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17-10-2006, 18.06.12 | #12 |
Ospite
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
Per spiegarmi ancora meglio mi rifaccio al manuale di Schultz e Lavenda che sono molto chiari in proposito: "Comprendere non equivale ad approvare e a discolpare. Spesso, al primo impatto, certe pratiche culturali inconsuete ci ripugnano, ma a volte, dopo averle capite meglio, cambiamo idea, arrivando magari a concludere che sono più adatte delle nostre alle persone che le impiegano, e persino a raccomandarne l'adozione nella nostra società. Ma capita anche il contrario: pur comprendendo alla perfezione la logica culturale che sta dietro a certe pratiche come schiavitù, infanticidio, caccia alle teste, genocidio, nondimeno ci rifiutiamo di approvarle, vuoi perché non persuadono le ragioni addotte per giustificarle, vuoi perché siamo a conoscenza di sistemi alternativi che potrebbero sortire l'effetto desiderato con metodi meno drastici. [...] Il relativismo culturale rende più complesso il ragionamento morale, ma non ci impone di abbandonare ogni valore appreso dalla società. La nostra cultura, come ogni altra, ci fornisce più modi di valutare l'esperienza".
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17-10-2006, 19.49.26 | #13 | ||
Moderatore
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
Citazione:
be', naturalmente dipende da cosa si intende per 'relativismo', e per questo mi sposto subito all'altro punto del tuo topic. Citazione:
il senso di 'relativismo' che io intendo con naturalezza è pressapoco il seguente: il concetto di 'correttezza' e 'appropriatezza' sono relativizzati all'individuo, o meglio: il termine 'corretto' viene sostituito con 'mi pare corretto'. (odos, se ci pensi, questo ci porta molto vicini all'argomento contro il linguaggio privato.) in questa situazione ogni cambiamento di idea è assolutamente casuale, infatti ogni relativista non può essere in errore perchè (per definizione) per l'individuo x è vera ogni sua credenza. naturalmente, collegandomi parzialmente a Jaghellone, esiste anche il relativismo culturale, forse quello più 'di moda' al giorno d'oggi. questa posizione non relativizza rispetto ad un individuo, bensì rispetto ad un'intera culura: quindi non si ha più "x è vera perchè io la credo", ma invece "x è vera perchè la mia cultura sostiene x". a mio modo di vedere, una cosa molto interessante da notare è che il relativismo (nella mia prima accezione) e l'assolutismo non saturano per nulla il campo delle opzioni in gioco. ringrazio Jaghellone per aver citaro putnam -- filosofo a me molto caro -- perchè, in effetti, è proprio grazie a lui (ma non solo, ovviamente!) che possiamo concepire una terza via, la via dell'antirelativmismo e dell'antiassolutismo. questo è antiassolutismo. non esiste un punto di vista assoluto (chiamato 'punto di vista dall'occhio di Dio') da cui osservare i fatti (o, detto altrimento, non esiste un unico modo di descrivere il mondo), infatti possiamo utilizzare diverse prospettive (o schemi concettuali) a seconda nei nostri scopi e interessi (globali e/o locali). mentre questo è antirelativismo. esistono modi migliori di affrontare le situazioni, e descrizioni migliori di altre per descrivere i fatti. una volta scelto uno schema concettuale, al suo interno, vi sono dei canoni di correttezza ai quali sottostare. non vi è anarchia. [antiassolutismo] è la nostra mente che sceglie in base a quali canone descrivere il mondo (perchè non ha senso una descrizione senza teoria) ma [antirelativismo] scelti tali canoni -- ossia scelto uno schema concettuale -- è il mondo che rende vere o falsi le nostre proposizioni. epicurus |
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18-10-2006, 09.35.57 | #14 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
Citazione:
Guarda…sono talmente relativista che credo relativa pure la relatività (antirelativista?)….come relativo è il ragionamento che stiamo facendo in questa discussione. Infatti per “assoluto” io intendo un qualcosa che non ammette e non prevede nel tempo un suo contrario…non lo contempla “assolutamente” ed in nessuna forma. La causa che deriva nel porre in atto gli esempi da te citati sono verità ma non ASSOLUTE in quanto, come abbiamo visto, prevedono (in maniera più o meno possibile) il verificarsi di effetti diversi da ciò che tu ritenevi evento certo. Se devo prevedere un effetto ad un mio gesto lo devo sempre valutare attraverso una scala di probabilità ove la ragione, la logica, l’esperienza etc. stabilirà quale scelta adottare. Se lancio un sasso in aria, le possibilità che questo mi cada in testa vedranno nella mia scala (da 1 a 100) un indice vicinissimo al 100 ma affermare con certezza che una legge restrittiva migliora SEMPRE la vita civile può risultare pericoloso per la vita civile stessa perché, a mio avviso, è relativa rispetto a moltissime cose. Quale legge? Rivolta a quale tipologia di persone? In quale contesto culturale? L’assolutismo è la base delle ideologie che legano le persone a schemi mentali attraverso i quali la risposta è sempre la stessa, saldamente ancorata alla domanda iniziale, qualsiasi sia la situazione da affrontare. Non è quindi questione di anarchia come diceva Epicurus ma capacità di valutare le cose secondo quella terza via così ben descritta da Putnam dell’antiassolutismo e dell’antirelativismo. |
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18-10-2006, 16.11.46 | #15 |
Ospite abituale
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Eccoci qua
Grazie a tutti per i vostri interventi. E vi ringrazio dell’esservi trattenuti dallo scannarvi subito a vicenda.
