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25-02-2009, 18.41.30 | #12 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-06-2007
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Il semplice ed il nullo.
Caro Loris,
annoti: "Mi pare che, se il nulla ammettesse e/o esigesse una esplicazione, non sarebbe più nulla, ma qualcosa: la sua stessa esplicazione. Senza contare che l'esplicazione del nulla dovrebbe pur essere iscritta da qualche parte, almeno nella coscienza di un soggetto pensante; e quindi, a maggior ragione, non si avrebbe il nulla, ma qualcosa. Per come la vedo io, non ho bisogno di pensare al nulla, né di definirlo, perché il nulla (come del resto il tutto) non ammette definizioni." Ed io consento, tant'è vero che, nel commento precedente, scrissi: "a me pare assai difficile, se pur si possa, definire il nulla, anzi, solo pensare un nulla perfettamente nullo". Ma, se non possiamo né definirlo e neppure pensarlo, come puoi domandare perché qualche cosa sia e non piuttosto sia il nulla ?: è arduo, mi pare, domandare perché non sia una cosa la quale consentiamo che non possa essere, che non possiamo definire, che non possiamo pensare. Domandi: "Infatti, è più semplice un magnifico castello, oppure il nudo terreno su cui esso s'eleva? Desta più meraviglia scorgere, d'improvviso, alla svolta del sentiero, quel magnifico castello, oppure il crudo sperone roccioso su cui nulla sorge? Potrei meravigliarmi di quel nulla solo se mi aspettassi, per notizia certa, di vedere un castello; così, potrei meravigliarmi del Nulla solo se avessi prova certa che Qualcosa debba necessariamente esistere." Veramente non mi pare che la questione proposta sia stata: è più mirabile qualche cosa ovvero il nulla ?; ma bensì: è più semplice porre il nulla ovvero porre qualche cosa ?. Per altro, una cosa mirabile può pur essere una cosa semplicissima e veramente tal volta ammiriamo più le cose semplici, che quelle di molteplice struttura. Nell'esempio, che proponi, compari bensì una cosa più semplice con una cosa meno semplice, ma tuttavia ambedue sono della medesima specie: ancorché sia ancora da dimostrare che la terra nuda ovvero anche un sasso siano cose più semplici, che un edificio costrutto dall'uomo; non di meno, la comparazione non dimostra nulla circa la semplicità del nulla dianzi a qualche cosa; anzi, per le difficoltà d'esperienza, di definizione e di pensiero del nulla, circa le quali Tu stesso consenti, a me pare assai più semplice porre qualche cosa, che il nulla; il noto, che l'ignoto. Concludi: "Tale dunque potrebbe essere la tua risposta al primo quesito di Leibniz: porre il qualche cosa è più semplice e razionale che porre il nulla, e con questo avresti fornito la ragion sufficiente dell'essere qualche cosa, e non nulla.". La difficoltà sta, a mio giudizio, nel supporre ciò, di cui non abbiamo esperienza alcuna e che neppure possiamo propriamente pensare: non si tratta, a ben considerare, né di cosa più o meno semplice né di cosa più o meno molteplice, più o meno razionale: del nulla neppur possiamo dire che sia nulla. Mi pare una congettura ancor più inane che sia quella di coloro, i quali vanno elucubrando che mai sarà di noi dopo la morte, posto che qualche cosa, che abbia coscienza od intelligenza di sé, permanga oltre la dissoluzione delle nostre membra: non ne abbiamo esperienza, non conosciamo alcuno che ne abbia mai avuta, non saremo come siamo, se pur saremo in qualche modo, quando accadrà; dunque, di che elucubriamo ?. Anakreon. |
25-02-2009, 22.31.12 | #13 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Il semplice ed il nullo.
