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15-03-2009, 15.32.36 | #72 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
Questo lo ritengo un discorso fondamentale: prendiamo un bastoncino | ora ne prendiamo due || ora le pieghiamo entrambi \\ ora pieghiamo solo uno |\ nella prima coppia e nella seconda coppia invertiamo il bastoncino piegato \| Ciò che noto è che Il primo bastoncino è informazione semplice, essa diventa sempre piu complessa man mano che aumentiamo il numero dei bastoncini e la loro disposizione. Cosa ci fa pensare che la coscienza veicoli l'informazione? Pensiamo che l'aumentare della complessità induca ad un "processo" che vede la coscienza come protagonista. Mentre io dico che il primo bastoncino è gia coscienza. L'unica cosa da chiarire (e potremmo farlo solo in termini di ipotesi) è se la coscienza di fatto ha bisogno che esista un bastoncino per esistere oppure ne può fare a meno. Oppure se il bastoncino ha bisogno della coscienza per esistere? Ciò che voglio dire è che se la coscienza ha bisogno di veicolare l'informazione per esistere dobbiamo ammettere che l'informazione c'era già. Ammettendo questo la domanda sorge spontanea: Come fa la coscienza ad occorgersi che il bastoncino esiste? I prerequisiti per riconoscere l'informazione è l'informazione stessa. Se tu non avessi mai visto un quadrato, quando io te lo faccio vedere la prima volta tu non sai come si chiama ma lo vedi e lo riconosci, non hai bisogno di altro per riconoscere l'informazione e per essere cosciente che esista. Se io ti facessi vedere un triangolo e ti dicessi che è un quadrato tu registreresti questa informazione e basta, ma tale ulteriore informazione che sto veicolando non è sostanziale, la sostanza è che un triangolo è un triangolo e un quadrato è un quadrato poi posso chiamarli come voglio o invertire i nomi ma la coscienza non veicola l'informazione la riconosce. Forse non comprendo cosa tu voglia dire con "veicolare", ma io intendo proprio quella di "informare" di qualcosa. Il problema è che secondo me la coscienza non si informa di nulla, prende solo coscienza del fatto in sè. Se non ci fosse questa consapevolezza non potremmo veicolare alcuna informazione aggiuntiva e complessa. L'intelligenza poi farà la sua parte stabilendo meccanismi sempre piu complessi (tramite anche la memoria) e con la coscienza di fianco (come il re e la regina) produrrà tutto ciò che abbiamo inventato e costruito. Al massimo quindi è il cervello che con i suoi meccanismi complessi veicola l'informazione, mentre la coscienza le riconosce e le separa nel tempo. Anche il sapere che c'è una scienza che sfrutta un metodo per articolare una conoscenza, è dovuta alla coscienza che sa e riconosce il metodo e lo separa nel tempo da ciò che la scienza non conosce. Quindi prima riconosco (me stesso e il mondo) poi lo analizzo con l'intelligenza e con metodo (come quello scientifico). Chi riconosce però è la coscienza e non la scienza (che "in se" non vuol dire nulla senza coscienza)... la scienza sfrutta il metodo riconosciuto dalla coscienza, tuttavia è sempre la coscienza che ha l'ultima parola, e un giorno forse riconoscerà un metodo migliore o/e evidenzierà (come è stato già fatto) i suoi limiti. ciao |
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15-03-2009, 17.17.56 | #73 |
Ospite abituale
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Nulla e qualche cosa.
