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04-09-2007, 22.24.46 | #73 |
Ospite
Data registrazione: 03-09-2007
Messaggi: 18
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
il dio degli uomini (che poi non è dio ma bensì uomo), è un qualcosa di rassicurante, qualcosa che serve a proteggerci dall'ignoto, dalla morte, da tutto ciò che temiamo; qualcuno a cui rivolgere ipotetiche domande umane per ricevere ipotetiche risposte umane. chi sarebbe mai tanto pazzo da inventarsi un dio da venerare che non lo protegga dal male, ma che anzi procuri dolore? |
05-09-2007, 13.47.37 | #74 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
Messaggi: 1,272
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Un’osservazione en passant, senza obbligo di risposta o avviso di ricevimento. Mi pare che tutti questi dibattiti sulla bontà o la malvagità di Dio siano appesi al presupposto che Dio esista, non solo, ma che egli sia come lo intende la religione o meglio la chiesa cattolica, usando le stesse immagini e le stesse interpretazioni e dottrine: un vero venerdì santo dello spirito, per dirla con renzananda….. Ma questo non equivale a forzare il concetto di filosofia come ricerca della verità e imporre dei limiti a questo libero forum? Voi obietterete che non si può iniziare un discorso se non partendo da un presupposto, ma altro è un presupposto per incominciare a parlare, con la riserva che si potrà in seguito abbandonarlo, e altro è un presupposto fideistico che, almeno apparentemente, non si è disposti a lasciare.
Ma se non accetti questo presupposto, voi penserete, perché decidi di interloquire? Eh, perché si è ancora illusi dal demone che spinse Socrate alla professione (gratuita) di levatrice…..Ossia, in parole correnti, perché si crede nella capacità del forum di aprire un cammino – per quanto arduo e stentato - alla ricerca della verità. |
05-09-2007, 14.30.33 | #75 | |
iscrizione annullata
Data registrazione: 22-08-2007
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Citazione:
Invece il passaggio è interessante anche se un pò ingenuo nella contrapposizione da cascame illuministico tra l'esercizio di una libera ragione (si è capito ormai da Nietzsche a Freud quanto poco sia libera e quanto poco sia ragione) e un dogmatismo fideistico. E' invece impossibile riflettere sulla storia-destino del pensiero europeo senza interrogare quella differenza che rende inseparabili filosofia e teologia. I loro stessi ambiti si determinano, nelle diverse epoche, per la differenza che li distingue: diaphorà ancora più originaria, forse, di quella che per Platone sussiste tra filosofia e poesia, dal momento che, appunto, i mythoi pseudeis, le favole false che quest'ultima narra, non sono che rappresentazioni di una falsa teologia. Ma diaphorà, altresì, mai assicurata, mai "addomesticabile", spazio in continua trasformazione. Il suo eventuale venir meno non comporterà la scomparsa dei "duellanti" medesimi? Può essere la filosofia fedele a se stessa, rinunciando a "comprendere" il teo-logico? E può la teologia non esigere di ritrovare nella ricerca filosofica testimonianza o promessa della stessa Rivelazione? Al di là di ogni stratta conciliazione, così come di ogni astratta separazione, filosofia e teologia si riguardano essenzialmente. E non è che una delle forme del loro co-implicarsi quella che pretende, oggi, di de-ciderle assolutamente. |
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05-09-2007, 15.59.18 | #76 | ||
Ospite abituale
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Messaggi: 1,150
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Citazione:
La redenzione del negativo, dell’alterità, del male stesso, iconizzata nel Dio crocifisso, presuppone, per l’appunto, il negativo, l’alterità e il male stesso in Dio (forse la lacerazione primordiale cui si fa cenno in un post precedente). Diversamente staremmo parlando di un qualcosa – il negativo, il male e l’alterità – al di fuori di Dio, che a Lui si affianca e che, altro da Dio, con Lui disputa (il Demiurgo?). Un qualcosa, dunque, di coeterno, la cui virilità o potenza, tra l’altro, non potrebbero essere aprioristicamente pensate d’intensità inferiore a quelle di Dio – anche se il Dio risorto potrebbe suggerirci una via di fuga -. Per di più, non vi sarebbe neppure una ragione sufficiente per