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08-04-2006, 11.43.27 | #52 | |
like nonsoche in rain...
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Citazione:
------------------------------ Cito da “Il Sé sinaptico” di Joseph LeDoux (considerato uno dei più importanti neurobiologi al mondo): “L’esistenza del Sé è una concomitanza fondamentale del fatto di essere un animale. Tutti gli animali, in altre parole, hanno un Sé, a prescindere dal fatto che possiedano o meno la capacità di autoconsapevolezza. Di conseguenza, il Sé è qualcosa di più rispetto a ciò di cui gli organismi autoconsapevoli sono davvero consapevoli. [...] Il Sé è un’unità, nel senso che gli organismi si danno un gran daffare per mantenersi vivi e in buono stato. [...]Tanto i sistemi impliciti (inconsci – ndr) quanto quelli espliciti (consci – ndr) vengono utilizzati per realizzare questa unità negli esseri umani. Tuttavia, l’autoconservazione è un movente universale, indipendentemente dal fatto che un organismo sia consapevole di operare per questo obiettivo. Uno scarafaggio scappa velocemente quando si avvicina un piede umano, senza essere esplicitamente consapevole di trovarsi in pericolo, non diversamente da come un batterio unicellulare percepisce le molecole dannose presenti nel mondo chimico e se allontana. [...] Che cos’è allora (il Sé – ndr)? Dal mio punto di vista, il Sé rappresenta la totalità di ciò che un organismo è fisicamente, biologicamente, psicologicamente, socialmente e culturalmente. Sebbene sia un’unità, non è unitario. Comprende cose che conosciamo e cose che possiamo non sapere, cose che gli altri sanno su di noi e che noi ignoriamo.” ------------------------------------------ Se ci fermassimo qui, io personalmente non sarei molto contento poiché esigerei subito qualche spiegazione più ‘fondamentale’, più ‘profonda’; ammesso che l’autoconservazione di questa unità, che LeDoux identifica col “Sé”, sia effettivamente una buona proprietà per caratterizzare gli animali (ma anche tutti i ‘viventi’) e sembra esserlo, non ci dovremmo limitare a ciò. Questa la considero una pseudo-spiegazione o meglio una spiegazione euristica che ci fornisce un indirizzo di indagine, ma quest’ultima bisogna pur compierla, se non vogliamo che i nostri ragionamenti si fermino alla pura metafisica. Certo vi sono molteplici modi per farlo: le neuroscienze seguono una strada, la psicologia ne segue un’altra, ecc...; nel tuo post successivo, Gyta, che non ho trovato logorroico , c’è un problema che mi pare sia presente anche nella nuova discussione di Epicurus e cioè: i vari metodi di indagine, seppure molto differenti tra loro, analizzano “la stessa cosa” e dunque dovrebbero in qualche modo pur convergere in futuro; in effetti, nella discussione citata, ho espresso un qualcosa del genere. Ma mi chiedo (e forse questa domanda sarebbe meglio porla di là): siamo sicuri che sia veramente “la stessa cosa” quella che studiano le varie discipline? Tu dici che è la “realtà che di per sé è unitaria e frammentata lo diventa proprio attraverso il discorso d'indagine concettuale, perché "concetto" è modalità stessa del modo operante, della modalità in cui si opera”; ebbene questo pare condivisibile in generale. Ma ciò ci garantisce che in casi particolarmente complessi, come lo studio del cervello e della mente, indagini molto distanti tra loro (e ce ne sono) possano convergere? Non si stanno studiando aspetti differenti, troppo differenti? Una via d’uscita, forse, è quella citata da Epicurus ovvero “il pluralismo ontologico”; sono del parere che il problema in studio sia comunque lo stesso e sia la nostra attività indagatrice, per propri limiti, a frammentare, come dice Gyta, il problema; tale frammentazione metodologica è come un “dividi et impera”, ma nei vari livelli chi “impera”? E questi livelli sarà possibile connetterli in modo non superficiale? Vista la premessa (il