ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
10-02-2006, 15.38.56 | #56 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-05-2004
Messaggi: 2,012
|
Re: Anima ctonia
Citazione:
può essere qiel che dici tu ma è un aspetto pur sempre parziale è il pessimismo leopardiano, è la notte buia te lo ripeto mio caro ma non è tutto perchè è anche la grande musica dei grandi compositori, le creazini artistiche dei grandi pittori e scultori è la bellezza in tutte le sue forme e in tutti i suoi colori è visione dell'infinitamente possibile che porta avanti l'umanità da quando ha cominciato a crederci. è gioia e luce nonostante l'urlo di dolore da cui questa gioia e luce vengono partorite......... |
|
12-02-2006, 21.57.17 | #57 |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
|
Anima e scienza
La psicologia – scienza che si occupa di studiare Anima – ha di fatto smarrito la strada da cui in origine era partita alla ricerca di un metodo rigoroso che la potesse condurre a sondare il profondo di ciascuno di noi. Ancor più penso che la psicologia non possa mai giungere a perseguire e conseguire lo scopo propostosi in origine.
La psicologia, eleggendosi a scienza, cioè una disciplina rigorosa che si muove all’interno di regole e leggi ferree ed universali, ha preteso di estendere alcune buone intuizioni - che ineriscono più che altro all’aspetto soggettivo e alla sfera personale di ciascuno di noi - alla generalità degli individui, divenendo così supponente. La sua indelicatezza va ben oltre. Ha preteso di oggettivare, come quadro ‘clinico’, cioè come metodo scientifico sia di ricerca che di cura, ciò che di fatto non può essere elemento di anamnesi oggettiva. Le sue regole e il metodo d’indagine, riferendosi a soggetti unici ed irripetibili, non possono essere acquisiti come schemi o paradigmi eternamente validi e soprattutto validi erga omnes. Questo è il primo dato che si rileva nelle mancanze della psicologia. La psicologia eleggendosi a scienza, compie e perpetua il misfatto di tutte le scienze, perché queste elevano il metodo che si sono date per l’analisi e la ricerca, a premessa rispetto all’obiettivo che si sono pre-poste di raggiungere. Ciò significa che le risposte che ricercano – tutte le scienze – sono già insite nelle domande stesse. Le pre-messe, quindi le domande, determinano retoricamente le risposte, per cui si trova sempre quel che ci si è pro(e)posti in origine di cercare. In tal senso si tratta non di un dischiudersi di orizzonti, ma pararsi solo un unico orizzonte, quello appunto insito nella domanda iniziale e nell’incipit della ricerca, e non si danno alcuna possibilità di ampliare il proprio angolo di visuale, che non dischiude un’area d’indagine meno angusta, rimanendo così ancorate all’unico spazio visibile dal loro privilegiato- direi anche arrogante - punto di osservazione. Non vi può essere conoscenza di se stessi perché si tratterebbe di una visione intro-diretta, cioè condotta dall’interno, ed utilizzando i mezzi, cioè le nostre limitate capacità conoscitive, che sono appunto quel che poi in definitiva va a coincidere con l’oggetto della conoscenza stessa. La conoscenza intima di ciascuno di noi non può che essere limitata a quell’eco che sgorga con furore dall’intimo più recondito, ineffabile. Ineffabilità che, alla lunga, dilatando il concetto, convergendo, va a coincidere con quella del sacro. Si tratta in effetti di una sacralità intima che spesso, soprattutto per quanto riguarda le religioni che inclinano verso un Dio Padre, siamo portati a proiettare verso l’esterno – un Dio esterno a noi che si riflette come balugine di luce nel nostro intimo, nella nostra ‘Essenza danzante’ -. In poche parole, per giungere alla perfetta conoscenza di noi stessi, ci avvaliamo degli stessi mezzi e strumenti – intuitivi, riflessivi, meditativi, conoscitivi – che sono poi la sostanza primigenia che c’informa, che foggia tutto il nostro essere. Si tratterebbe così di una visione distorta già dall’inizio. Non si tratterebbe quindi né di modestia o saggezza, né di paura di andare a sondare il profondo ctonio delle potenze, nel fondo dell’anima, ove è il nulla, ma di una bastevole consapevolezza dell’impossibilità di conoscere un sistema - qualsiasi sistema - dall’interno del sistema stesso: un sistema non può conoscere se stesso, ma solo una visione esterna, non interferita da alcunché, lo potrebbe rendere puro per quello che è. Ma in questo caso, trattandosi di uomo che visita se stesso - la propria essenza più pura - attraverso un occhio posto al centro del sistema stesso, la difficoltà di giungere ad una perfetta conoscenza è quanto mai problematica. Un occhio non può vedere se stesso. L’antica scienza degli antichi mostra in ciò molta più saggezza di quanta riesca a mostrarne la protervia dell’attuale scienza di Anima: "Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos” (Eraclito) |
