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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere. |
22-10-2013, 14.34.00 | #4 |
Ospite abituale
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
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Riferimento: La Domanda: perché?
@ Sgiombo
"Perchè esisto?" vuol dire: per quale motivo esisto? E il motivo, come acutamente noti, può essere ricondotto all'antica "causa" o al più moderno "scopo". E dunque: esisto in quanto scopo di una volontà (questo il termine che, io trovo, manca nel tuo ragionamento) ignota? Naturalmente, la risposta a questa domanda è senza senso solo nel caso in cui si ritenga inammissibile l'esistenza di una tale volontà (la domanda sul "perchè" ha senso solo se si pre-suppone Dio). Tuttavia, conoscendoti (ma ti conosco davvero?), mi suona come "agghiacciante" quell'ultima domanda: "ma è possibile?". E allora ti chiedo: che cosa è possibile? Che cosa c'è di nuovo che già non conoscevi? Perchè forse non conoscevi già l'insensatezza di quella domanda (io dico che la conoscevi)? ciao |
22-10-2013, 17.28.18 | #5 |
Moderatore
Data registrazione: 03-02-2013
Messaggi: 1,314
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Riferimento: La Domanda: perché?
Witgenstein diceva "il mondo è tutto ciò che accade", dunque perché questo è il mondo? Perché proprio questo mondo accade e la questione sembra così risolta. Ma in realtà tra le cose che accadono in questo mondo c'è anche l'accadere del concepire ciò che non accade, c'è dunque anche l'accadere di tanti mondi che non accadono e qui sta il senso di ogni perché: perché è proprio solo questo mondo specifico ad accadere? C'è quindi una causa e/o uno scopo che giustifichi, ossia renda giustizia all'accadere proprio di questo mondo in cui l'accadere di altri mondi non accade, non si invera, ma resta sospeso come una pura potenzialità. Non è la radicale domanda di Heidegger questa che chiede perché l'essere anziché il nulla, infatti il nulla non può essere e chiedere perché il nulla non sia non ha alcun senso, a meno che per nulla non si intenda proprio ogni possibilità che non accade, e quindi non appare, ma ogni possibilità che non accade è pur sempre una possibilità di cui accade il suo non accadere.
La risposta non può essere che comunque tutto accade, come nel super universo degli infiniti universi di Everett, come nella biblioteca di Babele di Borges ove si può trovare ogni libro possibile e impossibile, già scritto o ancora da scrivere, perché comunque questa risposta non risponde alla domanda per cui io proprio in questo universo tra gli infiniti che accadono esisto, per cui è proprio questo il libro ove la mia storia è scritta e non uno qualsiasi preso a caso tra gli infiniti altri libri scritti dal caso. Perché è la domanda imprescindibile di chi avverte il proprio accadere come un significato e ha necessità che quel significato abbia un senso, un giusto senso che non può in alcun modo essergli negato, pena il proprio totale annientamento, la propria totale follia. E' una domanda che ripete continuamente se stessa nel suo stesso rispondersi e non può essere altrimenti che così, è la domanda della coscienza stessa che continuamente si riflette all'infinito su se stessa e proprio in questo continuo riflettersi trova il suo significato, il significato di un perpetuo significarsi. |
23-10-2013, 18.18.53 | #6 |
Ospite abituale
Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
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@Oxdeadbeef
Effettivamente bisogna distinguere fra il perché della propria esistenza e il perché della realtà in toto. La prima può essere spiegata in termini causali (scientificamente: leggi della fisica + evoluzione biologica) e anche in termini finalistici (se si crede in Dio). E’ la seconda (la realtà in toto) che non può avere spiegazioni né causali né finalistiche per definizione, in quanto non c’ è né ci può essere nulla (nient’ altro oltre ad essa) che ne possa essere causa né scopo (il che rende comunque anche il teismo più o meno provvidenzialistico una spiegazione finalistica per lo meno scarsamente soddisfacente della propria esistenza personale: le conferisce un senso finalistico ma solo relativo, in quanto aspetto particolare nel contesto di un tutto insensato). Ma perché trovi “agghiacciante” il fatto che, pur sapendo bene che non ci può essere spiegazione della realtà in toto, né per quanto mi riguarda spiegazione finalistica della mia personale esistenza (essendo ateo), di fatto (constato che) queste domande tendono comunque di tanto in tanto a riaffacciarsi alla mente? Ciò non impedisce (a me in particolare di fatto, né ad altri necessariamente) di vivere comunque serenamente. @Maral La spiegazione di Wittgenstein mi sembra ragionevole, la condivido: il sorgere della domanda “perché?” è semplicemente una conseguenza del poter pensare (immaginare) ciò che non accade (anche), il non reale (quasi un sinonimo dell’ esserne consapevoli). Non mi convince per nulla Heidegger (nel tuo breve accenno): il nulla, il non esistere o non accadere realmente di alcunché è perfettamente immaginabile, esattamente come l’ esistere o accadere realmente di qualsiasi cosa. Pur constatando che la domanda tende comunque ripetutamente a porsi (come per una sorta di mai completamente superabile insoddisfazione) anche quando si è (convinti di avere) risolto perfettamente il problema (secondo me alla maniera di Wittgenstein come da te citato), non trovo che la consapevolezza del proprio esistere e accadere senza alcun significato (nel senso di spiegazione finalistica) di sé e/o della realtà cui si appartiene nel suo complesso porti necessariamente al “totale annientamento” e alla “follia”: si può ugualmente vivere discretamente bene e con una certa serenità e soddisfazione!. Ciao. |
24-10-2013, 00.53.26 | #7 |
Ospite abituale
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Messaggi: 381
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Riferimento: La Domanda: perché?
