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10-03-2006, 18.57.36 | #2 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-10-2004
Messaggi: 1,774
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capperi
Ciao , rimango affascinato dalle vostre argomentazioni; (non è adulazione, sono grandicello per certe cose ) , sono però perplesso dal "quid" della dicussione, non capisco dove voglia andare a parare mi sembra ovvio che la "realtà" sia ciò che è dimostrabile oggetivamente; nexus dice: Questo processo da un lato mi ha sempre spaventato per la sua incredibile insolubilità, facendomi sentire piccolo piccolo, mentre dall'altro mi ha sempre stupito enormemente per il fatto che io possa concepire tale insolubilità facendomi sentire, seppur piccolo, parte di un 'qualcos'altro' perennemente inconoscibile ecco il punto tutto questo porta a "sofferenza" che è dovuto al desiderio di voler possedere (conoscenza?) , voler essere e che lo "spirituale" cerca di spezzare seguendo un cammino che lo allontani dal desiderio; sarò fuori tema ma mi sentivo di dare il mio umile contributo claudio
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10-03-2006, 20.07.59 | #3 | ||
Utente assente
Data registrazione: 21-07-2004
Messaggi: 1,541
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Re: La realtà è fatta di ciò che esiste
Citazione:
Due piccole osservazioni: Determinati ebrei tacciono di fronte alla questione di Dio, perché Dio non è definibile, e non si può sapere cosa è, si può solo sapere cosa non è... Non per nulla il nome di Dio è impronunciabile, e si è pensato bene di sostituirlo con un tetragramma, quel relativamente famoso YHWH... Insomma, anche gli ebrei non si permettono di parlare della realtà oltre quella che vedono... In questo caso ci troviamo nel campo della teologia negativa... Un discorso relativamente analogo (ma diverso) lo si potrebbe fare con il Buddha e il Nirvana, dato che Siddhartha non disse mai cosa era il Nirvana, ma solo ciò che non è. Esiste poi una concezione della realtà, in cui viene considerata unicamente la materia, senza un mondo spirituale, cioè solamente quello che vedo e perpecisco, come divino... E questa è una forma di panteismo, che contempla unicamente tutto ciò che esiste, senza questioni sopranaturali o mistiche... Ma noto che tu metti in dubbio pure l'insieme della realtà come qualcosa che esiste... Citazione:
Il fatto che tu ammetta di avere dei limiti, fa in modo che le tue parole risultino contraddittorie e assurde. E questo te lo feci notare già in un'altra circostanza... Come fai a parlare di limiti? In cosa consistono questi limiti? Nei 5 sensi? Ma come fai a sapere che oltre quei limiti c'è qualcosa? E se c'è qualcosa, allora dimmi di cosa si tratta e dove è il limite? E se non c'è nulla oltre il limite, allora perché parlare di limite? Sono questi due termini... limitato e illimitato... che mettono in discussione tutto... Dal punto di vista filosofico, affermare che l'infinito non esiste, è un dogma tanto quanto quello di dire che l'infinito esiste. O forse anche no... Elia Ultima modifica di Elijah : 10-03-2006 alle ore 20.10.29. |
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10-03-2006, 22.46.41 | #4 | |
like nonsoche in rain...
