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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 14-04-2011, 23.18.44   #81
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da aristotele87
Io però la vedo in un altro modo: L'uomo agisce facendo (o credendo di fare) e seguendo (o credendo di seguire) quello di cui ha bisogno di fare e seguire. Quello che desidera fare e seguire per quanto mi riguarda è semplicemente efficace o inefficace.

Il “bisogno”, l'utilità o efficacia si assomigliano molto secondo me. Tutti questi termini indicano il motivo per cui prendiamo le decisioni, non come le prendiamo. Te lo vedi un computer che abbia “bisogno” di farsi due passi a piedi, o uno scimpanzé che ritenga utile non dormire sull'albero o che per un fiore... essere più efficace nascere in primavera?
Il motivo per cui prendiamo una decisione potrebbe essere il bisogno, l'utilità o l'efficacia (o qualcos'altro ancora) ma ciò che determina la decisione non credo possa essere sostenuta da alcuna di queste.

Citazione:
Originalmente inviato da aristotele87
Dunque spero converrai con me nel ritenere che a prescindere dai giudizi di valore (cosa è razionale e irrazionale?) bisogna comunque rispettare un minimo d principi logici nell'agire e nel decidere umano?

Non lo so. Una decisione di tipo umano può anche essere imitata da un meccanismo (un computer, un fiore o un animale) ma non ho ancora compreso quanto influisca, sui nostri comportamenti, la coscienza. La coscienza stessa è poi un meccanismo? E' qualcosa che possiamo ricostruire? Possiamo spiegare...? Forse si, ma attualmente no.
La forza che ha uno stato di coscienza rispetto ad un mero meccanismo è ignoto. Non sappiamo per esempio: è più facile che un uomo muoia in nome della libertà di opinione, o è più facile che lo stesso uomo ritenga inutile morire in nome della libertà?
Da una parte abbiamo un sentimento forte (lottare per la libertà), dall'altro un tipo di ragionamento che ci porta a considerare inutile questo sentimento se portasse come conseguenza la morte.
Considerare, per esempio, la lotta per la libertà più ragionevole che morire prigioniero è una possibilità logica... o è solo un sentimento irrazionale? Anche i ragionamenti (e i più logici) costruiscono dei sentimenti e questi hanno risvolti irrazionali ma sembrano aderire anche al razionale.
Le questioni non sono di poco conto. Ma non lo sono perchè sono sotto l'influsso della coscienza.
Del resto, il razionale non ci aiuta a trovare sempre delle soluzioni, anzi sono spesso i sentimenti ad imporre le "giuste" soluzioni. Quindi indicare un modo univoco con cui l'uomo agisce è per me impossibile...


Secondo me il primo principio da cui partire è la conoscenza autoreferenziale. Attualmente non c'è alcun principio noto che ammetta l'autoreferenzialità se no (come ho dibattuto lungamente) il principio di identità. [Il principio di non contraddizione per esempio, secondo me, è un derivato di tale principio... Se vuoi quest'ultimo è un principio di conseguenza (di deduzione), ma alla base di questa deduzione c'è l'identità.]
Ammettendo che questo principio sia vero, sarà possibile comprendere se esiste una differenza fra i tipi di coscienza? Se esiste una differenza di tipo, di sostanza, di specie ecc.?
Immaginando una bilancia, se io avessi la coscienza di un certo procedimento logico e dall'altro la coscienza di un sentimento, quale dei due avrebbe più possibilità di vincere (di avere più peso?).
Poi immaginiamo di eliminare nei due pesi (come per magia) la sola coscienza, quale dei due vincerebbe? Se la coscienza pesasse sempre uguale non ci sarebbero differenze (e mi sembra matematico). Ma è qui il punto, pesano uguale?
La coscienza a peso mi mancava...

potremmo un giorno andare dal salumiere e dire: mi dia un etto di coscienza. (sono auto ironico per mettere in evidenza come per me il "peso" della coscienza sia indispensabile per comprendere la differenza che passa tra noi e chi questa coscienza non la utilizza o non ce l'ha proprio).