intravedere un limite che ne de_finisca i confini, se non quell’argine rappresentato dalla potenza di Dio che inevitabilmente andrebbe ad intersecare. Ciascuna di esse sarebbe cesura per l’altra e l’intersezione delle due ‘potenze’ il limine ove si dispiegherebbe l’eterna disputa fra cielo e terra. Se da un lato ciò renderebbe più che ragionevole pensare al Deus caritas est tanto caro al Santo Padre, per converso questo stato di cose renderebbe inconcepibili tanto l’infinitezza che l’onnipotenza divina… con buona pace per Anselmo… qualcosa quantomeno equivalente, se non addirittura superiore, sarebbe postulabile. Ma la croce riguarda direttamente Dio, e se di redenzione del negativo si tratta, ciò deve necessariamente riguardare Dio – esclusivamente, direi io, affatto affermeresti tu -. La croce preserva la sofferenza dal mercimonio, dalla semplice conciliazione, sottraendola alla possibilità di farne oggetto di scambio in senso redentivo. Ciò coinvolge nella passione l’uomo e la Creazione intera, ma solo in relazione alla croce, non per quel che attiene al patire. La croce impone un aut aut che non concede accomodamento e pacificazione. Dio si rivela nell’umiliazione e vergogna della croce, ri_velando il suo volto glorioso. La croce è, luterianamente, l’altro volto di Dio che vela, sovrapponendosi, quello del Dio di gloria e quello invitto del Signore degli eserciti. Tutto ciò ha un senso in relazione a Dio, poiché Egli, per dirla con Lutero e Paolo, così rifiuta la sapienza dell’invisibile per mezzo di ciò che è visibile, imponendo una sapienza non indotta dalle opere e dalla legge, bensì in grazia del suo essere se stesso. Viceversa, la sofferenza del creato, che precede di lunga l’evento della croce, non trova giustificazione e una ragione d’essere in questa pretesa divina. La croce riguarda Dio e non l’uomo, poiché il Dio crocifisso non iscrive più il dolore dell’uomo entro un orizzonte di salvezza. Il Cristianesimo vive e muore all’insegna della croce e del Dio crocifisso risorto, nella misura in cui l’autoumiliazione di Dio sottrae la sofferenza al facile contraccambio. Ma in tal modo la cancella anche dall’orizzonte soteriologico entro cui assumerebbe l’unico significato possibile, premesso, fra l’altro, da un peccato d’origine che – a parer mio – è da ascrivere tutto al Creatore. La Speranza di redenzione dell’uomo, istituita anche dal dolore, è mortificata proprio dall’icona del Dio crocifisso, e la sofferenza è così restituita all’abisso del non sense. Citazione:
Il Male in Dio non può essere visto che nell’ambito di un’argomentazione che presupponga l’esistenza di Dio, ciò a prescindere dal fatto che si creda o meno alla sua esistenza. |
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05-09-2007, 22.48.39 | #77 | |
iscrizione annullata
Data registrazione: 22-08-2007
Messaggi: 152
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Citazione:
Oltre le suggestioni pareysoniane del "male in Dio" della lacerazione intradivina avente la sua condizione di possibilità e pensabilità nella sincronia di dono e per-dono triunitarie, in un Dio inscindibilmente inizio e scelta, intemporale iniziar"si" sullo s-fondo di un non cominciamento evocato e tolto, valicato nell'atto stesso di una scelta che non è preceduta ma istituisce i suoi termini come inizio puro. Possibilità tolta e ridestata dalla libertà dell'uomo "imago dei" in seno alla creazione. Oltre la dialettica hegeliana che risolve l'Inizio in Origine e la teo(a)gonia in commedia dall'esito già da sempre garantito. Oltre il cristianesimo senza redenzione di un Vitiello, un Cristo come icona del "grado zero", che noi stessi siamo e cui possiamo giungere solo spogliandoci - ma è un compito infinito - di tutte le "aggiunte". Compito questo che non dipende da noi, che ci accade nella sofferenza (leggi Simone Weil). Che è più del dolore ed è partecipazione alla finitezza altrui che ci apre alla comprensione della nostra finitezza per cui al "cristiano" è richiesta l'impossibile imitazione di Cristo. E per avvicinarsi ad essa, è necessario "sostare" ai piedi della Croce. Non considerarla come un "passaggio". E poiché è dono, questa finitezza, custodirla, serbarla, salvarla - non redimerla. Oltre queste posizioni e la separatezza che leggi tra salvezza che serba la finitezza ed assenza di orizzonte soteriologico sta la Croce come impossibile possibilità di Dio che non fa della Croce stessa un momento di passaggio, non piega il superamento religioso della morte all'aspirazione solo umana della vita eterna. Pensare-vivere il limite e la finitezza e la morte abitati dal Figlio, è fare l'esperienza della Croce come testimonianza del Regno di Dio che è qui, vicino, presente. Nella sofferenza e nel male del mondo. Anche nella sofferenza e nel male del mondo |