Mi sembra di individuare già dei significati di relativismo ben precisi, correggetemi se dico castronerie: 1) Individuato negli interventi di Tommy e Maxim (l’uno contro, l’altro a favore) e di Epicurus Relativismo come la teoria che pone sullo stesso piano valori e verità che siamo abituati a pensare altrimenti. Indecidibilità circa il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato. Questa la caratteristica principale. In particolare: 1) in campo morale, relativismo si oppone a valore assoluto, e giusto in assoluto. Il relativismo appiattirebbe ogni valore sullo stesso piano. Giusto è ciò che è giusto per me. Ognuno ha il suo giusto, e sopra ciò non se ne può parlare o discutere. Si potrebbe esprimere il tutto con l’espressione: il soggetto individuale come misura del giusto (Epicurus). 2) In campo teoretico il relativismo negherebbe l’oggettività, quindi l’atemporalità e l’appartenenza all’oggetto, di verità determinate; in altri termini, le concepirebbe anch’esse “in relazione” a qualcosa. Il relativismo negherebbe anche le verità che tutti noi siamo disposti ad accettare come vere, tipo gli esempi (2) e (3) di Tommy (sul primo ho qualche riserva). Il relativismo, per riassumere, affermando la relatività di una verità ad un generico qualcosa, afferma contemporaneamente che, a causa di questo fatto, le verità possono essere messe tutte sullo stesso piano. Subito un’osservazione: il ragionamento svolto è di norma il seguente (ed è quello che credo faccia anche Maxim): è’ sempre possibile per ogni pretesa di verità trovare un generico “relativo a”. Mi pare importante osservare che questo non significa ancora relativo ad un contesto e solo ad un contesto, ma appunto alla semplice applicazione dei termini: relativo a. Le confutazioni di Maxim nei riguardi di Tommy sono secondo me esemplari, e in certa misura alimentano la credenza che relativismo sia questo, o poco più che un gioco di parole. 2) Individuato negli interventi di Ar6niolupin e Jaghellone: Relativismo come il riconoscere un “altro” generico, come coerente e significante, anche dove sembra apparentemente non esistere. Questa è l’antropologia interpretativa a cui fa riferimento anche Jaghellone. E’ il richiamo a comprendere il fatto del relativismo, cioè di come visioni del mondo forgino anche i valori. E i valori sono di fatto diversi, e non semplicemente sbagliati. E’ importante osservare subito una conseguenza che il primo relativismo dimentica: questa tesi non giustifica (cioè dice sono giusti) gli altri valori, ma li comprende come un tutto coerente. E su questo rimando a Jaghellone che mi ha bruciato sul tempo. 3) Individuabile nell’intervento di Vanlag e di Epicurus (alla fine): La definizione di relativismo che dà Vanlag, che include quella di Arseniolupin e Jaghellone, è quella, credo, che i molti si attribuiscono quando si definiscono relativisti (compreso io). E’ una posizione che a differenza della prima, ammette anche l’esistenza di oggettività. E’ un relativismo che afferma la possibilità di oggettività, all’interno di una cosiddetta tradizione storica, ma la mancanza della stessa, in un confronto atemporale e ageografico. O come dice Epicurus, l’esistenza sempre presente di una logica (materiale) oggettiva in schemi concettuali (visioni del mondo) . Questo se sviluppato (come spero si farà) risponde a molte della domande che il nostro Tommy, nei panni di un relativista, si pone. Ne individuo poi altri due, diciamo minori: 1) Vanlag parla di un relativismo rispetto all’impossibilità di attribuire valore ad uno stato di cose ed ad oggetti, senza che questi siano collocati in un’azione. Credo che questo lo possano condividere tutti. E’ quando questo si applica a cose che non sono oggetti che molti non lo condividerebbero. 2) Ars6niolupin parla di relativismo come di un astenersi dal credere di aver trovato una verità assoluta. Credo si possa dire che questo sia un generale scetticismo e fallibilismo metodologico (che molti di noi condivideranno) Ma dal momento che questo presuppone una verità assoluta che prima o poi si troverà, questo concetto non va a toccare l’essere delle cose. Per quanto riguarda l’intervento di LudovicoFrescura, non credo introduca nulla di diverso dai concetti di relativismo su elencati. Si distanzia dal primo (e dal suo opposto) ma nella sua scelta esistenziale di oscillare tra queste due credenze, cosa che credo possibilissima, non muta di per sé i concetti di relativismo come esposti sopra. Ora, se ho fatto errori ditelo senza remore (penserete: non c’è problema!). Riassumendo: 1) Relativismo che afferma che in conseguenza alla sempre possibile individuazione generica di un relato, nega assolutezza ma anche oggettività. Negando l’assolutezza compie il gesto teorico di porre sullo stesso piano ogni pretesa di verità o di giustizia di un valore. 