Se pensiamo che la coscienza non abbia alcun peso per le nostre decisioni allora il discorso diventa, oserei dire, sterile. Aggiungendolo però, e non conoscendolo,invece, ci ritroviamo in una valle oscura.
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Vecchio 15-04-2011, 08.32.21   #82
albert
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Albert segue una logica condivisibile (cioè quanto meno comprensibile). Lui si è chiesto (qualche tempo fa con l'argomento "Una base per l'etica") in cosa si basano le nostre decisioni (anche quelle etiche)? La risposta è stata (sinteticamente): si basano su l'utilità che queste scelte comportano.
In questo argomento (sempre sinteticamente) lui si chiede: come avvengono queste decisioni? La risposta: con un certo calcolo probabilistico.

Qualcuno prima di lui si era domandato: le nostre azioni altruistiche in che modo possiamo distinguerle da quelle egoistiche? La risposta che si è data: anche quelle altruistiche sono una conseguenza dell'egoismo. Quindi non esistono scelte che non si basino su un modello "egoistico".

Un comportamento etico è normalmente vantaggioso, quindi riconducibile all'interesse personale (che non definirei egoismo). L'altruismo è una sublimazione di un comportamento etico, tenuto anche quando non è vantaggioso a breve termine

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Io ho sempre sostenuto che il ruolo della coscienza sia fondamentale, ma ci sfugge ancora in che modo entrerebbe in un possibile calcolo probabilistico.
Non so faccio il caso di un'amore profondo. Tutto il castello razionale sembra sprofondare davanti a questo atto di pura coscienza. Fa conto che un cane ama il suo padrone (forse senza esserne consapevole) e lo seguirà per tutta la vita. Un uomo oggi ama e domani se ne è dimenticato
La consapevolezza dell'amore profondo non sembra essere legato ad un fattore di calcolo o di rischio. Non è una questione di un "a priori" (tanto per legare vari argomenti) che nasce e non se ne va. E' una questione di consapevolezza dell'amore stesso.

Per esempio i giocatori (d'azzardo) non giocano perché sperano di vincere, ma perchè gli piace giocare.

La ricerca del piacere può entrare nel calcolo dell'utilità. Ai giocatori d'azzardo piace giocare, non è (solo) che sbagliano il calcolo, ma che includono nel calcolo anche il piacere del gioco. Pago tot, ricavo in cambio una utilità attesa di vincita più bassa di quanto ho pagato ma anche il piacere della giocata. Personalmente, se il gioco d'azzardo diventa un'abitudine, penso sia un piacere ben stupido!

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Vecchio 15-04-2011, 15.47.23   #83
aristotele87
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Il “bisogno”, l'utilità o efficacia si assomigliano molto secondo me. Tutti questi termini indicano il motivo per cui prendiamo le decisioni, non come le prendiamo. Te lo vedi un computer che abbia “bisogno” di farsi due passi a piedi, o uno scimpanzé che ritenga utile non dormire sull'albero o che per un fiore... essere più efficace nascere in primavera?
Il motivo per cui prendiamo una decisione potrebbe essere il bisogno, l'utilità o l'efficacia (o qualcos'altro ancora) ma ciò che determina la decisione non credo possa essere sostenuta da alcuna di queste.
Cosa determina la decisione non lo scopriremo mai, perchè la decisione è un qualcosa che (forse) conosce unicamente il soggetto decisore e rientra nella sfera individuale della ricerca qualitativa (sensoriale). Quello che però possiamo sapere è perchè si decide e quando questa decisione è congrua con l'aspetto della ricerca quantitativa (razionale).

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Non lo so. Una decisione di tipo umano può anche essere imitata da un meccanismo (un computer, un fiore o un animale) ma non ho ancora compreso quanto influisca, sui nostri comportamenti, la coscienza. La coscienza stessa è poi un meccanismo? E' qualcosa che possiamo ricostruire? Possiamo spiegare...? Forse si, ma attualmente no.
La forza che ha uno stato di coscienza rispetto ad un mero meccanismo è ignoto. Non sappiamo per esempio: è più facile che un uomo muoia in nome della libertà di opinione, o è più facile che lo stesso uomo ritenga inutile morire in nome della libertà?
Da una parte abbiamo un sentimento forte (lottare per la libertà), dall'altro un tipo di ragionamento che ci porta a considerare inutile questo sentimento se portasse come conseguenza la morte.
Considerare, per esempio, la lotta per la libertà più ragionevole che morire prigioniero è una possibilità logica... o è solo un sentimento irrazionale? Anche i ragionamenti (e i più logici) costruiscono dei sentimenti e questi hanno risvolti irrazionali ma sembrano aderire anche al razionale.
Le questioni non sono di poco conto. Ma non lo sono perchè sono sotto l'influsso della coscienza.
Del resto, il razionale non ci aiuta a trovare sempre delle soluzioni, anzi sono spesso i sentimenti ad imporre le "giuste" soluzioni. Quindi indicare un modo univoco con cui l'uomo agisce è per me impossibile...


