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15-06-2004, 00.16.11 | #44 |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
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Cara(o) Iris,
accogli con indulgenza il mio punto di vista, che tenta di sintetizzare in poche righe riflessioni che richiederebbero volumi. Vedi, non è soltanto dalla nostra presenza che il nostro esistere assume senso: in generale la possibilità di avere "senso", applicata all'Esserci, si fonda sulla possibilità di essere riconosciuti come "Altro da sè" da una consapevolezza che noi riconosciamo "Altra non alter ego". Con cui, cioè, possiamo stabilire una consonanza empatica che, insieme, ci rivela un alter ego con cui possiamo colludere in una "comprensione" ed un'alterità irriducibile. Ma questo non è ancor tutto: è quando la nostra "assenza" cessa di avere un senso, quando cioè essa termina di deludere un'attesa e di essere percepita, solo allora, che la vita finisce. Per questo qualcosa di noi può permanere al di là del nostro interagire con il mondo e, fino a quando... non ci è noto. Ricordo, anni fa, un'esperienza inattesa nel leggere una vecchia edizione del "Mondo(...)" di Schopenhauer, appartenuta al mio trisnonno, da me mai conosciuto. Ricordo l'impressione che mi suscitarono le note che egli aveva appuntato a piè di pagina, notazioni e riflessioni in cui mi riconoscevo straordinariamente. Avrei voluto interrogarlo su quegli appunti: avvertii la sua assenza, come un fatto concreto e problematico. Capisco che tutto ciò ci porta fuori del seminato che riguarda l'eutanasia. Ma deve indurre alla fondamentale riflessione che qualsiasi posizione intellettuale noi vogliamo assumere sul dare la morte, essa deve confrontarsi con una certa, qualche impossibilità di contenere in una definizione la smisurata e indefinita apertura di senso che l'esistenza può avere. Non dico che la vita umana vada riguardata necessariamente come un totem sacrale, ma che dovrebbe comunque essere considerata, sempre (parafrasando Spinoza) quadam sub specie spiritus... |
15-06-2004, 18.34.01 | #45 |
Ospite abituale
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risposta a leibnicht
Capisco ciò che intendi dire.
Io direi di dimenticare per un attimo il termine "eutanasia", che a parer mio ci discosta da quello che voleva essere il senso di questa discussione. L'eutanasia in fondo non è altro che una "scelta finale" che per essere presa deve essere preceduta da una serie di riflessioni, ed è proprio di queste riflessioni che io volevo parlare. Concordo pienamente con te quando dici che la vita, la nostra esistenza, non è basata solo sulla nostra presenza fisica. Come dici tu la domanda non è "quando la vita finisce di avere significato", ma piuttosto "quando la nostra assenza cessa di avere un senso"; proprio qui volevo arrivare... Dato che la nostra esistenza non dovrebbe essere basata esclusivamente sulla nostra presenza fisica, materiale, perché allora accanirci così tanto per mantenere attive le funzioni biologiche di un corpo? Ormai l'essenza di un individuo, nel caso che avevo riportato, si è trasformata e ciò che lo collega ancora alla vita terrena è rappresentata solo dalla presenza del suo corpo, l'"involucro", il contenitore (perché non è altro che questo). Il voler mantenere le funzioni vitali, quando ormai la vera essenza dell'essere non fa più parte di questa vita terrena, non è forse una dimostrazione di una mancata elaborazione del lutto da parte di chi resta? Ovvero il non voler accettare che "la Persona", in quanto presenza fisica, non c'è più? A mio parere l'ESSERE non cessa di esistere con la morte fisica, terrena e anche chi non la pensa come me, non crede che si tratti di una mancanza di rispetto nei confronti dell'individuo che ha scelto (dico "ha scelto" anche se non è esatto) di abbandonare questo mondo? Non è riduttivo paragonare il "senso dell'avere una vita" alla presenza materiale del corpo? Ultima modifica di iris_1 : 15-06-2004 alle ore 18.36.18. |
15-06-2004, 19.20.46 | #46 |
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Dal mio punto di vista: se si parla di Eutanasia non si parla esclusivamente di porre fine ad una vita, bensi di legalizzare l'esecuzione della morte. Cambia l'accento della questione. Ci si dovrebbe concentrare su questo punto. Quando e soprattuto se e' lecito intervenire sulla vita altrui per porne la fine? Non so s'e' stato gia detto, non ho letto ancora tutti i post. Comunque, per me vivere significa respirare ed avere un battito cardiaco. Quando uno non respira piu, arriva alla morte clinica perche l'organismo non viene piu fornito d'ossigeno. Li allora intervengono i macchinari ripristinando il battito cardiaco inviando impulsi elettrici al cuore. Sperando di ripristinare anche il meccanismo del respiro. Altrimenti viene fornito artificialmente coll'ossigeno. Ma e' solo la parte meccanica di noi, che funziona grazie ai macchinari. E comunque la morte clinica rimane incisiva sull'organismo. Piu che certo che rimaranno delle conseguenze. L'ultimo punto rimane il ritorno della coscienza. Ma e' veramente possibile stabilire quando un'altro e' cosciente di se stesso? Non so', qui le mie conoscenze sulle apparecchiature mediche finiscono. Magari qualcun'altro ne sa qualcosa. Ciao.
Ultima modifica di neman1 : 15-06-2004 alle ore 19.26.42. |
15-06-2004, 19.43.49 | #47 |
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risposta a neman1
Qui ti sbagli..... la morte clinica in medicina è intesa come morte cerebrale, anche perchè "grazie" alla medicina moderna è l'unica cosa che possiamo accertare, visto che siamo in grado di mantenere in vita corpi clinicamente morti.
E' il principio sul quale si basa la legge sui trapianti d'organo; nel momento del prelievo degli organi il cuore batte, il sangue circola e porta ossigeno ai tessuti, i polmoni funzionano perchè attaccati ad un respiratore artificiale, se così non fosse, non potremmo trapiantare un organo "morto". Ma il punto non è questo, e io continuo a dire che non sto parlando di eutanasia per come la intendete voi. Il termine eutanasia non è specifico, ne esistono vari tipi: attiva-passiva, volontaria-involontaria-non volontaria, paraeutanasia, ortoeutanasia, eutanasia larvata. Numerose definizioni che indicano casi completamente diversi tra loro. |
15-06-2004, 22.02.22 | #49 |
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X Iris_1
Scusa la mia non conoscenza in materia, ho un dubbio. Per il trapianto degli organi e tutte le operazioni chirurgiche: non e' che il paziente viene semplicemente anestetizzato "addormentando" la sua coscienza per non sentire il dolore? Viene chiamato morte clinica questo? Ciao...
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15-06-2004, 23.07.40 | #50 | |
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Re: risposta a leibnicht
Citazione:
Non avrei saputo dirlo così bene, concordo pienamente. Paragonare la vita alla presenza materiale di un corpo può voler dire anche la non accettazione della morte, quindi la non accettazione dei nostri limiti. E se può essere umanamente comprensibile per i familiari, lo è un po' meno dal punto di vista della scienza medica, che forse soffre un po' di senso di onnipotenza. ciao. |
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