2) Relativismo che afferma il fatto della relatività di verità e valori. E’ un invito alla comprensione e alla descrizione ma si astiene dalla giustificazione o condivisione morale. 3) Relativismo che afferma l’oggettività ma non l’assolutezza, per contesti, tradizioni, punti di vista, schemi concettuali. Questo a differenza del secondo, pone le basi per un possibile confronto o dialogo. Ciò che mi muove nel proporre questo 3d è anche l’esigenza di minare la credenza che il relativismo sia quello della prima specie. Sono convinto che un approfondimento della terza definizione possa in buona misura pacificare anche gli animi di coloro che sentono minacciata l’esistenza del proprio mondo dal primo relativismo (papa e Pera). Qualche suggerimento? |
18-10-2006, 20.07.39 | #16 | |
Ospite
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Riferimento: Eccoci qua
Citazione:
Salve odos, innanzitutto mi congratulo per il lavoro di organizzazione delle idee fin qui emerse almeno per quanto riguarda la mia parte, nella quale mi ritrovo abbastanza. Solo una piccola precisazione riguardo l'oggettività, che in realtà è più propria dell'antropologia fisica, positivista, mentre l'antropologia culturale postmoderna preferisce parlare di intersoggettività. La terza definizione di relativismo infatti come dici giustamente "pone le basi per un possibile confronto o dialogo". Però l'oggettività presume l'assolutezza, una conoscenza oggettiva non può al contempo non essere assoluta, di conseguenza escluderebbe la possibilità di un confronto. Correggerei solo quell'oggettività con intersoggettività, proprio perché c'è un dialogo tra due o più soggetti diversi fra loro, ognuno dei quali cerca di comprendere meglio se stesso, la sua cultura e quella dell'altro. Hai citato infatti l'antropologia interpretativa che si propone appunto di riuscire a comprendere il sé culturale passando attraverso la comprensione dell'altro culturale. Secondo me poi quest'ambito conoscitivo intersoggettivo (ovvero dialogato, negoziato) di valori può essere molto importante ed educativo per una buona convivenza con il diverso, con l'altro. Come ho detto sopra e lo ribadisco: tolleranza non vuol dire che parlo con un indù e smetto di mangiare la carne di manzo, che non sarebbe sensato (poi amo troppo la bistecca alla fiorentina, ma lasciamo stare). Cerco di capire però chi è un indù, quali sono i suoi valori, le sue differenze culturali nei confronti delle mie... e tramite le sue considerazioni penso, questo si, criticamente o riflessivamente al modo nel quale io penso. Mi spiego meglio: nel dialogare su un preciso contesto, una determinata azione o pratica, scopro che quella stessa è interpretata, pensata da me in un modo da lui in un altro. Così vengo a comprendere meglio la mia cultura (in quanto difficilmente se ci pensiamo, riflettiamo sulla nostra cultura, sulle nostre abitudini, poiché per noi molte azioni come semplicemente attraversare la strada o fare la colazione che so io con latte e biscotti rappresentano la quotidianità, le consideriamo naturali), messa in evidenza da un altro che mi mostra quelle che per lui sono delle stranezze, e conosco quella di un altro tramite il racconto che il mio informatore mi fornisce di pratiche quotidiane alle quali poi si cerca anche una giustificazione. Perché fate questo? Perché quest'altro? Certo il mio approccio potrebbe essere criticato da qualcuno come eccessivamente buonista e ottimista, ed in effetti poi le difficoltà che sorgono nel dialogo con un informatore di una cultura diversa dalla nostra sono numerevoli. Delle volte si ha difficoltà a rendere possibile il dialogo stesso. Saluti Jaghellone. Ultima modifica di Jaghellone : 19-10-2006 alle ore 06.50.01. |
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18-10-2006, 20.27.48 | #17 |
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
ODOS mi dice: “Per quanto riguarda l’intervento di LudovicoFrescura, non credo introduca nulla di diverso dai concetti di relativismo su elencati. Si distanzia dal primo (e dal suo opposto) ma nella sua scelta esistenziale di oscillare tra queste due credenze, cosa che credo possibilissima, non muta di per sé i concetti di relativismo come esposti sopra.”