Caro Dubbio,
annotando un mio commento: "Ma è possibile congetturare che nel nulla, nel nulla perfettamente nullo, tutto prima o poi si dissolva e cessi ?: la scienza della natura per ciò pare negarlo, perché afferma che tutto ciò, che perisce, sempre muta forma, ma non si dissolve mai né cessa pienamente.", interpreti: "Anakreon qui parla di morte, ma muore l'essere vivente! almeno così intendiamo la morte." No, affatto no: non alludo alla morte delle cose viventi, ma bensì alla dissoluzione di qualsivoglia corpo o potenza, di cui si possa dire che sia, nel nulla perfettamente nulla. Asserisci: "Tutto è sempre esistito e sempre ha subito un cambiamento nel tempo. Il big bang altro non è che un punto in cui c'è stato un cambiamento sostanziale di qualcosa che è mutato o stava mutando nel tempo, proveniente dall'infinito; è ovvio che, in questo caso, si esclude una creazione dal nulla.". Se neghiamo che in principio sia stato il nulla, necessariamente, mi pare, dobbiamo concedere che qualche cosa sia sempre, pur nelle molteplici forme dell'essere suo. D'altronde, se in principio fosse stato il nulla perfettamente nullo, chi o che cosa avrebbe potuto trasformarlo in qualche cosa ?. Per altro, se di contro congetturiamo che qualche cosa sia sempre stato e sempre sarà, pur mutando costantemente; dobbiamo poi domandarci donde venga a ciò, che è sempre, il principio di mutarsi incessantemente: forse tutto si muove come in un circolo, ove non è né principio né fine perché ogni punto è insieme principio e fine ?. Tuttavia, congetturare che qualche cosa sia sempre, mi pare congettura più aderente alla nostra esperienza mortale, che congetturare che sia mai stato un nulla perfettamente nullo, onde le cose siano nate e nel quale ricadranno ineluttabilmente, se, al meno, non congetturiamo in una anche un dio creatore, il quale sia stato principio e sia fine del tutto: ma in tal modo non supporremmo un nulla perfettamente nullo, perché concederemmo che fosse un dio. Anakreon. |
15-03-2009, 22.42.12 | #74 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Nulla e qualche cosa.
Citazione:
va bene ora è chiaro cosa intendevi Citazione:
Questo è un discorso da approfondire: ad oggi il principio secondo cui l'entropia dell'universo conosciuto aumenta e non diminuisce mai è sintomo di morte anche se non diverrà precisamente assenza (o nulla), sarà comunque mancanza di mutamento e quindi mancheranno fatti nuovi e creativi (ovvero nuova informazione). In questa situazione così degenerativa sembra ripetersi anche per l'universo l'iter degli esseri viventi, nascita, vita e morte, inizio, durata (temporale) e morte (non necessariamente nulla come tu l'intendi). Per questo va trovata la causa che ha mosso per primo ciò che in precedenza era fermo (se esisteva senza cambiamenti), o che ha creato dal nulla ciò che prima non esisteva. In pratica proprio per la legge dell'entropia, che vale almeno per questo universo, tutto si dissolve, quindi non è possibile congetturare un "continuo cambiamento". Sembra proprio necessaria quindi la creazione? O una causa che provochi il movimento? Per ora sembra di si... |
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16-03-2009, 09.02.36 | #75 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
L’autocoscienza è – come scrive Loris Bagnara – “manifestazione dell’essere e prova della sua esistenza”. Condivido questo enunciato, ma solo se l’aggettivo possessivo ‘sua’ è riferito all’essere. Questa condivisione, con la precisazione che precede, mi porta a considerazioni diverse da quelle di Bagnara. E’ manifestazione dell’essere solo in relazione al soggetto auto-cosciente. L’autocoscienza parla solo di sé e sempre a se stessa; ovvero l’individuo parla a sé e sempre solo di se stesso per mezzo dell’auto-coscienza, all’interno di un circuito auto-referenziale, come già opportunamente annotato da altri intervenuti alla discussione. Esprime quindi la prova della manifestazione dell’esistenza dell’essere particolare esclusivamente all’essere particolare, nulla dicendo di sé ad alcun altro essere terzo. Essendo totalmente racchiusa nelle spire dell’autoreferenzialità, ove è interamente esplicata la sua funzione manifestante, non può, dunque, essere manifestazione esteriore, e non si può neppure dire che colloqui con l’esterno o da qui raccolga la prova dell’essere immutabile. Relazionandosi esclusivamente con l’essere particolare auto-cosciente, è solo auto-prova e auto-manifestazione dell’essere transeunte. Essendo anche espressione ed emersione, al tempo stesso, di una dimensione diveniente, in questa sfera racchiusa, è corretto affermare che, in quanto l’essere particolare, al quale manifesta l’esistenza, interamente la contiene, sia presumibilmente destinata