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Vecchio 22-12-2005, 22.51.58   #51
epicurus
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Talking un po' di Wittgenstein...

Citazione:
Messaggio originale inviato da nexus6
Potrà pure essere ragionevole, ma rimane solo filosofia

Nexus, io ho una visione della filosofia del tutto profana, non la innalzo alla regina della conoscenza, non penso che sia una via privilegiata per accedere alle verità, non penso che se una persona non si interessa di filosofia sia di serie B. Quindi non sono il tipo che vuole una filosofia del tutto slegata dalla scienza, anzi penso che evitare di prendere materiale e strumenti dalla scienza sia una strategia estremamente sciocca, un modo per frammentare inutilmente il sapere (ricollegandomi a quello che diceva Gest O).

Dico questo solo per esporre quale sia la mia posizione generale Ovviamente detto questo, ciò non implica che la filosofia sia una mezza calzetta che non vale niente se non tra le mura di forum/congressi/facoltà filosofiche, altrimenti non starei a trattare argomenti di filosofia fini a se stessi.

E' vero che la maggior parte delle tesi filosofiche non sono empiriche, cioè non posso con i miei occhi verificarlo, ma questo non toglie l'intersoggettività e la potenza del metodo. Capisco che c'è modo e modo di far filosofia, ma per quanto mi concerne cerco di essere più chiaro e preciso possibile (esponendomi più facilmente a obiezioni). Wittgenstein riteneva che la filosofia sia quell'attività che si sbarazza di confusioni dell'uso del nostro linguaggio e ci chiarisce di che cosa si sta parlando: ok non è fisica, ma non è da buttare.

Concludo questa parentesi doverosa dicendo che una tesi filosofica antiscientifica ha sicuramente un fardello che grava sulle proprie spalle perché per guadagnarsi rispetto e fiducia deve fornire un apparato non da poco (perché la scienza si è guadagnata da noi il massimo rispetto, e a ragione ovviamente). Ma qui io (e credo anche odos e forse Gest O) stiamo proponendo una tesi ascientifica.
Fine della pedante parentesina

Citazione:
Epicurus mi spieghi meglio la tua posizione? Che sarebbe questa "mente ambientale"? Lo trovo, per ora, un concetto vago.

Non è che sia un concetto vago, bensì è un concetto relativamente nuovo. Se io dico che la mia mente è un sistema (olistico) di capacità che sbuca fuori dall'interazione cervello-ambiente sociale, che sto dicendo? In effetti se uno mi dicesse così storcerei il naso anch'io (e te lo dice uno che sosteneva la tesi della corrispondenza cervello-mente fino a neanche un anno fa), e in effetti senza precisazioni sembra una tesi di quelle new-age.

Allora necessita partire da più lontano per spiegare (e così comprendere) bene la tesi che voglio qui difendere: quindi scusatemi per la lunghezza.
Come detto, partiamo da distante, da una questione apparentemente non di filosofia della mente (Odos e Gest O, che ne sanno sicuramente più di me su quello che sto per dire, mi tirino pure le orecchie se sbaglio ): Wittgenstein e il seguire la regola.

Sono capace di parlare una lingua, di seguire le regole del gioco, di continuare correttamente la successione? E’ ovvio che quando facciamo queste cose avvengono dei processi, ma queste cose non sono processi, sono capacità. Un processo (mentale o fisico) ha un inizio, un punto intermedio e una fine: occupa un intervallo di tempo. In generale intrattiene relazioni temporale con i fatti (può essere contemporaneo a X, può iniziare prima di Y o dopo di Z, può durare come W, etc.). Ciò non vale per le capacità. “Quando sai giocare a scacchi? Sempre? O mentre fai una mossa? E conosci l’intero gioco mentre fai ogni singola mossa? – E com’è strano che saper giocare a scacchi richieda così poso tempo, mentre una partita ne richiede tanto di più!”
L’obiettivo di Wittgenstein era quello di mostrare la falsità nel ritenere che il comprendere fosse un processo che accompagnava il parlare. Ma quando avviene che comprendiamo un enunciato? “Forse quando l’abbiamo pronunciato completamente? Oppure mentre lo stiamo pronunciando? Comprendere un enunciato è un processo articolato come il pronunciarlo? e la sua articolazione corrisponde a quella dell’enunciato? Oppure è un processo non articolato che accompagna l’enunciato come la pressione di un pedale accompagna una melodia?” Comprendere una parola, come saper giocare a scacchi, è un’abilità e non un processo.

