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05-09-2010, 09.28.08 | #1 |
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Della probabilità
Della probabilità
Anche in seguito a molti riferimenti a questo argomento nel thread sul concetto di causa https://www.riflessioni.it/forum/filo...causalita.html, vorrei aprire una discussione sul significato della probabilità. La definizione che più mi piace è quella di Bruno de Finetti, “la probabilità di un evento è il prezzo che un individuo ritiene equo pagare per ricevere 1 se l'evento si verifica, 0 se l'evento non si verifica”. La definizione è soggettiva: ma, tranne i casi fortunati in cui si può ripetere a piacere un evento (il lancio di una moneta) nelle stesse condizioni, non potrebbe essere diversamente. La definizione di de Finetti ci fa subito pensare alle scommesse. Prima del Campionato del Mondo di Calcio del 2010, ad esempio, tutti i principali bookmaker davano a 5 la vittoria della Spagna, che poi li ha effettivamente vinti. Questo, in sostanza, significava che, giocando venti centesimi, in caso la Spagna avesse vinto si sarebbe ricavato 1; in altri termini, che la Spagna aveva il 20% di probabilità di vincere il mondiale. Non credo si potesse stimare meglio la probabilità della vittoria della Spagna. Definito che cosa intendo per probabilità, la tesi di questo thread è che, quando facciamo delle previsioni sul futuro, assegnamo sempre inconsciamente dei livelli di probabilità alle ipotesi che prendiamo in considerazione. Possiamo considerare la nostra conoscenza come l’insieme dei livelli di probabilità che assegnamo alle previsioni di eventi che facciamo. In base a questi possiamo calcolare l’utilità attesa di una azione: se vado a fare un bagno in mare aperto ho il 99,9999 % di probabilità di farmi una bella nuotata e lo 0,0001% di restarci e non tornare più. Tutto considerato, visto che ritengo superiore il valore del 99,9999% di una bella nuotata al valore dello 0,0001% della mia vita, decido di fare la nuotata. Le previsioni che facciamo sono sempre probabilistiche. Una probabilità molto elevata è sostanzialmente indistinguibile dalla certezza, il che ha un importante corollario: non serve cercare certezze. Questa visione, secondo me, è molto più semplice e coerente della abituale concezione per cui cerchiamo di “sapere” delle cose in modo “certo”. La attribuisca ad una sorta di nevrosi che ci spinge a cercare le certezze in ogni dove. |
05-09-2010, 09.30.26 | #2 | |||||
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La concezione della termodinamica abitualmente accettata, ed insegnata in licei ed università, abbraccia l’interpretazione di tipo probabilistico dovuta a Boltzmann. Alcune frasi dal sito dell’Università di Bergamo: http://www.unibg.it/dati/corsi/32000...modinamica.pdf Citazione:
Citazione:
La termodinamica non dice che un gas si distribuirà uniformemente in tutto lo spazio a disposizione, ma soltanto che la cosa è molto probabile. Quanto probabile? La probabilità che la cosa non si verifichi è dell’ordine di uno contro mille miliardi di miliardi di miliardi (o anche molto di più, a seconda dei casi). All’atto pratico una probabilità così elevata che la cosa si verifichi è indistinguibile dalla certezza, e secondo me questo ha un importante corollario: non serve cercare certezze. Questo spiega anche perché la sisal non sarebbe interessata: le quote sarebbero troppo basse. Citazione:
Se per prevedere qualcosa adotto la termodinamica, oltre alla infinitesima probabilità che non funzioni o la applichi male (bassissima ed ai fini pratici irrilevante - anche qua le quote sarebbero troppo basse per interessare la sisal) dovrei considerare anche il fatto che la termodinamica stessa è probabilistica (cioè dovrei considerare la probabilità, altrettantro irrilevante ai fini pratici, che ad esempio il gas dell’ambiente entri spontaneamente in una bombola comprimendosi) Questo invece non avviene con la meccanica, le cui previsioni sono categoriche. |
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05-09-2010, 19.46.52 | #4 | ||
