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09-03-2009, 09.55.25 | #52 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Essere e coscienza
Citazione:
Già! Condivido! Se l’uomo vivesse di solo pane, ben misero sarebbe il desco per lui approntato, ben misero anche il suo destino, perlomeno in certe lande del pianeta. Il pane quotidiano – duro e crudo – cui alludo è l’esperienza d’ogni giorno, che certo dolce e delicata non è. Qualcuno ebbe l’ardire d’affermare che ove non c’è esperienza non può esservi conoscenza. Quando la conoscenza contraddice in modo eccessivamente manifesto l’esperienza, o quest’ultima è falsata, oppure l’altra è irrelata. Quando l’esperienza si dispiega entro un orizzonte, l’unico sicuramente a tutti noto, come può la conoscenza negarla? Se l’orizzonte che a noi tutti s’offre è quello della morte, quindi della fine della vita, di questa vita, palcoscenico dell’essere, ovvero di colui che esiste, come può la conoscenza, senza che ne possa avere una qualche esperienza, disconoscere quel che a noi è destinato? Tuttavia, è anche vero che, essendo noi finiti e limitati, neppure l’esperienza può sottrarsi al limite e al finito. Ma è ancor più vero che, limitata l’esperienza, la conoscenza, anch’essa, non può che essere tale. Per cui pretendere di conoscere illimitatamente, cioè oltre il limite fissato dalla nostra limitata esperienza, per negare quel che l’esperienza concede di conoscere, non è conoscere ma solo credere. E il credere si muove in un ambito entro cui si dispiegano non solo le facoltà dell’intelletto (intuizione, logica, razionalità), ma anche, e a maggior ragione, quelle del sentimento, il quale non arretra al cospetto del fattuale, sovente lo sopravanza senza che avverta l’urgenza di colloquiare con il dato dell’esperienza e del reale… e la morte è un’esperienza reale. Ciò, però, non significa certo ridurre l’uomo ad uno sterile e freddo prodotto della memoria, o a un teorema mnestico. Accettare la verità, o il dato dell’esperienza , coglie l’essere da un angolo di visuale diverso, forse sconvolgente. Arrendersi all’evidenza ineluttabile della morte e del ritorno nel nulla da cui per un sospiro siamo emersi, significa anche cogliere l’ipertrofia dell’unicità dell’essere irripetibile, che si propone ammantato nella sua veste gloriosa di unico ente che contende al nulla la dimensione entro cui siamo immersi, sebbene, infine, ad esso soccombente, come entità particolare. La vita persegue l’unico senso di perpetuare se stessa attraverso l’emersione dal nulla di entità particolari, che spesso si sovrappongono l’una all’altra, costituendo il molteplice della manifestazione esistenziale. La diversa manifestazione dell’essere non si esplica in molteplici dimensioni, fossero anche parallele e non intersecantesi, bensì nella molteplicità delle forme che l’essere assume, di cui la Natura si veste: policrome, poligenetiche, polisemiche. L’essere possibile, quello esistente, è solo l’essere manifesto. Il non manifesto, perché non ancora esistente o non più esistente, è essere rientrato nel nulla, nel non essere, o non ancora uscito dal nulla. Il divenire, evidenza inconfutabile, è la misura tangibile di questo continuo trasparire, che si concreta nel moto perenne di emersione e rientro nel nulla. E’ un moto presumibilmente prodottosi dal nulla, come forza inerziale primigenia, che perpetua se stesso proprio in virtù dell’apparire e sparire dell’essere e delle sue molteplici forme di manifestazione. L’eternità che si attribuisce all’essere della trascendenza – il motore immobile che avrebbe dato il primo impulso al moto dell’apparire dell’esistenza – è un’esigenza del pensiero, ed è congenere al bisogno del sentimento di opporsi alla dissoluzione connaturata al limite, al finito, al divenire. In virtù di questa esigenza, da essa istigati, da una parte il pensiero erige dimensioni eterne iniziali, postulando un motore immobile che sia il primo impulso al moto dell’esistenza; il sentimento, da canto suo, come un’eco, sfonda l’antipode limite estremo, edificando l’altro capo dell’eternità. Tutto ciò per non consentire spazio alcuno al nulla, che atterrisce e sgomenta. Ma una siffatta eternità non può che rifiutare l’unica evidenza a noi concessa: il divenire e l’eterna legge del cupio dissolvi, che è norma della vita stessa, la quale legge macera l’essere particolare, riconducendolo alla sua originaria non essenza. L’eternità superna dell’essere (reale?) è così solo un rifiuto del limite; è una risposta congeniale al sentimento d’infinito. Espandere l’essere oltre il non essere e il nulla, attribuendogli superna eternità, equivale ad erigergli intorno are devozionali, giacché giammai il pensiero e il sentimento possono supinamente piegarsi all’evidenza di un Essere Superno, fiat