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19-03-2006, 08.09.12 | #52 |
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Il limite stesso del.. linguaggio
"Io sostengo che la realtà, la Vita, l'esistenza, pur potendo in una qualche misura o dimensione essere assolute ed oggettive, non hanno mai alcun senso intrinseco, piuttosto il senso e il significato, sempre artificioso, cioè bellamente costruito, direi pre-costruito, siamo noi ad attribuirli. "
(Visechi) E come potrebbe essere altrimenti essendo il "senso" qualcosa di prettamente mentale?! (!!!) Gyta p.s: Si.. Kant:"La Realtà è ciò che non appare ma è" ma le definizioni.. grazie a Dio non sono il mio forte!! Riguardo alle interpretazioni.. Dio ce ne scampi!!! Ultima modifica di gyta : 19-03-2006 alle ore 08.11.01. |
19-03-2006, 11.09.13 | #53 | |
Ospite abituale
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Re: Il limite stesso del.. linguaggio
Citazione:
dalla ricerca del "volto di Dio" e si placa solo quando si vede DIO faccia a faccia ( MIRROR=SPECCHIO) |
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19-03-2006, 11.44.24 | #54 | |
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Data registrazione: 02-02-2003
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Citazione:
Già.. la realtà non è che uno specchio di ciò che riusciamo a cogliere.. Come rispondere alla tua.. poesia se non con.. Non Ti Ho Detto Di non sfuggire a me Mi troverai come una sorgente Ovunque vai in quel miraggio Persino se mi abbandoni Con rabbia per centomila anni Alla fine ritornerai Visto che sono la tua casa finale. Non ti ho detto Di non essere ingannato con I lustrini nella vita lo sono la tua realizzazione finale. Non ti ho detto Che sono il mare e tu sei il pesce piccolo Meglio che rimani con me Di non avventurarti sulle sponde secche. Non ti ho detto Di non andare verso la trappola Come l'uccello allettato dall'esca Ritorna da me, sono la tua forza illimitata. Non ti ho detto Altri spegneranno il tuo fuoco Rimani con me chi ti mettero'à In fiamme e scaldero'à la tua anima. Non ti ho detto Altri ti deluderanno Perderai la fonte Di conforto che ti ho trovato. Se sei illuminato tramite La lanterna del tuo cuore Guidandoti verso la casa di Dio Guardami, potrei essere la strada. (Jalal-ud-Din Rumi) Gyta |
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19-03-2006, 19.08.26 | #55 | |
Ospite abituale
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Citazione:
Tu sostieni che la vita e l'esistenza non hanno alcun senso intrinseco, ma siamo noi ad attribuirgli un senso, essendo circondati dal nulla... Questo ragionamento implica che l'uomo si senta assoluto padrone di se stesso, e che ogni sua azione sia determinata da quella volontà di potenza che sostanzialmente è creazione, quindi l'uomo crea se stesso, sempre se ho capito bene il tuo discorso. Ma prima di creare se stesso, dovrebbe conoscere il suo sè stesso.... che consiste nella sua realtà ed esistenza, o meglio nella sua essenza, ma: “Il per-sé, come fondamento di sé, coincide col sorgere della negazione. Esso si fonda in quanto nega di sé un certo essere o una certa maniera d'essere. Sappiamo che ciò che esso nega o nullifica è l'essere in sé. Ma non un qualunque ed astratto essere in-sé: la realtà umana è in primo luogo il suo proprio nulla. Ciò che essa, in quanto per-sé, nega o nullifica di sé, non può essere che sé. E poiché essa è costituita nel suo senso da questa nullificazione, ne viene che è il sé come «essere in-sé mancato» ciò che costituisce il senso della realtà umana. (L'essere e il nulla) Sartre Evidentemente la nullificazione non è l'annientamento che produce il dileguarsi, la scomparsa dell'essere. La coscienza nega se stessa, ma come in-sé; nega cioè il carattere di identità con sé, di immobilità, di «pienezza di sé» che caratterizza ogni in-sé. La coscienza nega l'essere extracoscienziale non nel senso che lo fa scomparire, ma nel senso che ne nega il suo «essere in sé», la sua «estraneità» rispetto ad essa, il suo «stare oltre» la coscienza. Sicché