Data registrazione: 22-09-2005
Messaggi: 1,770
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Citazione:
Con quello che ho chiamato 'punto centrale' sono d'accordo (è la circolarità di cui ho parlato). Sulla questione della 'superbia' non sono d'accordo, invece; io la considero tutt'altro... e cioè grandiosità, maestosità, nobiltà. L'anelare non è superbia, dai, lo sento piuttosto come un impellente bisogno fisiologico, un cantuccio nel quale mi rifugio ogni tanto affinchè lo sguardo disabituato si possa estendere oltre la siepe quotidiana che esclude perennemente l'ultimo orizzonte. Altro nocciolo, per me, che non può passare sotto silenzio è la seguente tua frase: tale punto di vista "non esclude niente di ciò che tu chiami trascendente, ma lo qualifica come inqualificabile, proebendo, alla luce dei ns limiti, ogni sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale proprio perchè ritenere di poterlo modellizzare significa non riconoscere quei limiti per ciò che sono." Non è difficile immedesimarmi in tale punto di vista, ma quello che un pò mi 'disturba' è la qualifica di inqualificabile... non è azzardo 'superbo', questo? No, tu mi dirai è piuttosto umiltà nel valutare ed accettare i nostri 'limiti'; l'umiltà ce l'ho e dunque non riesco nemmeno ad applicare tale qualifica... mi comprendi? Chi o che cosa decide con precisione tali limiti? Questo è il mio nocciolo, valutalo molto bene. Quando guardo un incredibile cielo stellato, non quello lattiginoso delle città, ma quello della campagna e per chi può della montagna, non posso che rimanere a bocca aperta ed iniziare a domandarmi alcune di quelle fatidiche domande; nel farlo peccherei di superbia? Lo farei se pretendessi di importi una mia 'posizione' su qualche mia pericolante certezza/credenza circa tali argomenti, circa quello che hai chiamato "l'oggetto della tua domanda". Lo farei se pretendessi di imporre a milioni di persone quello che vedo, vedo? Il mio modo di pormi davanti all'"oggetto della domanda"? In estasi spaventata, commossa, incomprensibile, appagante, disarmante, mentre corro su una superficie limite, radente... la attraverso, ora? Con superbia? No, con umiltà mi accontento di mettere fuori la mano dal finestrino e sperimentare la "portanza" che genera tale operazione riguardo ai miei pensieri. Dici che questa è una "sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale"... già... le 'modellizzazioni', mannaggia sono sempre lì dietro l'angolo, la circolarità è sempre presente, ma anche questa è fisiologia, è natura... no? Illegittima sì, 'irragionevole' lo è come un quadro di Van Gogh o una poesia di Leopardi; il "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia", per esempio. Che fai tu Luna in ciel? Interrogativo sospeso nel tempo... superbo, irragionevole, illegittimo? Ho capito il tuo punto di vista che d'altronde hai non velatamente espresso all'inizio del post... è pragmatico, realista... troppo, forse? Non so. Alla mia domanda "Ti voglio chiedere, invece, tanto per soddisfare una mia personale curiosità: non sei mai scosso dal dubbio che ci sia qualcosa che non torni?", hai risposto: eheh.... diciamo che più che il dubbio ne ho un buon livello di "certezza".... Beh... io non riesco ad aver un 'buon' livello di certezza, ma piuttosto un 'buon' livello di incertezza e colei che me lo impone è proprio la mia razionalità che, come ti ho detto nella discussione da cui hai prelevato quel mio post, rendendosi conto del circolo vizioso ha un modo di porsi piuttosto prudente ed aperto, diciamo 'mobile', senza arroccarsi su di una certezza qualificante piuttosto che su di un'altra. Come ho detto alla fine di quel post, "sento" la mia mente, non ci posso fare nulla... gli dovrei imporre di fermarsi? Ma chi applicherebbe tale imposizione? Ed a che cosa? Mi fermo qui e ora. |
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13-03-2006, 12.00.01 | #5 |
Ospite abituale
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<Chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia>