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Coincide nei casi "fortunati" in cui si può ripetere un evento quanto si vuole nelle stesse condizioni. Come il lancio di una moneta. Ogni essere razionale punterebbe 50 su una delle due possibilità con la prospettiva di guadagnare 100. E se la lanciamo un gran numero di volte possiamo essere sicuri che la frequenza di "testa" tende al 50% Citazione:
Se i bookmaker dessero numeri a caso fallirebbero rapidamente |
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05-09-2010, 21.01.17 | #5 | |
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I bookmaker non danno numeri a caso (la mia era una forzatura) ma per prevedere un singolo evento si rifanno a delle condizioni che posso cambiare. E' come se volessi prevedere la caduta di una mela sapendo che è possibile che la gravitazione, in quel singolo evento, potrebbe non essere più una costante. |
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05-09-2010, 22.10.37 | #6 | |
Moderatore
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Citazione:
certo che le condizioni possono cambiare ma, se dobbiamo fare delle previsioni e quindi quantificare delle probabilità, nessuno è più bravo dei bookmaker, che tengono conto di tutto quello di cui si può tenere conto e che, se sbagliano, vanno in fallimento. Chiaro che non è una previsione affidabile come nel caso degli eventi ripetibili, ma è la migliore che si possa fare |
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06-09-2010, 02.14.31 | #7 |
Ospite abituale
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Che cosa significa "probabile"? Questo significa solo "che può essere provato", non che "deve" esserlo. La "probabilità" è sospesa nel tempo, perchè "poter essere provata" significa che è indeterminato sia il momento sia la ragione per cui verificarla.
Calcolare probabilità vuol dire "sospendere il tempo". Questo era vero fino al giorno in cui Bell mostrò al mondo che la probabilità e il caso non erano categorie affini. Quello che noi chiamiamo "caso" era più noto ai Greci di quanto non sia a noi, che in 50 anni, non abbiamo recepito quasi nulla (come società) di questa rivoluzione concettuale... Viviamo come se queste cose appartenessero all'Iperuranio delle Idee. Ora, il Fato greco aveva un'intelligenza sua propria, intrinseca, dovuta alle fluttuazioni che potevano imprimergli le volontà degli Dei. Al Fato, comunque, anche gli Dei soggiacevano. L'Uomo "sperava" in una razionalità intrinseca del Fato, della Natura che esso disciplinava e dirigeva. Perchè è tanto avulso a noi "moderni" questo principio: che "voler sapere" è meglio di "sperare"? |
07-09-2010, 00.24.58 | #8 | |
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Forse stiamo dicendo la stessa cosa:I bookmaker sfruttano delle "conoscenze" e queste a loro volta sono "dedotte" da eventi ripetibili. Tanto per fare un esempio: una squadra che ha undici campioni dichiarati (che guadagnano anche alcuni milioni di euro a stagione come stipendio a prescindere da gli incentivi) solitamente vince con una squadra che ha al suo attivo undici giocatori che guadagnano qualche migliaio di euro all'anno. Quindi l'esperienza passata unita alla ripetitività di un certo evento è una condizione necessaria per ricavare una previsione. Nel caso invece si voglia scommettere su un evento unico non è possibile ricavare alcuna probabilità. Possiamo discutere all'infinito se considerare il campionato del mondo di calcio un evento unico oppure no. Io l'avevo considerato tale anche se, alcune caratteristiche, si possono ricavare comunque e utilizzarle come base per una valutazione statistica (compresa la valutazione qualitativa dei singoli giocatori). Per esempio nessuno bookmaker avrebbe messo mai una buona probabilità di vittoria ad una squadra africana; siccome il Sud Africa era l'ospitante e gli ospitanti solitamente ricevono favori, dare una maggiore probabilità ad un evento mai successo diventa una condizione da tener presente. Anche la Spagna non l'aveva mai vinta una coppa del mondo; la sua vittoria è di fatto un evento unico, nonostante tutto la possibilità che la vincesse erano alte se però si consideravano quelle condizioni ritenute valide per una valutazione statistica. Il problema è che quando si è difronte ad un evento unico è impossibile prevedere quale condizione sarà valida e determinante. Non so però dove vuoi giungere con questo discorso...che se io stia seguendo un percorso mentale diverso dal tuo? |