lux di tutte le cose esistenti, che non sia anche partecipe del moto innescato. Da qui il passo è breve per edificare il Padre, per ritrovarci nel peccato, per avvertire una fittizia esigenza di redenzione. In assenza di un Padre provvidente, si supplisce con la successione delle emanazioni, oppure si vela con Maya ed artificiose illusioni l’unico dato tangibile ed evidente. Ma il divenire e la morte sono esperienze immediate e concrete, apodittiche, il cui accadere e srotolarsi sotto i nostri occhi non ha bisogno di troppe spiegazioni e giustificazioni, mentre, invece, è il loro senso che ne pretende. Quando il significato non è a portata di logica, si scrivono tomi intitolandoli Bibbia, Vedanta, Mahabharata o giù di lì. Tutto ciò perché è l’assenza di senso a sconcertare e avvilire. Lo stesso avvilimento che coglie chiunque scorga l’intima assurdità di una vita innocente piegata dal dolore. Percepire e attenersi al dato dell’esperienza, che suggerisce l’assedio del nulla, anziché quello dell’essere eterno, non equivale a gettarsi anima e corpo nelle braccia del pessimismo. Piuttosto a dar maggior valore all’uomo e alle sue intime forza e virtù di essere capace di disputare al nulla la dimensione dell’esistenza, edificandovi la Vita. |
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09-03-2009, 18.10.25 | #53 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Essere e coscienza
Citazione:
In realtà la coscienza sarebbe e basta. Forse approfondire il concetto di coscienza sarebbe utile anche in questo 3d. Impostando un ragionamento rudemente positivista si potrebbe affermare che la coscienza è quella soglia di autoreferenza delle sensazioni esperite che scatta quando la memoria accumula abbastanza esperienza di se. Una pianta è vita ed è essere, perchè esiste, ma probabilmente non ha coscienza, perchè non ha in dotazione un sistema nervoso sufficiente ad accumulare abbastanza memoria di se. Risulta, pero', abbastanza difficile individuare esattamente la soglia di memoria oltre la quale la percezione di sensazioni quali caldo, freddo, fame, sete, sonno diventa autoreferenziale e, soprattutto, individuale. Non si puo' certamente dire che noi si attinga, almeno in maniera consapevole, ai ricordi di un'età inferiore ai due anni, ma certamente da un certo momento in poi, l'esperienza di se fatta dal cervello di un bambino, che venga successivamente persa o no, rimane propria di quel bambino e, successivamente, di quell'individuo e non di un altro. E questo anche se, ipoteticamente, si potesse pensare di diversificare in corso d'opera, le esperienze vissute e confrontare il soggetto delle esperienze stesse......A meno di non voler pensare che la variazione dei parametri determini la variazione della stessa realtà individuale della persona....In questo caso noi non saremmo mai noi, con buona pace del p.d.n.c. L'identità della coscienza nel divenire è essere sostanziale o è un "effetto speciale" dovuto alla memoria ? |
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12-03-2009, 07.51.57 | #54 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Essere e coscienza
Citazione:
La coscienza essendo una modalità nella quale si applica tutta la conoscenza personale per esprimere un giudizio dipende anche dalla memoria. Dipende poi dalla concezione che uno ha dello spirito per collocare nel suo "ambito" quelle realtà che chiamiamo intelletto, volontà, autocoscienza, ecc., Sebbene sostanza non sembri il termine più adeguato per esprimere la realtà dello spirito, tuttavia lascia intuire la sua "concretezza" . Qualcuno usa il termine "stoffa" per esprimere la realtà non astratta e non ideale dello spirito. |
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12-03-2009, 15.38.20 | #55 |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
E’ fuorviante ritenere che coscienza di sé e memoria siano due fattori coincidenti, o che la prima sia strettamente dipendente dall’altra, tanto che mancando la memoria non s’inneschi neppure la coscienza. Le osservazioni cliniche tendono ad escludere questa possibilità. E’, infatti, stato osservata un’inalterata coscienza di sé in individui privati di memoria biografica, mentre è, invece, appurato che la privazione di memoria biografica determini un considerevole scadimento della correlata coscienza biografica, lasciando però inalterate le capacità di percepire se stessi come entità autonoma e individuale. Perciò è altrettanto fuorviante ritenere che “la coscienza sia quella soglia (non è una soglia, piuttosto un processo, mentre, invece, è inferibile l’esistenza di una soglia – non necessariamente mnestica - oltrepassata la quale la coscienza s’innesca) di autoreferenza delle sensazioni esperite che scatta quando la memoria accumula abbastanza esperienza di sé”.