13-02-2006, 10.50.55 | #58 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-10-2005
Messaggi: 351
|
Di tutti i beni che ognuno possiede, il più divino dopo gli Dei è l’anima,
che è il bene più intimo. In ogni uomo vivono due parti:: una superiore e migliore che comanda, l’altra inferiore e meno buona che serve. Platone. .Quando l’anima riposa in pace che è al di là di qualsiasi comprensione, ogni cosa è percepita come grazia e il cuore trabocca di gratitudine e rispetto per la vita. “Proprio perché l’anima non si lascia ridurre a un concetto, essa è come il vento: uno lo sente, ma non può dire da dove viene né dove Va.” Vi regalo un grazioso racconto di Valentina Bellavitis: Mia nuora, tenerissima e intelligente, quando si trova in difficoltà per domande di suo figlio, mi chiede aiuto e, come nonna, è veramente vergognoso non saper la forma migliore della risposta. Mia nuora oggi mi chiede: "come si fa a insegnare a un bambino che cosa è l'anima? " Per quanto vada indietro nei ricordi, a me nessuno l'ha spiegato: né i miei genitori, per quanto onesti e cristiani; neanche a scuola; né le buone maestre; né alle superiori durante l'ora di religione. Ma sono invecchiata vivendo la vita quotidiana. Sono vecchia, non il gentile eufemismo anziana: sono vecchia e devo dare una risposta a questo ramoscello tenero e flessibile. "Bambino mio - volto il palmo delle mani verso l'alto e chiedo aiuto e ispirazione - mettiti da solo in un angolo silenzioso. Non rumori attorno, non radio, non televisione. Elimina ogni altro rumore possibile, anche con la forza della volontà, fino a sentirti solo; tutto solo con te stesso. Per aiutarti, chiudi anche gli occhi e con le manine schiaccia forte le orecchie. Con il pensiero entra dentro te stesso: dalla fronte, da dove partono i tuoi pensieri, scendi piano piano all'incirca dove senti battere il cuore. Fermati e concentrati lì, attento al silenzio completo. Non esiste più nessuno vicino e intorno a te. Sei solo e puoi decidere ciò che tu vuoi. Il Signore ha fatto l'uomo libero: puoi essere gentile o prepotente, obbediente o dispettoso, puoi far sorridere la tua mamma o farla piangere. Puoi scegliere di essere come decidi tu. Ma pensaci bene, perché sei tu che decidi e non puoi dare la colpa a nessuno. A questo punto sentirai una voce dentro di te. Non una voce forte, ma un soffio, un sussurro che sempre più imparerai a conoscere, più farai confidenza con lui.... Quello, angelo mio, è la tua anima. Cercala sempre, ascoltala sempre, non sarai mai solo e sarà lei che ti guiderà e ti aiuterà in tutta la vita." |
13-02-2006, 11.52.53 | #59 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
Messaggi: 1,150
|
Anima e dolore
Citazione:
Quel che ode quel bambino è anche il lamento del proprio cuore. La voce che lo guiderà saprà, per sua intima natura, insegnare a quell’angelo sì tanto diafano e delicato, che la vita è meraviglia e stupore, che è gioia irrefrenabile e dolore inarretrabile. Non vi è colpa in Anima, la sua essenza colloquia con la vita in una dialettica che implica la sussistenza degli opposti e delle compossibilità, per cui, frammista alla gioia, alla felicità, allo stupore, traverà anche le tracce dell’orrido, del patimento, del dolore, del terrifico, del Numinoso. La vita detta i tempi, scandisce, come un diapason, i ritmi del proprio respiro o ansito, entro cui Anima confluisce per seguirne il corso oppure per trovarsi sballottata come dentro una corrente impetuosa. Quel bambino, se ascolterà bene, dovrà udire il greve suono del pianto e lo squittio di una dolce risata, come una serenata, li udrà come un rimbalzo fra sponde opposte che delimitano il nostro essere, entro cui fluisce la nostra essenza più vera, quella danzante. Non vi sono solo risa e sorrisi, vi sono anche visi contratti in una smorfia di dolore. Il dolore è inevitabile, improvviso, atteso. Atteso senza che mai si sappia quando deflagrerà in tutta la sua molestia, ma lo si attende, lo si paventa. Questo è il senso del tragico che noi viviamo come un riverbero: rumors della vita che s’insinua nel profondo della nostra anima sacra. Quante volte mi sono domandato cosa sia un cuore. Il cuore è lo scrigno magico dei sentimenti. Quanto di più sacro possegga un essere umano. Per quello lo si preserva, lo si tiene occultato alla vista del prossimo, e