Citazione:
Questa, per me, è già un'ottima risposta al primo quesito di Leibniz. Resta il secondo quesito a cui rispondere: Perché ciò che esiste è come è, e non altrimenti? Prima però vorrei sapere cosa rispondereste alla domanda: Ciò che esiste, è tutto ciò che potrebbe esistere? Che è come dire: E' questo l'unico mondo possibile? Se rispondiamo a questa domanda potremmo poi affrontare meglio il secondo quesito di Leibniz. Loris |
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26-02-2009, 08.33.21 | #14 |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Mi pare che la posizione di coloro che hanno finora risposto alla domanda di Loris Bagnara sia basata sulla presunzione che questo universo avrebbe potuto non esistere; sia cioè in fondo una posizione apparentemente religiosa o che piacerebbe ai religiosi, perché sottintende che la nascita dell’universo dipende da un atto di volontà, e che se c’è, è perché Dio c’è. E credo che chi si è posto all’origine questa domanda (che pare sia stato non Leibniz ma Sigieri di Brabante) la riteneva una prova o una conferma dell’esistenza di Dio.
Ora, se vogliamo uscire da questo cerchio religioso (che altri chiamerà vizioso), la domanda mi pare che non abbia più senso: il fisico infatti non si chiede perché esiste quest’universo – può chiedersi come è nato e se ci sono altri universi oltre questo, ecc. ecc., ma non può andare oltre quell’evento, anche se qualche volta sembra tentato di farlo, mentre la logica della scienza glielo impedisce e costringe a rimandare questo problema "alla religione e alla metafisica". E in fin dei conti quella logica è giusta: per uno scienziato la domanda è veramente una domanda infondata. Se l’universo non ci fosse non ci sarebbe infatti neppure lui a discuterne: è il famoso principio antropico che torna ad imporsi e che – per accontentare i guardiani dell’economicità - rappresenta il centro o meglio l’asse portante della logica della scienza: la sua unica vera filosofia. Eppure è proprio questo balzo al di là della logica che manifesta la forza del pensiero cioè della filosofia: per quanto debole e incerto il pensiero ha infatti la capacità di superare l’intero universo fisico, dubitare della sua verità, chiedersi se le sue leggi sono vere leggi, se sono fondate su criteri morali o immorali….: un seguito di domande, folli per lo scienziato, ma che non cesseranno di assillarci finché l’uomo sarà in grado di pensare e l’universo di esistere. Come vedete, le esigenze di Ornella non sono esigenze private…. |
26-02-2009, 18.24.01 | #15 |
Ospite abituale
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Domande e sorti.
Caro Loris,
domandi: "non ti pare che questa tua osservazione, giustissima, come altre del tuo messaggio, non ti pare che porti diritto all'asserzione Parmenidea, da me già citata, "L'Essere è e non può non essere"?.". Piuttosto mi pare porti diritto a quell'altra asserzione di Parmenide: "il non essere non è e non può essere". Ma l'Eleate considera universalmente le cose che veramente sono, negando che, oltre le apparenze dei sensi, possano universalmente non essere; io voglio solo notare quanto sia difficile pensare cose di cui non abbiamo né potremo avere mai esperienza alcuna e supposte tali che, se fossero o, meglio, se non fossero, neppure noi saremmo: è possibile congetturare altre vite intelligenti nell'universo; congetturare altri universi poco o molto differenti, che sia il nostro; congetturare che potremmo essere diversi, che veramente siamo; ma il nulla perfettamente nullo, come possiamo congetturarlo e quindi pensarlo ?; come possiamo pensare qualche cosa, che necessariamente porta seco che nulla sia, anche qualche cosa che lo pensi ?. Se al meno, ben sia chiaro, Tu intenda il nulla perfettamente nullo, non un nulla tale,che permetta che alcunché sia, come intendono coloro, cui allude Emme Ci, i quali interpretano il nulla quasi fosse nulla di creato, concedendo, quindi, che un dio sia, benché ente unico e solo, oltre il nulla. Ciò non porta seco necessariamente affermare che nel nulla, nel nulla perfettamente nullo, l'universo o gli universi non finiranno mai; possiamo escluderlo ?: non credo possiamo. Ma porta seco, se non necessariamente, al meno probabilmente, che il nostro concetto del nulla non sia un concetto del nulla perfettamente nullo, ma, a ben considerare, sia sempre un concetto di nulla per relazione con qualche cosa, "pros ti" dicevano i Greci, se