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07-09-2010, 12.14.13 | #9 | ||
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In riferimento a quell'argomento, un intervento "interessante" è stato quello di nexus6 che riporto sotto: Citazione:
Ora una delle domande che mi suggerisce spontaneamente quell'intervento è (si riferisce alla frase di nexus6 sottolineata da me): cosa significa che è possibile, anche se è improbabile, che da una condizione di equilibrio un sistema evolva verso una di non equilibrio? Quando noi (io) penso alla probabilità, penso alla ripetitività di un evento. Ma se questo evento non è mai capitato come faccio a calcolare la probabilità che esso possa capitare? La risposta sarebbe (forse) da trovare nell'impossibilità di stabilire che esso non possa mai realizzarsi. Ma questo non significa che se è impossibile stabilire la sua impossibilità, la stessa diventi, con molta faciloneria, una probabilità in senso stretto del termine. L'evento unico sembra assomigliare più ad un miracolo che una probabilità. Solo quando esso si realizza per davvero diventa, anche qui, miracolisticamente, una probabilità. |
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07-09-2010, 15.50.00 | #10 |
Ospite abituale
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Riferimento: Della probabilità
Ma chi si affida al calcolo delle probabilità prima di prendere una decisione che magari darà una svolta alla sua vita? Come ci gettiamo nella vita (sembra dire Heidegger), così ci gettiamo nella nostra facoltà di pensare e di agire. Il difetto delle varie teorie della probabilità è che esse mirano a stabilire una “misura delle possibilità di occorrenza di un evento”, per lo più in rapporto ad alternative empiricamente o razionalmente assodate. La teoria di de Finetti effettivamente esce da questo orizzonte, rimandando piuttosto alla soggettività cioè all’aspettativa o al grado di fiducia di un individuo, che può sempre modificarsi magari in base non a motivazioni razionali (vedi il posto sempre crescente che le teorie della mente dedicano oggi alle emozioni). Mi pare che anche questa posizione non arrivi però al punto nevralgico del problema: forse può bastare a chi veste i panni dello scienziato, ma a un religioso? E a un filosofo? Non credo che un religioso abbia mai pensato, prima di affidarsi a Dio, a valutare le probabilità che egli abbia per non parlare delle probabilità che Dio esista, come una volta sembra abbia pensato Pascal; e un filosofo poi, che parte da un dubbio in grado di intaccare ogni certezza, perfino quella di essere un io pensante?
Mi sembra però che esistano teorie (Kolmogorov?) che pongono il problema della probabilità al di là di questo limite, e se questo può far pensare all’impresa del barone di Muenschausen, che si afferrava alla propria parrucca per portarsi in alto, resta però il fatto che nessuna teoria logica della probabilità è sufficiente a condizionare da una parte la fede religiosa e dall’altra l’audacia di un filosofo che, nonostante le tante smentite e delusioni procurate ai suoi colleghi lungo migliaia di anni di storia, si butta ancora impavidamente a cercare la verità: non bada a quante probabilità abbia di arrivare alla meta, se addirittura non è un filosofo decostruzionista, un partigiano del pensiero debole, o un nichilista duro e puro. E voi, credete come Einstein che Dio non gioca a dadi o sospettate che qualche volta si affidi anche lui a questo metodo che avrebbe il vantaggio di comportare una minore responsabilità per quanti difetti – fisici e morali – si potranno trovare nel suo creato? |