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06-09-2007, 09.48.04 | #78 |
Ospite abituale
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Non io, non abita certo in me questa presuntuosa pretesa, ma altri di ben maggior tempra, coraggio e forza interiore hanno sostato ai piedi della croce. Nel corso della loro intera esistenza hanno vissuto lo svuotamento di sé, spogliandosi completamente d’ogni pretesa per sé. A questi (Simone Weil, l’Abbé Pierre, Madre Teresa) è accaduto di seguire l’insidioso percorso dell’impossibile Imitazione di Cristo. Fardello davvero troppo gravoso per l’animo umano. La loro tetragona forza ha misurato la propria finitezza nell’incontro con il dolore del prossimo. Hanno lambito il proprio limite. Servi di un impeto germinato non per propria scelta e volontà, ma inculcato da quella terribile forza emanata dalla croce. Uomini e donne che hanno intriso l’intera loro anima delle sofferenze altrui. Veri pasdaran del dolore, cui il mondo ha sempre guardato con ammirazione. Ma non erano queste – l’ammirazione e la venerazione – che loro cercavano. Posseduti da una lancinante sofferenza interiore priva di pace e acquietamento per causa del dolore che intride il mondo, hanno votato tutto se stessi al servizio del prossimo. Eppure neppure loro sono stati esentati dal dubbio, dal negativo, dal buio. Madre Teresa, prona sulle sofferenze altrui, nel mentre che curava e suturava le ferite altrui, non vedeva Gesù, ma solo il dolore e l’angoscia dell’assenza di Dio. Terribili le sue parole: «Mi hai respinto, mi hai gettato via, non voluta e non amata. Io chiamo, io mi aggrappo, io voglio, ma non c’è Alcuno che risponda. Nessuno, nessuno. Sola... Dov’è la mia Fede... Perfino quaggiù nel profondo, null’altro che vuoto e oscurità —Mio Dio—come fa male questa pena sconosciuta... Per che cosa mi tormento? Se non c’è alcun Dio non c’è neppure l’anima, e allora anche tu, Gesù, non sei vero... Io non ho alcuna Fede. Nessuna Fede, nessun amore, nessuno zelo. La salvezza delle anime non mi attrae, il Paradiso non significa nulla... Io non ho niente, neppure la realtà della presenza di Dio». Dio non le ha offerto asilo, era distante, lontano, indifferente, nascosto, assente. La sua anima nel buio più tetro; luce offuscata dalle piaghe del prossimo che servilmente ripuliva. La sua domanda più atroce è <<Mio Dio perché?>>. Non smise d’amarlo neppure nel momento dell’abbandono. Che sintonia con l’urlo di Gesù sulla croce: <<perché mi hai abbandonato?>>. Che simpatia con l’accorato appello dell’Abbé Pierre. <<Mio Dio prché?>> ed anche <<Mio Dio, fino a quando durerà questa tragedia? Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato. Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale, di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia?Quanti hanno avuto la fortuna di meditare sul significato dell’esistenza?>>. Oppure la Weil che nell’incontro con il dolore smarriva quello con Dio: <<C’è soltanto un’occasione nella quale veramente smarrisco questa certezza (di Dio): quando incontro la sventura altrui, anche quella che mi è indifferente, di chi mi è sconosciuto (e forse persino di più), compresa la sventura dei secoli passati, anche dei più lontani. Questo contatto mi procura un male così atroce, mi trafigge talmente l’anima da parte a parte, che per qualche tempo amare Dio mi diventa quasi impossibile. Manca poco che non dica impossibile. Al punto che me ne preoccupo per me stessa. Mi rassicura un poco il ricordo di Cristo che ha pianto nel prevedere gli orrori del saccheggio di Gerusalemme. Spero che egli perdonerà la mia compassione.>>La croce è davvero un fardello troppo gravoso, è stato così anche per Cristo, per Dio stesso. Perché ci chiede di portarla sulle spalle? Siamo al mondo per soffrire, medesima considerazione che più volte ha solleticato la mente di questi pasdaran della sofferenza.