Secondo me il primo principio da cui partire è la conoscenza autoreferenziale. Attualmente non c'è alcun principio noto che ammetta l'autoreferenzialità se no (come ho dibattuto lungamente) il principio di identità. [Il principio di non contraddizione per esempio, secondo me, è un derivato di tale principio... Se vuoi quest'ultimo è un principio di conseguenza (di deduzione), ma alla base di questa deduzione c'è l'identità.]
Ammettendo che questo principio sia vero, sarà possibile comprendere se esiste una differenza fra i tipi di coscienza? Se esiste una differenza di tipo, di sostanza, di specie ecc.?
Immaginando una bilancia, se io avessi la coscienza di un certo procedimento logico e dall'altro la coscienza di un sentimento, quale dei due avrebbe più possibilità di vincere (di avere più peso?).
Poi immaginiamo di eliminare nei due pesi (come per magia) la sola coscienza, quale dei due vincerebbe? Se la coscienza pesasse sempre uguale non ci sarebbero differenze (e mi sembra matematico). Ma è qui il punto, pesano uguale?
La coscienza a peso mi mancava...

potremmo un giorno andare dal salumiere e dire: mi dia un etto di coscienza. (sono auto ironico per mettere in evidenza come per me il "peso" della coscienza sia indispensabile per comprendere la differenza che passa tra noi e chi questa coscienza non la utilizza o non ce l'ha proprio).

Se pensiamo che la coscienza non abbia alcun peso per le nostre decisioni allora il discorso diventa, oserei dire, sterile. Aggiungendolo però, e non conoscendolo,invece, ci ritroviamo in una valle oscura.
Cartesio diceva: cogito ergo sum. Io oggi mi chiedo: cogito ergo sum o sum ergo cogito?
Me lo chiedo perchè la moderna "gaia scienza", quel moderno interscambio che passa dalla scienza alla filosofia e dalla filosofia alla scienza, conferma sempre di più la visione atomista e l'inconsistenza della realtà macroscopica. A questo punto però non si capisce più cosa genere il nostro mondo e la nostra realtà. L'autoscienza di sè, l'essere stesso? Ma allora cosa bisogna fare?

Chiudersi nel nichilismo gnoseologico ed etico "nietzscheiano" rifiutando ogni sorta di positivismo e razionalismo e chiudendosi nell'oscurantismo?

Io ci sto, a patto che qualcuno allora mi spieghi cosa ci faccio quì ed ora, Hic et nunc.
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Vecchio 16-04-2011, 09.41.26   #84
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da aristotele87
Cosa determina la decisione non lo scopriremo mai, perchè la decisione è un qualcosa che (forse) conosce unicamente il soggetto decisore e rientra nella sfera individuale della ricerca qualitativa (sensoriale). Quello che però possiamo sapere è perchè si decide e quando questa decisione è congrua con l'aspetto della ricerca quantitativa (razionale).

Ed è appunto la tesi di Albert (su per giù): non possiamo conoscere il comportamento di un singolo individuo in quanto esso sarà il risultato di un calcolo della probabilità, possiamo però presumere che la decisione sarà il frutto di un calcolo probabilistico. Cioè noi potremmo mettere dei numeretti (dei valori) ad ogni aspetto dell'inconscio di un uomo ( per esempio: piacere, amore ecc.) ed attenderci che la mente di costoro assuma uno di questi atteggiamenti. Il più probabile sarà quello che ha il valore massimo.

A questo punto la domanda è per Albert (io ne ho già fatte tante dello stesso tenore in altri argomenti): è vero che noi non possiamo conoscere qual è il valore massimo di un comportamento di un uomo (quello che prevarrà), ma a prevalere sarà il valore massimo, oppure potrà prevalere anche un valore più basso? Cioè se noi scoprissimo (aspetto interessante e scientifico) il comportamento che ha più probabilità di prevalere questo prevarrà oppure si considera impossibile conoscere in anticipo il comportamento di un uomo?