Io trovo il TRE rivoluzionario rispetto al DUE… Ma il non cogliere con stupore o con diniego questa verità metodologica, anzi denaturarla e ovattarla in uno “oscillamento tra due credenze” per una “scelta esistenziale” che quasi lascia il tempo che trova (comunque grazie per quel tuo “cosa che credo possibilissima") vale per me imbolsirla come fanno ad esempio – di farmaci – molti strizzacervelli di stato e non nei confronti di certi loro pazienti. Voglio dire: io sono 'esistenziale' anche quando sono assolutista e relativista D’altra parte io ho parlato di personalismo e di personalità… E sono assolutista e relativista anche quando sono strettamente personalista. Ti faccio un esempio… Posso dire di me che sono ‘assoluto’ quando credo in un forte convincimento – assioma, legge, postulato (non dogma) – orientandomi in quel senso tanto che chiunque constati diverso da me, non sintonizzato/non sintonizzabile, in quel determinato frangente tratterei/tratto con compatimento, indifferenza, disprezzo (però non perseguitandolo/non uccidendolo). Ma posso dire che sono ‘relativo’ nei momenti innumerevoli del giorno/dell’anno quando mi scopro angolare, sperimentatore, elastico, curioso, volubile, non scegliendo competitivo/non attaccando conflittuale; ma adeguandomi alla realtà irresistibile del momento (giacché se non fossi, oltre che assoluto/assolutista anche relativo/relativista, non solo perderei il gusto della vita ma neppure sopravviverei). E per terzo posso dire che sono ‘personale’, esprimendo in qualsiasi forma – ad esempio con l’arte – la mia pazzia incomprensibile, il mio sogno incondivisibile, la mia unicità irripetibile; tanto che se pensassi in questi momenti visionari ed allucinati di dovermi inginocchiare all’assoluto (dio, universo, natura, ordine, legge, regola, ecc.) o dovermi flettere al relativo (rapporto, opinione, scelta, piacere, convenienza, critica, ecc.) entrambi questi ordini di comportamento mi sembrerebbero inadeguati e poveri, poveri e squallidi, squallidi e scemi, perché… Perché io sono/ho da essere soltanto, in quel preciso momento, solo|unico|indivisibile! E ti faccio un ultimo esempio (questa volta più paradossale)… Se un geometra di tradizione primitiva ti si para davanti all’improvviso perché tu scelga fra la lunghezza e la larghezza di una pietra, tu non interpreti/non hai voglia, non combini/non hai voglia, non riassumi/non hai voglia… Lo guardi in faccia e gli dici tosto: “Ti sei dimenticato dell’altezza della pietra che ci serve, amico mio!” E lui – immaginalo evoluto all’istante per un migliaio d’anni – che ti chiocciola bello/bello: “Sì, ma… l’altezza io me lo giostro, un po’, quel tanto; è come burro sul pane: qualche volta ce la metto, qualche altra non ce la metto, come dirti?… – oscillo un po’.” E tu che lo guardi in quel preciso istante con due cerchi di occhi, ti prendi in faccia l’ultimo colpo che ti stende: “Sai – ti dice – sono un esistenziale!” No/no, non hai capito, Odos: come altezza|lunghezza|larghezza - misure euclidee in pacco – assolutismo|relativismo|person alismo per me sono misure prime, elementari, semplici; compresenti, connesse, interattive; uguali, simili, eppur differenti nella loro precipua individualità. Ma poi, che dirti? Grazie e saluti: noi siamo ‘grandi’ perché pensiamo quello che vogliamo! TRIS |
19-10-2006, 03.27.02 | #18 |
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
Perdona Ludovico, credo di orientarmi nella vita come fai tu, e d'altra parte Nietzche l'abbiamo letto un po' tutti, e forse dobbiamo ancora capirlo bene.