Qualcuno potrebbe pensare che per comprendere l’ordine “Portami un fiore rosso” si debba avere in mente un’immagine rossa e che solo tramite un confronto con quest’immagine si è sicuri di che fiori portare. Ma le cose non stanno così, altrimenti non si saprebbe come obbedire ad un ordine come “Immagina una macchia rossa”: infatti, secondo tale modello fallacie, prima di obbedire a quest’ultimo ordine bisognerebbe evocare una macchia rossa che serva da modello per la macchia rossa che è stato ordinato di immaginare, e ciò è naturalmente assurdo. E’ vero che mentre si parla si possono avere immagini mentali, ma non sono queste che conferiscono significati alle parole. La teoria del comprendere per immagini (o del possedere concetti per immagini) si dimostra fallacie perché non riesce a distinguere il concetto ‘sedia’ da ‘immagine di sedia’.
Inoltre è facile scoprire che una persona può avere tutte le immagini che gli servono per svolgere un ordine, ma non essere in grado di capire che cosa deve fare, perché tali immagini non sono accompagnate dalla pratica di agire in certi modi, o dalla capacità di agire nel modo appropriato: se comprendessimo un linguaggio tramite immagini, comprenderemmo il nostro linguaggio (più o meno) come lo comprendono gli animali (che possiedono una grande varietà di immagini), cioè per niente.

Nel caso delle mie immagini mentali quello che dico è (praticamente) indiscutibile; ma per quanto riguarda la comprensione degli enunciati è cosa ben diversa: posso erroneamente pensare di sapere cosa si intende per “verità assoluta” (eheheh ), mentre una volta esaminato si rivela priva di senso. Il moto di Wittgenstein è: “il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio”.

Questo ci fa capire come la mente sia qualcosa di sociale e che sia forviante la concezione che la mente sia dentro la scatola cranica. Da qui ci possiamo richiamare direttamente all’argomento strettamente correlato al precedente – sempre wittgensteiniano – contro la possibilità di un linguaggio pubblico.

Ovviamente ciò che ho detto sopra per il comprendere, vale per ogni altro stato intenzionale (essere tristi, calcolare, temere, credere, desiderare, avere l’intenzione, etc.): sono tutti capacità. E’ già qui che non capiamo più che significato abbia cercare nel cervello il processo che corrisponde ad (a), il mio desiderio di rosicchiare esposto nell’apertura di questo topic.

Dicevo del linguaggio pubblico. Da qui all’esternalismo semantico (che ho esposto brevemente in un mio topic che ho già segnalato qui) il passo è superbreve e così il gioco è fatto. I nostri stati intenzionali, cioè in definitiva la nostra mente, sono caratterizzati dall’ambiente esterno: da qui la forviante distinzione tra “dentro” e “fuori” di me.

Citazione:
Il pensiero è materia, ma non studiabile con i metodi classici di approccio alla materia; è questa la tua posizione, Epicurus?

Spero di aver risposto anche a tale domanda, con la mia precedente esposizione. Comunque mi preme una brevissima chiarificazione. Al giorno d’oggi non è più tanto utilizzato il termine ‘materialista’ perché troppo problematico, infatti con l’avvento della meccanica quantistica e compagnia bella non si capisce più bene che significhi ‘materia’ (non che in passato fosse stato mai chiaro, diciamo che l’ambiente culturale attuale ha reso palese questa grossa lacuna) e così si è passati al termine ‘fisicalista’: cioè si è passato alla tesi “esistono solo oggetti materiali” a “esistono solo oggetti studiabili dalla fisica”. Qui sembra che la tesi si sia spostata dal campo dell’ontologia a quello della dimensione esplicativa, ma non è proprio così, infatti come ha detto all’inizio odos (e io ho sottolineato che condividevo tale tesi anche se sarebbe da chiarire) in un certo senso il linguaggio crea il mondo (bada bene, non leggermi come se dicessi che se da domani non ci fosse più un parlante vivo, allora il mondo cesserebbe di esistere), quindi il fisicalismo continua ad essere una tesi ontologica.

Quindi, morale della favola, la tua domanda sembra esser posta male.


Richiedo scusa per la lunghezza e spero di essere abbastanza comprensibile

epicurus
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Vecchio 22-12-2005, 22.55.33   #52
epicurus
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goedel e mente

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Messaggio originale inviato da nexus6
Stiamo forse parlando di teorie matematiche sufficientemente "potenti" da contenere la teoria dei numeri naturali ovvero che consentano di definire i numeri naturali come un insieme? No? Beh... allora l'amico Godel non c'entra.