@ Sgiombo
E come fanno queste domande a riaffacciartisi nella mente se sai che la risposta alla domanda: "perchè esisto?", o perchè il mondo esiste, non ha senso (se non presupponendo Dio, o almeno considerandolo come un "problema")? Riterrei, insomma, che quando di una domanda si conosce la risposta sia insensato continuare a chiederselo. Naturalmente uso il termine "agghiacciante" in quanto so che sei una persona intelligente, e mai ti porresti una domanda di cui conosci la risposta, cioè una domanda insensata. Quindi, io trovo, c'è qualcosa in quella domanda che, per così dire, non riesci a mettere bene a fuoco (non sto parlando necessariamente di un tuo turbamento interiore - che comunque non posso escludere). ciao |
24-10-2013, 17.29.29 | #8 | |
Ospite abituale
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Riferimento: La Domanda: perché?
Citazione:
Di tanto in tanto, non ossessivamente; e nemmeno saprei riconoscere esperienze particolari che la possano evocare. Non posso che constatarlo (e ripetere, mettendoli alla prova della critica razionale, i ragionamenti che già tante volte me ne hanno dimostrato l' insensatezza). Beh, forse non é un argomento tale da suscitare una discussione (anche se credo che molti non condividano affatto le mie argomentazione esposte nel primo invio e siano convinti che una spiegazione finalistica o per lo meno causale si possa trovate alla realtà in toto. |
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24-10-2013, 17.29.59 | #9 |
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Riferimento: La Domanda: perché?
Io porrei in evidenza un altro aspetto non secondario alla questione.
Ogni essere è tale in quanto esplicazione del suo stesso significato; ovvero essere e senso esprimono la medesima realtà. Se questo è vero -e per il mio modo di sentire lo è- allora la domanda relativa al senso dell’esistenza sorge nel momento in cui tale esistenza non esprime, non sperimenta nella interezza se stessa, cercando così quel significato che si pone a compensazione di un essere che in realtà non è. Ho impressione che ci siano alcune domande che nascono a nascondere un inganno, un inganno tenuto in piedi da una coscienza di sé non interamente sperimentata, dove si cercano al di fuori le cause del proprio malessere perpetuando una scissione fra senso ed essere a nascondere fondamentalmente la paura di essere impotenti ad essere. Non sto parlando di essere “compiuto” come dimenticanza di sé al contrario mi sto riferendo ad una coscienza di sé radicale capace di spezzare all’origine quella scissione. Allora la domanda diviene una risposta, diviene affermazione di essere scoprendosi come distorsione, possibile solo nel concetto di cosa sostituto all’esperienza profonda e piena di essere. Le non parole dei mistici tendono in quella direzione di essere che sconfigge le domande apparenti spinte da un non essere di base, da una mancanza, da un’incrinatura di quella pienezza dell’essere. Allora il senso di quella domanda esistenziale spinge ad un fondamentale funzione, quella di potersi trovare a cogliere quella incrinatura che spezza dall’interno la vita (cosificandola). |
24-10-2013, 21.47.20 | #10 |
Ospite abituale
Data registrazione: 12-01-2013
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Riferimento: La Domanda: perché?
La problematica del perchè guarda caso è uno dei miei temi più urgenti da qualche mese a questa parte.
Parto dalla fine e cioè: non funziona (o meglio non funziona più). Il punto esistenziale è proprio quello che assumi tu, "si può benissimo vivere serenamente e soddisfattamente anche senza una interrogazione". In realtà la domanda richiede una estesa argomentazione, perchè l'intellettualità a te fa porre la domanda "è possibile farsene una ragione?". Tralasciamo Heidegger, che pure per me è un autore imprescindibile proprio in seno al confrontarsi sul "domandarsi". Torniamo proprio all'intellettualità, a mio parere non è una condizione esclusivamente di significato, che poi temo che abbiate scambiato per significante, quanto appunto di origine, di originalità. E' un problema insomma relativo all'ordine della costituzione di un io. In questo insegna Peirce il bambino sa già benissimo tutto quanto. Anche Freud lo testimonia nei suoi quadri clinici. Il bambino si interroga sul significato della propria finitezza. E' in questo momento dove l'emozione subentra e chiede a ciò che sa già (la nominazione delle cose, appunto la teoria dei significanti, che include la totalità come l'insieme ordinato delle distinzioni, l'inferenza in una sola parola), ovvero alla propria intellettualità, il perchè delle cose. Caro Sgiombo è qui che la domanda "perchè" assume differenza sostanziale, non tanto nella risposta che una volta (e ancora oggi) era metafisica e oggi scientifica, quanto nell'accettazione o meno a livello emotivo. In questo Nietzsche che sto leggendo in questi giorni, sta rispondendo in maniera eccezionale, il farsene o meno una ragione è una questione di una malattia, di una "vacanza" dell'emozione. Per coloro che ne sono affetti (e io mi ci metto dentro) rimangono tutti i problemi del giudizio, che non deve mai farsi metafisica. In questo senso se la tua domanda era provocatoria ne accetto i contorni, ossia cosa rimane della ragione? per me direi tutto, per la maggioranza delle persone direi nulla, in quanto vi sarà sempre un mimetismo nulla-mancanza-noia che sarà tradotto irrazionalmete nell'accettazione di una ideologia-religione-metafisica. Insomma la tua supposta vita tranquilla è esattamente quello che la maggior parte delle persone chiede a vivavoce. E cioè la soppressione della domanda originaria.(ovviamente non ti sto avvicinando a queste persone, solo farti notare che è esattamente ciò che ci confonde con loro, in questo senso è proprio una questione di rispetto per la propria intellettualità e non di supposta arroganza, la differenza è sottile ma c'è) In questo senso la parola "perchè" oggi è da prendere molto, ma molto con attenzione. |