problema è il medesimo), parrebbe di sì, ma questo secondo me non basta attualmente per giustificare una risposta pienamente affermativa, lasciando aperto il campo a possibili punti di vista alternativi, come appunto il ‘pluralismo’. Il pezzo citato di Roberta Lanfredini, lo trovo intelligente, ma tuttavia non mi sembra di vedere una connessione con il tuo pluralismo ontologico, Epicurus, forse sbaglio; anzi trovo che sia più affine a quello che ha inteso dire Gyta. Già dalla prima riga della citazione si comprende come una certa nostra categoria con cui incaselliamo il ‘reale’, non designa appunto un tipo o una parte di esso, ma rappresenta solo un nostro modo di approcciarci concettualmente al problema: in effetti la Lanfredini dice che Il termine ‘fisico ’ non deve essere frainteso come se si riferisse a una proprietà che ad una parte del reale spetterebbe e ad un’altra no; ecco che, dunque, il termine ‘fisico’ o ‘cerebrale’ non è una categoria ontologica che dovrebbe designare una parte del reale in sé differente dal ‘mentale’ o dal ‘psicologico’, ma essi rappresentano solo differenti modi di presentare le ‘cose reali’ attraverso (nostri) concetti. A mio parere gli argomenti su cui ci si dovrebbe concentrare sono: un'analisi sulla nostra attività conoscitrice (come indaghiamo, con quali strumenti?), sulle nostre spiegazioni prodotte (perchè ci concentriamo sul quel dato tipo di regolarità?), sulle possibili connessioni tra di esse (sono effettivamente tali?) e soprattutto sulla natura di tali connessioni ('esistono' effettivamenti più livelli ontologici oppure questi ultimi sono solo nostre rappresentazioni concettuali?); tali domande sono strettamente legate tra loro, almeno questo mi pare abbastanza sicuro . Ultima modifica di nexus6 : 08-04-2006 alle ore 11.48.06. |
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09-04-2006, 13.28.55 | #53 |
Non lo so...o forse si...
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Ho trovato l'unica risposta possibbile alla domanda " Come la materia diventa pensiero?"
Se ci pensate attentamente è impossibile che dalla semplice materia crei pensiero, tanti pallini, o quello che è. La risposta a questa domanda è stata particolarmente difficile da trovare, poichè la domanda è posta male. Quindi, la materia non diventa pensiero, perchè semplicemente il pensiero crea la materia e tutto il resto. Possiamo dire che la materia è una specie di illusione, noi la percepiamo in questo modo. Quindi non esiste un "punto" in cui la materia crea il pensiero, perchè come ho detto è il pensiero ha creare la materia. Qui allora si potrebbe chiedere: "da dove viene fuori il pensiero?" Io penso che non venga fuori da nessuna parte, ma che esista e basta. Mi rendo conto che questa spiegazione non è il massimo, ma è l'unica logica data fino adesso e io ritengo sia quella giusta. |
09-04-2006, 14.36.18 | #54 | |
Rudello
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e magari non è nemmeno unica
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Rispettabile certo, ma non esaustiva. Per dire che esiste la materia, e che esiste il pensiero, "e basta", non è che ci voglia una gran filosofia!... non ti pare? Buona Domenica! |
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09-04-2006, 15.05.33 | #55 | |||
Moderatore
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la realtà unitaria? ma che è questa realtà radicalmente indipendente dalle nostre necessità cognitive e metodi d’indagine? non ditemi che volete tornare al noumeno kantiano… mi sembra, nexus, che entrambi disdegnavamo tale concetto, non so tu gyta. se è vero che ogni disciplina, oggigiorno, è sempre più aperta al dialogo con altre discipline (anche molto lontane), ciò NON dimostra che alcune discipline si stanno riducendo ad altre, anzi, ciò dimostra come sia sempre più importante poter adottare varie prospettive per capire un fenomeno e che come i confini tra queste discipline sia sempre più sfumato ed indeterminato. d’altro canto noi abbiamo degli interessi e degli scopi, ed in base a questi noi indaghiamo la realtà, ed in base a questi nascono le svariate discipline che indagano la realtà: gli scopi e gli interessi possibili sono innumerevoli e anche diversissimi tra loro, quindi credere che possa esistere un unico modo esaustivo di vedere il mondo pare una vera e propria utopia. utopia anche e soprattutto dimostrata dalla realtà scientifica effettiva d’oggigiorno. Citazione:
hai ragione. volevo servirmi del pezzo di Lanfredini per cercare di demetafisicizzare il discorso originario di questo topic, discorso che mi pare ateo continui: “come può la materia (intesa come sostanza) generare il pensiero (inteso come sostanza)?”. non c’è da stupirsi che ateo, continuando a porsi domande in questo modo, non possa arrivare a nessun traguardo (anche temporaneo) e si debba limitare a lasciare tutto nel mistero più oscuro, proclamando ‘fatti bruti’. rudello ha ragione nel dire che tale risposta non è una risposta. ma, ateo, perché non prendi in considerazione ciò che la Lanfredini ha detto: non dobbiamo pensare a ‘materia’ e ‘pensiero’ come delle sostanze (anche perché potrei dire che mi si deve ancora una spiegazione di ‘sostanza’), ma come universi di discorso. epicurus |
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10-04-2006, 13.28.25 | #56 |
Moderatore
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Epicurus scrive:
la realtà unitaria? ma che è questa realtà radicalmente indipendente dalle nostre necessità cognitive e metodi d’indagine? non ditemi che volete tornare al noumeno kantiano… -------- davvero pensi che la gnoseologia kantiana potesse fare a meno del noumeno?! …forma e sostanza sono 2 antichi ed inscindibili elementi della teoria della conoscenza ( Platone Aristotele etc..) a cui Kant non pote’ del tutto rinunciare, anche se molti , sbagliando, considerano solo la forma aprioristica delle categorie come unico valore di conoscenza; forma e sostanza , apollineo e dionisiaco, ragione e cuore, evidenza e mistero…poca filosofia ha preferito rinunciare a questo irrinunciabile dualismo. Saluti Ultima modifica di and1972rea : 10-04-2006 alle ore 13.29.50. |
10-04-2006, 20.53.02 | #57 | ||
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Scrivevo proprio adesso ad un amico che la strada (intesa come vita, e quindi come ciò che consideriamo di norma "Reale")pur essendo sempre la medesima assume agli occhi di chi la percorre colori differenti!! Gli stessi colori attraverso cui i nostri occhi possono essere in grado di vederla! E così ogni scienza vedrà attraverso i suoi propri colori quella medesima vita vista altrove sotto altre "lenti"! Tutto qui quel che ho detto! Niente di metafisico o particolarmente concettuale.. ! Ognuno vede secondo il proprio carattere visivo: il microscopio differente dall'obiettivo della macchina da presa, differente dalla reazione chimica, differente dall'acceleratore di particelle, differente dal radar, differente dalla vista umana in assenza di luce.. etc.. Se la Realtà è "Realtà ai minimi termini" ovvero "sostanza" al di là del soggetto che contempla, allora sarà in sé per definizione integra e ciò che appare di questa non sarà che la differente lettura in rapporto agli "strumenti" attraverso cui la si indaga.. Poiché di norma il microscopio troverà esclusivamente ciò che gli compete, così il radar, ed altrettanto farà l'acceleratore di particelle ed altrettanto il buio.. etc.. Qual'è allora la Realtà al di fuori dell'osservatore/osservazione?? C'è una "Realtà" che possa non contemplare l'Osservazione/Osservatore?? Banale a dirsi: sembra proprio di no!! C'è (per definizione) ma non la si può.. Testimoniare! Non so quanto queste mie (banalissime) osservazioni possano risultare di qualche utilità al discorso.. se non mettere ancora