Ciao |
06-09-2007, 15.01.56 | #79 |
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Dio vuole che tutto sia libero, vuole la libertà. Per questo, quando crea (e crea continuamente) si ritrae (ma non è il cabalistico Tzimtzum, ma il ritrarsi del Padre come Padre nell'abban-dono del Figlio, arrischiato ad una risposta sempre e solo possibile, senza che per questo Dio si trovi costretto a patire un limite che gli impedirebbe di riconoscere la propria divinità perchè il "possibile" cui Dio si affida non dice affatto semplice "esclusione" dell'attualità della resurrezione). Il Padre è assente, è sempre assente, il Dio onnipotente sulla scena di questo mondo non esiste. Ma non per questo Dio fugge. Dio entra nella dinamica che la nascita della libertà richiede. Vi entra attraverso l'immolazione ab origine del Figlio, l'Agnello immolato "dalla" (nel senso non solo temporale ma di causa) fondazione del mondo. La Croce ha un respiro cosmico. Non il fardello che l'Inquisitore rimprovera al Cristo ma la com-passione del Figlio nei figli, la condivisione dell'esperienza dell'abbandono come icona della libertà divina. Giustamente citi i mistici, così Teresa di Lisieux a pochi attimi dalla morte, seduta alla tavola dei lontani, paradossalmente una con essi e con il Figlio: "Non conosco alcun Dio, nè alcuna consolazione, solo il Cristo". Così Silvano dell'Athos: "Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare" E così Simone Weil: "Non si deve mai cercare per il male la compensazione esteriore in un bene, legato o no a questo male da una necessità, che lo bilancia. Perchè ci si priva così dell'uso più prezioso del male, quello di amare Dio attraverso il male come tale. Amare Dio attraverso il male come tale. Amare Dio attraverso il male che si odia, odiando questo male. Amare Dio come autore del male che si sta odiando".
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06-09-2007, 16.32.27 | #80 |
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Riferimento: Bene & Male. Perchè è impensabile Dio malvagio?
Dio è “onnipotenza condizionata”, è volontà inarretrabile che si condiziona. L’azione di Dio nelle cose degli uomini è condizionata dalla necessità (che in Lui non è necessità che coarti, ma Sua precisa volontà) che l’uomo cerchi Dio e a questi s’unisca nella più assoluta libertà d’azione e di pensiero. Cioè l’unione della Creatura con il proprio Creatore deve avvenire in un ambito che rispetti massimamente la libertà della prima rispetto alla suprema e superna potenza divina. Ciò può avvenire solo se Dio, trattenendo la sua mano, rispetta questa limitata libertà dell’uomo. Da qui la necessità per la creatura di operare incessantemente delle scelte in assoluta autonomia.
L’uomo è quindi dannato ad operare delle scelte (proprio la dannazione alla libertà contenuta nel bellissimo racconto “Il grande inquisitore” di Dostoevskij), ma tali determinazioni umane, giacché scaturiscono da un essere imperfetto e limitato – voluto così dal Creatore -, possono vocarsi al Male anziché al Bene. La necessità di scegliere è dunque fonte d’errore; tale errore, non essendo conforme alla volontà di Dio (Sommo Bene), è causa determinante dell’asservimento della creatura alla protervia del Male. Il peccato però non si genera in dipendenza dell’agire umano – in Genesi il Male è quantomeno contemporaneo alla Creazione –, è bensì immanente, per cui l’uomo, per effetto delle sue scelte errate, vi precipita all’interno. Per dirla con Dante, noi incontriamo la selva oscura, non la poniamo in essere: <Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita.>. Forse, più ragionevolmente dell’ermeneutica corrente, il ‘ché’ dantesco stà ad indicare che il peccato e il male accadono in assenza di nostra precisa e cosciente deliberazione (almeno in molti casi), ma solo in conseguenza del varcare la soglia di quest’antro. Gli incerti passi conducono a varcare quel limine che separa la diritta via dal mondo del Male. E a noi non è concessa l’immobilità, la Vita esige il moto, gli incerti passi sono connaturali e a noi conformi: la selva oscura attende al varco della soglia, come Satana attese Gesù nel deserto per dannarlo. Noi, pur nella nostra ignoranza, avvertiamo il presagio di questa possibilità, necessitata dall’imperativo dell’azione e della scelta. Nell’inquietudine ci vochiamo a Dio, a Lui volgiamo il nostro sguardo e le suppliche, ma – come ben rilevi tu – il Padre è assente, è sempre assente, il Dio onnipotente sulla scena di questo mondo non esiste. Sì, forse è ragionevole pensarlo, Egli non fugge, ma osserva (indifferente?), avendo ab origine pagato il fio (Suo o nostro?), immolando il Figlio. Disabita il mondo e nasconde se stesso. Noi non lo troviamo in altro luogo che nella speranza che il patire forse ancora non ha fiaccato. Parafrasando un autore forse a te caro, Egli suscita in me l’impossibilità di perdonarGli il fatto che non esiste, e il desiderio, per questa sua manchevolezza, di spaccarGli la faccia (Caproni o Cioran? Non lo ricordo). Il mio è un amore ateo? Ciao, con stima. |