a dissolversi allorquando la manifestazione dell’essere particolare venga a dissolversi come entità esistente, seguendone il destino, per rientrare, presumibilmente, nel nulla da cui in un tempo dato è sortita fuori. Ed è così che si sia coscienti del divenire, perché la coscienza (altra e più ampia forma dell’auto-coscienza) si pone in relazione con il mondo esterno; mentre non è data all’auto-coscienza (autoreferenziale) la percezione del mutamento dell’io, il quale, a prescindere dai contenuti mentali, è stabile, fatte salve patologie o traumi, proprio perché la relazione che s’innesca è di tipo monistico. L’auto-coscienza, venendosi presumibilmente a formare al momento della nascita, seppure in uno stadio non ancora maturo, indubbiamente cresce e si evolve con l’accrescersi delle esperienze. Ciò perché è partecipe del più complesso fenomeno della coscienza. In virtù di questo suo accrescimento, è possibile arguire che sia la meravigliosa e misteriosa emersione in forma astratta di un processo biologico concreto; mentre è sicuramente meno probabile si tratti di un’estensione aura di matrice soprannaturale, se non dovendo ricorrere all’opera creatrice di una divinità… è non potrebbe trattarsi d’altro che d’un creatore, configurandosi così in divinità costantemente all’opera in una sorta di Creazione Continua, proprio perché la sua attività si svolge interamente entro una dimensione diveniente, implicante, giustappunto, nascita e morte: due eventi abbastanza difficili da negare, in quanto apodittici, la cui esperienza è a disposizione di ogni essere che si sia manifestato e che si manifesterà, senza dover scomodare improbabili assunzioni e/o trasfigurazioni di dubbia natura e origine, più che altro prodigi decretati per volere umano (dogma). |
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16-03-2009, 17.37.46 | #76 |
Ospite abituale
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Domande e risposte.
Caro Dubbio,
annoti: "sembra ripetersi anche per l'universo l'iter degli esseri viventi, nascita, vita e morte, inizio, durata (temporale) e morte (non necessariamente nulla come tu l'intendi). " E' pur possibile che il nostro sia uno degli universi che si generano, uno seguendo l'altro e fors'anche uno insieme coll'altro: comunque sia, pare negarsi il nulla perfettamente nullo. Concludi, osservando: "Sembra proprio necessaria quindi la creazione? O una causa che provochi il movimento? Per ora sembra di si...". Senza dubbio la congettura che sia un dio, causa prima di tutto, risponde efficacemente alla domanda; altro è che risponda veracemente, Anakreon. |
17-03-2009, 11.46.30 | #77 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
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17-03-2009, 18.49.24 | #78 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
A quanto pare esiste un'area del cervello, situata all'incirca in corrispondenza del lobo frontale, poco dietro le cavità orbitali, detta "punto zero", dove sarebbe elaborata quella sorprendente facoltà autoreferente delle sensazioni, da noi tutti sperimentata, detta autocoscienza, o "prima persona". Questa "modalità" che rende l'io protagonista delle sensazioni esperite dal corpo per mezzo del sistema nervoso e del cervello è il livello base di una personalità e di un carattere che poi evolvono sulla base delle esperienze acquisite. Ipotizzando trattarsi di "proprietà emergente" della materia, si deve pur ammettere che debba esserci un momento un cui questo io/se permanga stabile nella sua identità. Quale sia questo momento è difficile dire...Il concepimento ? I primi mesi di vita ? I primi anni ? Dovendo fare un'analogia con la fisica quantistica si potrebbe ipotizzare una "sovrapposizione di stati di coscienza" in una fase metastabile in cui noi stessi eravamo potenzialmente anche "altro". La sovrapposizione degli stati di coscienza, tuttavia, se è reale, non è sperimentabile nella fase della stabilità dell'io/se (sarebbe come vedere sul televisore di casa le interferenze di un'altra trasmissione)e non è recuperabile, almeno credo, dai ricordi. E' indubbio, tuttavia, che debba essere posta come ipotesi scientifica se non si vuol ammettere che, invece, l'io/se sia immutabile e, quindi, eterno. Che ne è del punto zero dopo la morte ? E' realisticamente ipotizzabile che si dissolva, ma nell'ambito della pura casualità si dovrebbe anche dare che la ricombinazione delle variabili possa riportare uno stesso "punto zero" a riesistere, sia pure in diversi contesti. Cio' che sembra inequivocabile è che ogni punto zero è singolare e rispetta il principio di identità, ossia esiste un'unica combinazione che porta a quel punto zero. L'ambito e il contesto (cervello compreso) in cui il punto zero è allocato sono, pero', in perenne mutazione e non sono, quindi, identificabili con esso, ossia con la nostra "prima persona". Non essendo il tempo una grandezza fisica assoluta, ma solo la misura della variazione degli stati della materia da parte di un soggetto "senziente", il tempo necessario a ricombinare uno stesso punto zero equivarrebbe, per quel punto zero, a un'istante e, praticamente, non esisterebbe rendendo, così, quella "prima persona" pressocchè eterna: |