quando lo si mostra, nudo e puro com’è, lo si fa con ‘timore e tremore’. Non è permesso a nessuno calpestare con zoccoli ossuti il cuore di una persona, perché così si macera quanto di più sacro esso custodisce. Così si profana Anima, non solo la superficie esterna della persona. Chi profana Anima lo fa perché non percepisce in sé l’esistenza di questa materia occulta, o forse perché ha intorno a sé un deserto arido ed inabitato. Ma quante volte abbiamo assistito a chi impunemente si muove con pesantezza improba nelle segrete stanze dell’animo altrui; quante persone sono state macerate nell’intimo perché qualcuno gli aveva calpestato Anima. Si ama la vita, la si ama tanto da scegliere anche di rinunciarci impiccandosi alla medesima corda che tiene il cuore vincolato ad Anima, al sentimento che lo tiene legato al mondo e alla vita. Ci si attorciglia quell’esile filo intorno al collo, e ci si lascia cadere in fondo al baratro che la profanazione ha scavato dentro Anima. L’empietà dell’empio raggiunge così il proprio scopo. Cosa resterà all’empio di questa sua empietà? Altro deserto, altra aridità che nutriranno quel deserto e quell’aridità di cui il suo cuore calcareo è già colmo, credo nient’altro, neppure l’insegnamento che la sacralità di un cuore non può essere violata. Poi ci si domanda e si parla di coscienza e consapevolezza:”La consapevolezza è lo stato in cui la coscienza è colta nella sua interezza”. Questo enuncia non so più chi. Io direi che la consapevolezza sia lo stato in cui è colta la frattura e la lacerazione che dilania l’essere, di cui l’insorgere della coscienza è la maggiore responsabile. La coscienza coglie l’uomo in questo limine: fra essere e non essere, ode l’urlo che promana dal profondo e percepisce il senso di tragedia immanente nella vita: sospesa fra eros e Thanatos, rendendo presente e viva questa insanabile ferita, questo squarcio. La musica che sgorga dal profondo è resa viva attingendo dagli scomparti più reconditi dell’anima buia. E’ una musica furiosa e melanconica, dolcissima e ritmata allo stesso tempo; scora e ristora. La musica di Anima è simbolo, ciò, quindi, che tiene coesi gli opposti in una perenne e inesausta dialettica. Un’amica, una dolce, bellissima, calda amica, una donna morta e risorta, una persona che conosce l’afrore e il lezzo, il profumo e l’effluvio del dolore, mi ha di recente detto cos’è per lei la gioia: “due lacrime per un amico, due per un’amica, e raccogliere in me le loro lacrime in risposta alle mie”. Mai avevo sentito una descrizione così intensa di un evento che spesso scordiamo. La gioia è commozione, è emozione viva tradotta in riso che gronda lacrime. Ho amato quest’amica per ciò che ha trasmesso in me. Inseguendo capziosità fumose e sofismi asfissianti, abbiamo perso in noi il gusto, il sapore, il profumo di provare una gioia che commuove fino alle lacrime, un’emozione dolce che tracima dagli occhi perché n’è gonfio il cuore. Altro che concetti della mente. Lacrime dolci come ambrosia che sgorgano pure da un cuore puro che sa amare, che sa gioire perché ha conosciuto il dolore, che conosce i sentimenti perché di questi è affamato ed assetato, mai pago. In definitiva, quanto di più aborrito in queste ed in altre pagine di Riflession(i)e. “L’inverno che cammina nella neve, lascia il passo all’estate, piena di frutti; fugge lo stanco cavallo della notte davanti al giorno che sorge coi suoi bianchi cavalli, perché rifulga la luce; il vento impetuoso cede al vento più mite, e il mare gemente si placa” (Aiace). Così le tenebre che occupavano la sacra Anima di una persona che amo, tenebre soffocanti per causa dell’infoiata furia di immonde bestie, ora sono squarciate da una calda, seppur flebile, luce… tutto questo durerà fintanto che le due opposte forze non avranno raggiunto l’apogeo, per poi, ineluttabilmente e naturalmente, riapprossimarsi l’una all’altra, per trasformarsi e mutarsi in nuova pena e pianto, come la mattina precede e segue la notte. Forse è vero: una volta che si è nel fondo del pozzo non resta che la risalita come unica strada possibile. Ma si arriva mai a toccare il fondo di quel pozzo? Ho il sospetto che il pozzo sia un buco senza fondo, e si scivola dentro senza mai toccare la roccia che fermi l’inesorabile scivolare sempre più in fondo. C’è sempre tempo e spazio per una gioia immensa; c’è sempre l’ombra, tempo e spazio per un dolore immenso. Questa è la vita: ciclicità, così è anche l’anima pulsante che della vita è un riflesso e suo costituente. Anima ama la vita e paventa la morte, cioè colei che però sa essere germinatrice di nuova vita. Ciao |
|