Un po' come per la m.q.; in quel caso si considera il comportamento collettivo delle particelle. Non possiamo avere idea di come si comporterà una particella, ma è prevedibile (non certo, ma prevedibile) come si comporterà un numero grande di particelle. Nel caso del comportamento umano, esso dovrebbe essere già legato ad un numero grande di particelle (molecole ecc). Quindi una volta stabilito quale sia il valore più grande, non dovrebbe essere impossibile prevederlo in anticipo (come invece è impossibile, in m.q., per il singolo stato di una particella).

In base a questo discorso non sarebbe vero che il comportamento umano è "probabilistico", anzi sarebbe ben determinato. Viceversa se considerassimo un comportamento umano "dipendente" da una singola particella allora il comportamento diventerebbe caotico,; ma a quel punto il discorso fatto da Albert su calcoli della probabilità su singoli comportamenti (che sarebbero comandati da un gran numero di particelle) non sarebbe fondato.

Mi spiego con il solito esempio banale:
Noi possiamo prevedere il movimento dei pianeti attorno al Sole perchè essi sono già belli grossi; non succederà nulla a questo movimento se cadrà una particella su questi ammassi di terra. Uscendo dall'esempio, se un comportamento è legato ad un gran numero di particelle (come se fosse un pianeta) non succederà nulla se prevediamo che questo comportamento sarà colpito da un singolo neurone (ad esempio). Quindi se ogni comportamento lo pensiamo come un pianeta, potremmo prevedere quale vincerà. L'IO (e la coscienza) a questo punto non hanno alcun potere, e tutto sarà "determinato" dalla consistenza fisica di un comportamento. Se invece pensiamo al cervello come un microchip in cui confluiscono i dati relativi ai vari comportamenti possibili, il calcolo, a maggior ragione, non potrà essere probabilistico. Se invece crediamo che una singola particella o un singolo neurone possa far pendere un comportamento, con un basso valore, su un uno con un alto valore allora non è possibile prevedere alcunché e nemmeno fare leva su un calcolo probabilistico.

La stessa questione si può vederla in altri modi. Solita urna... l'urna è il nostro cervello. Noi prevediamo che possa uscire il numero 1 più volte del numero due se le biglie con il numero 1 sono in numero maggiore. Il comportamento umano quindi dipende dal numero maggiore di biglie di un certo tipo. Se il comportamento umano dipendesse dal numero di neuroni in gioco per ogni comportamento, la questione sarebbe risolta. Immaginando un foro da dove escono le biglie, quelle più numerose (di un certo tipo) avranno maggiore possibilità di uscire. Questo però se immaginiamo la singola biglia "determinante" per il comportamento e immaginando un foro da cui escono le biglie.

Mi piacerebbe sapere come se l'immagina Albert questo calcolo. Come dovrebbe avvenire? Io ho molta immaginazione ma lui è più pratico. Come se lo immagina un "comportamento" umano? Come una la somma di un numero di neuroni, oppure immagina il comportamento umano come il comportamento un singolo neurone che magari, pur essendo in minoranza, alla fine ha la meglio solo perchè si è trovato davanti all'uscita (all'uscio) della mente?
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Vecchio 18-04-2011, 09.11.17   #85
albert
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Ed è appunto la tesi di Albert (su per giù): non possiamo conoscere il comportamento di un singolo individuo in quanto esso sarà il risultato di un calcolo della probabilità, possiamo però presumere che la decisione sarà il frutto di un calcolo probabilistico. Cioè noi potremmo mettere dei numeretti (dei valori) ad ogni aspetto dell'inconscio di un uomo ( per esempio: piacere, amore ecc.) ed attenderci che la mente di costoro assuma uno di questi atteggiamenti. Il più probabile sarà quello che ha il valore massimo.

OK. Diciamo che i processi mentali di un individuo tengono conto della probabilità dei vari eventi, come di molti altri aspetti.

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A questo punto la domanda è per Albert (io ne ho già fatte tante dello stesso tenore in altri argomenti): è vero che noi non possiamo conoscere qual è il valore massimo di un comportamento di un uomo (quello che prevarrà), ma a prevalere sarà il valore massimo, oppure potrà prevalere anche un valore più basso?

Cioè se noi scoprissimo (aspetto interessante e scientifico) il comportamento che ha più probabilità di prevalere questo prevarrà oppure si considera impossibile conoscere in anticipo il comportamento di un uomo?