non con altro, con qualche cosa che lo può osservare standone fuori, come un dio, appunto: è evidente che un tale nulla non sarebbe propriamente un nulla perfettamente nullo. Domandi ancora: "Perché ciò che esiste è come è, e non altrimenti ? Ciò che esiste, è tutto ciò che potrebbe esistere ? Che è come dire: E' questo l'unico mondo possibile ?". Come possiamo rispondere altrimenti, che gettando le sorti ?: per rispondere, al meno in modo razionale e verisimile, sarebbe necessario, per la prima domanda, che conoscessimo la causa prima ed il fine ultimo di tutto, se pur sia una causa prima ed un fine ultimo; per la seconda, che conoscessimo altri mondi altrimenti ordinati, che sia il nostro. In somma, possiamo pur allentare i freni dell'immaginazione, elucubrare sottilmente, sognare audacemente, allucinare temerariamente; ma, in fine, quanto alle argomentazioni ed alle dimostrazioni razionali, dubito che non ricadremmo ineluttabilmente in questo nostro mondo, in questo nostro universo, in cui, bene o male, siamo e di cui solo abbiamo esperienza e, per di più, esperienza breve, angusta ed imperfetta. Anakreon. |
27-02-2009, 10.34.22 | #16 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
La domanda è priva di senso: proprio perchè l'essere è e il nulla non è è necessario che l'essere sia, e che dunque siano tutte le infinite configurazioni e qualificazioni che può assumere, questa domanda (ripresa poi anche da Heidegger) mostra chiaramente fin dove riesce a spingersi il nichilismo nella nostra testa, nel linguaggio, nella società, nelle opere dell'uomo. |
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27-02-2009, 10.38.43 | #17 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Domande e sorti.
Citazione:
Citazione:
Citazione:
Per quanto riguarda le tue specifiche risposte, Anakreon, non concordo sulla necessità, da te postulata, di conoscere causa prima e fine ultimo di ciò che esiste: infatti, causa prima e fine ultimo non sono altro che la ragion sufficiente di ciò che esiste, vale a dire proprio la risposta alla domanda, e mi parrebbe vizioso pretendere che, per rispondere ad una domanda, occorra preventivamente conoscerne la risposta… Ma c’è un altro motivo: se anche potessi indicarti quali siano causa prima e fine ultimo di ciò che esiste, intendo una specifica causa ed uno specifico fine, dovremmo pur sempre chiederci, perché quella specifica causa e quello specifico fine, posto che tale causa e tale fine non abbiano in sé la ragion sufficiente del proprio porsi. Giacché non sono in grado di pensare una causa ed un fine che abbiano in sé la ragion sufficiente del proprio porsi, preferisco pensare che, ciò che esiste, esista per effetto non di una specifica causa, ma di tutte le possibili cause, e non per realizzare uno specifico fine, ma tutti i possibili fini: ciò che esiste, pertanto, non potrebbe che essere illimitato. Per quanto riguarda l’altra necessità da, te postulata, di conoscere altri mondi diversi da nostro, a mio avviso vi sono almeno due buoni motivi per congetturare che tali mondi possibili esistano (come possibilità, intendo). In primo luogo, questo stesso universo di cui abbiamo esperienza, piuttosto che un solo universo, non è forse il succedersi di infiniti universi, infinitesimamente differenti l’uno dall’altro, come i fotogrammi di un film che si proietti dall’inizio alla fine? E quando il film giunge al termine, mi è assai facile pensare che almeno un ulteriore fotogramma avrebbe potuto esserci; così, mi è assai facile pensare che questo stesso nostro universo potrebbe trovarsi in uno stato che, in effetti, non ha mai attraversato. Ad esempio, cosa vieta di pensare che quella mosca, che si è posata sul vostro naso, avrebbe potuto posarsi, senza violare alcuna legge universale, sul naso del vostro vicino? Non sarebbe stato un universo differente? E inoltre, l'idea stessa del libero arbitrio non esige che l'universo sia realmente aperto a differenti possibili scenari? L'atto in cui si esprime il libero arbitrio non è forse coem la scelta della via da percorrere, quando ci si trovi ad un bivio? O il bivio è reale, esistono altri mondi possibili, e allora ha senso parlare di libero arbitrio; viceversa, se non esistono altri mondi possibili, il bivio è puramente illusorio come anche il libero arbitrio. In secondo luogo, possiamo pensare ad universi normativamente differenti, intendendo dire con ciò, differenti nella formulazione delle leggi fisiche. Faccio un solo esempio, già ampiamente utilizzato dai sostenitori del principio antropico: la costante di struttura fine: perché vale quel che vale (circa 1/137) e non altro valore? A meno che non si trovi una ragion sufficiente perché quella costante debba avere quello e solo quel preciso valore, nulla vieta di pensare a infiniti possibili universi in cui la costante assuma gli infiniti valori. Loris Ultima modifica di Loris Bagnara : 27-02-2009 alle ore 14.16.26. |
