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06-02-2006, 13.11.04 | #32 | ||
Ospite abituale
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Anima e Creazione
Citazione:
Se noi siamo creazione ed immagine divina; la pre-storia di Dio deve essere caratterizzata da questo conflitto interiore – supporrei che sia anche perdurante… pre-esistente e coestensivo -. Noi, frutto della Sua (volontà?) creatrice, non possiamo esimerci, perché mai esentati fin dall’Origine, dall’avvertire e percepire come un eco agghiacciante questo baluginare dell’ineffabile luce e dell’enigmatica e terrifica Ombra del Numinoso, in quanto entrambe, in un groviglio inestricabile, si espandono nella Creazione. La Creazione stessa non è esentata da tutto ciò. Tale condizione è necessitata dal fatto che la Creazione si appalesa in un ansito di vita che, nel suo espandersi e contrarsi, è evocazione, annuncio e presagio di Morte, così come quest’ultima, nel perenne gioco delle compossibilità, è, a sua volta, incipit e genesi della vita. Così pure il Male rispetto al Bene: ciascuno è testimonianza dell’alterità che lo compone, divenendone annuncio, e ciascuno è premessa e conseguenza, incipit ed epilogo del proprio omologo contrario. Dio trasmise alla Creazione quest’agon(ia) ante Origine, cioè quel che caratterizzava la Sua pre-storia. La infuse ab Origine, ed in ciò non è rilevabile alcun “peccato d’Origine” ascrivibile alla creatura, e non emerge neppure la maledizione e gli strali divini nei confronti della Creatura e della terra che la ospita narrata nel Libro della Genesi. Il ‘peccato d’Origine’ è infuso nella Creazione proprio per effetto ed in conseguenza della Creazione stessa. E si ode ancora l’eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>. Citazione:
La profondità dell’urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell’uomo – in assenza di Dio, costellata dal dolore, contrappuntata dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s’insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall’urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci. L’Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l’uomo avverte quest’antinomia presente nella vita, nella creazione. L’avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell’Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l’Anima. Quando l’Anima soffre, patisce l’intero corpo, patisce l’uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo. Bye |
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06-02-2006, 13.50.46 | #35 |
Ospite abituale
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Messaggi: 3,250
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ma "a non avvertire la luce" è l'anima...o è la mente a creare tale illusione...?(EGO)
come può una cosa (l'anima) composta di luce non percepirla? E' la mente a creare distorsione (ego) pertanto la causa sta nella disconnessione (illusoria) tra anima-mente e corpo. l'anima "soffre" quando è "soffocata" dall'ego che non permette alla luce di espandersi. |
06-02-2006, 14.20.28 | #36 | |
Ospite abituale
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Re: Anima e Creazione
Citazione:
Ma lo comprendo questo dolore perchè è stato anche mio. E' il non comprendere i motivi della sofferenza che fa soffrire l'uomo. E' da lì che con il cuore straziato si parte per cercare risposte. Si traversano profonde notti buie, si è tentati di staccare la spina di rifiutare un mondo siffatto.....Nessuno è esente eppure quanti modi diversi di reagire....e di cominciare ad agire... E' importante non soffermarsi, non fermarsi a questo stadio...si deve andare oltre è la vita stessa che lo chiede. Nel buio della notte deve farsi strada uno spiraglio di luce. C'è altro sì Visechi, c'è altro anche se sembra che ci sia solo il dolore. |
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06-02-2006, 14.50.40 | #38 | |
Ospite abituale
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Citazione:
quindi le depressioni, che vengono chiamate malattie dell'anima in realtà sono malattie dell'ego?? ciao |
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06-02-2006, 16.50.35 | #40 |
Ospite abituale
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Anima e (D)Io
Siamo all’interno di un labirinto intricatissimo… la vita stessa è un labirinto, e il filo che dovremmo tendere per indicarci la via - il famoso filo d’Arianna - è spesso spezzato, e non aiuta certo molto nel vagolare incerto all’interno di questo labirinto. Troppo spesso mi pare si compia qualche passo in avanti e troppi passi indietro nel costante impegno di riannodare i capi del filo spezzato Non so se siano maggiori i progressi in avanti o è superiore il moto a ritroso alla ricerca dei due capi. Non so neppure se, con questa andatura da gambero, sia mai possibile trovare l’uscio che conduca fuori dal labirinto, prima che la Moira Lachesi ne abbia spezzato un altro di filo. Fortuna vuole che a noi mortali non sia data in mano la clessidra delle nostre vite e che ignoriamo così la quantità di granelli di sabbia che essa contiene, per cui non è possibile conoscere quanta ne sia scorsa e quanta ancora ne resti. E’ così che fra i crocicchi che intersecano la nostra strada ci perdiamo, smarrendo la meta – posto che ve ne sia mai stata una -.