Non puoi dire che “è sicuro che la cosa che ha più probabilità di prevalere prevarrà”, è contradditorio! Non possiamo conoscere il comportamento futuro, possiamo (a nostra volta) solo fare delle previsioni.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Un po' come per la m.q.; in quel caso si considera il comportamento collettivo delle particelle. Non possiamo avere idea di come si comporterà una particella, ma è prevedibile (non certo, ma prevedibile) come si comporterà un numero grande di particelle. Nel caso del comportamento umano, esso dovrebbe essere già legato ad un numero grande di particelle (molecole ecc). Quindi una volta stabilito quale sia il valore più grande, non dovrebbe essere impossibile prevederlo in anticipo (come invece è impossibile, in m.q., per il singolo stato di una particella).

Anche il comportamento della singola particella è “prevedibile”, sia pure in maniera minore. Al limite puoi dire che l’elettrone ha il 50% di probabilità di passare da una fenditura, il 50% di passare dall’altra, ma è sempre una previsione. Al crescere delle dimensioni degli oggetti le probabilità diventano più definite, ma sempre probabilità sono.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Mi piacerebbe sapere come se l'immagina Albert questo calcolo. Come dovrebbe avvenire? Io ho molta immaginazione ma lui è più pratico. Come se lo immagina un "comportamento" umano? Come una la somma di un numero di neuroni, oppure immagina il comportamento umano come il comportamento un singolo neurone che magari, pur essendo in minoranza, alla fine ha la meglio solo perchè si è trovato davanti all'uscita (all'uscio) della mente?

Intanto non lo chiamerei “calcolo”, sono i nostri processi mentali. E’ vero che c’è la teoria computazionale della mente, ma chiamare calcolo i nostri processi mentali non mi piace.
Per il resto, chi lo sa? Si può adottare la visione “a neuroni”, ma non se ne viene fuori. Oppure si attribuiscono diverse importanze a diversi aspetti, puoi pensare ad esempio che un giocatore abituale soccomberà al piacere del gioco perché questa componente è più forte di quella che gli fa considerare l’utilità attesa delle giocate.

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Vecchio 18-04-2011, 11.44.23   #86
aristotele87
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Ed è appunto la tesi di Albert (su per giù): non possiamo conoscere il comportamento di un singolo individuo in quanto esso sarà il risultato di un calcolo della probabilità, possiamo però presumere che la decisione sarà il frutto di un calcolo probabilistico. Cioè noi potremmo mettere dei numeretti (dei valori) ad ogni aspetto dell'inconscio di un uomo ( per esempio: piacere, amore ecc.) ed attenderci che la mente di costoro assuma uno di questi atteggiamenti. Il più probabile sarà quello che ha il valore massimo.
Sì, è un ipotesi molto plausibile. Razionalmente possiamo sapere che l'individuo ha a disposizione un numero finito di scelte in un tempo finito, possiamo sapere che queste scelte sono più o meno attendibili e più o meno possibili, ma di più non possiamo per questa sorta di limite invalicabile che si chiama (come abbiamo già ampiamente discusso) esperienza soggettiva

Quindi l'uomo vive e decide in una condizione di continua incertezza.
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Vecchio 18-04-2011, 16.30.00   #87
Giorgiosan
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Provo a dire la mia che non c'entra molto con quello che state dibattendo.

Quella che chiamiamo probabilità è in sostanza una previsione dovuta alla nostra ignoranza. Se conoscessimo la totalità degli elementi coinvolti in un dato fenomeno nel momento t in cui "azzardiamo" l'ipotesi di quale sarà la realtà nel momento t1 del fenomeno che consideriamo, non avremmo bisogno di introdurre il concetto di probabilità che è un concetto inconsistente dal punto di vista filosofico e fisico ma sapremmo quale sarà la realtà nel momento t1....se conoscessimo anche tutte le leggi che intervengono a modificare la realtà nel momento t

La probabilità come concetto è un'esigenza della nostra ignoranza ... tanto più sappiamo tanto meno abbiamo bisogno della probabilità.

Senza nulla togliere all'utilità pratica della probabilità.
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Vecchio 18-04-2011, 18.37.50   #88
ulysse
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PENSIERO LIBERO

Sono a Roma, è quasi l’imbrunire: dal balcone guardo in cielo.