la coscienza è definibile pure come ciò che trascende se stesso negando la trascendenza dell'in-sé. Nel trascendere se stessa, cioè nel nullificare sé e l'in-sé, la coscienza attua la sua libertà; anzi la libertà è la condizione implicita della nullificazione, e, per la coscienza, la condizione d'essere se stessa. Sulla base di questi presupposti teorici Sartre delinea il suo esistenzialismo. L'uomo è coscienza, trascendimento continuo di sé; la sua esistenza consiste in questo trascendersi continuo; egli non «è» qualcosa, ma «diviene» sempre; nella sua vita non esplicita un'essenza prefissata, ma la costruisce via via. In tal senso, contrariamente a quanto - egli dice - si è sostenuto finora in filosofia, l'esistenza precede l'essenza. È evidente che nella concezione sartriana, per i presupposti stessi su cui è fondata, non ci può essere alcun posto per Dio, né come creatore, né, tantomeno, come provvidenza o amore. Dio non esiste. Se esistesse sarebbe un assurdo; egli, causa della sua esistenza, esisterebbe prima di venire all'esistenza. La sua esistenza, come essere in sé, sarebbe un controsenso, perché «l'essere è privo di ragione, di causa, di necessità». Tuttavia Dio «esiste», cioè esiste per l'uomo. L'uomo non può fare a meno di pensare a Dio, e lo pensa come suo proprio progetto; egli aspira ad essere Dio. L'essere di cui il per-sé manca è l'in-sé. Il per-sé sorge come nullificazione dell'in-sé, e questa nullificazione si definisce come «progetto verso l'in-sé». In tal modo lo scopo e il fine della nullificazione che io sono, è l'in-sé. La realtà umana è desiderio di essere-in-sé. È questo il motivo per cui il «possibile» è in generale progettato come ciò che manca al per-sé per divenire in-sé-per-sé, ed è per questo che il valore fondamentale che presiede a questo progetto è giustamente l'in-sé-per-sé. È questo l'ideale che possiamo indicare con la parola Dio. Si può pertanto dire... che l'uomo è l'essere che progetta di essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l'uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l'uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio. (L'essere e il nulla) http://www.filosofia.unina.it/tortor...imo/XI.11.html www.filosofico.net/sartre5es6erenul75la.htm Questo è quello che intendo per nullificazione. Ma non credo assolutamente che l’uomo possa illudersi di essere Dio o di creare Dio partendo da se stesso. Al contrario penso che l’uomo partendo dall’esperienza del se stesso e del mondo che lo circonda, non può non chiedersi l’origine della sua esistenza, o della sua essenza. E questa essenza altro non è che la scintilla divina dentro ogni uomo e dentro ogni cosa. Certe volte bisogona attraversare il deserto, o la notte della fede, come la definisce Giovanni della Croce. Annullarsi totalmente, sentire l’abbandono di Dio (il nulla) “Mio Dio perchè mi hai abbandonato?” per trovare una luce e una nuova aurora, ma queste sono esperienze che ognuno spermenta in se stesso. L’uomo, nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e collettiva l’abisso dell’abbandono, la tentazione del nichilismo, l’assurdità di tante sofferenze fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l’apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive. Tutte queste sofferenze sono state assunte dal Cristo nel suo grido di dolore (Mio Dio perché mi hai abbandonato?) e nella sua fiduciosa consegna al Padre. Nella fede, la speranza e l’amore, la notte si converte in giorno, la sofferenza in gioia, la morte in vita. La notte si fa luminosa come una notte di Pasqua - “O vere beata nox”, “Oh notte amabile più dell’alba” - e annuncia la risurrezione e la vittoria, la venuta dello Sposo che unisce a sé e trasforma il cristiano: “Amata nell’Amato trasformata”. Un saluto Ultima modifica di sunday01 : 19-03-2006 alle ore 19.14.54. |
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20-03-2006, 15.51.34 | #56 | ||
Ospite abituale
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Citazione:
Condivido pienamente questa perentoria affermazione di Kant. D’altra parte l’ho scritto anch’io qualche intervento fa: la realtà, per essere, non abbisogna di alcuno che la percepisca (il rumore prodotto da un albero che cade in assenza di alcuno che ne percepisca il tonfo), è in quanto è; per rendersi manifesta, e quindi per interagire con qualcuno o qualcosa che sia altro da sé, ha necessità di essere percepita. L’azione svolta dalla coscienza nell’atto di percepire non muta la sostanza e l’essenza delle cose, che ‘sono in sé’ (cosa in sé). Kant sosteneva che l’essenza della realtà è ineffabile, non potendo essere colta nella sua essenza da un soggetto percepente, proprio per via delle indubitabile interferenze cui è soggetta la percezione, che rassegna un’immagine non pura di quel che la realtà in effetti è. Quel che, invece, sostengo io è il fatto che la realtà (leggi pure Vita) in sé, pur potendo contenere una realtà assoluta ‘in sé’, non ha alcun senso, non ha alcun significato intrinseco, è come materiale inerte che fluisce privo di un fine e di uno scopo se non quello di perpetuare se stessa attingendo da se stessa, quindi anche da noi che in essa siamo immersi. Noi siamo elementi della realtà, e, come la realtà, manchiamo di senso e significato intrinseco. Ben altra cosa – potrai notare – rispetto alla concezione teologica che postula la nostra diretta filiazione divina, quindi con un senso ed un significato da questa attinto. Citazione:
Purtroppo non è così. L’uomo non avverte questa sensazione di potenza, perché si confronta con un nulla. Diventa creatore dell’irreale, cioè mistifica a se stesso la consistenza e l’essenza della realtà e della vita, cui annette un fine ed uno scopo. Siamo eterni costruttori di fini, è la nostra ragione di vita, essere teleologici per vocazione, al fine di proiettare la nostra esistenza verso uno scopo di là da venire, sempre promesso, sempre atteso, che sempre solo noi vediamo come possibile e realizzabile, che sempre solo noi abbiamo anche creato. L’uomo non è padrone di se stesso perché è impossibilitato a scendere fin dentro le proprie viscere ed udire, con nitidezza, quel tenue sospiro che proviene dal profondo. Sartre sosteneva che l’esistenza fonda l’essere, cioè lo precede, e così dicendo affermava che l’esistenza, la sua realizzazione siano incombenze di ciascuno di noi. Ne consegue che egli sostenesse pure che non vi sono valori precostituiti cui l’uomo debba in una qualche misura adeguarsi, ma che questi sono posti in essere proprio dalle nostre scelte – libere -. L’assenza di Dio (e di ogni altro fondamento o valore) obbliga l’uomo a creare da sé i propri fini e i propri significati. Egli, coerentemente alla sua filosofia, recuperò le ragioni della propria esistenza nell’impegno politico, che contemplava anche lo scrivere, l’uso delle parole, necessarie per trasmettere se stesso e il suo pensiero. In effetti, il suo impegno politico, nella Vita, la sua ragione d’essere ‘essere’, si estrinsecò prioritariamente proprio nella sua passione letteraria e filosofica, e l’impegno sociale fu lo sbocco naturale di questa passione. Sostenere che l’esistenza fonda l’essere implica delle conseguenze che necessitano l’esclusione dell’esistenza di Dio, qualunque Dio, concepito come ‘essere in sé’ fondatore e creatore dell’esistenza. La nullificazione dell’Io è sicuramente meglio espressa da Meister Eckhart, ma addentrarci nella sua mirabile speculazione teologica e filosofica, sarebbe impresa davvero ardua, ma volendo ci si potrebbe sempre provare. Ciao |
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20-03-2006, 16.15.55 | #57 | |
Moderatore
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Citazione:
Non mi ritengo all'altezza di tale lavoro. Tuttavia sono convinto che tale impresa ti potrebbe portare da qualche parte. Qui sul Forum c'è qualcuno che ne mastica.................. |
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20-03-2006, 16.55.05 | #58 |
Utente bannato
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"La Realtà è ciò che non appare ma è"