più teorica difficoltà.. ! "Come la materia diventa pensiero?" E chi l'ha detto che la materia diventi non materia, poiché questo sembra essere il sottinteso!! E chi poi può in definitiva dare un limite stesso a non materia se non rapportandola ad un ipotetica ulteriore Dimensione???! Tutto quadra, tutto ha corpo nel bel momennto in cui ogni discorso viene letto entro parametri ben definiti oltre i quali tutto e nulla può in assoluto venir affermato e negato.. Mah.. spero di aver reso il mio pensiero.. Non una volontà di non scienza, di non indagine ma il "ricordo" costante del gioco o se vogliamo del Gioco, senza il cui sguardo sottostante complessivo risulterebbe perennemente "monco".. (!) Domandi Nexus6 se indagini troppo differenti tra loro possano infine convergere.. (e specifichi: ) "Il termine ‘fisico ’ non deve essere frainteso come se si riferisse a una proprietà che ad una parte del reale spetterebbe e ad un’altra no... ma rappresentano solo differenti modi di presentare le ‘cose reali’ attraverso (nostri) concetti." Allora posso immaginare che spetti come sempre al ruolo del "filosofo" il compito di tirare le somme se già gli studiosi delle varie discipline non l'avranno oltremodo già fatto nell'addentrarsi entro visioni sempre più particolareggiate trovandosi in mano visioni come numeri primi differentemente ancora rappresentabili ma non più "scomponibili". Che sia/divenga proprio quella più sottile differenziazione materia finale di una lettura invece complementare -anzi di più!- unitaria?!! [Per chiarire meglio l'ultima frase: particella ed onda, sono due o sono uno? Okay, l'ambito in questo caso è la fisica; ma anche fosse su altri piani, perché non potrebbe funzionare alla medesima maniera, ed essere colori descrittivi differenti secondo parametri differenti? Mah.. mi sembra di dire delle cose ovvie, scontate.. Comunque.. ] Gyta |
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13-04-2006, 23.47.28 | #58 | |||
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Vedi, il problema dell’accesso alla “realtà” e la conseguente interpretazione che ognuno di noi eserciti tale accesso da una prospettiva differente, con “occhiali” differenti, sono appunto un problema ed una interpretazione; per esempio, c’è chi sostiene che il concetto di “realtà” sarebbe superfluo e dunque da eliminare, poiché esisterebbero solo le nostre molteplici interpretazioni (poi di che...?). Si tratta dell’idealismo in contrapposizione al realismo, certo grandi categorie con all’interno composite posizioni, ma ugualmente utili a questo punto per focalizzare il problema. Tra l’altro tale “idealismo” è enormemente presente proprio nell’interpretazione più comune della meccanica quantistica, che tu hai velatamente citato (il dualismo...). L’unità, l’Uno... l’anelare ad essi, il desiderio, l’aspirazione di ‘accedervi’ o quanto meno di dirvi qualcosa che sembri sensato... non sono cose scontate...; lo sembrano, secondo me, proprio perché permeano tutto il pensiero umano: lo testimoniano le spinte ‘riduzionistiche’, le spinte ‘realistiche’, le spinte ‘mistiche’... dunque bisognerebbe interrogarsi molto su questo modo di funzionare dei nostri ragionamenti e proprio sul fatto che tali ragionamenti ci sembrino ‘scontati’. Lo sono? Perché lo sono? Perché li consideriamo tali, ovvero ‘scontati’? Vedi, quando incappo nelle cosiddette “cose ovvie” ho sempre la terribile paura che siano dei grossi abbagli e non è affatto detto che effettivamente lo siano; il problema è che ridurre quello che sembra un abbaglio non è affatto facile (ecco perché la filosofia è così difficile) ed ho paura che, procedendo in tal maniera, io rimanga ancor più abbagliato! Non c’è abbaglio maggiore della pretesa di aver spento un abbaglio con un altro abbaglio!! |
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15-04-2006, 07.50.18 | #59 | |