“Uno stormo di storni, forse centinaia o migliaia, compie evoluzioni nello spazio di cielo davanti a me.
Gli storni volano di conserva, formano come una nube che sale e scende nel cielo mutando forma e dimensione: si allunga veloce, si distorce, si snoda, si rivolta improvvisa, striscia quasi sui tetti e sugli alberi, si slancia verso l’alto nell’azzurro e ridiscende veloce formando come una palla…un siluro, una freccia che si disperde prima dell’impatto in gruppi a diverse direzioni e si forma di nuovo lo stormo in alto stravolgendo le forme e volando lontano. Magari alcuni stormi divergono, forse un gruppetto..e una altro ancora cambiano direzione in evoluzione per conto proprio, ma presto tutti ritornano, si riuniscono al corpo centrale che, in continua deformazione si plasma e riplasma e resta pur sempre unito…a contatto d’ala.
Tutti sanno dove andare insieme vicinissimi sempre, quasi toccandosi… sanno insieme quale direzione prendere, quale è il momento di virare, cablare, tornare e slanciarsi verso l’alto per poi ridiscendere in picchiata fin quasi a toccare il suolo e disperdersi definitivamente.”


Nella metafora lo stormo è il pensiero…magari un singolo pensiero in libera evoluzione. Ogni storno è un neurone, è geneticamente orientato a volare in stormi …magari ha coscienza di sé, ma non conosce i piani ed i fini dello stormo, che forse nemmeno esistono all’origine, ma interagendo con gli altri contribuisce a dare forme e alternative, espressione e scopo, allo stormo, al pensiero in corso...all’intuizione o al calcolo …finchè si disperde e passa ad altro…immagino.

Gli interrogativi possono essere i seguenti:
1)- Perché si forma lo stormo? E, in analogia, perché e da cosa si origina il pensiero?
2)- Quale stimolo lo provoca? Chi decide quando?
3)- Cosa spinge i singoli storni a partecipare?
4)- Forse la pulsione genetica al cooperare? il piacere innato del volare insieme?
5)- Interagiscono in modo così preciso, casualmente, deterministicamente, o il mantenere la posizione è solo un risultato probabilistico?
6)- Magari una forza, o un’onda psichica, li tiene uniti e li fa andare di conserva perseguendo la soluzione e la forma complessiva come fosse un codice o una sequenza continua di codici che si somma e moltiplia...o divide?
7)- Forse il formarsi e deformarsi plastico dello stormo, rappresentazione dell’insito pensiero, è casuale? Oppure segue uno schema, un progetto o processo predisposto già percorso? o determinato dall’azione consapevole dei singoli storni… partecipanti o meno al calcolo?

Alla fine confondo lo stormo col "pensiero" nel cui formarsi ed evolvere sembra che la probabilità c’entri poco: piuttosto una pulsione genetica al volare insieme…derivata da atavica strategia per sfuggire i predatori, ma quale abilità mantiene ed evolve l’insieme… risultanza di interazione di molti?

Analogo è il segreto della vita: per quanto, a livelli di complessità non camparabili, gli storni danno una forma globale dello stormo da ciascuno di essi indipendente.
I neuroni, in analogia, nell’insieme elettrochimico interagente, danno origine al pensiero globalmente definito, ma pur sempre da ciascuno di essi indipendente nel significato...a prescindere da ataviche pulsioni.

La risultanza potrebbe anche dar luogo al comportamento probabilistico di un individuo se conosciamo l'individuo e abbiamo rilevato che, in circostanze anloghe, così si comporta...come lo stromo che scende in picchiata ed in prossimità dell'ostacolo si divide, si frantuma...per riunirsi poi: chi osserva già lo intuisce prima...probabilisticamente!

Certo non ho spiegato scientificamente la "maledetta cosa", ma forse su linea analoga potrebbe procedere, o procede, la ricerca neurologica relativa alla formazione del "pensiero": il "pensiero" non è un singolo evento fisico, ma un processo o un flusso di singoli incolpevoli eventi o stati fisici...come lo sono i singoli storni o neuroni.
ulysse is offline  
Vecchio 18-04-2011, 20.06.50   #89
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da albert


Anche il comportamento della singola particella è “prevedibile”, sia pure in maniera minore. Al limite puoi dire che l’elettrone ha il 50% di probabilità di passare da una fenditura, il 50% di passare dall’altra, ma è sempre una previsione. Al crescere delle dimensioni degli oggetti le probabilità diventano più definite, ma sempre probabilità sono.