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27-02-2009, 14.22.11 | #18 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
E' l'unico modo che vedo per rispettare il principio di ragion sufficiente. |
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27-02-2009, 14.25.51 | #19 | |||
Moderatore
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
Ma io sono d'accordo sul fatto che se non esistesse nulla non ci sarebbe nessuna spiegazione da fornire. Il fatto è che anche con questo universo non c'è spiegazione da fornire. Avevo mostrato che per spiegare il perché c'è un dato X, nella spiegazione, dobbiamo far riferimento inevitabilmente a qualcos'altro, ad un Y. Ma fuorché X (l'Universo, nel nostro caso), non v'è null'altro, nessuna Y. Citazione:
Credo che tu volessi dire che nell'insieme degli esistenti ci sono le cose che esistono, mentre nell'insieme dei possibili ci sono tutte le cose che possono esistere (compresi gli esistenti, quindi). Mi pare ovvio che qui si stia parlando di possibilità logica, quindi l'insieme dei possibili è molto più grande di quello degli esistenti. Capisco che tu poi senta l'esigenza di chiederti perché di tutti i possibili solo questi sono esistenti, ma non hai affrontato di petto il mio ragionamento che mostra chiaramente perché non è logicamente possibile una spiegazione a tale questione. Ti incollo la parte in cui spiego questa cosa: <<Quando qui parliamo di "universo" stiamo parlando (per tua stessa ammissione) di "tutto l'esistente", cioè ci stiamo chiedendo perché tutto l'esistente è proprio così e non altrimenti. Ma a me pare ovvio che tale domanda non possa grammaticalmente/concettualmente/logicamente avere una risposta. Una risposta al "perché questo e non quest'altro?" richiama necessariamente un qualcosa di esterno al "questo", ma oltre all'universo (inteso, ancora una volta, come "tutto l'esistente") non c'è nulla... Come ho scritto nel mio primo intervento, una teoria che spiega una classe di fenomeni, deve in qualche modo essere più generica e generale di tali fenomeni, per com-prenderli (in entrambi i sensi della parola). Ma, ancora una volta, come possiamo aspettarci di andare oltre all'universo, se è per ipotesi tutto ciò che esiste?>> Citazione:
Capisco che tu abbia parlato di Essere nella sua totalità (concetto, ammetto, per me molto fumoso), ma quando ti poni la questione del perché proprio questo universo o del perché un universo anziché il nulla, stai parlando anche di cose concrete e specifiche. Prendiamo la prima questione ("perché proprio questo universo?"): se questo universo non avesse (in questo periodo temporale) il Sole, naturalmente, sarebbe un altro universo. Ma può la tua risposta sull'Essere e il Non-Essere rispondere a: perché qui c'è il Sole? Non mi pare che far coincidere l'esistente con il necessario sia una buona strada... |
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27-02-2009, 15.36.19 | #20 | |
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Riferimento: Perché esiste qualcosa anziché niente?
Citazione:
Infatti, se trai le conseguenze di quello che hai appena detto, ti ritrovi con quello che ho appena scritto in risposta a Gaffiere. Il tuo ragionamento non dimostra che non c'è spiegazione da fornire per l'esistenza di questo universo, dimostra invece che tale spiegazione sarebbe fuori di questo universo, in contraddizione con la definizione stessa di universo (che include tutto). Questo è chiaro. Ma come si esce dalla contraddizione, salvando anche l'esigenza di fornire una ragion sufficiente? Semplicemente ammettendo che l'universo sia illimitato, che cioè l'esistente coincida con tutti gli infiniti possibili. Solo in questo modo si dissolve l'esigenza di cercare qualche Y al di fuori di X: solo se X è infinito non c'è realmente nulla al di fuori di esso. Potresti concordare con questa esigenza di infinità dell'esistente? |
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