in contatto, ci sarebbe già un render conto dell'altro in ognuna di esse. Sgiombo: Ovvio che una volta stabilito che le sensazioni sono intersoggettive esse sono intersoggettive. Il problema (insolubile) è dimostrarlo! Aggressor: Il motivo per cui la forma di un oggetto dipende dal contesto in cui è calato può essere o una semplice constatazione empirica, oppure, dal mio punto di vista, una necessità logica di portata ontologica nel senso che ogni proprietà/identità/soggettività/particolarità può emergere solo se accostata ad una controparte. Il concetto stesso di particolarità prevede quello di alterità; non sarei qualcosa di particolare se non ci fosse qualcosa di diverso. Sgiombo: Mi sembra ovvio: “omnis detrminatio est negatio (Spinoza). Ma non vedo che c’ entri col problema del solipsismo/plurisoggettività/intersoggettività. Aggressor: Francamente non mi pare d'essere troppo oscuro se dico che un oggetto è deformato dal contesto (=> ciò che di solito si identifica come non-lui). Sgiombo: che sia “distinto” mi sembra ciaro e ovvio. “deformato” proprio no. Aggressor: Avevo già riportato qualche esempio; ma un'altro esempio potrebbe essere questo: il tuo corpo umano si deformerebbe una volta spostato dal luogo in cui ti trovi fin nello spazio. In questo senso il tuo corpo si "adegua" a ciò che gli è "esterno" e nello stesso senso le mie percezioni si adeguerebbero alle tue, terrebbero conto delle tue prima di tutto per essere come sono. Sgiombo: Ammesso che il mio corpo si deformi (credo impercettibilmente) nell’essre portato nello spazio cosmico, è tutto da dimostrare che questa deformazione sia corrispondente fra le mie sensazioni, le tue e quelle di chiunque altro (anzi: lo si può credere, e io per la cronaca lo credo come tutte le persone sane di mente, ma non lo si può dimostrare). Aggressor: Ho capito comunque cosa non ti è chiaro Sgiombo; passiamo dunque a qualcosa di più pratico. Prendiamo la famosa situazione di noi 2 che guardiamo un tavolo da angolazioni diverse. Quello che vedo io non è quello che vedi tu, ma questo vuol dire che il tavolo sarebbe qualcosa al di fuori della relazione con noi (cioè pure al di fuori della relazione col nostro corrispettivo fisico)? Quello che affermo con insistenza è che il tavolo, se non ci fosse il contesto delimitante di cui io e te facciamo parte, sarebbe pure diverso da sé, perché la sua forma (come mostrato precedentemente) è deformata da quelle cose. Sgiombo: Non mi vorrai far credere che il tavolo nel momento in cui lo guardo (per il solo fatto ce lo guardi, puramente passivo: la mia retina è colpita dalla luce riflessa dalla sua superficie) cambia?!?!? Aggressor: Ora se io e te usciamo dalla stanza e non osserviamo più il tavolo non accade che il tavolo sparisca perché ci sono altre entità materiali in relazione con lui e che danno modo al sistema di interazioni di reggersi. In altre parole per approssimazione sarei anche disposto a dirti che il tavolo esiste indipendentemente da me e te, ciò non toglie che la sua esistenza (cioè la sua particolare forma) sia ancora legata non a sé, ma al resto delle entità di cui è formato e che stanno fuori di lui. In questo senso non c'è bisogno che il tavolo sia qualcosa al di fuori delle relazioni che instaura con gli altri, il tavolo è queste relazioni, ed è proprio il reciproco delimitarsi a crearlo. Sgiombo: Questo sistema di relazioni e interazioni (esiste, accade e) si regge unicamente nelle nostre coscienze (esse est percipi!). Quando non lo percepiamo (vediamo, sentiamo, ecc,) non esiste (quando usciamo dalla stanza il tavolo -in quanto determinato insieme di nostre sensazioni fenomeniche- sparisce). Aggressor: Il punto forte dell'idealismo riposa nella comprensione che un contenuto qualsiasi (anche quello di un fatto che è un qualche fatto e basta, come a volte dici, perché se è quel fatto sarà diverso da altri fatti, che tu lo asserisca o meno, tanto è vero che potrà scontrarsi con essi, come delle rocce che si scontrano anche se non ne parliamo) deve dipendere da un "osservatore", cioè, in generale, da qualcuno/qualcosa che ne delimiti il senso; il punto debole è credere che solo gli uomini siano in grado di delimitare e dare contenuto al reale. Invece anche le particelle dell'aria e le energie della gravità, la terra ecc. sono in grado di porsi a contro-parte per la definizione di un ente quale può essere un tavolo. Per questo anche se noi umani non guardiamo il mondo esso può esistere allorché non esistano oggetti di per sé pieni di contenuto/peculiarità/soggettività, ma che devono trarre peculiarità dalla dipendenza nei confronti del contesto. Sgiombo: Non sono idealista (casomai fenomenista, sia del materiale che del mentale). E contrariamente a Brekeley (ma con Hume) penso che i contenuti dei coscienza non dipendano necessariamente da un “osservatore” (che non è dimostrabile esista; e che non sarebbe costituito da sensazioni bensì sarebbe “cosa in sé” o “noumeno”, per dirla a la Kant). Che poi vi siano esperienze coscienti “connesse” oltre che con gli uomini e altri animali senzienti, anche con vegetali e minerali mi sembra ulteriormente indimostrabile (e poco verosimile; oltre al’ indimostrabilità di altre esperienze coscienti diverse dalla “propria” immediatamente sentita e “connesse con gli altri uomini e animali). Aggressor: Io credo si possa tracciare anche una connessione con le moderne scoperte scientifiche, perché non sembra che certe particelle abbiano un contenuto obbiettivo prima del contrapporsi ad altre reltà. Finché una particella elementare viaggia in uno spazio pressoché "vuoto" si crea l'interferenza, ma quando essa si scontra col rilevatore si ricompatta come ente definito. Alcuni hanno pensato che era l'osservazione dell'uomo a creare la realtà sub-atomica, io credo che sia il semplice scontro/contrapposizione con un alterità abbastanza delineata per definirla (il vuoto rappresenta solo una rarefazione di complessità/contenuto in uno spazio). Sgiombo: Non seguo la interpretazione (filosofica) corrente conformistica della (scientifica) meccanica quantistica ma quella “a variabili nascoste e azione a distanza” di Boehm (proposta allorché era ancora razionalista). Aggressor: Inutile dire che tenendo per buone queste asserzioni (apparte l'ultima fantasiona digressione), come faceva notare pure Maral, si avrebbe un dispiegamento necessario del molteplice dall'uno. Sgiombo: Questa non l’ ho proprio capita. |
14-10-2013, 21.42.44 | #146 | |
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Riferimento: L'esistenza
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Questa montagna é percepita, eccome! Ho sempre detto e ridetto che é percepita (senza che si predichi -e dunque che si sappia- il suo essere percepita). Essa può anche crollarti addosso, non solo fare ombra ai funghi, ma con tutta questa tragicissima ripercussione su di te, se non pensi che esiste non ne conosci affatto l' esistenza; se non t irendi conto (= pensi) che ti sta franando addosso muori senza sapere perché. Poi puoi anche chiamare "conoscenza," che ne so, quello che così era tradotto (credo metaforicamente, per un esagerato senso del pudore) nelle edizioni della Bibbia di quando ero ragazzo (un "bravo ragazzo" dell' oratorio); ma cambiare i nomi alle cose non cambia le cose. Il rapporto fenomeno-noumeno poi non c' entra proprio: ciò che si può vedere e non conoscere (oppure vedere e anche, inoltre consocere) é esclusivamente fenomeno, il noumeno per definizione non si può vedere. |
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15-10-2013, 02.18.34 | #147 |
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Riferimento: L'esistenza
Sgiombo:
Non mi vorrai far credere che il tavolo nel momento in cui lo guardo (per il solo fatto ce lo guardi, puramente passivo: la mia retina è colpita dalla luce riflessa dalla sua superficie) cambia?!?!? Mentre tu ricevi i fotoni del tavolo mandi i tuoi a lui, inoltre ci sarebbe un gran scorrere di bosoni di gauge (i mediatori delle 4 forze fondamenali). Non c'è un singolo istante in cui gli oggetti non cambino la propria forma a causa degli scambi di energia con l'esterno. Un uomo gettato nello spazio farebbe davvero una brutta fine, non cambierebbe "impercettibilmente". Purtroppo non ho tempo per rispondere alle altre considerazioni da te riportate, non a breve almeno; saluti. |
15-10-2013, 11.30.50 | #148 | |
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Riferimento: L'esistenza
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Ma che rilevanza per il problema di cui discutiamo possono avere gli eventi microscopici di cui sopra? Mi risulta che da Gagarin in poi decine di atronauti siano tornati vivi e vegeti dallo spazio (se ci fossero andati senza adeguati equipaggiamenti sarebbero morti, ma di nuovo non vedo il nesso con il problema dell' intersoggettività delle sensazioni materiali). Ricambio cordialemente i saluti. |
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15-10-2013, 15.40.17 | #149 | |||||||||||
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Riferimento: L'esistenza
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Se il discorso è mentale in quanto innanzitutto pensato, in quanto pensato potrebbe essere immaginario (nel senso di irreale) e immaginario che le sensazioni percepite dal corpo siano considerabili intersoggettive (tanto più che possono esserlo in condizioni indimostrabili), come potrebbe essere immaginario che esse est percipi essendo comunque un giudizio mentale. D'altra parte se il grado di certezza del materiale e del mentale è assolutamente lo stesso in base a cosa posso assumerne uno a parametro di valutazione dell'altro? Tanto più che il grado di certezza del materiale alla fine è sempre una faccenda mentale. Citazione:
Il problema c'è quando l'allucinazione è intersoggettiva nel presupposto che l'intersoggettività (sensoriale, ma in realtà sempre interpretativa e mentale) sia il parametro di riferimento del realismo. Se mi trovo in un mondo dove tutti vedono i gatti là dove io vedo ippogrifi o viceversa mi trovo in un bel problema. Citazione:
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A meno che non tiriamo in ballo l'inconscio. La montagna era nella sua sapienza inconscia (ciò che non sappiamo di sapere), ma non c'era di sicuro come la montagna che ora coscientemente gli appare. Citazione:
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Lascio perdere tutto il resto, tanto è sempre un girare attorno al medesimo discorso. Se vedo e non me ne rendo conto, nulla può farmi pensare oltre ogni dubbio che quello che vedo quando mi rendo conto coscientemente di vedere è quella stessa cosa che sempre c'era e ci sarà. Citazione:
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Ciao |
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15-10-2013, 20.06.53 | #150 |
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Riferimento: L'esistenza
sgiombo:
Il discorso di cui sopra é (anche) materiale in quanto l' ho scritto; ma innanzitutto é mentale perché innanzitutto l' ho pensato. Maral: Se il discorso è mentale in quanto innanzitutto pensato, in quanto pensato potrebbe essere immaginario (nel senso di irreale) Sgiombo: Lo sarebbe se immaginassi di pensare “non pregiudico…ecc.” anziché pensare “Non pregiudico, ecc.” Maral: e immaginario che le sensazioni percepite dal corpo siano considerabili intersoggettive (tanto più che possono esserlo in condizioni indimostrabili), come potrebbe essere immaginario che esse est percipi essendo comunque un giudizio mentale. Sgiombo: Lo sarebbero se si immaginasse che le sensazioni del corpo ecc. e che esse est percipi. Maral: D'altra parte se il grado di certezza del materiale e del mentale è assolutamente lo stesso in base a cosa posso assumerne uno a parametro di valutazione dell'altro? Tanto più che il grado di certezza del materiale alla fine è sempre una faccenda mentale. Sgiombo: Non assumo né il mentale a parametro di valutazione del materiale, né viceversa: entrambi sono tipi di sensazioni fenomeniche coscienti altrettanto reali (se e quando accadono). La certezza di qualcosa, certamente è un pensiero, non una cosa materiale; su questo sono perfettamente d’ accordo. Maral: A parte che non è detto: uno potrebbe benissimo avere la percezione di un ippogrifo che chi non ce l'ha chiamerebbe allucinazione e potrebbe pure non avere la percezione del gatto e considerarla un'allucinazione degli altri. Sgiombo: E fin qui non vedo dove starebbe il problema… Maral: Il problema c'è quando l'allucinazione è intersoggettiva nel presupposto che l'intersoggettività (sensoriale, ma in realtà sempre interpretativa e mentale) sia il parametro di riferimento del realismo. Se mi trovo in un mondo dove tutti vedono i gatti là dove io vedo ippogrifi o viceversa mi trovo in un bel problema. Sgiombo: Per definizione un’ allucinazione non può essere intersoggettiva (casomai sarà collettiva, ma pur semplre soggettiva, sia pure pluralmente). Intersoggettiva è la (percezione sensoriale della) materia (se la conoscenza scientifica -vera- è possibile: ne è una -indimostrabile- conditio sine qua non), non il ensiero, che può essere comunicato (soprattutto verbalmente ma non immediatamente condiviso: una montagna possiamo vederla entrambi, la mia gioia te la posso comunicare ma non posso fartela provare in prima persona). Certo, se hai allucinazioni hai proprio un bel problema! Sgiombo: No, guarda che casomai è stato ed é intersoggettivo vedere il sole sorgere sull’ orizzonte e tramontare all’ orizzonte; intersoggettive sono le sensazioni materiali come immediati contenuti di coscienza, sui quali si possono costruire le più svariate teorie (per esempio quella geocentrica e quella eliocentrica). Maral: Vedere il sole sorgere e tramontare è intersoggettivo per i soggetti che hanno un apparato visivo e mentale simile al mio o al tuo e per cui ha significato il sorgere e il tramontare. Sgiombo: Ovvio che chi è cieco non partecipa dell’ intersoggettività di ciò che percepiscono i vedenti. E che chi è gravemente demente non ne può ragionare adeguatamente. Maral: Per tali soggetti è anche evidente che se il sole sorge e tramonta, non sono io a muovermi attorno ad esso (anche se in un secondo tempo potrebbe venirmi il dubbio, proprio come potrebbe venirmi il dubbio che quello che vedo come un gatto sia in realtà un ippogrifo e magari qualcuno riesce pure a dimostrarmelo, anche se io continuo a non vederlo) Sgiombo: La prima esperienza di cui parli (sole che sorge e tramonta per i vedenti) è intersoggettiva (e la si può interpretare eliocentricamente o geocentricamente); la seconda non riesco a comprenderla (come ti si può dimostrare che vedi un ippogrifo se vedi un gatto? Con l’ ipnosi? Con farmaci allucinogeni?). Ciao! |