Non fraintendere, trovo geniale ciò che dici e non voglio sminuirlo in nessun modo; tuttavia la domanda non è siete relativisti o meno (per cui tu esponi la terza via, anzi a dire la verità esponi una via sola: l'esserlo tutti e tre), bensì quali sono i significati che si attribuiscono al termine relativismo, quali sono i suoi usi. Inginocchiarsi all'assoluto, e poi dismetterlo a piacimento, è relativismo. Oppure dovresti chiarire se questo assoluto continua ad esistere, quando decidi di non assecondarlo più, e allora ammetteresti l'esistenza di realtà per lo meno oggettive. Anche l'esaltazione della singolarità, può avere un significato ontologico quanto alla creazione di valori e di realtà (sempre il ns filosofo baffuto e il gioco del fanciullino). Ma questo è relativismo, molto, ma molto, ma molto particolare, ma lo è. Come dobbiamo intendere questa terza via, in riferimento alla domanda: "quali sono i significati di relativismo?" |
19-10-2006, 09.55.26 | #19 |
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
Sono sulla stessa lunghezza d’onda di Ludovico che spero non si arrabbi se parte del suo personalissimo pensiero lo faccio mio rendendolo così un po’ meno originale.
Il vero relativismo deve per forza di cose comprendere anche l’assolutismo altrimenti è un relativo zoppo e mancante…quasi a ritornare assoluto. Il relativo vuole comprendere tutte le conoscenze della pietra nell’esempio di Ludovico (altezza, lunghezza, profondità ed anche eventuali nuove misure) senza nulla tralasciare…in quel preciso momento ed in quella precisa situazione. Non nego quindi che esistano verità più verità di altre e sia l’assolutista che il relativista deve, a fronte di una certa situazione/momento, trovare risposta pratica alla questione. Mentre il primo potrebbe avere risposte a priori che non tengono conto di nuove “misure” subentrate in questa nuova situazione/momento, il secondo le valuta, le studia, le discute e sceglie quella più appropriata arrivando magari alla stessa conclusione. Tale conclusione, al verificarsi di una nuova situazione, seppur apparentemente identica alla precedente, per il relativista non può essere adattata e pertanto ricomincerà il suo lavoro di analisi, arrivando comunque alla stessa conclusione…ma non è detto! Il relativista non ha rimpianti sulle sue decisioni perché sa che ha adottato sempre tutte le possibili cautele nelle sue conclusioni ed anche si fossero successivamente rivelate sbagliate, la situazione di quel preciso momento gli ha richiesto quel tipo di conclusione. |
19-10-2006, 12.21.11 | #20 | |
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Riferimento: Relativismo...ancora una volta
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Ciao Max, il relativismo che hai appena spiegato è Assolutismo ! L'Assolutismo non è dogma ! L'assolutista dà conto di ciò che ritiene Verità in sè, o Assoluta, ma nello stesso tempo ragiona per capire se in quel momento può o non può applicare quella Verità in sè ! L'ho spiegato già in un'altro thread in cui VanLag era il mio interlocutore : una cosa sono i principi ed un'altra le conseguenze ! "Mischiare principi e conseguenze è proprio di chi non sa ragionare" (Fedone - Platone) Ma lasciamo perdere...piuttosto, propongo una cosa : anzichè fare degli esempi, più o meno attendibili, proviamo a capire "all'atto pratico" che significa vivere da relativisti, non però secondo un Relativismo personale, ma secondo quello ufficiale, da vocabolario, che nega la Verità in sè ! Ti chiedo, se vuoi, se ti è possibile, di citarmi un caso, un'esperienza (anche personale), un fatto contemporaneo dove si evince chiaramente che la verità in sè non esiste, mentre esistono 2 o più verità, egualmente dimostrate ed attendibili, e quale metro o strumento di misura si utilizza per discernere quale di queste verità debba essere adottata nei casi simili che avverrano in futuro. Solo tre puntualizzazioni prima che tu ci pensi : -dogma non è verità assoluta ! -la dimostrazione che esporrai per dimostrare che le cose stanno così, dovrà avere carattere di "scienza" o conoscenza" che dir si voglia : non devere esprimersi in termini probabilistici ! -il relativismo in esame non deve avere personalizzazioni, altrimenti sarebbe relativismo relativo al relativista, il che produrrebbe solo confusione ! Ti saluto, ciao. |
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