In effetti, caro Gest O, le ipotesi per applicare il teorema di goedel e per così arrivare alla conclusione che tale teoria X (nel nostro caso una teoria della mente) non sarà mai completa (a costo della sua consistenza), non sono soddisfatte, infatti nessuno si aspetta che una teoria della mente sarà così potente da contenere la teoria dei numeri naturali, anche perchè nessuno si sognerebbe di supporre che possa esistere una qualsiasi teoria della mente completamente formalizzata.

epicurus
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Vecchio 22-12-2005, 22.56.14   #53
Gest O
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Ma sai cosa succede a queste sistemi logici (e non teorie matematiche come scrivi tu) sufficientemente potenti( al livello cioé dell'aritmetica elementare) secondo la dimostrazione di godel? Succede che essi comprenderanno una proposizione della quale non si può affermare nè la verità nè la falsità. Dunque tali sistemi sono e saranno sempre incompleti. Il mio discorso quindi partiva (un po' alla lontana) dalla essenziale incompletezza della conoscenza umana dimostrata matematicamente da godel per quegli scettici che non credevano ai " maestri del sospetto". In questo modo per me si va in qualche modo a dissolvere il problema mente corpo nei termini di una "classica" ricerca del fondamento nell'una o nell'altra sostanza(l'esempio della sterilità della "polemica" fra materia e spirito viene dalla discussione con marcobiagini). La categoria della reciproca implicazione é, in questo momento storico, un limite invalicabile.

Vedi, epicurus,che ci provo anch'io a "partire da un punto, argomentare e arrivare in un altro", ma poi vengo frainteso! Devo cominciare a fare come kantaishi..
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Vecchio 22-12-2005, 22.59.12   #54
epicurus
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Messaggio originale inviato da Gest O
Vedi, epicurus,che ci provo anch'io a "partire da un punto, argomentare e arrivare in un altro", ma poi vengo frainteso! Devo cominciare a fare come kantaishi..

no no, per carità
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Vecchio 22-12-2005, 23.15.53   #55
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x Epicurus, l'uomo della palude e la mente sociale:

Se la copia fosse perfettamente identica non vedo perchè non potrebbe avere "atteggiamenti proposizionali"; se l'originale li ha e la copia è tale e quale, mi sembra paradossale affermare il contrario.
Dici (questo è il nucleo dell'argomentazione): "Per quanto possa apparentemente sembrare strano, l'idea che c'è dietro a tale intuizione è che il significato delle nostre parole, e cioè la capacità di padroneggiare i concetti, è un fattore anche esterno, che dipende in modo complesso dal nostro rapporto con il mondo, con la società di parlanti e con i rapporti causali che abbiamo intrattenuto con tali concetti (e come li abbiamo appresi)."

Ma l'originale questi concetti li ha appresi pure in qualche modo e dunque la copia, che ha gli stessi identici ricordi (al momento della "clonazione" istantanea), è esattamente come se li avesse appresi nello stesso identico modo e dunque avrà le stesse identiche capacità dell'originale (immediatamente dopo la clonazione).

L'uomo della palude dovrebbe essere illuminante per questa discussione? Dovrebbe essere un esempio di ciò che intendi con (cito) "le nostre menti sono immerse nell’ambiente e quindi non del tutto distinguibili da questo"?

Beh... se fosse così non potrei essere d'accordo con quanto affermi; dov'è che sbaglio?


x Gest O:

Non contesto le tue conclusioni, quanto l'uso di concetti prettamente matematici (tipo la completezza) in frasi del genere (cito) "Il mio discorso quindi partiva (un po' alla lontana) dalla essenziale incompletezza della conoscenza umana".
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Vecchio 22-12-2005, 23.21.35   #56
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Beh... se fosse così non potrei essere d'accordo con quanto affermi; dov'è che sbaglio?

hai letto il mio lungo post? hai domande a riguardo?


epicurus
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Vecchio 23-12-2005, 10.47.13   #57
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Riassumo i punti chiave del tuo ragionamento.

Ipotesi.

1. Parlare una lingua è una capacità o abilità, non un processo.

2. Comprendere una parola, come saper giocare a scacchi, è un’abilità e non un processo.

3. La teoria della comprensione di una linguaggio per immagini si dimostra fallace: una persona può avere tutte le immagini che gli servono per svolgere un ordine, ma non essere in grado di capire che cosa deve fare, perché tali immagini non sono accompagnate dalla pratica di agire in certi modi, o dalla capacità di agire nel modo appropriato.

4. Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio.

------> tesi1. La mente è sociale e non può essere confinata dentro la scatola cranica.