Quest’affermazione ha in sé una palese contraddizione che la rende superflua e priva di significato. La conoscenza acquisisce una sua ragione d’essere proprio perché il suo estrinsecarsi, che la rende manifesta, è presupposto dalla domanda pretestuosamente dichiarata superba, che ne rappresenta un incipit imprescindibile, tanto che in assenza di domanda non verrebbe a svilupparsi l’azione svolta dalla conoscenza. Conoscere è anche rapportarsi con i propri limiti, venirne a contatto, conoscerli a sua volta; conoscere è anche tendere a superare questi limiti resi noti alla conoscenza proprio dall’atto di conoscere, affinché la conoscenza stessa, dischiudendo a se stessa, all’occhio della ragione (quando è solo la ragione implicata nel processo conoscitivo) un nuovo ed inusitato campo d’indagine, tenda a varcarli o a spostarli uno spazio più avanti. E’ così che la conoscenza incontra e disputa con i propri limiti, facendo con questi i conti, ma non per operare in sé un arretramento o una contrazione, piuttosto per propendere se stessa verso un loro eccedere. Ne consegue che la conoscenza, entrando in contatto con i propri limiti (non sempre valicabili o oltrepassabili), spinge lo sguardo oltre questi, cioè nell’area del non noto, ove dispiega la propria azione di conoscere. Presupposto del conoscere sono così l’inconfutabile (posto a base dell’ulteriore indagine), quanto rappresenta il limite congiunturale della conoscenza, e, in special modo, la naturale propensione a varcare quanto la delimitano, per spostare più avanti la linea di confine che separa il conosciuto dal non noto. La conoscenza non opera nel campo dell’inconfutabilmente noto, se non per meglio affinare se stessa, per meglio specificare, chiarire e definire il già parzialmente noto, sviluppando così, in tale ambito, un’azione di perfezionamento, che, in ultima analisi, per quanto meglio chiarito, specificato e definito, è sempre un’estrinsecazione di sé, cioè sempre un’acquisizione o incremento di conoscenza da porre a fondamento incontrovertibile da cui prendere le mosse per svolgere un’ulteriore e più specifica indagine che esalti le proprie peculiari caratteristiche. La conoscenza, partendo dal già conosciuto, si sviluppa precipuamente entro il non conosciuto (quasi tautologico), e nell’azione di conoscere pone di fronte a sé la consistenza dei propri limiti, con cui dialetticamente disputa; limiti che in assenza di azione, il cui incipit è dato dalla domanda ‘superba’, non si renderebbero palesi. E’ così del tutto privo di senso sostenere che la conoscenza dovrebbe indagare entro ciò che ci è dato conoscere (sbocco naturale e conseguente rilevabile dall’asserzione posta in evidenza), cioè entro i propri limiti che non sarebbero conosciuti se la conoscenza non propendesse al loro superamento. Il moto della conoscenza e la sua intima vocazione a guardare oltre i propri limiti, sono caratteristiche peculiari e naturali dell’atto di conoscere. Ciò tanto se l’oggetto del conoscere fosse rappresentato da un fenomeno fisico (la storia del progresso tecnologico insegna), sia che si alluda ad una speculazione filosofica (in tal caso è la storia della cultura che offre sostegno alla tesi), oppure anche si tratti di sviluppare indagine nel settore della metafisica (anche se qui i limiti della ragione e del sentimento – entrambi implicati nell’atto di conoscere – sono ben più marcati). Si tratta di un moto naturale incontrovertibile che ha rappresentato il motore e il carburante della storia dell’umanità, ed ha consentito il progresso culturale e filosofico fin dall’invenzione della ruota. L’affermazione che <la realtà è fatta di ciò che esiste> è una tautologia non troppo dissimile dall’affermazione che <la luce è luminosa> o <il calore è caldo>, solo che queste ultime, rispetto alla precedente, sono rilevabili apoditticamente, non così per quanto attiene alla prima che necessiterebbe, per considerarla vera, di essere maggiormente sostanziata. In questa proposizione, infatti, l’esistere non è atto a significare la realtà, così pure viceversa, in quanto non ci si è soffermati di significare e sostanziare l’un termine e l’atro (realtà ed esistere). Non fornir di contenuto il contenitore ed utilizzare entrambi i termini, così svuoti di contenuto significativo, come colonne portanti di un enunciato, rende l’intero enunciato privo di alcun contenuto significativo. Svilupparci intorno un’argomentazione è una forzatura improponibile che sortisce l’unico effetto di dar immagine priva di forma al suono delle parole utilizzate per argomentare un enunciato privo di significatività. Un saluto |