Il mio paragone con la m.q. voleva dimostrare (o meglio... mostrare) come la nostra certezza non dipende dall'atto finale (cosa troverò) ma dalla nostra conoscenza di cosa posso trovare. Cioè io so, ad esempio, che lo spin su di un asse verrà trovato con spin "giù" o con spin "su". Per questo motivo riesco a dare una percentuale del 50% all'uno e 50% all'altro (non so se è chiaro). Il fatto che è probabile al 50% che trovi il risultato "spin su", significa che ho tenuto in considerazione il fatto (certo) che:
1) esistono solo due possibilità
2) che queste possibilità si spartiscono equamente la percentuale totale

Ritorniamo al comportamento umano e cerchiamo di capire in cosa consista questa probabilità. Se tu dici che un comportamento probabile sarà quello più utile significa che, inconsciamente, ci sono dei numeretti su ogni comportamento e quello più utile sarà scelto dal "programma". In questo caso non si può parlare di probabilità... ma di certezza. Cioè il programma sa già in anticipo quale ha il valore più alto e lo sceglie. Perchè dovrebbe scegliere il valore più basso secondo te? Solo perchè noi crediamo che quello che ha il valore più basso ha comunque una possibilità di vincere la gara?

Se parliamo della mente come qualcosa da studiare potremmo individuare i comportamenti possibili di quella mente, e quindi potremmo dire che quelli più utili (molto generico, ma va bene) hanno un numeretto più alto degli altri; tuttavia non possiamo considerare sicuro che quel comportamento uscirà. Il programma (lo sto chiamando così per indicare un ente che poi sceglie per davvero) invece già sa quale è più utile in quanto è proprio questo che fa, scegliere il comportamento più utile (quello che ha il numeretto più alto). Quindi quello che per te è incerto, per il programma è certo. Altrimenti che senso avrebbe dire che il comportamento più utile ha più possibilità di essere osservato se poi il programma sceglie a caso uno dei comportamenti possibili?
Il fatto è che i numeretti (le percentuali, per intenderci), perchè tu possa dire che esistano con quel criterio (di utilità) dovresti saperli mettere come se tu fossi il programma di quella mente, altrimenti ciò che osserverai sarà incomprensibile. Quello che per te è "utile", infatti, potrebbe non esserlo per quella mente... e quindi sarà impossibile dimostrare che le menti utilizzano quel criterio.

Per ritornare alla similitudine con la m.q. è come se tu credessi che sia utile, per l'elettrone, mostrarsi con lo spin su mentre l'elettrone ha scelto di mostrarsi in quel modo per caso. La mente potrebbe cioè mostrarsi in un modo bizzarro non perchè è utile a qualcuno o a qualcosa, ma per un motivo che non conosci che è (come dice aristotele87) assolutamente privato e che si trova all'interno della sfera soggettiva.

Non so se mi so' spiegato, spero di si.
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Vecchio 18-04-2011, 23.42.30   #90
aristotele87
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Originalmente inviato da Giorgiosan
Provo a dire la mia che non c'entra molto con quello che state dibattendo.

Quella che chiamiamo probabilità è in sostanza una previsione dovuta alla nostra ignoranza. Se conoscessimo la totalità degli elementi coinvolti in un dato fenomeno nel momento t in cui "azzardiamo" l'ipotesi di quale sarà la realtà nel momento t1 del fenomeno che consideriamo, non avremmo bisogno di introdurre il concetto di probabilità che è un concetto inconsistente dal punto di vista filosofico e fisico ma sapremmo quale sarà la realtà nel momento t1....se conoscessimo anche tutte le leggi che intervengono a modificare la realtà nel momento t

La probabilità come concetto è un'esigenza della nostra ignoranza ... tanto più sappiamo tanto meno abbiamo bisogno della probabilità.

Senza nulla togliere all'utilità pratica della probabilità.
In realtà non è così scontato. Pare che le recenti scoperte della mq avvalorino la tesi di una natura intrinsecamente stocastica. ovvero intrinsecamente imprevedibile nello sviluppo futuro degli eventi. Personalmente in questo senso sono ultra determinista alla parmenide: l'essere è e non possibile che non sia, il non essere non è e non è possibile che sia. Però ripeto, non è affatto scontato ed è anzi un argomento molto affascinante...
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