Bella frase veramente, complimenti! Pensare che la discussione nasceva dalla mera considerazione dell' ovvia impossibilità di poter indagare una cosa simile..... Voi spettatori di un "di cui" sapete tutto del "resto", ma non sapete come fate a saperlo! |
21-03-2006, 18.59.22 | #59 | |
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Data registrazione: 02-02-2003
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Citazione:
Nonimportachi ha ragione le belle frasi non servono a molto soprattutto perché le sole "definizioni" non portano a nulla se non a creare ancor più "pesantezze". Non ero a conoscenza che la medesima citazione (mia) fosse anche di Kant, difatti le intenzioni mie differiscono nel significato; la "bella frase" l'ho messa lì quasi per gioco, per scherzo con Kantaishi sapendo (immaginando) che ne avremmo dedotto lo stesso sentimento, lo stesso significato di base. Seppur condivido l'impossibilità di cogliere la realtà "senza interferenze" (la nostra di "osservatori" non disgiunti) non volevo intendere con quella frase che la realtà "sia senza di noi"; ma con "La Realtà è ciò che non appare ma è" desidero solo mettere in luce che ciò che appare ai nostri occhi, al nostro cervello di primo acchito non è che la forma ristretta di qualcosa che non si può relegare a contenitore etichettato. Se spesso ci è difficile cogliere il succo delle cose, qualunque esse siano, è perché ci fermiamo di fronte alla realtà delle Forme e ci fermiamo di fronte ad essa come se avessimo guardato alla Realtà nel significato più nascosto, mentre il significato è qualcosa che risiede solo nel nostro intelletto, e le cose, la "Realtà" non è che una rete fitta di "necessità d'Essere" che TUTTE ASSIEME formano il cuore di una manifestazione reale di senso: la stessa Espressione (di sé). Ho detto poco, ho detto nulla.. ma -forse- ho smontato quel senso impettito di "Realtà" - qui-adesso-nel nostro cervello, nel nostro 'percepir forme' - che tanto si differenzia dal vedere "Il" Senso nella Manifestazione, nella Espressione stessa di questa "rete fitta" che unisce mille risvolti delle prospettive [si poiché solo di "prospettiva" si può parlare quando si scambia La Realtà con la realtà parziale e quindi nulla del senso mentale, intellettualmente inteso!] L'intelletto.. che più ci avvicina alla "Sacralità" della Vita (Tutta) è lo stesso che abbisogna di oltrepassare se stesso per cogliersi nella sua vera identità, "vera" intesa come "assoluta". Non so se sono riuscita ad esprimere in parole ciò che percepisco.. Penso che ci si possa forse riconoscere solo in base a quanto le medesime parole siano nel cuore medesimo sentimento, esperienza intellettuale ed 'oltre-intellettuale'. Liberi anche di dire che ciò che ho scritto sia una baggianata priva di senso, ma se non ci avviciniamo a giocare col senso (=significato) del Senso il discorso resterà sempre entro le forme concettualmente identificabili e non avremmo "trasformato" la realtà attraverso il nostro vedere, essendo -a mio avviso- il vedere possibilità di congiunzione verso Il Senso, o se vogliamo verso un altro modo di concepire le forme, non più "entità" a sé ma significati-colori da tessere assieme, l'uno con l'altro ed al di sotto di questi nel puzzle finale: l'entità Reale (percepita). Vedi, Nonimportachi, la considerazione iniziale dell'impossibilità d'indagare che "la realtà sia ciò che è" non è "mera" né lo è il tentativo d'indagine, poiché solo attraverso quest'ultimo possiamo giungere a percepire tutto lo spessore di ciò che sembra solo una bella frase fatta e spesso lo è solamente. Un.. abbraccio fisico! (non metafisico, né di "forma" Gyta Ultima modifica di gyta : 21-03-2006 alle ore 19.00.53. |
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22-03-2006, 13.48.48 | #60 | |
Ospite abituale
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Citazione:
Quand'anche si annullasse la propria essenza per riempirsi dell'essenza di Dio, forse che vedremmo questa realtà con occhi diversi??? No, ma la nostra consapevolezza sarebbe diversa.... |
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