------> tesi2. Non può esistere un linguaggio privato e dunque approdo all'esternalismo semantico.

5. Ciò che vale per il "comprendere" vale per tutti gli stati "intenzionali" che dunque sono capacità.

------> tesi3. I nostri stati "intenzionali" (ovvero la nostra mente) sono caratterizzati dall'ambiente esterno; dunque è fuorviante la distinzione fra "un dentro di me" ed un "fuori di me".

--------------------------------------------
Fin qui le tue conclusioni e mi scuso per la mia approssimatività.


Ora traggo le mie seguendo i tuoi ragionamenti e ti chiedo se sono corrette.

1a. La mente è una capacità, dunque impariamo ad essere coscienti, ad essere tristi, a desiderare, a temere, ad innamorarci più o meno come si gioca a scacchi.

2a. Nessun atteggiamento umano, per un uomo correttamente istruito (dotato di mente), può essere dovuto ad istinti, dunque ogni attività mentale è mediata dall'apprendimento di capacità: desidero una donna perchè ho imparato a desiderarla o meglio ho visto socialmente cosa vuol dire desiderare una donna e non faccio altro che esercitare una mia capacità appresa. Mi sento di desiderare una donna non in modo istintuale, ma perchè noto che pure gli altri hanno i miei stessi atteggiamenti nei confronti di una donna. Stessa cosa per quando, per esempio, mi arrabbio: so di essere arrabbiato perchè ho imparato dagli altri cosa significa esserlo e dunque sono fiducioso che pure gli altri intendano la stessa cosa con la frase " io sono arrabbiato".

3a. Se una persona, per qualche motivo (isolamento, malattie psichiche) non avesse appreso queste capacità non avrebbe stati intenzionali, ovvero non possiederebbe la mente, ma solo il cervello (come un animale).

Dimmi se ho sbagliato.
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Vecchio 23-12-2005, 10.58.06   #58
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Mi sembra che sia corretto, ma c'è un punto che và precisato: lo stato intenzionale è caratterizzato da un contenuto e (diciamo) da una tipo. Quando desidero sgranocchiare pop-corn il tipo è il desiderare (e questo può essere implementato in qualche modo nel cervello, ma sicuramente non con la teoria type-type, ma token-token che evita la possibilità di trovare leggi ponte rigorose psicoficiche), ma il suo contenuto (ciò l'oggetto del mio desiderio) - è caratterizzato esternamente.

ora vado, tornerò più tardi
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Vecchio 23-12-2005, 11.30.20   #59
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E il tuo discorso, dunque, dovrebbe implicare (ho letto nei post precendenti) l'eliminazione di una prospettiva naturalistica; sono d'accordo che l'attuale metodo scientifico, improntato alla rigidezza ed al riduzionismo, non sia adatto ad una spiegazione completa di domande come "Cos'è la mente?" o "Cos'è la coscienza?". Però, secondo me, si deve cercare di arrivare con la scienza fin dove si può arrivare e non porre dei limiti di "principio" all'analisi scientifica (ciò sarebbe ideologico); non è da escludersi che questi problemi in futuro possano essere trattati come "scientifici", auspicando un'evoluzione della stessa scienza verso una minor staticità e rigidezza.

Sarà possibile una conoscenza scientifica non riduzionista? Non mi sento proprio di escludere tale possibilità, come state facendo voi.

Comunque per quanto riguarda l'uomo della palude rimango delle stesse idee espresse nel mio precedente post; tu distingui tra tipo e contenuto (ed è una distinzione, a proposito degli stati intenzionali, che non ho capito). Una capacità appresa consiste in una abilità a manipolare "oggetti" futuri, i "contenuti". Ma l'uomo è caratterizzato dalle capacità, mica da questi "contenuti"? Le capacità si trasmettono sicuramente al clone... o no? Ed i contenuti che c'entrano?


Mi hai detto che la tua tesi non è emergentista; ma allora perchè gli uomini sono dotati della possibilità di "apprendere la mente" e gli animali no? Capisci che questo tipo di domande (proprie di una visione scientifica) sono legittime.


Ultima modifica di nexus6 : 23-12-2005 alle ore 11.35.07.
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Vecchio 23-12-2005, 11.53.13   #60
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1a. La mente è una capacità, dunque impariamo ad essere coscienti, ad essere tristi, a desiderare, a temere, ad innamorarci più o meno come si gioca a scacchi.
Dunque la coscienza sarebbe uno stato intenzionale e dunque passibile di apprendimento, accogliendo le tue tesi?
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