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17-03-2009, 19.48.54 | #79 | |
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
Si possono dire tante cose a piacere. Non ho capito quasi niente del tuo post. Ma saranno mie carenze. Cosa c'entrano i prodigi, la creazione continua l'ho capito ancora meno. Metti insieme un po' di tutto: dati di osservazione scientifica accanto a concetti filosofici. Ti rimando al mio post precedente per quanto riguarda autocoscienza, coscienza morale, ragione e memoria. Ciao Visechi. Amichevolmente. |
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18-03-2009, 17.50.29 | #80 | |
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
Basta domandare e si provvede. E’ ovvio che quando si scrive lo si fa per proprio piacere, non certo per il piacere altrui, circostanza, quest’ultima, che comporterebbe una buona dose di ipocrita genuflessione tesa a concedere assenso per riceverne in cambio. Ma non è il mio caso. Quando affermo che la memoria è una sorta di marcatore degli eventi particolari, intendo dire che ciascun evento complesso, ricondotto ai particolari che lo costituiscono, è inciso nel cervello, andando a costituire per somma di componenti la memoria complessiva sia dell’evento che dell’insieme degli eventi. Quindi è il magazzino dei singoli fotogrammi che compongono l’evento. Il cervello, inteso anche in senso lato, non necessariamente come organo, forse più che altro come processo che inerisce alla facoltà di memorizzare, incide su ciascun particolare fotogramma un marcatore chimico che servirà in futuro per l’eventuale riutilizzo, dell’informazione particolare o di parte di essa o di una somma d’informazioni specifiche. Il dibattito che di recente si è sviluppato in seno alla neuroscienza riguarda la possibilità che questo immagazzinamento dell’informazione particolare avvenga anche a prescindere dall’eventualità che il fatto, quindi l’esperienza susciti una reazione o inneschi un’attenzione tale da superare un determinato livello soglia, per cui l’intera nostra esperienza, cosciente o non cosciente, andrebbe ad occupare gli scaffali di questo enorme e misterioso magazzino denominato memoria. Mi auguro che fin qui sia tutto abbastanza chiaro. La memoria, essendo solo un insieme di solchi incisi sul corpo cerebrale, non ha dunque alcuna caratterizzazione morale. Ciò, evidentemente, significa che quanto andiamo a recuperare da questo magazzino in termini di ricordi non reca alcuna connotazione né morale, né sentimentale e neppure emotiva, essendo indispensabile perché ciò avvenga, cioè che il ricordo si intrida di moralità, sentimento o emotività, che la semplice estrazione (anche non consapevole) sia accompagnata da qualche altro accidente e che l’azione (consapevole o meno) d’estrazione sia collaterale a qualcos’altro che fornisca il giusto o obbrobrioso condimento che dà sapore al ricordo. Mai sentito parlare di melanconia, di cui sono impregnate stupende pagine di letteratura e che trasuda da dipinti celeberrimi, o che si ode pervadere ogni nota di magnifiche sinfonie? Saranno, pertanto, eccitate le nostre aree emotiva, sentimentale, morale etc… Solo così, quando il ricordo s’insaporisce dell’emozione, del sentimento, della paura, dell’etica avrà senso e significato. Se ne deduce che la coscienza morale, per esempio (tanto al momento ti basti), pur attingendo a piene mani dal magazzino dei ricordi, nulla ha da spartire con la memoria, se non altro in ragione della sua qualità, essendo, invece, la memoria solo un fornitore di elementi salienti, necessari per costituire o nutrire la nostra coscienza morale. Fornivo anche una mia chiave di lettura – non filosofica – alle due domande che mi ponevi: Si può dare ragione ragionante che si applica ai casi morali senza memoria? Ora ti chiedo: può darsi alcuna conoscenza nell'essere umano senza la memoria? Tralascio di spiegarti parola per parola l’allegoria del tribunale, del codice di diritto e del giudice. Almeno fino a questo punto, il mio intervento precedente si limita esclusivamente a riferire osservazioni scientifiche… non c’è nulla di filosofico. Tanto, del mio precedente intervento, era a te rivolto, il resto è una replica ad affermazioni di Loris Bagnara. Ciao |
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