13-03-2006, 15.41.56 | #7 | |||||
Utente bannato
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Citazione:
No certo, l' "anelare" in se non è superbia, condivido il tuo descriverlo "fisiologicamente". Anch'io lo avverto come qualcosa di pressochè indipendente dalla volontà. Ciò che intendo descrivere come "superbo" è il ritenere che "farsi un'idea", "un concetto" di ciò che sta oltre i limiti, possa in qualche modo aiutare a "comprenderlo". Mi sembra invece che la tua descrizione di questo azzardarsi oltre sia prettamente "pro-gaudio". Citazione:
bhe, lo ribadisco, ma sempre nell'ottica di cui sopra. Non si pensi di poter acquisisre una conoscenza coerente ed efficace nel descrivere quell'oltre. Citazione:
I limiti sono quelli fisiologici. Tali limiti ci concedono di percepire le cose in "ON-OFF" o esistono oppure no. Se esistono hanno forma e caratteristiche proprie.... etc etc... un universo oggettivo, deterministico, "newtoniano"..... Questo è il mondo e il modo in cui viviamo. E' su questa concezione delle cose che c'è quel "qualcosa che non torna" di cui parlavamo. Anche la logica basta a farci comprendere che tutta questa determinazione ed oggettività non può prescinde dal contesto, da ciò che le sta intorno e da chi ci interagisce. Le cose non sono "in sè" ma tali in relazione a noi. Come farebbero ad esistere i sassi se nessuno ne decretasse l'esistenza? Quell' "anelare" di cui vai parlando, non è forse la curiosità di sapere cosa c'è sotto? di conoscere le cose per come sono in se'? guardando oltre quel "modello funzionale" che mi spiega solamente il modo in cui mi ci posso relazionare. Cosa c'è di più inqualificabile di una realtà senza nessuno che la qualifichi? Citazione:
Giusto. Sei un poeta (magari non praticante) animato da sincera ispirazione. Ti azzardi oltre pr il gusto di farlo. Quel che è superbo è ritenere di poter scorgere una "sostanza" conoscibile che soddisfi quel senso di "veridicità" che si brama. Citazione:
Capisco, potrei contestarti che il tuo modo di porti è "superbo" in quanto "illuso" di contenere nei suoi limiti qualcosa che per definizione non ci può rientrare . Ma sarebbe puro duello dialettico.... Prendo invece più in considerazione l'idea di "fermare la mente" o comunque quella di lavorare sulla coscienza, cambiare me e vedere come cambia il resto. |
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13-03-2006, 16.00.42 | #9 |
Ospite abituale
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La realtà siamo noi, è la nostra esistenza, e visto che noi siamo in continua evoluzione, (non siamo gli stessi della foto di 5 anni fa, per esempio), anche la realtà è in continua evoluzione.
Se io esisto tutto esiste ed esiste la realtà, se io non esisto non esiste nulla per me.... In sostanza questa è la realtà, e tutto quello che penso è reale, altrimenti non potrei pensarlo. Ciao |
13-03-2006, 16.07.40 | #10 | ||
Utente bannato
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Citazione:
Tanto mi dici in merito a quest'affermazione: <Chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia> Sottolineo il "ciò che ci è dato conoscere". Questo in fatti va letto non come "ciò che conosciamo", ma come ciò che i nostri limiti ci consentono di indagare. Citazione:
In questo dissento. Mi interrogo sul perchè di un fenomeno noto, non mi interrogo sul perchè di un accadimento se questo non è mai accaduto. [quote]Messaggio originale inviato da visechi Ciò tanto se l’oggetto del conoscere fosse rappresentato da un fenomeno fisico ... sia che si alluda ad una speculazione filosofica ... oppure anche si tratti di sviluppare indagine nel settore della metafisica Anche qui dissento. l'atteggiamento che muove la conoscenza nei tre casi è assolutamente diverso. La realtà esperibile non mi spinge ad alcuna indagine metafisica. La motivazione che muve quest'indagine non è la solita che muve l'indagine di un fenomeno osservato. E proprio questa "indagine metafisica" è ciò che definisco "superbo" (che non vuole certo essere una sentenza morale, ma un indicare l'impossibilità di approdo). |
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