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12-03-2009, 15.59.28 | #56 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Essere e coscienza
Citazione:
Il termine "stoffa" mi piace.... In un altro 3d, per definire l'autocoscienza avevo pensato al termine "modo" o "modalità" dell'esperienza, che assume caratteri strettamente individuali e che io farei coincidere con quel se potenziale che rappresenta il mistero, oltre che della morte, anche della nascita, perchè appare predestinato indipendentemente dall'evolversi delle esperienze materiali. |
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12-03-2009, 19.47.02 | #57 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
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Citazione:
Se leggi il mio post parlavo di coscienza morale, quella che esprime giudizi sul bene e sul male di un azione. La memoria sicuramente è coinvolta nella coscienza (morale), in quanto per esprimere il giudizio si devono ricordare almeno le norme dalle quali la coscienza viene normata, e poi i passati giudizi morali e le loro conseguenze: rimorso o approvazione. |
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12-03-2009, 21.19.13 | #58 |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Leggendo di qua e di la le risposte date mi sembra che tutti si siano soffermati sull'idea che l'essere è esistenza, quindi non si può parlare di non-esistenza. Perciò la domanda ( perchè esiste ciò che esiste) non trova risposta.
Prendo a caso questa riflessione Anakreon: Pare si consenta ampliamente che, dal nulla perfettamente nullo, non possa sorgere qualche cosa: e veramente coloro, i quali asseriscono che l'universo sia stato creato dal nulla, pongono tuttavia innanzi un ente creatore. Ma è possibile congetturare che nel nulla, nel nulla perfettamente nullo, tutto prima o poi si dissolva e cessi ?: la scienza della natura per ciò pare negarlo, perché afferma che tutto ciò, che perisce, sempre muta forma, ma non si dissolve mai né cessa pienamente. D'altronde, se è vero che l'essere non può avere un principio, non si capisce perché possa avere una fine. Forse il nulla perfettamente nullo è solo un'allucinazione della nostra mente, congetturata per sottrazione di tutto ciò, di cui abbiamo esperienza. Mi si consenta un punto di domanda: l'essere (qui da tutti preso in considerazione) è inteso in senso generale solo come qualcosa che esiste o come, in modo specifico, "essere vivente" (e ancora piu nel dettaglio "essere cosciente")? Anakreon qui parla di morte, ma muore l'essere vivente! almeno così intendiamo la morte. Certo "muore", in senso lato, anche, mutando la sua essenza,la stella, ma in quel caso si intende che la stella si trasforma in qualcosa di diverso da una stella mantenendo però inalterato, nell'universo, la quantità di materia-energia. Può un essere vivente trasformarsi, al pari di una stella, in qualcosa di diverso, mantenendo quel qualcosa che noi chiamiamo vita (e che voi state ponendo, implicitamente, come "essere")? Lo chiedo perchè non mi è chiaro;chiedo anche se a voi risulta importante (come per me) specificare prima da dove vengono gli oggetti, ovvero quei punti luminosi, la materia, i campi, le particelle o come le volete chiamare. E' possibile, filosoficamente, ammettere che un oggetto possa esistere da sempre (considerando anche un campo un oggetto)? Ad oggi sembra (come ho cercato di mettere in evidenza con i miei post precedenti) che il "tempo", quella macchina fatta di lancette, si è attivata in un punto (Big bang). Quel punto è divenuto lo spazio-tempo. Il primo! Prima di quello il nulla (e non il vuoto)! Chi sostiene che la lancetta si è mossa la prima volta da un non-nulla, mi deve dire cosa era il tempo prima... evidentemente se qualcosa si è mosso lo ha fatto nel tempo, ma c'è traccia di un tempo prima del tempo? Ho già ammesso che il tempo, così come è