Il labirinto entro cui la nostra Anima, il nostro vero Sé vagola confuso è quella miriade di cunicoli che la mente genera, quella miriade di pensieri che solo un black out demenziale potrebbe spengere. Serve un pizzico di follia per uscire da quegli schemi che la mente si crea; serve la sana e divina follia per rompere il salvadanaio che racchiude il tesoro che è in noi… ma è una follia che turba, che spaventa, soprattutto gli altri. A poco vale affermare che gli altri, in primo luogo, siamo noi. <Solo quando avremo posseduto noi stessi, potremo guardare il prossimo!> Romantica visione, eroica visione. Ma non tutti siamo eroi, piuttosto, quasi tutti siamo poveri uomini e donne che sentono dentro di sé quella solitudine irredimibile frutto di una profonda lacerazione che la coscienza invece che suturare amplifica, amplia ed esalta. Forse è vero, non sappiamo spengere la mente pensante. L’ho già scritto in precedenza. Spengere la mente per ignorarsi, per giungere all’estrema estasi di ignorare anche di ignorarsi. Ma sono proprio i sensi aperti che lasciano filtrare l’aria fredda del mattino, quella che annuncia non un meriggiare assolato, ma una bufera. Non vi è aria che sia tersa, che sia perfettamente linda, è sempre incrostata di pulviscolo spesso inquinato. E’ proprio questo ascoltarsi, con i sensi, con la mente, ma soprattutto con l’anima, questo echeggiare dal profondo che ti rappresenta in guisa di viandante, di apolide senza patria, di attore oramai sulla via del tramonto - come se mai ci fosse stato davvero un reale albore di gloria… non di notorietà, gloria dell’anima -. Sradicare i tanti uno, nessuno, centomila Io è impresa davvero ardua, ancor più difficile è individuare ciascuno di loro ogni volta che si (ci) rappresentano. Non è mai facile cogliere il momento, quell’attimo fuggente in cui l’abitatore clandestino si mostra, troppo presi ed invischiati in queste raffigurazioni della personalità per render(si)ci pienamente e tempestivamente conto che ciò che rappresenti, o ciò che in quel momento ti mette in scena, non sei tu, ma altro. Però, talvolta, ci sentiamo diversi dal personaggio che recita in noi. Questa è la lacerazione di fondo, questa è l’ansia e l’inquietudine. Spesso avvertiamo quest’ansia, e, per dare un motivo al suo essere, al suo stringere il cuore, al suo esistere, la colleghiamo ad eventi, a fatti che ci ‘turbano’, a rapporti con altre persone non del tutto soddisfacenti. Credo che si tratti dell’ennesima mistificazione. Noi siamo inquietudine ed ansia, ma abbiamo necessità di ignorarlo, per quello fingiamo mille contingenze cui attribuire la fonte dell’inquietudine che ci vive dentro. La nostra vera Vita è solo tramestio, ansia, voragine che si affaccia nell’abisso di noi stessi. E’ ansia inespungibile, il cui perenne moto ondulatorio talvolta ci porta all’apice, sulla cresta dell’onda, tramutandosi in allegrezza, in gioia, in ‘felicità’…. Ma sono sempre degli attimi fugaci, e si continua comunque a percepire quel fondo ansioso che è in noi. La vita, quella della Natura, non è quiete, è ribollio inesausto. La Natura non riposa mai, noi siamo parte di questa Natura inesausta, siamo parte di quel moto perenne. La vertigine che ci coglie osservandoci ed ascoltandoci, è ansia, apprensione, inquietudine. Il nostro Io è multiforme, si maschera mutando continuamente colore, calore e forma; diviene evanescente, se è necessario celare le proprie bugie, le proprie nefandezze. Si espone in un impeto di esaltazione se deve imporre con protervia la sua ragione d’essere. Noi, novelli Faust, abbiamo venduto l’anima a questa legione, ma senza poter sperare e confidare in una redenzione. L’anima no, ella non può celarsi, non può svanire, quindi urla le sue ragioni, cerca l’aria per trarne un sospiro vivificante, ed aspira nero fumo che intossica. Cosicché è tutto il nostro essere che n’è intossicato, che patisce e soffre. Temo che sia l’anima che abita in noi, che ci abita e possiede, il nostro personale daimon ciò che urla, che scalpita e protesta, non mai il nostro Io. E’ la nostra essenza pura, priva d’incrostazioni che l’appesantiscono che geme, non la legione di Io che usiamo, che ci usa. Diveniamo così consumatori di noi stessi, anche nei rapporti umani, siamo antropofagi. L’incontro è una lotta per abbattere muri, per espugnare fortezze. Eppure non ci rimane altro che l’incontro. Ma nonostante questa nostra unica vocazione, erigiamo fortezze, ci vestiamo di tanti ‘Io’: di plastica, di cartone, che puzzano di polimeri a metri di distanza… cosa cerchiamo? Ognuno s’inventa una meta per scordare che siamo sempre più soli… tante anime sole che cercano l’incontro con altre anime sole che non sanno incontrarsi, se non per parlare di futilità. Troppo kaos nelle cose, e l’ordine non fa per me… forse esistono persone che sentono un’intima vocazione per il kaos, che aborrono l’ordine, perché sentono la noia della vita, ciò che un francese definiva spleen. Forse si è dannati fin dalla nascita. Quindi mai un progresso verso una quiete che immagino possa annoiare, nessun tratto di strada percorso verso una pace interiore stabile in cui non credo. Bah! Siamo strani animali. Ciao Ultima modifica di visechi : 06-02-2006 alle ore 16.55.39. |