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"Scontati".. Scontati nel senso che è proprio dell'uomo
porsi tali interrogativi e giungere ben presto a farli nell'intimo punto obliato di convivenza o spinta profonda di movimento. "perché lo sono?".. Perché "la poesia è poetica?" Non saprei risponderti seriamente in modo differente. Dice bene Ateo nel sottolineare che la materia non sia che apparenza relativa a questa dimensione e che sia il pensiero a vederla tale, a "crearla", ipotizzando un'assoluta "continuità" tra la sostanza in sé medesima, qualunque "cosa" essa sia, qualunque forma essa possa assumere secondo relazione (e quindi "dimensione")! Idem con ciò che ho espresso con "dove finisce la materia? etc.." per esprimere la medesima posizione mentale alla questione. Citazione:
Dici bene!! E.. de che?? Non può venir eliminato il concetto di "realtà" ma anzi questa sua qualità di poter venir riconosciuto (come entità "unica" esistente) seppur celato dai suoi molteplici aspetti relativi alle varie prospettive in cui viene ad essere contemplato, non può che essere motivo collante di maggior forza verso la sfida d'una sua individuazione "assoluta"! "Ovvie".. "ovvie" nel senso che ci poniamo le stesse domande.. (e per noi non sono "nuove") Per chi non si sia mentalmente drogato il bisogno di dare un aspetto "assoluto" (o più tale possibile) alla realtà è spinta interiore forte, molto legata al senso della nostra vita come individui, individui senza radici, senza un vero passato intimista dell'animo, che non sia storia raccontata, e senza un futuro che non sia anche questo legato al senso interpretativo della storia! Ecco allora giungere potente l'unico segno d'individualità che chiama, reclama il diritto alla vita, ad una storia più vera e profonda che non si perda in un teatrino di presenze presto dimenticate ma che abbia in sé il filo potente mai spezzato dell'essere! "Anche il sogno è una lotta! Il sognatore dev'essere più potente del sogno" (da "Fuoco su di me" -film) (non questo per dare connotato d'irrealtà al "sognatore" come "pensatore" ma anzi per sottolineare fortemente quanto la sua lotta assuma spesso apparenza impari al contrasto con il contesto di superficie placidamente pesante del falso "reale" proposto dalla maschera d'una contorta immaginazione ipotetica di cosa sia "quotidianità"!) Gyta |
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20-04-2006, 10.57.39 | #60 | ||
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Citazione:
scusa per la mia cattiva estrapolazione ma se non c'è nessuno mondo neumenico, cioè radicalmente indipendente dalle facoltà cognitive dell'uomo, e se il mondo è necessariamente conosciuto solo utilizzando diverse prospettive, allora il mondo deve essere un mondo pluralistico, che comprende le nostre credenze, gli atomi, le molecole, le mode, le infalzioni, le politiche estere, etc. poi, dire che il mondo è uno, posso anche convenire, ma tenendo sempre a mente la sua natura plurale... se non ti ho capito bene un'altra volta, chiedo venia Citazione:
ma il problema è che non è che il sociologo vede la moda con le sue lenti (da sociologo) perchè è sociologo, ma perchè altre lenti non riuscirebbero proprio a vedere l'obiettivo della sua ricerca. (e non si può dire che i sociologi abbiano accettato ciò acriticamente, visto che la sociologia è stata per lunghi anni influenzata dal positivismo). non è che c'è una cosa, e la possiamo vedere con lenti blu o con lenti rosse. c'è (per esempio) l'intenzionalità e la si può vedere solamente da una determinata prospettiva (o famiglie di prospettive), mentre da altre non la si vede neppure col binocolo (e nemmeno col microscopio). quindi, come ho detto più sopra, si può ancora parlare di "unico mondo", però proprio come il parlante della strada usa questo termine, e non come i metafisici: c'è un mondo pubblico ed intersoggettivo. epicurus |
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