considerato dalla fisica, ci indica un cambiamento. Anche i campi cambiano nel tempo (forse questa è una domanda-riflessione troppo tecnica, se non arriva risposta la porrò al fisico direttamente), e quindi se il nulla non può esistere come si ammette, anche il tempo sarebbe,implicitamente, sempre esistito e non ha avuto, contrariamente da chi sostiene, scientificamente, la validità del big bang, un inizio? Qualora invece si considerasse il tempo come l'inizio di un cambiamento, non potrei prescindere dall'idea che qualcosa abbia avuto inizio e che quindi prima di quel inizio nulla vi era che cambiava o mutava. Potrei anche pensare che tutto sia esistito senza cambiamenti (e quindi senza tempo), ma poi devo per forza ammettere che quando il tempo ha avuto inizio ciò che esisteva è cambiato (appunto nel tempo). Cosa ha spinto ciò che è sempre esistito (ammesso di pensare a qualcosa che non ha tempo, non cambia e non muta nel tempo) al cambiamento e quindi alla nascita dello spazio-tempo? Voi capite bene che se io dico che lo spazio-tempo è sempre esistito è errato dire, ad oggi, che questo universo ha tot miliardi di anni, ne ha molti di piu, è anzi infinito nel tempo e nello spazio. Se il tempo è infinito la domanda perchè esiste il tempo e lo spazio, invece di non esistere, muta di significato. Se il tempo è infinito non posso andare a ritroso "nel tempo" a cercare un inizio. Tutto è sempre esistito e sempre ha subito un cambiamento nel tempo. Il big bang altro non è che un punto in cui c'è stato un cambiamento sostanziale di qualcosa che è mutato o stava mutando nel tempo, proveniente dall'infinito; è ovvio che, in questo caso, si esclude una creazione dal nulla. p.s. Su questo punto (ultimo) ho già valutato l'ipotesi che la mente crei dal nulla e la sua esistenza si renda necessaria in quando da essa(dalla mente) dipende l'esistenza di concetti che pur avendo (in taluni casi) un substrato oggettivo non avrebbero,senza la mente, alcun significato. Ogni significato è informazione e l'informazione è il concetto che ci porta dritti a distinguere da essa l'informato e quest'ultimo a porlo come ente necessario e creatore dell'informazione stessa. |
13-03-2009, 09.46.38 | #59 | |
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
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Non rispondevo tanto a te, quanto a Marius, che sembra voler far coincidere eccessivamente coscienza di sé e memoria. Ad ogni buon conto, se la coscienza morale dovesse essere così strettamente legata alla memoria, va da sé che l’individuo, non avendo memoria, perché persasi a causa di un accidente qualsiasi, o perché mai costituitasi (in un caso di scuola), non dovrebbe avere neppure alcuna coscienza morale. Il che confuta la pretesa delle alte sfere ecclesiastiche, le quali postulano che la coscienza morale sia iscritta naturalmente nell’animo umano, e l’uomo ne avvertirebbe l’ammonizione senza che sia implicata l’azione della memoria. |
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13-03-2009, 11.40.39 | #60 | |
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
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Ovviamente chi a causa di una qualche malattia o per dei traumi perde la facoltà della memoria vede diminuita o azzerata la sua responsabilità morale. Da quale fonte hai ricavato quanto affermi ?: "Il che confuta la pretesa delle alte sfere ecclesiastiche, le quali postulano che la coscienza morale sia iscritta naturalmente nell’animo umano, e l’uomo ne avvertirebbe l’ammonizione senza che sia implicata l’azione della memoria." Non sono le alte sfere ecclesiastiche che si occupano di questi problemi, ma il magistero morale. Credo che tu abbia frainteso, in ogni caso se mi comunichi la fonte possiamo verificare. Ultima modifica di Giorgiosan : 13-03-2009 alle ore 15.51.33. |
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